LEGGE DI STABILITÀ – MIBACT, PATRIMONIO CULTURALE A RISCHIO?: I ROVINOSI EFFETTI DI UNA RIFORMA SCINTILLANTE E PUNITIVA

di Domenico Leccese

La notizia è stata diffusa il 17 agosto, quando in vacanza si è disposti a sognare: finalmente era scattata l’ora della rivoluzione nei musei, affidati a manager della cultura (i “migliori”) con la missione di valorizzare tesori inesauribili ma ricoperti di polvere. La riforma è stata presentata attraverso una narrazione semplificata, fondata sul mito moderno del museo/forziere (“tutto il ben di dio che abbiamo”), costruita sull’opposizione tra “vecchio” e “nuovo”, “conservazione” e “progresso”, in cui la parte regressiva è stata spregiudicatamente riservata alle soprintendenze territoriali, dipinte come luoghi di inerzia, quasi biologicamente refrattarie a ogni evoluzione e quindi destinate alla “rottamazione”: così si spiega l’enfasi con cui si è celebrata la nomina, largamente prevalente nei musei autonomi, di direttori non italiani rispetto a funzionari provenienti dai ruoli direttivi del Mibact, sfavoriti nell’insindacabile giudizio del ministro, cui toccava l’ultima responsabilità di scelta. Questo è stato, del resto, l’aspetto recepito dalla superficialità dei media che, come accade sovente, hanno ridotto l’informazione a slogan: dal “finalmente siamo in Europa” all’opposto “abbiamo ceduto il nostro patrimonio allo straniero”, a seconda degli orientamenti automatici di maggioranza e opposizione.
Ma ridurre la discussione al duello stranieri/italiani è solo un modo di eluderla, confondendo il livello della propaganda con quello dei processi reali.

Ad esempio, non bisogna stancarsi di ricordare che le défaillances presenti nella gestione dei musei statali, cui la riforma intende ovviare, sono do-vute a ragioni non imputabili alla responsabilità delle soprintendenze: oltre alla cronica, e progressivamente accentuata, carenza di fondi, che la dice lunga sulla volontà del belpaese di valorizzare i propri “tesori”, ha pesato soprattutto la “mancanza di qualsivoglia autonomia tecnico-scientifica e amministrativa da parte dei musei incorporati nelle soprintendenze” che ora diviene, al contrario, la vera e propria dote dei musei autonomi, cui sono conferiti bilancio e organi di gestione. Il tema delle nuove autonomie museali deve essere quindi inquadrato nel disegno complessivo della riforma del Mibact, sintetizzabile in due punti chiave:
1) la distinzione della funzione della tutela da quella della promozione e valorizzazione del patrimonio culturale, con l’intento dichiarato di rafforzare entrambe in un sistema integrato di cooperazione;
2) la creazione di un “sistema museale nazionale” adeguato agli standard internazionali attraverso la realizzazione di una rete efficiente tra i “musei dotati di autonomia speciale” e i musei invece integrati nei “poli museali regionali” e anch’essi dotati nel dettato di legge di “autonomia tecnico-scientifica”, di un “proprio statuto” e di un “progetto culturale” curato dal direttore del polo museale regionale.

Spiace osservare che allo stato attuale dei fatti tale disegno resti gravemente incompiuto e rischi addirittura di essere difficilmente realizzabile, la riforma non avendo previsto le complesse procedure tecnico-amministrative e le indispensabili risorse finanziarie atte a garantire in tempi accettabili l’efficace risultato di un processo così radicale di trasformazione: non è ancora chiaro come sarà ripartito il personale in servizio tra le soprintendenze esistenti e i nuovi istituti museali e in che modo saranno trattati organici già ridotti all’osso e ulteriormente decurtati in seguito alla distinzione di competenze precedentemente accorpate (come è evidente ad esempio nel caso dei funzionari scientifici); non è previsto un piano di reintegrazione di alcuni servizi essenziali che saranno suddivisi tra soprintendenze e musei (laboratori tecnici, archivi, depositi); non sono stati efficacemente pesati passaggi di indubbio rilievo patrimoniale come la consegna dei beni custoditi, sovente – e ancora una volta non per colpa degli uffici periferici – privi di un’adeguata catalogazione; non è prevista tra le attribuzioni delle nuove autonomie museali quella, cruciale, del reclutamento di personale con competenze specificamente funzionali ai nuovi compiti di valorizzazione e promozione culturale e turistica a esse assegnate.

In nome di slogan scintillanti a uso dei media, la riforma è stata avviata in assenza di un quadro organico di riferimento e di un’analisi concreta dei rischi e dei fabbisogni: si è destrutturato, dopo averlo lasciato per anni deperire, un sistema integrato di tutela e valorizzazione, per lungo tempo additato ad esempio in Europa, senza avere prima incardinato su solide fondamenta le nuove strutture.
I rischi evidenti sono quelli di una demotivazione del personale in servizio, che subisce una sostanziale delegittimazione, di uno sbandamento provocato da una confusione di competenze e di una paralisi operativa, destinata a durare nel tempo al di là dell’ottimismo di facciata.
Un discorso a parte merita l’archeologia, gravemente penalizzata dalla riforma. Non si tratta solo di avere separato alcuni grandi musei dal proprio territorio, ma, piuttosto, di avere minato l’incisività operativa delle soprintendenze archeologiche, la cui funzione di controllo sul territorio, esercitata sul campo nonostante risorse e personale sempre più ridotti, è stata spesso l’unico baluardo in assenza di un’efficace programmazione territoriale e, forse per questo, subita con crescente irritazione in un paese allergico alle regole come il nostro.
La riforma disgiunge le competenze inseparabili della tutela e della valorizzazione e, persino nei casi delle “aree e parchi archeologici” riduce i compiti delle Soprintendenze Archeologia a una funzione subordinata: a esse è infatti riservata la sola “gestione”, “ferme restando le competenze della Direzione generale musei e dei Poli museali regionali in materia di luoghi di cultura”: un giro di parole tortuoso che sembra confinare le soprintendenze archeologiche ad attività di servizio quali la manutenzione e il diserbo, che non debbono interferire sulle vere e proprie azioni “di cultura”, legate alla fruizione e valorizzazione, concepite come categorie astratte da una specifica conoscenza dei contesti.

Fuori dai musei e separate dai territori, accantonate in funzioni meramente burocratiche, le soprintendenze archeologiche sono condannate a un inevitabile declino: un risultato scontato e terribile di cui la riforma può difficilmente menare vanto.

Art.1 comma 327 della legge 28 dicembre 2015 n.208           
( LEGGE DI STABILITA’) 
327. Nelle more dell'adozione dei decreti legislativi attuativi dell'articolo 8 della legge 7 agosto 2015, n. 124, al fine di dare efficace attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 17-bis, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonche' di garantire il buon andamento dell'amministrazione di tutela del patrimonio culturale, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, lettera e), della legge 23 agosto 1988, n. 400, e dell'articolo 4, commi 4 e 4-bis, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, si provvede, nel rispetto delle dotazioni organiche del Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo di cui alle tabelle A e B del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, alla riorganizzazione, anche mediante soppressione, fusione o accorpamento, degli uffici dirigenziali, anche di livello generale, del medesimo Ministero.

Fiocco viola è il simbolo di protesta esposto dal personale (addetti ai lavori) direttamente coinvolta in questa azione di accorpamento. "Per la tutela del nostro patrimonio culturale – Dichiarano gli addetti ai lavori attraverso una nota –  ormai giunta ad uno dei punti più bassi della sua gloriosa storia. Siamo in presenza di un vero e proprio blitz normativo – prosegue la nota –  che, formalmente giustificato dal doversi uniformare alla legge Madia, non solo accorpa le soprintendenze, ma ne modifica i compiti e ne aggiunge di nuovi ai Poli Museali, tra cui il compito di concedere i beni culturali pubblici. L’istituzione delle Soprintendenze miste rischia di creare strutture acefale, senza un ragionamento consolidato sull'impianto organizzativo. L'operazione del resto scopre le sue vere finalità nella sottrazione di 10 dirigenze alla tutela ed il loro riversamento sui nuovi siti autonomi, spesso del tutto privi privi di ogni dimensione organizzativa e senza alcuna possibilità di introiti. Una operazione analoga la si fa accorpando le soprintendenze archivistiche con quelle bibliografiche: una decisione conseguente alla norma che assegna allo Stato competenze in materia di tutela del patrimonio archivistico e bibliografico prima esercitate da province e regioni, sovraccaricando oltremisura il poco personale assegnato a questi settori. Ci chiediamo che senso possa avere emanare adesso un bando di mobilita' volontaria quando non sono ancora chiari gli organici a seguito di questa nuova riforma. Noi – conclude la nota degli addetti ai lavori – abbiamo avuto formale richiesta di produrre nostre osservazioni su questo nuovo impianto di riforma e graziosamente ci è stato concesso il termine di domani per produrle. noi pensiamo di inviare il nostro comunicato e ci eserciteremo in una azione di contrasto capillare ad un progetto di riforma che riteniamo profondamente sbagliato".

CGIL FP CISL FP UIL PA: basta riforme senza investimenti, così si indebolisce la tutela del territorio  
"Contrarietà nel metodo e nel merito all'ipotesi di accorpare le diverse Soprintendenze del MIBACT, – Commentano in una nota unitaria FP CGIL – CISL FP – UIL PA – unificando quelle archeologiche – prosegue la nota sindacale –  con quelle alle Belle arti e al Paesaggio, è quanto hanno espresso CGIL FP, CISL FP e UIL PAdopo l'incontro con il Ministro dei Beni Culturali Franceschini, che ha illustrato un DM di prossima emanazione in applicazione di quanto previsto nella Legge di stabilità 2016. Nel metodo – spiegano i rappresentanti sindacali – è l'ennesimo intervento a gamba tesa nel mezzo di una riforma in corso che, peraltro, ha già palesato tutti i suoi limiti, senza peraltro aver fornito alcun testo, che a seguito di nostre insistenze ci verrà consegnato dopo l'illustrazione che effettuerà oggi pomeriggio al Consiglio Superiore e domani presso le commissioni Parlamentari competenti. Si prospetta un ulteriore intervento normativo senza aver prima risolto i molteplici problemi organizzativi del MIBACT, a partire dalla carenza di personale in particolare nei profili specialistici, e senza aver completato l'avvio dei nuovi poli museali. Nel merito, il ministero dimentica che il punto di forza cui è ancorata la sua funzione costituzionale, la tutela e salvaguardia del patrimonio culturale e del paesaggio, passa attraverso le Soprintendenze. L'intero territorio italiano è cosparso di siti archeologici (132 aree archeologiche, 106 musei aperti al pubblico, numerosi siti subacquei), di collezioni e monumenti sia pubblici che privati, di cantieri di scavo e di restauro, cui si aggiungono i tantissimi interventi di archeologia preventiva connessi alla realizzazione di servizi e infrastrutture. La tutela architettonica e paesaggistica, storico-artistica, etnoantropologica, archeologica, sono eccellenze italiane uniche in Europa. Ma il numero di funzionari archeologi e professionisti della tutela chiamati a presidiare e salvaguardare questo immenso patrimonio, contrastare le attività illecite di scavo e traffico di oggetti antichi, e fare da argine al consumo del territorio, è sempre più esiguo rispetto al fabbisogno.  Cittadini e istituzioni locali devono comprendere che queste funzioni non possono esser messe a rischio, per non dire soppresse, da quell'operazione di pura ragioneria che sarebbe la fusione delle Soprintendenze in un ammasso indistinto. Purtroppo le disposizioni della Legge Madia, assunte a modello di riferimento per accorpamenti e riduzioni di uffici dirigenziali, nel caso delle Soprintendenze rischiano di abbattersi come una mannaia sulle loro già esauste capacità operative. Significa disarticolare e disperdere le professionalità altamente specializzate di tanti funzionari e tecnici che oggi, pur in un contesto generale di malfunzionamento, possono operare in ambiti lavorativi ben distinti e con competenze definite. Abbiamo rappresentato inoltre che è sbagliato procedere ad una ulteriore riorganizzazione senza porsi il problema di valorizzare il personale in servizio e reperire risorse aggiuntive per finanziare professionalità, formazione e produttività.Al riguardo, la risposta del Ministro è stata insoddisfacente in quanto ha assunto un impegno generico, non meglio specificato. Non è al cambiamento che diciamo no – puntualizzano i sindacati – ma al rischio di consegnare il territorio agli interessi degli speculatori. Già oggi, tra grandi opere ed espansione edilizia senza controllo, il consumo di suolo in Italia è di 8mq al secondo, il triplo della media europea. È imperativo non depotenziare quei presidi di base che sono le Soprintendenze; al contrario, bisogna mantenere in capo ad esse la direzione tecnica e scientifica nell'articolazione attuale storicamente collaudata, e – conclude la nota sindacale –  dotarle di risorse da investire nel rafforzamento delle competenze".