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TRUMP, LETS’ MAKE AMERICA GREAT AGAIN
DI ROBERTO RAGONE
Diciamo la verità: ultimamente l’America vera, quella autentica, quella di cui Mario Soldati ebbe a dire che non era ‘una nazione ma uno stato d’animo’ si era un po’ troppo imbolsita. Aveva a poco a poco perso lo smalto, quello della nazione delle opportunità, dove tutto è possibile, per assumere la connotazione delle banche criminali che imbastiscono truffe internazionali e macchinazioni globali. Un po’ troppo in mano ai grossi capitali, come Rotschild, Rockfeller, JP Morgan, Morgan Stanley, Lemon Brothers e compagnia cantante, (sappiamo che il figlio di Monti lavora per Lemon Brothers), e ai personaggi che le controllano, e molto meno quella delle stelle e strisce ad ogni costo, del sogno americano; quel sogno che ognuno di noi, sono pronto a scommettere, ha accarezzato almeno una volta nella vita. Insomma, il procedimento di europeizzazione – nel senso negativo del termine – stava snaturando una nazione fiera delle proprie tradizioni e della propria breve storia. C’era voglia di ripristino, in USA, voglia di ritornare ad essere un po’ cow-boys, un po’ bikers, un po’ easy rider, molto Stars anna Stripes. Perché l’America, quella della pancia, dellal Bible’s belt, è fatta proprio di questo, a dispetto delle grandi città, quelle sulla east e sulla west coast, dove chi comanda è il denaro allo stato puro. E quando si arriva a far comandare quello che Lutero definiva ‘lo sterco del demonio’, siamo messi male. L’America ha voluto tornare padrona di se stessa, intuendo il grande inganno che c’era sotto la presidenza Clinton e rifiutando l’egemonia economica di pochi oligarchi. Non per nulla Hillary ha denunziato una spesa di 83 milioni di dollari contro i 70 del tycoon; spendendo per l’acquisto di spazio sui media 66 mln, contro i 23 mln di Trump, spesi solo nel mese di settembre; 800 impiegati la Clinton, contro i 350 di Trump, giustamente fiero della sua campagna low cost. Il candidato che ha ricevuto i finanziamenti più cospicui è la Clinton, e le sono arrivati proprio da Qatar e Arabia Saudita, vedi caso. Due nazioni petroliere che hanno un grosso zampino nella politica europea, e a cui avrebbe fatto piacere che Hillary fosse stata eletta – tenendo presenta che anche lei è annoverata nelle file della Bilderberg. Tralasciamo, perché il discorso sarebbe troppo lungo, e richiederebbe una conoscenza specifica, la posizione di Hillary nei confronti della giustizia americana, dopo le rivelazioni di Wikileaks. Donald Trump è arrivato come un masso – non un sasso – nello stagno, sconvolgendo ogni previsione. Un po’ come Berlusconi nel ’94, fatte le debite proporzioni. All’inizio tutti ci siamo messi a ridere. Ogni volta, quando ci sono elezioni americane, o anche no, c’è qualcuno che tenta la sorte, e questo sembrava il caso in questione. Donald Trump, un magnate pieno di soldi, più famoso per le sue mogli che per altro, si candidava alla poltrona di quello che, almeno in teoria e per tradizione, sarebbe l’uomo più potente del mondo. Certamente l’avremmo perso per strada, durante le primarie. Solo che le votazioni si susseguivano, e lui era sempre in sella. Fino a quando lo stesso partito repubblicano, suo malgrado, lo ha pregato di ritirarsi. Sappiamo come è andata finire. La macchina ben oliata del maneggio occulto è partita subito, truccando i dati dei sondaggi – che sono sempre un’indicazione per gli elettori – e mostrando in prospettiva una luminosa e indubbia vittoria di Hillary. Nel contempo i media trasmettevano notizie negative sul candidato venuto fuori dal cilindro del prestigiatore, cercando di squalificarlo in tutti i modi, quella che, con un’espressione trita e ritrita, qui da noi si chiama la ‘macchina del fango’. Questa competizione elettorale americana è stata la meno corretta di tutte quelle che abbiamo potuto seguire. Gli armadi dei due contendenti sono stati svuotati di ogni minimo scheletro che potessero contenere. S’è arrivati ai ferri corti, speculando perfino su di una frase che Trump avrebbe pronunciato anni addietro; una frase definita ‘sessista’ – come se fosse la colpa più grave del mondo – che magari ognuno di noi ragazzi ha potuto pronunciare ai tempi del liceo, come una vanteria. Da parte sua, Trump ha sfruttato un momentaneo malore della Clinton per dire che non era adatta a guidare una nazione così grande, non ne aveva né la capacità né le forze. Le ragioni della vittoria di Trump sono sotto gli occhi di tutti. L’America ha ripreso se stessa. La Clinton non era convincente, non perché donna, ma perché s’intuiva sotto la patina dell’ex segretario di Stato una personalità meno schietta, meno genuina, più portata alla politica nel senso meno nobile del termine. Trump ha detto di lei che sarebbe stata una guerrafondaia: c’è da credergli. Le guerre che l’America ha dovuto subire negli ultimi decenni, sono state sempre decise in alto loco, e sempre per motivi economici, non ultimo quello della vendita di armi, in ossequio alle lobby dei grossi trafficanti. L’opposizione era pronta, come dimostrano le dimostrazioni di piazza in buona parte del paese, pagate 15 dollari al giorno, a cui partecipano più che altro studenti usciti da scuola. Lo scopo è evidente: squalificare l’avversario di fronte alla nazione e rendergli difficile formare la squadra di governo; e magari preparare il terreno per una eliminazione fisica: ricordiamo i presidenti uccisi: Abraham Lincoln, 14 aprile 1865; James Garfield, 2 luglio 1881; William Mc Kinley, 6 settembre 1901; John Kennedy, 22 novembre 1963. Oltre a Bob Kennedy (eliminato prima che potesse presentarsi come candidato democratico). Molto lunga la lista di attentati falliti, da Theodore Roosvelt a Franklin Delano Roosvelt, Andrew Jackson, Harry Truman, Richard Nixon , Gerand Ford, Jimmy Carter, Ronald Reagan, George H. W. Bush, lo stesso Bill Clinton, e George W. Bush. La casistica e l’ambiente impongono di temere per la vita di Donald Trump. Sta di fatto che il tycoon ha tutte le carte in regola per essere uno dei più grandi presidenti che la storia degli USA possa annoverare, a dispetto di chi vuol farcelo vedere in una luce negativa; e qui ci mettiamo anche i nostri media, quelli italiani, sempre piegati al potere che sta divorando l’Italia, connesso con il Grande Inciucio Mondiale; del quale fa parte la nostra classe dirigente. Trump è arrivato in tempo, a ciò che sembra, per evitare anche la ripresa di una guerra fredda irragionevole con la Russia di Putin. Una guerra fredda che avrebbe presto potuto trasformarsi in calda. Sbagliamo se pensiamo che dietro tutto questo c’è anche la Cina, i suoi capitali e le sue smanie espansionistiche? Il tempo ci darà ragione o torto. Intanto piacerebbe anche a noi, in Italia, un presidente che pensasse un po’ di più alla pancia della sua nazione, senza false remore e pretesti che sfocino nella condanna del ‘populismo’, come se fosse un reato passibile di detenzione. Populista è colui che bada alla condizione fondamentale affinchè un popolo sia sereno e tranquillo, cioè la pancia piena. Se saremo tutti affamati – come l’Unione Europea, Monti, e Merkel ci hanno voluti – saremo più facilmente gestibili. Un grande economista del secolo scorso diceva che le nazioni si conquistano con la guerra o con la fame. Allora ben venga anche da noi un Donald Trump, che guardi più all’interno della nazione, anche con un sano protezionismo che dia più impulso alle nostre imprese, e consenta meno una delocalizzazione che causa disoccupazione e impoverimento. E che soprattutto rifiuti tout court l’egemonia di una Unione Europea che nessuno ha chiesto, nessuno ha voluto. Se questo si chiama populismo, bene, ben venga un presidente populista: almeno rimetteremo a posto le nostre cose, quelle degli Italiani.
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