MAFIA CAPITALE: NON POTEVA NON SAPERE

 

Non è competenza di chi scrive stabilire l’innocenza o meno del sindaco Ignazio Marino. Ci si limita solamente ad applicare l’assioma della suprema Corte di Cassazione del giudice Antonio Esposito, il presidente del collegio che ha condannato in via definitiva Silvio Berlusconi al processo Mediaset per dire che Ignazio Marino, non poteva non sapere.

 

di Emanuel Galea

“Non poteva non sapere”, è ormai una frase storica, molto discussa e per la quale sono state impiegate ore, giorni, settimane e mesi di dibattiti versando fiumi d’inchiostro. Per molti è una frase che ha fatto giurisprudenza. La frase si legge nel dispositivo della condanna del processo Mediaset in cui i giudici di Cassazione riferendosi a Silvio Berlusconi scrivono: "Ad agire era una ristrettissima cerchia di persone… vicine, tanto da frequentarlo tutti personalmente, al sostanziale proprietario… Berlusconi. Un imprenditore che pertanto avrebbe dovuto essere così sprovveduto da non avvedersi del fatto che avrebbe potuto notevolmente ridurre il budget di quello che era il maggior costo per le sue aziende…." Berlusconi dunque,  non poteva non sapere e fu quindi condannato. Dieci anni d’indagini e due processi infiniti. Acqua passata? Non ne siamo tanto sicuri. L’assioma storico “non poteva non sapere” potrebbe ancora trovare applicazione. La vita è un continuo divenire. Lo diceva Pirandello e lo storico ateniese Tucidide.  Più specificamente ne parla il Qoelet, capitolo 1,9, senza alcuna esitazione e con convinzione recita: “Quel che è stato sarà / e quel che si è fatto si rifarà;/ non c’è niente di nuovo sotto il sole”. Possiamo non essere entusiasti dei libri sacri, eppure non possiamo scartar ad hoc  la verità che  questi versi racchiudono.

Il giudice Antonio Esposito è stato il presidente del collegio che ha condannato in via definitiva Silvio Berlusconi al processo Mediaset. A sua volta fu accusato di aver violato il dovere del riserbo per un'intervista concessa prima del deposito delle motivazioni della sentenza e poi assolto dalla sezione disciplinare del Csm. Per Berlusconi fu valido il principio del “non poteva non sapere”. 

Applichiamo ora il principio, allora condiviso da un largo schieramento politico, al caso odierno: la triste e squallida vicenda del “mondo di mezzo”.

Roma depredata, umiliata e trascinata nella polvere. Roma, al pari delle istituzioni nazionali  si è rivelata  essere  una   slot-machine distributrice di soldi, favori e posti di lavoro per amici e parenti.  Secondo gli investigatori “Mafia Capitale” è un continuo intreccio, affare, è una fitta rete di politici e amministratori pubblici che hanno speculato su tossico-dipendenti in cura, disabili, stranieri senza lavoro, campi rom, centri di accoglienza immigrati, parcheggi, raccolta rifiuti urbani, edilizia, cura dei giardini comunali, restauro dell’aula del Campidoglio e non solo. Concedendo e favorendo commesse contro pronta mazzetta.  Amministratori soggiogati da cooperative e tenuti da questi al guinzaglio come scimmie ammaestrate. Tanti nomi, i più insospettabili che durante le elezioni del 2013 ricevevano finanziamenti dalle coop riconducibili a personaggi oggi altamente indagati. Recente è la notizia che la Guardia di Finanza sta seguendo un sequestro di beni ritenuti riconducibili a Salvatore Buzzi, il “ras” delle cooperative già arrestato. Si parla di 16 milioni che per un ex detenuto, al servizio di opere “sociali”, rappresentano una cifra che agli investigatori  ha richiesto approfondimenti. Il Campidoglio è sconvolto e tenuto sotto pressione da parte dell'opinione pubblica. Tanti tra gli amministratori sono indagati, altri sospettati e altri magari, informati dei fatti.

Solo il Sindaco di Roma Ignazio Marino è ignaro di tutto. Come ha scritto un giornale nazionale, “barcolla e non molla”, cercando di appoggiarsi sul movimento gay. Le cose non sono così semplici, magari! Gli ispettori della prefettura  incaricati dell'accesso agli atti del Campidoglio hanno avuto sei mesi di tempo – tre mesi, poi una proroga di altri tre – per verificare e documentare il livello dell'inquinamento degli uffici messo in evidenza dall'inchiesta. Particolare attenzione è stata rivolta ad appalti e bandi di gara del Comune capitolino. Per le gare truccate ci sono stati cinque arresti. Non si è risparmiata la gara per il restauro dell’Aula Giulio Cesare. Arrestato il componente del comitato di gestione dell’agenzia del demanio accusato di aver influenzato la Direzione Regionale dell’Agenzia, avrebbe, secondo l’accusa, confezionato il bando per l’aggiudicazione della gara pubblica per la concessione dell’area intorno a Piazzale Clodio. Marco Vincenzi, capogruppo Pd al Consiglio regionale del Lazio, non indagato, però venendo a conoscenza che è stato citato nell’informativa dell’inchiesta per Mafia Capitale in merito ad alcuni presunti emendamenti che avrebbero potuto favorire il clan Buzzi, togliendo da qualsiasi imbarazzo il partito, si è dimesso. In giro c'e' tutto questo e altro. La gente in ansia domanda e protesta.

Ai piedi del Pd si è aperta questa voragine. Tutta una vita di ”oltranzisti della morale pubblica” buttato alle ortiche, si sgretola e si confonde con il liquame che tracima dalla cloaca della nauseabonda vicenda del”mondo di mezzo”. Colpisce il grido straziato di dolore di Zagrebelsky: “Il sindaco innocente, Renzi ambiguo, deve sostenerlo”.

Non è competenza di chi scrive stabilire l’innocenza o meno del sindaco Ignazio Marino. Ci si limita solamente ad applicare l’assioma della suprema Corte di Cassazione del giudice Antonio Esposito, il presidente del collegio che ha condannato in via definitiva Silvio Berlusconi al processo Mediaset per dire che Ignazio Marino, non poteva non sapere.

Ad agire fraudolentemente, nell’Aula Giulio Cesare, c'era una cerchia di consiglieri e assessori, vicini come partito e vicini come spazio temporale, che un sindaco avveduto, dotato di una spiccata intelligenza come lo è Ignazio Marino, avrebbe dovuto essere più che sprovveduto da non avvedersi dei misfatti che si perpetrarono in Aula . Con più sagacia, acume, oculatezza, avrebbe potuto notevolmente scoprire le nefandezze che gli si matura
vano attorno.

No, Marino come Berlusconi, come Zingaretti e come lo stesso Renzi non potevano non sapere. E ora che questi signori si chiariscano con l’elettorato altrimenti il loro silenzio rischia di allargare sempre di più il varco tra la gente e le istituioni.