MARO': ANCORA UN ALTRO RINVIO

di Chiara Rai, Maurizio Costa e Angelo Barraco

Ancora rinvii per i due Marò che sono in attesa di un processo per aver ucciso due pescatori in India, scambiati per pirati. Il tribunale speciale indiano di New Delhi che deve esaminare l'incidente in cui sono coinvolti i fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ha rinviato l'udienza al 12 marzo. Preso atto che il caso è ancora all'esame della Corte suprema, che ha ordinato la sospensione di tutte le altre iniziative giudiziarie, il giudice Neena Bansal Krishna ha disposto il rinvio. Il magistrato, che non era in aula, si è accordato per telefono con i legali dei due fucilieri sui tempi del rinvio. La nuova udienza è stata fissata tre giorni dopo un altro appuntamento in Corte suprema, previsto per il 9 marzo. Quel giorno un magistrato della Cancelleria dovra' verificare se i ministeri competenti indiani e la polizia investigativa Nia hanno risposto ad una richiesta di parere sull'istanza italiana tendente ad eliminare la stessa Nia dal processo.

 

Ombre e luci nell'arco di tre anni. La vicenda dei due Marò si può definire la crisi diplomatica più grave tra l'Italia e la nazione asiatica. Negli ultimi tempi, anche l'Europa ci si è messa di mezzo, cercando di venire incontro alle due parti per arrivare ad una soluzione immediata. Intanto, il caso ha avuto sempre più ombre, e nell'arco di tre anni, sono uscite molte incongruenze che fanno pensare ad un processo molto opaco e pieno di segreti. Prima di tutto, la notizia che fece più scalpore fu quella delle telefonata dell'armatore dell'Enrica Lexie, la Fratelli D'Amato, che alle 19,15 ordina alla nave di rientrare nel porto di Kochi, in India, per fare in modo che le autorità indiane salgano sulla nave e vedano i responsabili dell'uccisione dei due pescatori. La capitaneria italiana avrebbe voluto far rimanere l'Enrica Lexie in mare, ma l'armatore agì tempestivamente e riportò la nave a riva. Fu in quell'occasione che le autorità indiane salirono sulla petroliera e mostrarono le foto ai fucilieri, che, dal canto loro, non riconobbero il peschereccio mostrato dagli indiani. Secondo i Marò, infatti, la barca era blu e non bianca, ma le fotografie che lo avrebbero dovuto dimostrare erano troppo sfocate per capirlo. Anche in questo caso, le autorità indiane non credettero alla versione dei due fuci lieri. Intanto, il peschereccio che è stato attaccato dai fucilieri italiani è stato portato a riva “con decine di fori nello scafo”, secondo le autorità indiane. Ma questa barca non è mai stata mostrata e i due pescatori uccisi sono subito stati seppelliti con rito cristiano, senza dare la possibilità ai magistrati di disporre autopsie o controlli legali. Per questo motivo, tutti i rilievi che avrebbero potuto portare a nuove svolte nella vicenda dei due fucilieri della Marina non sono stati effettuati dai magistrati indiani. Successivamente, però, i magistrati riuscirono a svolgere le autopsie. Tra l'altro, sembrerebbe che i proiettili trovati successivamente nei corpi dei due pescatori non corrispondano a quelli in dotazione ai Marò. Quelli estratti dalla testa di Jalastine e dal torace di Binki erano calibro 7 e 62 e quindi molto più grandi dei proiettili dei due fucilieri, calibro 5 e 56. Infatti, dopo aver seppellito i corpi, i magistrati sono riusciti a fare le autopsie. I Marò continuarono a dire che avevano sparato solamente colpi di avvertimento in acqua e che quindi era impossibile che avessero colpito i due pescatore. Inoltre, le istanze scritte che accertavano che i due pescatori indiani fossero stati uccisi sarebbero state modificate a macchina successivamente, cancellando il documento antecedente. L'ingrandimento del documento, infatti, mostrerebbe delle sbavature di una macchina da scrivere diversa da quella usata inizialmente. Inoltre, anche la data sarebbe stata scritta in modo differente: nell'originale si legge “Cr No.02/12”, mentre nel documento successivo “Cr. No: 02/12”. Un'incongruenza che porta a pensare che i due testi siano stati ritoccati o manomessi.

 

Il caso. La storia di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ha inizio il 15 febbraio 2012, quando due pescatori indiani, Valentie Jalstine e Ajesh Binki vengono uccisi da colpi di arma da fuoco, a bordo della loro barca, a largo delle coste del Kerala. I principali accusati per la loro morte sono Massimiliano Latorre e Salvatore Girone che prestavano servizio anti pirateria sulla petroliera Enrica Lexie. I due Marò sostengono di aver sparato in aria come avvertimento. Il fatto sarebbe avvenuto in acque internazionali a sud dell’India. Il 19 febbraio 2012 ai due marò scatta il fermo, per il governo indiano non vi è dubbio alcuno che, trattandosi di un peschereccio indiano e di due vittime indiane, si debba attuare la legge territoriale. Per l’ambasciatore Giacomo Sanfelice, l’episodio era avvenuto su una nave battente bandiera italiana, oltretutto l’episodio era avvenuto in acque internazionali. Il 20 febbraio 2012 il villaggio di Kollam, nel cuore dell’India del Kerala, diventa un’area piena di una folla inferocita e di militanti politici che inveiscono contro i Marò che giungono in quel villaggio per l’avvio del procedimento giudiziario. I militanti politici gridano “Italiani mascalzoni, dateci i colpevoli, giustizia per i nostri pescatori, massima pena per i marines”. Il 24 marzo 2012, la Corte del Kerala afferma che l’atto compiuto dai Marò “E’ stato un atto di terrorismo”, e tale affermazione accende la tensione tra Italia ed India. Il 10 aprile 2012, dall’India arriva la notizia che la perizia balistica andrebbe a sfavore di Latorre e Girone. Un responsabile del laboratorio di Trivandrum conferma che i proiettili sono compatibili con i mitragliatori usati da Latorre e Girone. Il 5 maggio 2012, dopo 80 giorni di sosta forzata presso il porto di Kochi, nel sud dell’India, la petroliera Enrica Lexie salpa dopo aver ottenuto i permessi. La nave fa rotta sullo Sri Lanka e con essa vi sono 24 uomini di equipaggio e 4 militari dell’unità antipirateria, non partono ovviamente Latorre e Girone. Il 13 maggio 2012 anche il sottosegretario agli esteri, Staffan De Mistura torna in India per proseguire l’azione per il rilascio dei Marò e afferma il suo essere ottimista e che non vi è alternativa al rilascio. Il 25 maggio 2012, dopo aver passato 3 mesi nel carcere indiano di Trivandrum, Latorre e Girone vengono trasferiti in una struttura a Kochi e viene loro concessa la libertà su cauzione e il divieto di lasciare la città. Il 20 dicembre 2012 la loro richiesta di poter avere un permesso speciale e poter trascorrere le festività natalizie in Italia viene accolta, con l’obbligo di tornare in India entro in 10 gennaio. Latorre e Girone atterrano il 22 dicembre a Roma e ripartono il 3 gennaio. Il 18 gennaio 2013 la Corte Suprema indiana stabilisce che il governo del Kerala non ha giurisdizione sul caso e chiede che il processo venga affidato ad un tribunale speciale da costituire a New Delhi. Il 22 febbraio 2013 la Corte Suprema indiana concede ai due Marò il rientro in Italia, per quattro settimane, per votare. Il 9 marzo 2013 il governo indiano avvia a New Delhi le procedure per la costituzione del tribunale speciale. L’11 marzo 2013 l’Italia decide che i due Marò non rientreranno in India perché New Delhi ha violato il diritto internazionale. Roma si dice disponibile a giungere ad un accordo. Il 12 Marzo 2013, New Delhi convoca l’ambasciatore italiano Daniele Mancini, esigendo il rispetto delle leggi. Il giorno successivo, 13 marzo, il premier indiano Manmohan Singh minaccia seri provvedimenti e vi sono anche le dimissioni dell’avvocato Marò in India, Haris Salve. Il 14 marzo 2013 la Corte Suprema indiana ordina all’ambasciatore italiano Mancini di non lasciare l’India. Vi è anche un intervento di Napoletano che propone una soluzione basata sul diritto internazionale. Tre giorni dopo la Corte Suprema indiana decide di non riconoscere l’immunità diplomatica di Mancini, la reazione che ha l’Italia è quella di accusare l’India di Evidente violazione della convenzione di Vienna. Il 20 marzo 2013, la procura militare di Roma sentirà i due Marò e riferisce che sono indagati per “Violata consegna aggravata”. Il 21 marzo 2013 è un giorno in cui tutto si capovolge, Palazzo Chigi annuncia che i due Marò torneranno in India, precisando che in cambia è stata ottenuta un’assicurazione scritta sul trattamento e la tutela dei diritti dei due militari, viene precisato anche che l’India ha garantito che non ci sarà la pena di morte. Il 22 marzo 2013 i due Marò rientrano in India e si trasferiscono all’ambasciata italiana a Delhi. Il ministro degli esteri indiano Salman Kurshid dichiara che il processo in India che vede imputati i due Marò non prevede la pena di morte. Il 25 marzo 2013 è costituito il tribunare per giudicare i due militari, a New Delhi. Il tribunale ha potere di imporre pene solo fino a 7 anni di carcere. L’11 novembre 2013, durante le indagini vengono ascoltati altri 4 militari che si trovavano a bordo della Enrica Lexie. C’è una perizia della marina secondo cui gli spari arriverebbero dalle loro armi e non dalle armi di Latorre e Girone. Il 28 marzo 2014 vi è una nuova svolta sul caso, la Corte Suprema indiana accoglie il ricorso presentato dai due fucilieri. I giudici hanno sospeso il processo a carico dei Marò presso il tribunale speciale. Il 12 settembre 2014 i giudici indiani danno a Latorre il via libera per un rientro di 4 mesi in Italia per problemi di salute. Il 16 dicembre 2014 la Corte Suprema indiana ha negato le istanze di Latorre e Girone. Latorre chiedeva un’estensione del suo permesso in Italia. Girone chiedeva invece di poter trascorrere le festività in Italia