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MARO', INIZIATA L'UDIENZA. TUONA L'AMBASCIATORE ITALIANO: "INDIA DISPREZZA IL GIUSTO PROCESSO"

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Tempo di lettura 5 minuti l'ambasciatore Francesco Azzarello ha evidenziato che i due fucilieri di marina non sono stati ancora incriminati

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di Angelo Barraco
 
L’argomento Marò è sempre più scottante per l’Italia e l’attesa è tanta. Il paese è spaccato a metà, da una parte ci sono coloro che vogliono i due fucilieri in Italia, dall’altra parte coloro che li vogliono in India a pagare la loro colpa. Oggi si apre ad Amburgo, davanti al Tribunale Internazionale del Diritto del Mare, la discussione sulle richieste italiane in merito alla questione dei Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati di aver ucciso due pescatori.All'apertura dell'udienza ad Amburgo è intervenuto a nome del governo italiano l'ambasciatore Francesco Azzarello, sottolineando che l'India "disprezza il giusto processo", ritenendo già colpevoli i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ed evidenziando che i due fucilieri di marina non sono stati ancora incriminati. Da parte indiana è stato sottolineato che si ritiene "offensivo" dire che Girone viene trattenuto in India come un ostaggio.
 
 
E’ sta attivata dall’Italia, il 26 giugno scorso, la procedura di arbitrato internazionale. In attesa dell'iter di costituzione della Corte arbitrale, il 21 luglio l'Italia ha chiesto al Tribunale Internazionale del Diritto del Mare di Amburgo che il fuciliere Massimiliano Latore possa restare in Italia e Girone possa farvi rientro. – Prende il via oggi a Ginevra, per durare fino a mercoledì, un nuovo round di colloqui di pace tra i parlamenti rivali in Libia mediato dalle Nazioni Unite. L'obiettivo è quello di trovare un accordo per la formazione di un governo di unità nazionale. Il team di legali che rappresentano l’Italia è formato da David Bethlehem e il suo team, dall’altra parte due noti principi del foto indiani. Presenti inoltre: PL Narasimha, Alain Pellet, un avvocato francese che e' stato presidente della Commissione di Diritto Internazionale dell'Onu, e il britannico Rodman Bundy. L’udienza la presiederà il giudice Vladimir Golitsyn. Farà parte del tribunale anche il professore di diritto internazionale Francesco Francioni. Intanto la battaglia legale in corso tra India e Italia è tutt’altro che serena, a dirlo è l’ambasciatore d’Italia Francesco Azzarello che guida la delegazione italiana davanti alla corte. Tende a precisare che l’India si dimostra aggressiva ma –sottolinea Azzarello- “noi siamo estremamente determinati a far valere le nostre ragioni. L'Italia e l'India sono paesi tradizionalmente amici, ma l'incidente del 15 febbraio 2012 ha purtroppo provocato una controversia giuridica complessa, difficile ed estremamente delicata”. Aggiunge: “nelle osservazioni sottoposte al tribunale giovedì scorso, la delegazione indiana ha manifestato particolare aggressività”. La vicenda dei Marò è stata torbuda e nebulosa e sottolinea Azzarello “l'Italia ha tentato in tutti i modi, attivando canali informali e formali, in più direzioni, di trovare una soluzione concordata con l'India. La mancata intesa ha costretto il governo ad attivare a fine giugno scorso una procedura arbitrale internazionale” prosegue “il governo ha sempre, sin dal momento dell'incidente, rivendicato l'esclusiva competenza giuridica italiana, trattandosi di nave battente la nostra bandiera per fatti accaduti in acque internazionali”. La decisione del Tribunale arriverà tra due-tre settimane, ma la battaglia legale è dura.
 
La storia: La storia di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ha inizio il 15 febbraio 2012, quando due pescatori indiani, Valentie Jalstine e Ajesh Binki vengono uccisi da colpi di arma da fuoco, a bordo della loro barca, a largo delle coste del Kerala. I principali accusati per la loro morte sono Massimiliano Latorre e Salvatore Girone che prestavano servizio anti pirateria sulla petroliera Enrica Lexie. I due Marò sostengono di aver sparato in aria come avvertimento. Il fatto sarebbe avvenuto in acque internazionali a sud dell’India. Il 19 febbraio 2012 ai due marò scatta il fermo, per il governo indiano non vi è dubbio alcuno che, trattandosi di un peschereccio indiano e di due vittime indiane, si debba attuare la legge territoriale. Per l’ambasciatore Giacomo Sanfelice, l’episodio era avvenuto su una nave battente bandiera italiana, oltretutto l’episodio era avvenuto in acque internazionali. Il 20 febbraio 2012 il villaggio di Kollam, nel cuore dell’India del Kerala, diventa un’area piena di una folla inferocita e di militanti politici che inveiscono contro i Marò che giungono in quel villaggio per l’avvio del procedimento giudiziario. I militanti politici gridano “Italiani mascalzoni, dateci i colpevoli, giustizia per i nostri pescatori, massima pena per i marines”. Il 24 marzo 2012, la Corte del Kerala afferma che l’atto compiuto dai Marò “E’ stato un atto di terrorismo”, e tale affermazione accende la tensione tra Italia ed India. Il 10 aprile 2012, dall’India arriva la notizia che la perizia balistica andrebbe a sfavore di Latorre e Girone. Un responsabile del laboratorio di Trivandrum conferma che i proiettili sono compatibili con i mitragliatori usati da Latorre e Girone. Il 5 maggio 2012, dopo 80 giorni di sosta forzata presso il porto di Kochi, nel sud dell’India, la petroliera Enrica Lexie salpa dopo aver ottenuto i permessi. La nave fa rotta sullo Sri Lanka e con essa vi sono 24 uomini di equipaggio e 4 militari dell’unità antipirateria, non partono ovviamente Latorre e Girone. Il 13 maggio 2012 anche il sottosegretario agli esteri, Staffan De Mistura torna in India per proseguire l’azione per il rilascio dei Marò e afferma il suo essere ottimista e che non vi è alternativa al rilascio. Il 25 maggio 2012, dopo aver passato 3 mesi nel carcere indiano di Trivandrum, Latorre e Girone vengono trasferiti in una struttura a Kochi e viene loro concessa la libertà su cauzione e il divieto di lasciare la città. Il 20 dicembre 2012 la loro richiesta di poter avere un permesso speciale e poter trascorrere le festività natalizie in Italia viene accolta, con l’obbligo di tornare in India entro in 10 gennaio. Latorre e Girone atterrano il 22 dicembre a Roma e ripartono il 3 gennaio. Il 18 gennaio 2013 la Corte Suprema indiana stabilisce che il governo del Kerala non ha giurisdizione sul caso e chiede che il processo venga affidato ad un tribunale speciale da costituire a New Delhi. Il 22 febbraio 2013 la Corte Suprema indiana concede ai due Marò il rientro in Italia, per quattro settimane, per votare. Il 9 marzo 2013 il governo indiano avvia a New Delhi le procedure per la costituzione del tribunale speciale. L’11 marzo 2013 l’Italia decide che i due Marò non rientreranno in India perché New Delhi ha violato il diritto internazionale. Roma si dice disponibile a giungere ad un accordo. Il 12 Marzo 2013, New Delhi convoca l’ambasciatore italiano Daniele Mancini, esigendo il rispetto delle leggi. Il giorno successivo, 13 marzo, il premier indiano Manmohan Singh minaccia seri provvedimenti e vi sono anche le dimissioni dell’avvocato Marò in India, Haris Salve. Il 14 marzo 2013 la Corte Suprema indiana ordina all’ambasciatore italiano Mancini di non lasciare l’India. Vi è anche un intervento di Napoletano che propone una soluzione basata sul diritto internazionale. Tre giorni dopo la Corte Suprema indiana decide di non riconoscere l’immunità diplomatica di Mancini, la reazione che ha l’Italia è quella di accusare l’India di Evidente violazione della convenzione di Vienna. Il 20 marzo 2013, la procura militare di Roma sentirà i due Marò e riferisce che sono indagati per “Violata consegna aggravata”. Il 21 marzo 2013 è un giorno in cui tutto si capovolge, Palazzo Chigi annuncia che i due Marò torneranno in India, precisando che in cambia è stata ottenuta un’assicurazione scritta sul trattamento e la tutela dei diritti dei due militari, viene precisato anche che l’India ha garantito che non ci sarà la pena di morte. Il 22 marzo 2013 i due Marò rientrano in India e si trasferiscono all’ambasciata italiana a Delhi. Il ministro degli esteri indiano Salman Kurshid dichiara che il processo in India che vede imputati i due Marò non prevede la pena di morte. Il 25 marzo 2013 è costituito il tribunare per giudicare i due militari, a New Delhi. Il tribunale ha potere di imporre pene solo fino a 7 anni di carcere. L’11 novembre 2013, durante le indagini vengono ascoltati altri 4 militari che si trovavano a bordo della Enrica Lexie. C’è una perizia della marina secondo cui gli spari arriverebbero dalle loro armi e non dalle armi di Latorre e Girone. Il 28 marzo 2014 vi è una nuova svolta sul caso, la Corte Suprema indiana accoglie il ricorso presentato dai due fucilieri. I giudici hanno sospeso il processo a carico dei Marò presso il tribunale speciale. Il 12 settembre 2014 i giudici indiani danno a Latorre il via libera per un rientro di 4 mesi in Italia per problemi di salute. Il 16 dicembre 2014 la Corte Suprema indiana ha negato le istanze di Latorre e Girone. Latorre chiedeva un’estensione del suo permesso in Italia. Girone chiedeva invece di poter trascorrere le festività in Italia.

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Crisi in Medio Oriente: 180 missili dall’Iran colpiscono Israele, Netanyahu risponde con minacce

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Israele risponde con raid in Libano, Hezbollah contrattacca. Due esplosioni vicino all’ambasciata israeliana in Danimarca

In un drammatico escalation di violenza, 180 missili sono stati lanciati dall’Iran verso Gerusalemme e Tel Aviv. L’attacco, che ha colpito aree civili e provocato danni significativi, ha spinto Israele a reagire con forza. Un palestinese è rimasto ucciso durante gli scontri, mentre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha lanciato un duro monito all’Iran, dichiarando che “questo è stato un grave errore, la pagherete”.

Le tensioni si sono intensificate anche al confine libanese, con l’esercito israeliano che ha lanciato raid nel sud di Beirut, contro obiettivi di Hezbollah. L’organizzazione libanese ha prontamente risposto, affermando di aver respinto l’attacco israeliano. “Le nostre forze hanno reagito con fermezza, non ci faremo intimidire”, ha dichiarato un portavoce di Hezbollah.

Nel frattempo, la situazione è diventata ancora più instabile a livello internazionale. Due esplosioni si sono verificate vicino all’ambasciata israeliana in Danimarca, facendo temere un ampliamento del conflitto oltre i confini del Medio Oriente. Le autorità danesi stanno indagando sugli eventi, che non hanno ancora causato vittime, ma l’allerta è alta in tutta Europa.

Una crisi che potrebbe degenerare

La comunità internazionale osserva con apprensione. Gli attacchi coordinati e la risposta immediata di Israele rischiano di trascinare la regione in un conflitto ancora più ampio. Le Nazioni Unite hanno lanciato appelli per la moderazione, ma finora gli inviti alla calma sembrano essere caduti nel vuoto.

Netanyahu ha chiarito che Israele non tollererà ulteriori provocazioni e ha indicato che l’opzione militare rimane sul tavolo. “L’Iran e i suoi alleati non devono sottovalutare la nostra determinazione a difendere il nostro popolo”, ha aggiunto il premier, in una dichiarazione che lascia presagire ulteriori atti di guerra se la situazione non dovesse stabilizzarsi.

L’escalation al confine libanese

Il fronte libanese rappresenta uno dei punti più caldi. L’attacco israeliano a sud di Beirut segna una nuova fase del conflitto, con Hezbollah che si sta dimostrando un avversario risoluto. Le incursioni aeree e i combattimenti a terra mettono a rischio la già fragile stabilità del Libano, un Paese che ancora fatica a riprendersi dalle recenti crisi economiche e politiche.

Le esplosioni in Europa: un nuovo fronte di tensione?

L’inquietante notizia delle esplosioni vicino all’ambasciata israeliana in Danimarca aggiunge un ulteriore strato di incertezza. Mentre non è ancora chiaro chi sia responsabile degli attacchi, il timore di atti di terrorismo collegati alle tensioni in Medio Oriente sta crescendo in tutta Europa. I governi europei sono ora in stato di allerta, temendo che la violenza possa estendersi oltre i confini della regione.

Il mondo sull’orlo di una nuova crisi?

Mentre la situazione evolve rapidamente, gli occhi del mondo sono puntati su Israele, Iran e i loro alleati. L’equilibrio geopolitico è fragile, e una mossa sbagliata potrebbe scatenare una guerra più ampia, coinvolgendo altre potenze regionali e internazionali. La speranza di una mediazione diplomatica sembra lontana, e il rischio di un conflitto che si estenda oltre il Medio Oriente è più reale che mai.

La domanda che molti si pongono ora è: chi riuscirà a fermare questa spirale di violenza prima che sia troppo tardi?

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Israele intensifica le operazioni oltre confine: incursioni in Libano e Siria

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Tel Aviv afferma di condurre “attacchi mirati e limitati”, mentre cresce la preoccupazione internazionale per un’escalation del conflitto

In un’escalation delle tensioni regionali, le forze israeliane hanno condotto operazioni militari oltre i propri confini, entrando in territorio libanese e lanciando raid aerei in Siria. Questi sviluppi segnano un’intensificazione significativa del conflitto in corso, sollevando timori di un allargamento del teatro di guerra.

Incursione in Libano

Secondo fonti militari israeliane, l’operazione in Libano è stata descritta come “mirata e limitata”. L’obiettivo dichiarato era colpire infrastrutture di Hezbollah, il gruppo militante sciita libanese considerato da Israele una minaccia alla sua sicurezza nazionale. Tuttavia, media locali libanesi riportano che un grande campo profughi palestinese è stato colpito durante l’operazione, sollevando preoccupazioni per potenziali vittime civili.

Un portavoce dell’esercito israeliano ha dichiarato: “Le nostre operazioni sono strettamente finalizzate a neutralizzare minacce immediate alla sicurezza di Israele. Non abbiamo intenzione di espandere il conflitto, ma agiremo con determinazione per proteggere i nostri cittadini.”

Fonti dell’intelligence israeliana suggeriscono che uno degli obiettivi principali dell’operazione fosse il comandante del braccio armato di Fatah in Libano, anche se non è chiaro se questo obiettivo sia stato raggiunto.

Raid in Siria

Contemporaneamente, Israele ha condotto raid aerei in Siria, colpendo obiettivi che, secondo Tel Aviv, sarebbero legati a gruppi militanti sostenuti dall’Iran. Il Ministero della Difesa siriano ha confermato gli attacchi, denunciandoli come una “flagrante violazione della sovranità siriana”.

Reazioni internazionali

Gli Stati Uniti, principale alleato di Israele, hanno espresso sostegno alle operazioni. Un portavoce del Dipartimento di Stato ha dichiarato: “Le azioni di Israele sono in linea con il suo diritto all’autodifesa. Tuttavia, esortiamo tutte le parti a esercitare la massima cautela per evitare un’escalation incontrollata.”

L’Unione Europea ha espresso “profonda preoccupazione” per l’escalation, invitando tutte le parti a mostrare moderazione. Il Alto Rappresentante per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha dichiarato: “Ogni azione militare oltre i confini rischia di innescare una spirale di violenza che potrebbe destabilizzare l’intera regione.”

Posizione del governo italiano

Il Ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha rilasciato una dichiarazione urgente sulla situazione: “L’Italia segue con estrema attenzione gli sviluppi in Medio Oriente. Comprendiamo le preoccupazioni di sicurezza di Israele, ma esortiamo tutte le parti a esercitare la massima moderazione. È fondamentale evitare un’escalation che potrebbe avere conseguenze catastrofiche per l’intera regione.”

Tajani ha aggiunto: “Stiamo lavorando attivamente con i nostri partner europei e internazionali per promuovere una de-escalation immediata. L’unica via d’uscita da questa crisi è il dialogo e la ripresa dei negoziati di pace.”

Giorgia Meloni ha convocato una riunione d’emergenza del Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica (CISR) per valutare la situazione e coordinare la risposta italiana.

L’escalation delle operazioni militari israeliane oltre i propri confini rischia di innescare una reazione a catena in una regione già altamente volatile. L’ONU ha espresso “grave preoccupazione” per la situazione, con il Segretario Generale António Guterres che ha richiesto “un immediato cessate il fuoco e il ritorno al tavolo dei negoziati”.

Analisti internazionali avvertono che un’ulteriore escalation potrebbe portare a un conflitto regionale più ampio, coinvolgendo potenzialmente Iran, Siria e altri attori regionali.

Mentre Israele afferma di agire in legittima difesa contro minacce immediate, la comunità internazionale guarda con crescente apprensione all’evolversi della situazione. La sfida nei prossimi giorni sarà quella di trovare un equilibrio tra le esigenze di sicurezza di Israele e la necessità di evitare un’escalation che potrebbe avere conseguenze devastanti per l’intera regione mediorientale.

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Putin: “Armi Nucleari pronte in caso di aggressione” – Rischio escalation con l’Ucraina

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La nuova dottrina russa minaccia una risposta nucleare anche contro attacchi convenzionali sostenuti da Stati nucleari come gli USA. L’Occidente reagisce con fermezza

Vladimir Putin ha nuovamente alzato il livello della tensione nel conflitto tra Russia e Ucraina, minacciando il possibile utilizzo di armi nucleari. Durante un incontro con il Consiglio di sicurezza russo, Putin ha dichiarato che la Russia si riserva il diritto di ricorrere al nucleare in caso di aggressione contro la Federazione Russa o la Bielorussia, anche se l’attacco fosse condotto con armi convenzionali. Il messaggio non è rivolto solo a Kiev e al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ma anche agli Stati Uniti e al presidente Joe Biden, principali sostenitori dell’Ucraina nella guerra.

Putin ha inoltre esplicitato che anche un’aggressione compiuta da uno Stato non nucleare, ma con il sostegno di una potenza nucleare, sarà considerata un attacco congiunto contro la Russia. Questo è un chiaro riferimento agli Stati Uniti, che continuano a inviare massicci aiuti militari all’Ucraina, come il nuovo pacchetto da 375 milioni di dollari recentemente approvato.

La nuova dottrina nucleare di Mosca

La modifica della dottrina nucleare russa include anche un’ulteriore ipotesi che potrebbe portare al ricorso alle armi atomiche: se la Russia rilevasse un attacco massiccio di missili, aerei o droni contro il proprio territorio. Questa è una diretta allusione alla crescente capacità militare dell’Ucraina, che negli ultimi mesi ha guadagnato terreno, controllando porzioni della regione russa di Kursk e potendo lanciare attacchi in profondità sul territorio russo, danneggiando infrastrutture militari cruciali.

Messaggio agli Stati Uniti e all’Occidente

La minaccia di Putin è anche indirizzata a Washington, che finora non ha dato l’ok all’Ucraina per l’uso dei missili a lungo raggio Atacms contro la Russia. “La situazione politico-militare sta cambiando rapidamente e dobbiamo adattarci. Nuove minacce emergono contro la Russia e i suoi alleati”, ha dichiarato Putin, nel tentativo di scoraggiare un’escalation del sostegno militare occidentale a Kiev.

Negli ultimi mesi, Mosca ha ripetutamente sottolineato la superiorità del suo arsenale nucleare tattico rispetto a quello presente in Europa, sostenendo che l’Europa sarebbe vulnerabile in caso di conflitto nucleare. Il messaggio di Putin giunge a meno di tre mesi dalle sue precedenti dichiarazioni, in cui aveva ricordato la capacità russa di sopraffare qualsiasi difesa europea.

Reazioni internazionali

Le minacce nucleari del Cremlino non hanno mancato di scatenare reazioni da parte della comunità internazionale. Il presidente ucraino Zelensky, che si trova a New York per presentare il suo piano per la vittoria, ha ricevuto il sostegno del capo del suo staff, Andriy Yermak, il quale ha dichiarato: “La Russia non ha più i mezzi per intimidire il mondo, se non attraverso il ricatto nucleare. Ma questi strumenti non funzioneranno”.

Dall’altra parte dell’Atlantico, l’amministrazione Biden mantiene una posizione ferma. Bill Burns, direttore della CIA, ha recentemente ridimensionato le minacce nucleari di Putin, invitando i Paesi occidentali a non cedere al ricatto: “Non possiamo permetterci di farci intimidire da questo rumore di sciabole”, ha dichiarato Burns.

Anche in Europa, i toni sono stati duri. Il ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, ha commentato: “Le minacce nucleari di Putin sono irresponsabili e pericolose. Non ci lasceremo intimidire. La comunità internazionale deve rimanere unita nel condannare qualsiasi uso di armi di distruzione di massa”. In Francia, il presidente Emmanuel Macron ha ribadito l’impegno della NATO e dell’Unione Europea a sostenere l’Ucraina: “Non permetteremo che la sicurezza europea sia minata dalle minacce di Putin. La risposta a qualsiasi attacco sarà ferma e collettiva”.

Nel frattempo, la diplomazia statunitense e europea sta cercando di evitare che la situazione degeneri ulteriormente, ma il clima di tensione resta altissimo. Con il conflitto che si intensifica e l’Ucraina che continua a guadagnare terreno, il rischio di un’escalation nucleare diventa una minaccia sempre più concreta, rendendo ancora più cruciale il ruolo delle istituzioni internazionali e dei leader mondiali nella ricerca di una soluzione diplomatica che scongiuri scenari catastrofici.

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