Marsala (TP) – Il crollo del viadotto nel lecchese ha riacceso l’attenzione sul tema sicurezza nelle nostre strade. Pochi giorni fa l’attenzione è stata puntata a Marsala, in provincia di Trapani, precisamente sul viadotto dello scorrimento veloce Birgi/Marsala ed è stato fatto un sopralluogo richiesto dalla Prefettura di Trapani. Il Viadotto era stato danneggiato nel lontano 2008, quando un camion che trasportava un carico eccezionale ha urtalo la base che nel corso del tempo ha continuato a sfaldarsi tanto da rendere visibile il ferro in alcuni punti specifici. L’incidente stradale cagionò notevoli danni ad una struttura composta da 5 travi in calcestruzzo armato precompresso e da un solettone in cemento armato. Tanti sono stati i cittadini che attraverso i social network hanno lanciato l’allarme in merito alle condizioni della struttura, soprattutto a seguito del crollo del cavalcavia a Lecco. L’intervento dei Vigili del Fuoco ha comportato una sollecitazione delle travi a colpi di picozza ai fini di accertare che non vi fossero parti di calcestruzzo a rischio di crollo e soprattutto l’integrità della struttura principale. Dagli accertamenti è stato stabilito che non vi è il pericolo di crollo della struttura e i Vigili del Fuoco hanno inoltre richiesto che vengano eseguiti i lavori di consolidamento e il ripristino delle travi ammalorate. E’ stato imposto un senso di marcia unico alternato sul sovrappasso e il restringimento della carreggiata a 5 metri.
Noi de L’Osservatore D’Italia abbiamo parlato con l’Assessore ai lavori pubblici Ing. Salvatore Accardi e ci ha spiegato che: “Circa sei/sette anni fa un tir, credo, con una pala eolica ha incrociato con la pala il ponte e ha causato con la pala quel danno che è visibile a tutti. Si è aperta una pratica con l’assicurazione del conducente del mezzo e il Comune è stato risarcito di questo danno. Sempre sei/sette anni fa l’ufficio tecnico ha provveduto ad effettuare un collaudo post-incidente per vedere com’era combinato dal punto di vista statico il ponte, un ingegnere della provincia di Trapani è stato incaricato perché era un esperto di strutture di questo tipo. Quella verifica ha avuto esito positivo che la struttura, dal punto di vista statico, era perfettamente funzionante e infatti il ponte è rimasto aperto. E’ successa la vicenda in alt’Italia e allora si sono allertati un po’ tutti perché vanno fatte queste verifiche, allora i pompieri hanno chiesto un sopralluogo per vedere com’era la situazione. Hanno fatto una verifica tre giorni fa e in questa verifica, malgrado quello che riportano alcune testate, riconfermano che il ponte è rimasto aperto. Semplicemente che per un’ulteriore precauzione che io condivido hanno limitato ad una corsia con senso unico alternato, ma il ponte è rimasto aperto”, l’Assessore ha inoltre precisato che “entro la prossima estate faremo l’impossibile affinché questo danno venga riparato perché è chiaro che se rimane così, passando gli anni il danno può accadere ma non siamo in questa fase perché il collaudo c’è, è stato riconfermato il collaudo ed è positivo significa che la struttura tiene”. Abbiamo chiesto all’Assessore Accardi se allo stato attuale la viabilità nel ponte è regolare e ci ha riferito: “c’è il libero transito”, abbiamo inoltre chiesto se possono transitare anche mezzi pesanti e ci ha riferito: “in un senso tutti possono transitare, non ci stanno limitazioni”, inoltre ha precisato “se ci fosse stato pericolo credo che i Vigili del Fuoco lo chiudevano”.
I crolli in Italia e il lecito allarmismo: Il crollo del cavalcavia sulla strada statale 36 ad Annone Brianza, che portato al cedimento improvviso della struttura cagionando la morte di una persona e il ferimento di quattro, tre dei quali bambini, ha acceso ulteriormente i campanelli d’allarme in merito alle condizioni di quello che è il perimetro stradale che costantemente noi italiani siamo propesi ad attraversare quotidianamente, spesso ignari degli eventuali pericoli e/o di un’eventuale instabilità della struttura che si trova sotto i nostri piedi o sopra la nostra testa. Sull’ondata della tragedia accaduta nel lecchese abbiamo ricevuto una segnalazione da parte di una fonte in merito alle condizioni del viadotto che collega Cosenza a Crotone lungo la statale 107, che sembra versare in condizioni critiche e i cittadini cosentini hanno diffuso numerosi video di denuncia in cui è ben visibile una tratta ove è presente una centrale esterna in cui vi è una pressione pressione del ponte che induce gli elementi cementificati sospesi a ripiegarsi su loro stessi e creare uno spazio vuoto centrale, che potrebbe portare alla rottura della struttura a seguito di continue sollecitazioni e nella parte superiore dove vi transitano le autovetture è presente invece un avvallamento che porta le autovetture e tutti i mezzi pesanti che vi transitano a fare uno sbalzo ogni qualvolta attraversano quel determinato tratto. Il video immortala un’assenza di simmetria dell’asse del ponte e un’evidente inclinazione verso un lato ma tutto ciò non impedisce ai cittadini il libero transito. Tale viadotto si trova tra gli svincoli di Rovito e Celico in provincia di Cosenza e collega la provincia Bruzia con Crotone, passando attraverso la Sila e gli avvallamenti presenti nella struttura fanno allarmare i numerosi cittadini che quotidianamente vi transitano. La memoria storica dei cittadini non ha cancellato di certo la tragedia dell’agosto 1972, quando nel corso dei lavori di costruzione lo spostamento di un pilone cagionò il crollo parziale della struttura e la morte di quattro operai. Abbiamo raccolto delle testimonianze che ci hanno riferito inoltre che occhio nudo non si vede nulla e il ponte è attraversabile e hanno appreso però della pericolosità del ponte attraverso la tv. Ci hanno riferito inoltre che non vi sono segnali di avvertimento sul ponte che indicano il pericolo e non si sentono tranquilli ad attraversarlo poiché non vi sono nemmeno segnali di deviazione del corso stradale e sul ponte vi erano macchine che andavano anche a velocità sostenuta. Abbiamo chiesto se sul ponte ci passano anche camion è la risposta che ci è sopraggiunta a tal proposito è stata affermativa. I cittadini che ci hanno comunicato tale disagio che vivono nell'attraversare una struttura che secondo loro è instabile e ci hanno riferito inoltre che alcuni abitanti del luogo hanno riferito loro di evitare di passare sul ponte e hanno consigliato loro di prendere una deviazione ma sul ponte non vi sono segnali che avvertono di un eventuale pericolo.
Dopo il comunicato diffuso nei giorni scorsi, come redazione de L’osservatore d’Italia abbiamo incontrato GianpietroCantiani, dottore forestale iscritto all’Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali, socio fondatore della Società Italiana di Arboricoltura che ha lanciato “un grido di allarme” per la situazione in cui versano i pini della città di Frascati.
L’attacco di un parassita animale, la cocciniglia tartaruga, li sta indebolendo e succhiando la loro linfa con il rischio di vedere distrutto un patrimonio arboreo che conta circa 150 esemplari di questo albero maestoso al quale il grande Ottorino Respighi ha dedicato un poema sinfonico.
Il D.M. 3 giugno 2021, il D.G.R. Lazio n. 458 del 05.08.2021, la Determinazione n. G11396 del 25.08.2023 ne disciplina l’obbligo di trattamento in tutte le arie in cui è presente tale problematica. Oggi abbiamo incontrato il dottor Gianpietro Cantiani al quale abbiamo rivolto alcune domande.
Innanzitutto grazie per la sua disponibilità e per questo “grido di allarme” lanciato a difesa dei pini della nostra città. La prima domanda è diretta: perché, a suo avviso, il Comune di Frascati non interviene? Secondo me non interviene perché pensa di non avere le somme necessarie, e forse anche perché non sa a chi rivolgersi in termini di operatori specializzati in questa attività che non è come tagliare l’erba, anche se pure per quello bisogna essere bravi, o scopare le foglie da un viale. L’endoterapia, di fatto, è un’operazione chirurgica perché prevede l’inserimento di un prodotto all’interno dei tessuti della pianta e bisogna conoscere l’anatomia, la morfologia e la fisiologia dell’albero.
Diciamo una sorta di endovena? Sì! Perché bisogna fare un piccolo foro, che fa il minore danno possibile, e all’interno del quale bisogna inserire un becchetto che è collegato ad una siringona che veicola un prodotto che è quello ammesso dalla normativa.
Lei mi parlavi di una norma. Quindi se c’è una norma, ci sta una legge. Se c’è una legge ci dovrebbe stare pure un fondo, giusto? Un fondo? Non c’è nessun elemento economico che il governo ha stanziato a tutela di queste piante. Ogni comune è responsabile degli alberi comunali, come noi cittadini siamo responsabili delle piante del giardino. Ci sono delle situazioni in cui lo Stato o le regioni intervengono a supporto di comuni ma non è questo il caso.
Quindi diciamo che non è come il caso della xylella che ha colpito gli ulivi in Puglia? Stiamo parlando di un patrimonio di circa centocinquanta alberi ed il lavoro da fare fatto bene da chi è capace costa dai 18 ai 20 mila euro. Capisco che esista un problema delle risorse finanziarie ed il nostro comune è in dissesto e quindi dovrebbe trovare nelle pieghe delle disponibilità le risorse per fare questa cosa. È questo lo scoglio. Sia ben chiaro: io non ce l’ho con il comune di Frascati mi spiace che non siano ancora intervenuti nonostante che questo problema esista da parecchi mesi e mi spiace vedere morire i pini.
Quello che ho letto in quel suo comunicato, come riporto in alto alla nostra intervista, è un “grido di allarme” da persona coscienziosa, da cittadino? Da esperto, ti aggiungo io. Io mi occupo di alberi da 35 anni e come faccio a non accorgermi di ciò.
Mentre, sempre nel suo comunicato, ci dice che il comune vicino, Grottaferrata, è invece intervenuto. Loro avevano delle risorse, le hanno messe in campo capendo l’importanza ed ha potuto investire per risolvere questo problema. Lo stesso dicasi per Ariccia ma altri comuni, nonostante non abbiano gli stessi problemi economici di Frascati, non recepiscono la gravità della problematica: Monte Porzio Catone, Monte Compatri e tanti altri. Forse qualcuno lo ha fatto, ad esempio, Castelgandolfo ed Albano Laziale dovrebbero essere intervenuti. Io, ovviamente, non ho contezza di tutto
Oggi però noi siamo qui a Frascati e vediamo questo problema Certo l’ho sollevato perché vivo a Frascati, conosco Frascati perché per 25 anni ho fatto il consulente del verde della città di Frascati e quindi conosco le aree, i luoghi, li guardo, capisco.
Quindi Lei sa dove stanno e come stanno? Si perché li guardo come guardo le persone guardo gli alberi. E quindi vedo anche il loro stato di salute. Ricordiamoci che hanno loro sono esseri viventi e come vedo una persona che cambia nel corso della vita lo stesso succede agli alberi.
Le cito un pensiero di Lucy Larcom, poetessa e scrittrice americana “Chi pianta un albero, pianta una speranza”. Lei crede che dobbiamo dare, oggi, noi una speranza a questi nostri “amici” alberi? Il messaggio che tu mi dici è forte. Noi tutti abbiamo un dovere, non solo noi tecnici di conservare nel migliore modo possibile il patrimonio esistente, quindi gli alberi che già esistono, il verde che già esiste. Rimuovere solo quello che “veramente” è pericoloso per la nostra incolumità fisica. Ogni tanto leggiamo notizie in cui si parla di un albero caduto; ma per quanti alberi che esistono ne cadono sempre estremamente pochi, numericamente parlando. Quindi quando ti parlo di sicurezza debbo curare e monitorare lo stato degli alberi mantenere quello che esiste e quando non si può fare diversamente, sostituirlo! E lo dico con estrema chiarezza! Quello che dice il pensiero che mi hai citato implementa questa mia riflessione perché abbiamo bisogno di nuovi alberi. Ma i nuovi alberi che piantiamo debbono essere adeguatamente curati. Perché mettere a dimora un nuovo albero e se non lo seguiamo dopo qualche settimana muore.
Quindi, mi permetta il paragone, è come avere un figlio e non seguirlo? Certo! La mamma che fa? Non lo allatta? Non gli da mangiare? L’albero è un essere vivente che ha fasi di vita più delicate di altre e basta pensare alla nostra: nella fase iniziale e nella fase finale. La fase finale di un albero può essere pure 1000, 2000, 3000 anni ci sono anche questi casi estremi. Per noi, comunque, la fase più delicata è la messa a dimora, dell’impianto, della piantagione e poi che siano piante di qualità in quanto è come comprarsi una maglietta di marca oppure una da una bancarella al mercato: quale dura di più? La risposta è scontata ed ovvia.
Lei ora mi hai parlato di messa a dimora ma da quello che ho capito che ho compreso poi negli anni, un po’ ovunque sono state fatte opere sbagliate, errate Certo! Tante, purtroppo!
Ed adesso le faccio una domanda diretta. Noi abbiamo un territorio dove nascono molti alberi autoctoni. Sarebbe logico fare una messa a dimora di queste specie? In città l’albero autoctono può avere delle limitazioni: perché le roverelle in città non si piantano, nemmeno i cerri, nemmeno i castagni. Il verde della città, il verde urbano a servizio delle strade, delle piazze del paese, oltre che dei giardini pubblici o privati, non necessariamente deve accogliere solo piante autoctone, può anche accogliere piante che vengono da qualsiasi quadrante del pianeta terra, purché siano piante adattate e adattabili alle condizioni climatiche, al suolo, resistenti alle malattie, resistenti alla siccità, resilienti con i cambiamenti climatici, tutto ciò. Basta però che sia compatibile con noi, con il clima e se cattura più l’anidride carbonica, cattura più polveri, ci fa meglio l’ombreggiamento … ben venga anche una specie non autoctona. Un conto sono le foreste, un conto gli alberi di città. Sono due sono completamente diverse e separate tra loro e dobbiamo tenerlo bene a mente!
La ringrazio davvero di questa sua precisazione e personalmente io le dico che mi accorgo della mancanza di un albero in città non perché non vedo il bosco è perché, magari, dieci anni fa mi fermavo in piazza in un punto ed avevo l’ombra e magari oggi no … Ed ecco perché se io tolgo un albero noto una differenza. Mi è capitato pochi giorni fa in un comune limitrofo di un albero squarciato da un fulmine e con una carie gigantesca ed alla richiesta di un consiglio tecnico su un albero che era ormai ko per lo squarcio il consiglio che gli ho dato è stata una immediata nuova messa a dimora: è questo che le persone, i cittadini apprezzano in una amministrazione. Dopo un danno non dovuto da una volontà da un caso eccezionale i cittadini comprendono il cambio di mentalità che punto ad una restituzione di un bene comune. È questo che deve cambiare nella mentalità di chi governa i territori.
Beh questo è un bell’esempio di attenzione da parte di una amministrazione, sbaglio? No, affatto. Vedi il problema che viviamo a Frascati è strettamente legato a questo default economico e quindi non ha più attivato nessuna forza di consulenza tecnica specialistica di alto livello per avere qualcuno che consiglia agli uffici ed al Comune tutta una serie di buone pratiche di vario genere. Il comune di Frascati non ha personale qualificato e specializzato in materia per le ragioni che dicevamo prima ma io lo capisco e comprendo la difficoltà.
A fine di questa chiacchierata usciamo fuori dal bar guardando i pini che accolgono i frascatani ed i turisti all’ingresso di Villa Torlonia (presenti nell’immagine di copertina dell’articolo) e non si può e non si deve neanche pensare all’idea che questo parassita possa distruggere la bellezza e la maestosità di questi custodi della memoria cittadina.
Un grazie immenso al dottor Cantiani e nei prossimi giorni proveremo a contattare il delegato al verde della città di Frascati per capire quali sono le intenzioni e le possibilità che l’amministrazione tuscolana possa mettere in campo in difesa per questo suo immenso patrimonio.
È Maria, detta Emanuela, Bruni frascatana classe 1960 la nuova presidente della Fondazione MAXXI Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo. La scelta è stata ufficializzata dal Consiglio di Amministrazione della Fondazione riunitosi oggi dopo la nomina di Alessandro Giuli come Ministro della Cultura. La Bruni, giornalista professionista nonché scrittrice, è stata la prima Donna a presiedere l’Ufficio del Cerimoniale di Palazzo Chigi. Commendatore Ordine al Merito della Repubblica Italiana su nomina del presidente Carlo Azeglio Ciampi, di cui fu stretta collaboratrice in quanto responsabile della Comunicazione radiotelevisiva per l’ingresso nell’Euro, vanta un curriculum di alto spessore e profilo istituzionale: dall’ufficio stampa di Palazzo Chigi per circa un decennio al coordinamento dell’attività dei Servizi del Cerimoniale Nazionale ed Internazionale. Già assessore alla Cultura della città di Frascati, di cui oggi è consigliere comunale e presidente della Commissione Affari Istituzionali della città Tuscolana, la neopresidente Emanuela Bruni, laureata in lettere e con un Master in Comunicazione Istituzionale e Relazione con i Media per la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, è “giornalista di razza” passata attraverso le redazioni di testate importanti come “L’eco di Bergamo” ed il “Sole24Ore”. Appassionata ed esperta di arte ed architettura è oggi nell’Ufficio Stampa dell’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia.
Tra le sue pubblicazioni spiccano il “Piccolo dizionario delle italiane”, “La frascatana e le altre” e l’ultima sua opera, “Verde e antico” dedicata ai giardini ed ai paesaggi dei Castelli Romani. La Bruni, negli ultimi anni, ha dato vita ad uno dei salotti letterari più importanti di Frascati e della provincia romana “Libri in Osteria” che ha ospitato autori del calibro di Angelo Polimeno Bottai, Luigi Contu, Riccardo Cucchi, Antonella Prenner, Michele Bovi e tanti tanti altri.
Giunga alla neopresidente Emanuela Bruni da parte della redazione de L’osservatore d’Italia l’augurio per un buon lavoro
Due italiani e due coreani vittime della montagna. L’ultimo sogno realizzato sul Cervino prima del fatale destino
Un silenzio carico di dolore avvolge le pendici del Monte Bianco, dove ieri sono stati ritrovati i corpi senza vita di quattro alpinisti: due italiani e due coreani. Sara Stefanelli e Andrea Galimberti, i due connazionali di cui si erano perse le tracce dal 7 settembre, hanno trovato il loro ultimo riposo tra i ghiacci eterni della montagna che amavano.
Il tragico epilogo è giunto dopo giorni di angosciosa attesa e speranza. Le condizioni meteorologiche avverse avevano impedito per tre interminabili giorni il decollo degli elicotteri di soccorso. Solo ieri, con una schiarita, un elicottero del soccorso alpino francese è riuscito a levarsi in volo, portando alla luce la drammatica verità.
Etienne Rolland, comandante del Pghm di Chamonix, ha confermato che le due cordate sono state “rapidamente localizzate”, grazie alle informazioni sul loro probabile percorso e altitudine. Una conferma che rende ancora più straziante l’idea che i soccorritori sapessero dove cercare, ma fossero stati ostacolati dalle forze della natura.
La notizia ha scosso profondamente la comunità alpinistica e non solo. Sulla pagina Facebook di Andrea Galimberti, una cascata di messaggi di cordoglio ha sostituito le precedenti speranze di un lieto fine. Amici e conoscenti piangono ora la perdita di un appassionato alpinista e della sua compagna d’avventure, Sara.
Le ultime immagini condivise sui social dai due mostrano momenti di pura gioia sul Cervino, appena pochi giorni prima della tragedia. Scatti che ora assumono un significato quasi profetico, immortalando l’ultimo grande sogno realizzato insieme. Andrea descriveva con entusiasmo l’ascesa al Cervino compiuta il 3 settembre: “Dopo il classico corso di alpinismo tre mesi fa Sara inizia ad arrampicare con me. Davvero tanta roba da subito, in alta quota sul facile non ha problemi anzi va da Dio”.
Queste parole, cariche di orgoglio e affetto, risuonano ora come un addio involontario, un testamento della passione che li univa e che li ha portati a sfidare le vette più impervie.
La tragedia sul Monte Bianco non ha risparmiato nemmeno i due alpinisti coreani, il cui destino si è intrecciato fatalmente con quello degli italiani. Quattro vite spezzate, quattro storie di passione per la montagna interrotte bruscamente.
Mentre la comunità alpinistica si stringe nel dolore, questa tragedia riaccende il dibattito sulla sicurezza in montagna e sui rischi che anche i più esperti corrono nell’affrontare le sfide delle alte quote. Il Monte Bianco, maestoso e implacabile, si conferma ancora una volta una bellezza tanto affascinante quanto pericolosa, capace di regalare emozioni uniche ma anche di reclamare un tributo altissimo.
Le indagini sulle cause precise dell’incidente sono ancora in corso, ma già si leva un coro unanime: quello della prevenzione e della prudenza, anche per i più esperti. Perché la montagna, nella sua immensa bellezza, resta sempre un ambiente che richiede il massimo rispetto e un’infinita cautela.