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Moving Out, traslocare diventa un party-game

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Moving Out è il nuovo party game in locale, disponibile 28 aprile su Nintendo Switch, PlayStation 4, Xbox One e PC, che si propone di offrire ore ed ore di divertimento a base di folli traslochi. I giochi co-op da avviare sul divano di casa sembravano essere spacciati e lentamente destinati all’oblio a causa della diffusione sempre più massiccia dei titoli multiplayer da giocare in rete, ma il successo di Overcooked ha dimostrato che la co-op locale è una caratteristica ancora oggi ricercata dai gamers e che se ben implementata, è in grado di regalare un’esperienza che nessuna connessione internet può replicare. Ma andiamo a scoprire più da vicino quello che questo particolarissimo titolo ha da offrire: in Moving Out, si vestono i panni di un traslocatore neo assunto che entra a far parte della terza ditta della città di Packmore. La compagnia per cui si lavora non discrimina molto chi o cosa assumere, dato che si potrà scegliere di giocare nei panni di un normale essere umano o come un personaggio immaginario, insomma, si potrà essere qualunque cosa si voglia in quanto il proprio alter ego virtuale avrà sempre uguali abilità. Lo sviluppatore offre anche opzioni di personalizzazione già pronte, come la possibilità di scegliere persino un traslocatore su una sedia a rotelle e scegliere il colore della skin di un personaggio. Insomma, in Moving Out, non ci sono differenze di classi o specie, i personaggi a disposizione sono solo un pretesto per giocare e ridere.

Una volta che il proprio personaggio è stato personalizzato sarà possibile capire le dinamiche di gioco tramite un rapido livello tutorial che garantirà la tanto ambita licenza ufficiale da traslocatore. A questo punto la città di Packmore è disponibile e si mostra agli occhi del giocatore in tutta la sua buffa bellezza. Da qui si potrà decidere se affrontare livelli già giocati per migliorare i propri temi o iniziare nuovi lavori. I livelli differiscono un po’ l’uno dall’altro, ma il gameplay principale rimane lo stesso: prendi gli oggetti indicati e caricali sul camion stando attenti a non rompere cose, e nel minore tempo possibile. Una volta entrato nello scenario di gioco la prima cosa da fare è cercare la posizione degli oggetti. Tenendo premuto un tasto dedicato sul controller si potrà vedere cosa deve essere spostato, quindi a quel punto sarà necessario raccogliere quegli oggetti e portali tutti sul camion il più velocemente possibile. Nella versione Xbox One da noi testata è possibile raccogliere ogni oggetto tenendo premuto il grilletto destro e trascinarselo dietro (se si è da solo o c’è un’opzione di sollevamento in tandem, se si sta giocando con un amico) attraverso corridoi avvolgenti o lanciandoli attraverso una finestra vicina. All’inizio Moving Out sembra non offrire una grande varietà, tuttavia, più si prosegue nella campagna, tanto più folli diventano i contratti. Affrontare un lavoro in una baita con piste da sci, in cui si scivola giù a metà trasloco, o in vari luoghi infestati in cui i fantasmi spaventano a morte il povero traslocatore sono solo alcuni degli scenari che renderanno il titolo una vera e propria sfida all’ultimo mobile.

Ogni stage, oltre ad avere ovviamente un layout e contenuti diversi rispetto a quello precedente, presenta anche sfide uniche che si possono scegliere di completare subito o in un secondo momento. Queste challenge sono varie e spesso impegnative e spaziano dal più semplice “carica lo gnomo da giardino” al più impegnativo “non rompere nessuna finestra” al più impegnativo “non usare le scale” e quindi bisogna cercare un percorso più lungo o difficile. Nessuna di queste sfide è necessaria per procedere avanti in Moving Out, ma sono più da intendere come contenuti extra per coloro che desiderano mettere le loro abilità di movimento alla prova in ogni livello. Questo senza dimenticare il fatto che già impilare tutti i mobili nel furgoncino e farli entrare tutti rappresenta una sfida di per sé. Inoltre, ogni livello ha un timer e l’obiettivo di chi gioca è naturalmente quello di completare il livello il più velocemente possibile, rendendo le sfide extra ancora più impegnative. Ci sono tre livelli per ogni timer, che garantiscono una medaglia di bronzo, argento o oro. Ovviamente, ottenere medaglie d’oro in tutti i livelli, completando allo stesso tempo tutte le sfide opzionali è incredibilmente impegnativo, quindi se si ha intenzione di mettersi alla prova, sia da soli che in compagnia, il titolo è assolutamente in grado di offrire un ottimo livello di sfida. In caso di difficoltà, Moving Out è anche eccezionalmente accessibile, offrendo molte opzioni sia per il gameplay che per gli elementi visivi, rendendo tutto più facile per chiunque voglia farlo. Ciò include le opzioni per rendere il gioco più semplice, ad esempio: aggiungendo un po’ di tempo extra su ogni mappa, saltando i livelli se non si riesce a vincere, rendendo più leggeri gli oggetti per due giocatori (cioè gli oggetti che devono essere trasportati da due giocatori) e quindi più facili da trasportare, e persino aggiungendo un elemento visivo che filtra o cambia l’interfaccia per quelli con dislessia. Insomma ce ne è per tutti i gusti, per tutte le età e per tutti i tipi di giocatori, dal casual all’hard core gamer. In termini di contenuti, Moving Out si compone di 30 livelli “storia” che a loro volta presentano 3 diverse valutazioni di tempo – oro, argento e bronzo – e 3 obiettivi secondari che è possibile completare per ottenere dei gettoni. A questi livelli di base si aggiungono inoltre dei curiosi mini-giochi da sbloccare ottenendo più valutazioni oro e gettoni, quindi nel complesso non mancano attività da fare se volete puntare al 100% di completamento.

Tra le modalità extra è possibile anche attivare la condivisione di un solo gamepad per controllare due personaggi. Se si gioca da soli e si è a caccia di una sfida impegnativa, o si è in due ma non si posseggono due controller, basterà dividerlo per controllare con una metà il personaggio 1 e con l’altra metà il personaggio 2. In totale, fino a quattro giocatori possono prendere parte alle scorribande per la città di Packmore. Detto ciò, se siete alla ricerca di un party game da fare in famiglia o con gli amici, questo Moving Out siamo certi che sarà in grado di regalarvi ore ed ore di sano divertimento.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 7

Gameplay: 8

Longevità: 8

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise

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Anno 1800, la Rivoluzione industriale sbarca anche su console

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Anno 1800 è un videogame del genere city builder, ossia un gioco dove bisogna costruire e far progredire un agglomerato urbano tenendo conto di tutti i parametri socioeconomici. Oggi, il titolo targato Ubisoft finalmente vede la luce anche su Xbox e PlayStation a distanza di alcuni anni dal lancio per Pc (avvenuto nel 2019). Il software è la settima incarnazione della leggendaria saga ed è un esponente del suo genere denso di contenuti, eterogeneo, complesso e soprattutto molto divertente. Anno 1800 quindi è un videogame contraddistinto da una grandissima qualità di fondo, qualità che lo ha reso amatissimo tra gli appassionati, e da una complessità non da poco grazie soprattutto a una miriade di funzioni. Insomma, è veramente un’opera magistrale che sa esprimersi al massimo su computer, ma che mostra tutta la sua potenza anche su console dove il pad riesce a sostituire mouse e tastiera rivelandosi un alleato formidabile nella costruzione del proprio impero nel bel mezzo della rivoluzione industriale. Ma partiamo dal principio, lo scopo dei giocatori una volta avviato Anno 1800 è costruire una colonia florida sia dal punto di vista sociale, sia da quello economico. Partendo da un piccolo porto e una nave, bisognerà essere in grado di espandere il proprio centro abitato in modo tale da trovare un equilibrio tra industrie e agricoltura, scuole ed elementi di svago, così da avere una popolazione attiva, ma nel complesso soddisfatta. Nel caso in cui non si riuscisse a creare una società tale da soddisfare le aspettative degli abitanti il rischio di una rivolta è sempre dietro l’angolo, quindi amministrare con saggezza e prudenza è sempre il segreto alla base di un buon governo.

In Anno 1800 la progressione della propria città avviene per gradi. Blue Byte ha pensato ad un sistema che consente di sbloccare progressivamente tutte le sue funzioni man mano che si raggiungono determinati obiettivi. Si parte con un’economia basata sull’agricoltura e una manifattura di base per poi sbloccare edifici sempre più avanzati ed esteticamente moderni (per l’epoca in cui è ambientato il titolo ovviamente), come le acciaierie o i pozzi petroliferi, che richiedono una filiera produttiva alle loro spalle per generare introiti. Ognuna di queste industrie attinge ad un pool specifico di lavoratori, che corrisponde ad un tipo particolare di abitazione. Quelle rustiche servono per creare dei braccianti. Migliorando l’edificio i suoi abitanti da contadini si trasformeranno in lavoratori, poi in artigiani e così via. Questo sistema è per esigenze di gameplay un po’ semplificato e forzato, le fattorie di grano possono essere sbloccate nell’era dei lavoratori e le distillerie o i falegnami utilizzano al loro interno gli agricoltori, ma gli sviluppatori hanno creato un bilanciamento piuttosto interessante, che spinge costantemente a dover rivedere il proprio insediamento. Facendo evolvere le case si va quindi a sostituire la vecchia tipologia di lavoratori con la nuova, costringendo in questo modo a rimpolpare a cascata anche tutti gli anelli della catena ogni volta che si desidera avviare un’attività avanzata. Per aprire una fonderia, infatti, non basta semplicemente gettarne le fondamenta, ma va creata un’infrastruttura di sostegno, fatta di magazzini, miniere e, abitazioni sufficienti a poter ospitare i lavoratori di un’attività così pesante. Non facendo ciò si creeranno degli squilibri che rallenteranno gli altri aspetti dell’economia o renderanno scontenti i lavoratori. Quindi non si tratterà semplicemente di accatastare le risorse necessarie per costruire un edificio, ma di gestire il substrato lavorativo dello stesso. Insomma, Anno 1800 è un’esperienza davvero complessa e che per essere goduta pienamente non va mai gestita con fretta. La mappa di gioco si compone di un numero di isole imprecisato, alcune popolate e altre pronte ad essere colonizzate. C’è da dire però che non tutte le isole sono autosufficienti. Alcune, per esempio, sono poco adatte ad un tipo di coltura, altre non hanno una determinata materia prima. In questo modo si renderà necessario il dover utilizzare le navi costruite nei cantieri per creare rotte commerciali e acquistare ciò che manca nei magazzini. Le navi saranno anche l’unico modo che si ha per combattere gli altri governatori, o per scoprire nuovi continenti verso i quali inviare delle spedizioni. Una volta che si ha a disposizione una flotta si potrà organizzare un equipaggio e racimolare delle scorte per avviare una vera e propria colonizzazione dei territori ancora vergini. In base ad un divertente sistema di scelte multiple si può provare ad indirizzare il modo in cui queste spedizioni si svilupperanno e le conseguenze che avranno. Le navi, infatti, potrebbero non tornare del tutto, perdendo il prezioso carico, o potrebbero trovare qualcosa di particolarmente esotico da esporre nella propria città, così da renderla una gettonata meta di turisti.

Così facendo Blue Byte ha aggiunto un sistema di imprevedibilità all’interno della serie, che porta un’interessante ventata di aria fresca all’interno della canonica struttura da city builder offerta da Anno 1800. Oltre alla modalità libera, gli sviluppatori hanno inserito anche una modalità “storia” che funge da lungo tutorial che consente, una volta completato, di aver ben chiare le meccaniche di base. Forse mancano alcuni strumenti per avere una lettura completa al cento per cento della propria comunità, come un’enciclopedia nella quale è spiegato il funzionamento puntale di ogni edificio o un sistema di analisi del proprio territorio e della propria economia, così da comprendere nel dettaglio cosa fare per non andare in bancarotta, ma tutto funziona bene ed è stato incastrato con cura con gli altri elementi. Per quanto riguarda l’utilizzo del controller, i miglioramenti non si fermano ai soli utilissimi menu radiali, ma vanno più nel profondo. L’intera user interface in generale è infatti stata adattata per la versione Xbox e PlayStation, inoltre altri piccoli accorgimenti, come la connessione automatica del manto stradale durante la costruzione di blocchi di case o alcune comode shortcut per selezionare beni e oggetti, rendono il tutto più fluido. Se proprio dobbiamo trovare qualche lato negativo in questa conversione di 1800, possiamo dire che l’assenza della possibilità di utilizzare mouse e tastiera potrebbe far storcere il naso a qualcuno. Inoltre, le differenze con la versione madre di Anno 1800 non si fermano però qui. Alcuni scenari e DLC, come ad esempio The Passage, New World Rising e Land of Lions, ossia i più sostanziosi rilasciati per il titolo, non sono attualmente previsti su PlayStation e Xbox e resteranno quindi con ogni probabilità esclusive PC. Dal punto di vista strettamente tecnico, Anno 1800 Console Edition si difende davvero bene. Abbiamo provato la versione Xbox Series X del gioco e non abbiamo trovato nulla di cui poterci effettivamente lamentare. Certo, alcune texture non sono esattamente il massimo, ma nel complesso il titolo di Ubisoft ci ha convinto sia dal lato estetico che da quello meramente ludico. La possibilità di vedere il proprio villaggio espandersi e diventare città nell’ardore della rivoluzione industriale su un televisore 55 pollici OLED è del resto un vero e proprio spettacolo. Quindi, proprio per tali ragioni, il nostro consiglio è quello di non lasciarsi sfuggire la versione console di Anno 1800.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9

Gameplay: 8,5

Sonoro: 9

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise

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Costume e Società

Meta non rinnova l’accordo con la Siae, via la musica italiana da Facebook e Instagram

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Meta, la holding proprietaria di Facebook e Instagram, ha reso noto di non aver raggiunto un accordo con la Siae per il rinnovo della licenza sul diritto di autore. Di conseguenza sui social vengono bloccati o silenziati i brani che rientrano nel repertorio Siae, gli altri continuano ad essere disponibili. ”Una decisione unilaterale che lascia sconcertati”, dichiara la Società degli autori ed editori italiani. “Abbiamo accordi di licenza in oltre 150 paesi nel mondo, continueremo a impegnarci per raggiungere un accordo con Siae che soddisfi tutte le parti”, ribatte la società di Mark Zuckerberg. “No al far west, i colossi rispettino le opere d’ingegno e la sovranità legislativa degli Stati”, sottolinea il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano che aggiunge: “La indiscutibile libertà di mercato va esercitata all’interno di regole condivise e rispettate da tutti: è il fondamento di una convivenza pacifica e produttiva”. “La scelta di Meta è un danno enorme che preoccupa” dice il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’informazione a all’editoria, Alberto Barachini. Meta per consentire l’uso della musica sui social, che rende più accattivanti i post di creator e influencer, stringe accordi sul copyright con i titolari dei diritti musicali in tutto il mondo. Nel territorio europeo ha partner in Spagna, Francia, Germania, Svezia, Regno Unito e Turchia. La rottura con la Siae rappresenta un precedente mondiale per il colosso di Menlo Park. Ha un impatto sui Reels (i video brevi su Facebook e Instagram), sul flusso delle notizie di Instagram, e sulle Storie di Facebook e Instagram. Su Facebook i contenuti impattati vengono bloccati, su Instagram silenziati. “Purtroppo non siamo riusciti a rinnovare il nostro accordo di licenza con Siae – rende noto Meta – da oggi avvieremo la procedura per rimuovere i brani del loro repertorio nella nostra libreria musicale. Continueremo a impegnarci per raggiungere un’intesa che soddisfi tutte le parti, crediamo sia un valore per l’intera industria musicale permettere alle persone di condividere e connettersi sulle nostre piattaforme utilizzando la musica che amano”. ”A Siae viene richiesto di accettare una proposta unilaterale di Meta prescindendo da qualsiasi valutazione trasparente e condivisa dell’effettivo valore del repertorio – ribatte la Società degli autori ed editori italiani – Tale posizione, unitamente al rifiuto da parte di Meta di condividere le informazioni rilevanti ai fini di un accordo equo, è evidentemente in contrasto con i principi sanciti dalla Direttiva Copyright per la quale gli autori e gli editori di tutta Europa si sono fortemente battuti. Siae ha continuato a cercare un accordo con Meta in buona fede, nonostante la piattaforma sia priva di una licenza a partire dal 1 gennaio 2023″. Per Mogol, presidente onorario di Siae e celebre autore e compositore, la battaglia in difesa degli autori “è sacra, queste piattaforme guadagnano miliardi e sono restie a pagare qualcosa”. L’industria musicale, attraverso il suo presidente Enzo Mazza, auspica che “Siae e Meta trovino presto un accordo nell’interesse del crescente mercato musicale in Italia e degli aventi diritto”. “Chiediamo che Meta riapra immediatamente in buona fede un tavolo negoziale con Siae”, gli fa eco il presidente della Federazioni Editori Musicali, Paolo Franchini. L’associazione influencer, in una nota, auspica “che il dialogo tra le due realtà abbia un epilogo costruttivo”, nella convinzione che, “specialmente per quanto concerne le professioni creative, sia importante ripristinare il precedente stato dell’arte”. Infine, rilievi anche da parte di Soundreef, gestore indipendente dei diritti d’autore. “Sappiamo che il take down dei brani da parte di Meta sta riguardando anche il repertorio integralmente amministrato da Soundreef e i repertori esteri – sottolinea il gruppo – È evidente che l’esito della trattativa tra Meta e Siae sta danneggiando tutte le società di collecting operanti, in Italia e non. Stiamo contattando entrambe le parti per capire come l’intera negoziazione sia stata condotta e stiamo lavorando per ripristinare sulle piattaforme Meta tutti i brani di cui amministra totalmente i diritti”.

F.P.L.

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Scienza e Tecnologia

Mato Anomalies, il “Jrpg” cyberpunk dall’atmosfera unica

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Mato Anomalies è un “Jrpg” sviluppato dallo studio cinese Arrowiz e fortemente ispirato alle ambientazioni cyberpunk. Il titolo, come i più attenti potranno notare dopo poche ore di gioco, si ispira chiaramente a produzioni quali Shin Megami Tensei e soprattutto al suo spin-off Persona, soprattutto sul piano dell’impostazione narrativa e tematica. La città fittizia di Mato colorata, ricca di “vita” e densa di persone, che si susseguono con fare scanzonato e assolutamente ignaro sui freddi cocci di una strada apparentemente ricca di vita, nasconde più di un misterioso e tetro segreto. Nascosti nei meandri dell’oscurità si annidano infatti tantissimi punti oscuri, che proprio come in Persona, e in particolare Persona 5, la fanno da padrona nell’economia generale della trama. I desideri, l’odio, la sede di potere, la voglia di sovrastare a ogni costo il prossimo: questi sono tutti i temi che ruotano intorno alla giostra narrativa di Mato Anomalies, di cui il mondo di gioco ne è lo scenario perfetto. In questo complesso universo si va a incastonare il protagonista della storia, ossia il Detective Doe, trovatosi, suo malgrado, imbrigliato in un susseguirsi di eventi che vanno ben al di là della sua comprensione. Proprio come accade nei lavori di Atlus, la città di Mato è soltanto la parte visibile di un mondo oscuro che si cela in profondità, dominato dalle più terribili delle emozioni umane, che prendono forma in molteplici modi, sotto lo sguardo ignaro della gente comune. Insomma: la città di Mato ha un disperato bisogni di aiuto, così come lo stesso protagonista, che appare sin dalle prime battute un personaggio fragile ma che cerca in tutti i modi di fare la cosa giusta. Proprio il poter contare sul prossimo rappresenta infatti un altro passo in termini di caratterizzazione del mondo in cui si svolge la storia, e tal proposito diventa fondamentale il discorso dei comprimari, Genma su tutti, che entrano via via in contatto con il protagonista e lo aiutano, anche per motivi strettamente personali, a tentare di far luce sull’oscurità che sembra destinata a prendere il sopravvento su una città sempre più in balia della perdizione, ma soprattutto su chi trama dietro tutto questo. Complice un cast ben caratterizzato e discreto esercizio di worldbuilding, il canovaccio narrativo di Mato Anomalies è complessivamente interessante, soprattutto nel caso in cui il giocatore apprezzi il paranormale e le tematiche mature, angoscianti e attuali quali la lotta alla corruzione e al potere esercitato dalle grandi aziende e dai gruppi malavitosi, la tendenza del governo a insabbiare gli incidenti, e via discorrendo. A non funzionare, però, è l’esposizione del racconto, che a causa degli odiati dialoghi prolissi in stile visual novel e di un’abbondante dose di backtracking, rallenta enormemente lo sviluppo degli eventi. Se i primi 15 minuti della campagna inondano l’utente con una valanga di informazioni confuse e che cominciano ad avere un minimo di senso solo col passare del tempo, le successive 30 ore necessarie per giungere ai titoli di coda ci sono sembrate molto più lente del dovuto.

Se l’impianto narrativo non è esattamente il punto di forza di di Mato Anomalies, bisogna riconoscere che il titolo si comporta molto meglio sul piano ludico, anche perché gli sviluppatori – pescando nuovamente da Persona 5 – hanno suddiviso il gameplay in due fasi ben distinte, realizzando un vero e proprio mix di generi. Ambientate nel mondo umano, le sequenze che vedono per protagonista Doe chiedono al giocatore di perlustrare le strade di Mato per raccogliere indizi sugli incidenti avvenuti in città e parlare con gli NPC per estorcere loro qualche segreto, mentre quelle incentrate su Grim si consumano nei labirinti dell’altro mondo, dove l’esorcista e gli altri combattenti reclutabili nel corso della campagna sono chiamati ad affrontare in battaglia la Marea Funesta. Benché inizialmente ci stessero convincendo più delle seconde, le prime sono le sequenze che alla lunga abbiamo apprezzato di meno, poiché la raccolta di prove e informazioni costringe il giovane detective a spostarsi continuamente da un luogo all’altro della città e a tornare anche moltissime volte in posti già visitati fino allo sfinimento, nella speranza che gli abitanti abbiano qualche nuovo indizio utile alla causa. Tenendo presente che la città di Mato non è poi tanto vasta e che nella prima parte dell’avventura le location accessibili sono molto poche, le fasi dedicate al cammino di Doe risultano assai ripetitive e monotone. Per ravvivare ciò, pero, gli sviluppatori di Arrowiz hanno dotato l’investigatore di un potere sovrannaturale attraverso il quale può letteralmente entrare nella mente del proprio interlocutore e persuaderlo a collaborare. Instaurata una connessione mentale, il detective gioca fondamentalmente una partita a carte con l’interrogato di turno, dove lo scopo è quello di azzerare i suoi punti salute. Per riuscire in tale impresa, il giocatore è chiamato a scegliere uno dei vari mazzi posseduti da Doe, ognuno dei quali favorisce un diverso tipo di approccio: se per esempio il primo è indicato agli scontri uno contro uno, il secondo favorisce l’eliminazione di più bersagli, anche perché nella maggior parte delle persuasioni bisogna vedersela non solo con l’interrogato, ma anche con qualche demone intenzionato a far fallire l’operazione. Seppur simpatica, la trovata di Arrowiz convince solo a metà, in quanto il segreto per vincere le sfide neurali non risiede tanto nella strategia o nella personalizzazione dei mazzi, quanto nella casualità: se con alcuni deck è praticamente impossibile ottenere la vittoria in determinati duelli, ve ne sono altri in cui sembra quasi di avere il pilota automatico. Selezionare il giusto mazzo all’inizio dello scontro è insomma l’unico vero requisito per completare l’intrusione mentale con successo. Per la gioia di coloro a cui non piacciono i card game, lo studio Arrowiz ha comunque abilitato la possibilità di saltare gli scontri neurali dopo tre fallimenti, senza incappare in alcuna penalità o malus. Per quanto riguarda il combattimento vero e proprio di Mato Anomalies, esso sarà disponibile una volta individuate nuove fenditure dimensionali. Infatti a questo punto le fasi investigative cedono il passo all’esplorazione dei dungeon, che fondamentalmente consistono in lunghi corridoi abbastanza lineari e stracolmi di nemici visibili a schermo da abbattere per potersi spianare la strada verso l’uscita e l’immancabile boss del Covo. La fight avviene rigorosamente a turni e il sistema di combattimento consente di schierare in campo un massimo di quattro lottatori, i cui punti salute sono però condivisi. Anziché avere tre barre HP distinte, la squadra ne ha una soltanto, e dal momento che l’utilizzo delle tecniche speciali non richiede alcun punto magia, ma è soggetto a tempi di cooldown talvolta anche lunghi, è molto importante pianificare le proprie mosse e scegliere il momento adatto per ricorrere alle abilità di guarigione. Dovendo prestare attenzione a debolezze e resistenze di ciascun nemico, Mato Anomalies offre insomma una apprezzabile quanto impegnativa componente strategica, che se sfruttata a dovere semplifica persino gli scontri sulla carta più impegnativi. A questo proposito segnaliamo che lo studio cinese ha preferito implementare un selettore di difficoltà, che permette di modificare in qualsiasi momento il livello di sfida e adattarlo alle necessità del giocatore. Fra le tre opzioni disponibili (Facile, Normale e Difficile), durante la nostra lunga prova su Xbox Series X abbiamo scelto il livello intermedio, che solo in poche occasioni è incappato in qualche picco di difficoltà neanche troppo elevato. Peccato soltanto che la rosa degli antagonisti sia abbastanza carente dal punto di vista della varietà, ragion per cui purtroppo ci si ritroverà a dover affrontare legioni di nemici comuni quasi sempre uguali.

Sul piano artistico e tecnico, Mato Anomalies vive di un dualismo costruttivo difficile da non individuare praticamente subito. Il lavoro svolto dai ragazzi di Arrowiz è molto interessante sul piano dell’ispirazione e delle concezione artistica. Da vedere, infatti, Mato Anomalies è un prodotto che funziona, pur senza alcun tipo di magia creativa, che fa del “dualismo” cromatico la sua arma migliore, un dualismo generato dalla continua mescolanza tra l’oscurità di una città che sembra bloccata in una notte continua, illuminata però dalle luci dei negozi e delle case che hanno un peso specifico diametralmente opposto all’oscurità di cui parlavo poco sopra. Questa scelta di art design viene appoggiata anche dalla scelta di avvalersi di un cel-shading che funziona molto bene e che, anzi, riesce ad amplificare ancora di più il contrasto tra i colori forti dei personaggi e delle strutture in generale rispetto agli sfondi più oscuri e meno “violenti” sul piano cromatico. Anche il design dei cast è molto interessante. Arrowiz ha svolto un ottimo lavoro in tal senso, creando un insieme di personaggi, sia tra quelli principali sia tra i comprimari e tra gli antagonisti, che non hanno nulla da invidiare alle migliori produzioni animate. Da questo punto di vista, per quanto le mappe siano comunque molto piccole e poco “aperte” il lavoro svolto dal team di sviluppo è decisamente vincente, soprattutto se si considera la parte più “umana” del mondo e non quella cognitiva. Nel mondo “nascosto”, infatti, si ha la sensazione che i covi e in generale le mappe siano troppo ripetitive e poco ispirate, così come il design dei mostri che vivono al loro interno, tutti complessivamente abbastanza anonimi e poveri di particolari. La complessiva buona riuscita del comparto artistico, però, si scontra con quella tecnica, che non ci ha entusiasmato particolarmente. Per quanto complessivamente “stabile” nella sua fruizione, Mato Anomalies è un prodotto tecnicamente superato e poco performante. Tempi di caricamento lunghi e molto frequenti, anche per effettuare piccoli spostamenti, e in generale una povertà complessiva in termini di pixel danneggiano Mato Anomalies mettendo a nudo il suo sviluppo “limitato”. Purtroppo è un peccato, anche perché la scelta di affidarsi a una sorta di stile “manga” in alcune cutscene e nelle fasi di dialogo è sicuramente una trovata molto originale e che si sposa alla grande con lo stile anime dell’opera, ma che viene in qualche modo messo in cattiva luce proprio dalla veste eccessivamente minimal ed essenziale del resto del pacchetto. Discorso molto simile anche per il comparto sonoro, che risulta essere troppo anonimo. Le tracce che accompagnano il viaggio di Doe si contano sulla punta delle sita e sono sempre poco ispirate. Sufficiente il doppiaggio inglese, che non si eleva verso nessuna vetta clamorosa e che si limita a svolgere in maniera discreta il proprio compito, senza alcun tipo di picco o colpi di genio vari. Buoni i sottotitoli in italiano che faranno la gioia di chi non mastica la lingua d’oltre Manica. In conclusione, Mato Anomalies nonostante i difetti sopra elencati e un comparto tecnico decisamente vecchio, riesce a difendersi grazie a una buona giocabilità e a una narrativa tanto criptica quanto capace di incuriosire. La doppia anima un po’ gioco di carte, un po’ Jrpg con tantissimi dialoghi e le innumerevoli tematiche mature, sono gli ingredienti che riescono a mantenere Mato Anomalies su buoni livelli nonostante una grafica nata vecchia e un sonoro fin troppo anonimo. Insomma, ci troviamo dinanzi a un titolo in grado sicuramente d’intrigare ma che non riesce a stupire del tutto.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5

Sonoro: 7,5

Gameplay: 8

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise

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