Osservatorio Anbi sulle risorse idriche: “Meno acqua per territori e agricoltura crescono le preoccupazioni di cittadini e imprese”

Alpi e appennini: dimezzate le riserve di neve

Secondo il report settimanale dell’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche, la montante preoccupazione per il futuro di una stagione irrigua deficitaria ancora prima di cominciare, è ben testimoniata  dalla Lombardia, dove non solo le portate del fiume Adda sono inferiori a quelle degli anni più recenti (74 metri cubi al secondo: la più bassa dal 2017), ma sono esigue le riserve idriche, accumulate negli invasi o sotto forma di manto nevoso:  a livello regionale si rileva -51% rispetto alla media storica e -68% sul 2021 con picchi nei bacini Toce-Ticino-Verbano (-63,5%), Brembo (-74,7), Oglio (-61,5%). Allarmante è il confronto fra i livelli d’innevamento di quest’anno e di 12 mesi fa: in alcuni territori mancano all’appello oltre 2 metri di neve (fonte: ARPA Lombardia).

Come noto, durante il mese di gennaio, la portata del fiume Po si è ridotta progressivamente (-25% sulla media), raggiungendo valori al di sotto di quelli tipici del periodo, ma comunque ancora superiori a quelli di magra ordinaria.

La situazione di siccità fuori stagione sta interessando le regioni del bacino padano e l’area centro-settentrionale della Toscana.

“Temiamo che la crisi dello stato idrologico potrebbe rendere difficile la stagione primaverile all’agricoltura e all’habitat dell’intero Distretto Padano”: a dirlo è l’Autorità di Bacino Distrettuale del fiume Po-MiTE.

Il totale della riserva idrica invasata nei bacini naturali o artificiali e sotto forma di manto nevoso è infatti ancora diminuito rispetto alla settimana scorsa (-5.2%) ed oggi risulta inferiore alla media del periodo 2006-2020 (-51%); un’anomalia ancora più marcata è quella del fattore denominato SWE (Snow Water Equivalent) che, su tutto l’arco alpino, è prossimo ai minimi storici (-55% rispetto alle medie con punte che in alcune zone toccano -80%).

A ciò si deve aggiungere la  situazione dei Grandi Laghi del Nord (tutti sotto media, ad eccezione del Garda), dove i deflussi sono maggiori degli afflussi e le percentuali di riempimento ovviamente molto basse (Iseo: 17,1%; Lario: 18,2%; Maggiore: 22,5%); anche nei bacini montani, seppur con differenziazioni localmente  marcate, la riserva dall’inizio dell’anno è in diminuzione mediamente del  30%.

Soffrono ancora i fiumi dell’Emilia Romagna (in particolare il Savio ed il Nure da settimane sotto la soglia critica) e gli invasi piacentini non riescono a ricaricarsi dopo i prelievi irrigui estivi. In particolare, preoccupa il volume d’acqua trattenuto  alla diga del Molato (1,62 milioni di metri cubi): analizzando la media 2010-2021 ed escludendo il 2017 straordinariamente siccitoso, il bacino presenta oggi il 15% di acqua in meno, perché dalla fine dalla stagione irrigua non si sono registrate precipitazioni significative. A destare ulteriore preoccupazione sono le riserve delle falde indebolite dal fatto che nel 2021 sono piovuti 595 millimetri di pioggia, cioè il 30% in meno rispetto alla media degli ultimi 10 anni.

I fiumi veneti permangono in sofferenza idrica (il Piave, con una portata di 0,15 metri cubi al secondo è al minimo dal 2017), così come quelli dell’Italia centrale (in Toscana, tutti i corsi d’acqua hanno flussi dimezzati rispetto alla media e l‘Ombrone tocca addirittura -60%).

“Analizzando il trend degli anni più recenti, si evidenzia come le conseguenze dei cambiamenti climatici non siano più un fatto contingente, ma un dato strutturale, cui bisogna rispondere urgentemente con una politica di sistema” evidenzia Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI).

“I Consorzi di bonifica e l’agricoltura stanno facendo da anni la loro parte, ottimizzando la distribuzione irrigua e diminuendone il fabbisogno – sottolinea Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI – È la cosiddetta capacità di resilienza, cui vanno però affiancati interventi infrastrutturali come l’ammodernamento e l’ampliamento delle reti idrauliche e la realizzazione di nuovi invasi, capaci di stoccare acqua per i momenti di bisogno. Bisogna destinare a ciò ulteriori risorse sia dal Recovery Plan che da altri strumenti, quale il Fondo Sviluppo e Coesione, perché l’ormai ricorrente stato d’emergenza idrica è un enorme limite allo sviluppo dei territori.”

In Campania, i livelli idrometrici dei fiumi Volturno, Sele, Sarno e Garigliano appaiono in calo, seppur con modalità diverse. In diminuzione sono anche  i volumi dei bacini del Cilento (volume invasato: Piano della Rocca, -45,9% rispetto al 2021)  ed il lago di Conza (-4,2 milioni di metri cubi sull’anno scorso).

Scendendo più a  Sud, anche le rilevazioni sugli invasi apulo-lucani confermano un brusco rallentamento nel riempimento, a causa di un inverno  particolarmente mite (nella scorsa settimana: nei bacini della Puglia, +5 milioni di metri cubi d’acqua contro i quasi 20 dell’anno scorso; in Basilicata, +2 milioni, quando nel 2021 si registravano +16 milioni).