Ostia (RM) – Circa 20 milioni di euro sequestrati dagli uomini della Guardia di Finanza di Roma ai vertici del clan Fasciani di Ostia. I Finanzieri hanno dato seguito a due distinti provvedimenti di sequestro emessi dal Tribunale di Roma – Sezione Specializzata Misure di Prevenzione, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Roma.
Le indagini Le indagini economico-patrimoniali, condotte dagli specialisti del Gico del Nucleo di Polizia Tributaria della Capitale e dal II Gruppo Roma, sono state eseguite nei confronti dei fratelli Carmine e Terenzio Fasciani, attualmente detenuti. Le indagini sono iniziate partendo dai dati acquisiti precedentemente a Ostia, nei confronti del clan Fasciani con le operazioni denominate "Nuova Alba" della Polizia di Stato nel luglio 2013 e "Tramonto" della Guardia di Finanza nel febbraio 2014. Tramite mirate investigazioni economico-patrimoniali espletate applicando la normativa antimafia in materia di misure di prevenzione, è stato accertato come i due abbiano progressivamente inquinato l'economia legale del lido romano, costituendo e acquisendo svariate società operanti in diversificati settori, sfruttando numerosi prestanome. In alcuni casi si è assistito a vere e proprie joint-venture tra i fratelli Fasciani e, sino ad oggi, poco conosciuti imprenditori del posto, che hanno tentato di camuffare l'illecito patrimonio illecitamente accumulato, come peraltro già emerso nell'operazione "Tramonto". Obiettivo del clan è stato quello di investire in attività (come la ristorazione e la gestione di stabilimenti balneari e discoteche) che meglio e più velocemente si prestavano al reimpiego dei proventi illeciti: in tale quadro, hanno acquisito numerose realtà imprenditoriali, alcune di recente costituzione, strumentali al mantenimento economico ed una grave egemonia criminale.
Società e prestanome L'utilizzo di prestanome nelle società è stata una manovra di schermatura per celare l'effettiva riconducibilità delle attività imprenditoriali ai due fratelli. Secondo gli inquirenti i Fasciani hanno dato anche prova di possedere elevate "capacità imprenditoriali e societarie": ad esempio nel perseguire le loro finalità illecite, hanno fatto ricorso ai nuovi strumenti societari (le cosiddette "Srl a 1 euro"), introdotti con la recente riforma del diritto delle società di capitali. E' stato così accertato come tutti gli investimenti societari individuati facessero capo ad un unico "centro di interessi occulto", gestito da Carmine Fasciani, adeguatamente supportato dal fratello Terenzio. Sulla pericolosità sociale di Carmine Fasciani il Tribunale di Roma ha sottolineato come questi "è gravato da due condanne definitive per associazione per delinquere finalizzate al traffico di stupefacenti (condanne ad anni undici e dieci anni di reclusione) che ne indicano comunque la pericolosità qualificata pregressa. Gli elementi oggettivi posti a carico di Carmine Fasciani ne attestano comunque la pericolosità generica, attuale e pregressa. I precedenti penali attestano che la pericolosità di Carmine Fasciani è manifesta almeno dal 1970". Per Terenzio Fasciani la relativa pericolosità si manifesta "almeno dal 1992". I sequestri sono scattati anche grazie alle dichiarazioni dei recenti collaboratori di giustizia Michael Caroni e Tamara Iannì, appartenenti alla famiglia criminale dei Baficchio sempre di Ostia, parenti del defunto Giovanni Galleoni detto "Baficchio", ucciso ad Ostia il 22 novembre 2011, insieme al sodale Francesco Antonini detto "Sorca Nera", le cui rivelazioni sono già state ritenute attendibili e poste alla base dell'intervento repressivo nei confronti del clan Spada di Ostia, lo scorso aprile. Oggetto dei sequestri sono stati il patrimonio aziendale e relativi beni di 18 società tra bar, ristorazione, panificazione, commercio al dettaglio di altri prodotti alimentari e immobiliare, tutte a Ostia; quote societarie di una ulteriore società esercente l'attività di bar, sempre a Ostia; 29 unità immobiliari a Roma, Civitavecchia e in provincia dell'Aquila; 5 autovetture; rapporti bancari/postali/assicurativi/azioni.
Monte Compatri si trova ad affrontare una situazione estremamente particolare in un momento di grande rispetto e riflessione: l’ascensore che consente l’accesso al secondo piano della parte nuova del cimitero è fermo da mesi.
Questa condizione, ormai insostenibile, impedisce l’accesso a molte persone, in particolare ai diversamente abili e agli anziani, che si trovano in difficoltà nel raggiungere i propri cari durante le commemorazioni dei defunti. Nonostante i ripetuti solleciti da parte dei cittadini all’amministrazione comunale, nessuna risposta è giunta.
Eppure, il problema dell’ascensore non è solo una questione di comodità; costituisce un vero e proprio ostacolo a un diritto fondamentale: quello di rendere omaggio a chi non c’è più, senza barriere fisiche che ostacolino il rispetto e il ricordo. La gravi modalità di questa situazione è messa in evidenza non solo dalla prolungata inattività dell’ascensore, ma anche dalla coincidenza con il mese di novembre, tradizionalmente dedicato alla commemorazione dei defunti.
Questo momento, carico di emotività e significato, dovrebbe permettere a tutti di accedere liberamente al cimitero per onorare i propri cari e, tuttavia, la realtà odierna racconta di un’ingiustizia inaccettabile. Durante una nostra recente visita al cimitero, sono emerse numerose proteste e malumori da parte dei visitatori.
Gli anziani e i familiari di persone con disabilità hanno espresso la loro frustrazione per una situazione che sembra non trovare soluzione e la mancanza di un ascensore funzionante non è solo un inconveniente logistico, ma rappresenta una “pecca” dell’amministrazione nel garantire un servizio pubblico adeguato e rispettoso delle necessità di tutti. Diventa fondamentale che l’amministrazione comunale di Monte Compatri prenda immediatamente provvedimenti per risolvere questo problema poiché, diventa inaccettabile che, in un contesto di celebrazioni e ricordi, vi siano cittadini esclusi dalla possibilità di visitare i luoghi di sepoltura dei loro cari. Le istituzioni devono ascoltare le lamentele dei cittadini e agire in modo tempestivo affinché questa situazione non si ripeta in futuro.
Il rispetto per la memoria dei defunti e per le esigenze di tutti i cittadini deve essere una priorità e la speranza è che, dopo tante promesse disattese, l’ascensore torni a funzionare al più presto, restituendo così dignità e accessibilità a un luogo sacro per la comunità di Monte Compatri.
Dopo anni di soprusi, una donna trova il coraggio di denunciare il marito per maltrattamenti e persecuzioni. Il Tribunale di Velletri emette l’ordinanza di custodia cautelare: l’uomo finisce in carcere
Dopo oltre dieci anni di sofferenze e vessazioni, una donna di Carpineto Romano ha trovato la forza di denunciare il marito per maltrattamenti in famiglia e atti persecutori. La denuncia è stata presentata lo scorso 20 ottobre presso la Stazione dei Carabinieri locale, e ieri pomeriggio, grazie a un rapido intervento delle autorità, per il 49enne carpinetano accusato di violenza domestica si sono aperte le porte del carcere di Velletri.
La vicenda, come ricostruito dai Carabinieri, è segnata da anni di abusi psicologici e fisici. La donna ha raccontato di un comportamento aggressivo e controllante, caratterizzato da urla, schiaffi, spintoni, oltre a una costante imposizione sulle spese familiari. Gli episodi di maltrattamento sarebbero proseguiti per più di un decennio, secondo le dichiarazioni della vittima, fino al momento in cui, con grande coraggio, ha deciso di lasciare l’abitazione coniugale, trasferendosi con la figlia a casa dei suoi genitori.
Dopo la separazione, l’escalation delle minacce e degli atti persecutori non si è fermata. L’uomo, incapace di accettare la rottura, ha intensificato le sue azioni di controllo e intimidazione, passando regolarmente sotto l’abitazione della donna e inviando minacce tramite telefonate e messaggi vocali. Testimoni dell’accaduto e messaggi inquietanti sono stati raccolti dai Carabinieri, fornendo prove concrete al Tribunale di Velletri, che ha ritenuto necessaria la custodia cautelare in carcere per il 49enne, accogliendo la richiesta della Procura della Repubblica.
Questo caso è l’ultimo di una lunga serie di interventi da parte dei Carabinieri di Colleferro nella lotta alla violenza domestica e di genere. Grazie a una collaborazione continua con l’Autorità Giudiziaria, sono stati presi provvedimenti efficaci per proteggere le vittime, garantendo loro una via d’uscita da relazioni distruttive e pericolose.
A Rocca di Papa, la tensione tra il sindacato Cobas e l’amministrazione comunale guidata da Massimiliano Calcagni sta raggiungendo livelli critici, dando vita a una vera e propria “guerra” a colpi di comunicati. Al centro della controversia ci sono i dipendenti della DM Technology, azienda responsabile del servizio di raccolta rifiuti nella città castellana, ed il concreto rischio di uno sciopero del settore a Rocca di Papa. Il sindacato Cobas accusa l’amministrazione di disinformazione e nega le affermazioni secondo cui sarebbe stata ricevuta solo una richiesta di incontro, relativa al 31 maggio. Secondo il sindacato Cobas, sono state infatti inviate numerose richieste il 31 maggio, il 18 e il 26 giugno, sollevando questioni fondamentali come la sicurezza sul lavoro, i carichi di lavoro e il mancato versamento del Fondo Pitagora. Il comunicato dell’amministrazione, diffuso il 24 ottobre, ha ribadito la ricezione di una sola richiesta da parte del sindacato, risalente al 31 maggio, concernente presunti inadempimenti da parte della DM Technology. Tale comunicazione ha rivelato anche le segnalazioni riguardanti la sicurezza sul lavoro, la modifica della denominazione della società e i ritardi nei versamenti al Fondo Pitagora e l’amministrazione ha risposto formalmente il 28 giugno, manifestando il proprio impegno nel garantire il corretto svolgimento del servizio e comunicando con DM Technology per ottenere chiarimenti circa lo stato dei fatti evidenziati dai Cobas. Tuttavia, il sindacato ha evidenziato che, nonostante la disponibilità manifestata dall’amministrazione a incontri costruttivi, queste opportunità non si sono materializzate, lasciando i rappresentanti dei lavoratori delusi e frustrati. “Purtroppo, anche in questo caso, non abbiamo più ricevuto nessuna risposta nemmeno dalla Società“, si legge nella nota diffusa oggi dai Cobas, specificando che la lettera dell’assessore delegato denota una chiara chiusura al dialogo in quanto lo stesso asseriva, sempre come riportato dal comunicato odierno “di non avere titolo giuridico d’intervento sulle argomentazioni evidenziate dai Cobas”. Nel proseguire della vicenda, i Cobas hanno organizzato un incontro con la DM Technology il 10 luglio, nel quale sono state discusse le difficoltà dei lavoratori. La società si era impegnata a comunicare con l’amministrazione per affrontare i punti sollevati, ma da allora, scrivono ancora, “non abbiamo più ricevuto nessuna risposta nemmeno dalla Società“. Il 18 ottobre, come evidenziato già dal nostro articolo (leggi https://www.osservatoreitalia.eu/lavoratori-in-rivolta-a-rocca-di-papa-verso-lo-sciopero-nelligiene-urbana/), il sindacato Cobas ha avviato le procedure di raffreddamento trasmettendole, per conoscenza anche al Comune di Rocca di Papa costatando il rifiuto al dialogo da parte di entrambi gli enti coinvolti, esprimendo in più la volontà di mettere in evidenza un “percepito atteggiamento discriminatorio” da parte del Comune, il quale avrebbe accolto altre sigle sindacali il 30 maggio scorso. Nonostante le tensioni, nel comunicato odierno, il sindacato ribadisce la sua apertura a un confronto costruttivo “ci teniamo – scrive – a fare sapere che rimaniamo disponibili ad incontrare il Sindaco e l’Assessore nell’interesse dei lavoratori e dell’utilità pubblica del servizio d’Igiene Urbana”. La situazione rimane critica e le prospettive di una risoluzione sono incerte. Ci si augura che le parti riescano a superare le incomprensioni per trovare un terreno comune e lavorare insieme per il bene della comunità di Rocca di Papa.