Connect with us

Cronaca

Pandemia Covid, il J’accuse di Crisanti verso Giuseppe Conte & Co.

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 4 minuti
image_pdfimage_print

Depositata alla Procura di Bergamo la consulenza del microbiologo

Già dal 12 febbraio 2020, ossia otto giorni prima del Paziente 1, i componenti “prima della della task force del ministero e poi del Cts, conoscevano “la situazione di vulnerabilità in cui si trovava l’Italia di fronte alla “pandemia di Covid” e tuttavia decisero di secretare il piano che avrebbe potuto salvare migliaia di vite. Lo scrive il microbiologo Andrea Crisanti nella consulenza depositata alla Procura di Bergamo.

Nell’inchiesta coinvolti 19 indagati, tra cui l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro Speranza e il governatore della Lombardia Attilio Fontana. “Per 16 anni”, dal 2004 al 2020 – aggiunge Crisanti -, non era “mai stata verificata la preparazione dell’Italia nei confronti di un rischio pandemico

L’Italia, quando scoppiò l’epidemia di Covid, “aveva un manuale di istruzione, questo era il piano pandemico. Se poi ha affrontato la pandemia senza un manuale è perché questo (…) è stato scartato a priori senza essere valutato dai principali organi tecnici del ministero”, ai quali l’ex ministro Speranza “fa riferimento (…) quando afferma che il piano era datato e non costruito specificamente su un coronavirus ma su un virus influenzale”: scrive il microbiologo Andrea Crisanti nella relazione agli atti dell’inchiesta di Bergamo sulla gestione del Covid in val Seriana a carico, tra gli altri, dell’ex premier Conte e Speranza.

“La ragione per la quale azioni più tempestive e più restrittive non sono state prese la fornisce il presidente Conte –  si legge nella consulenza di Crisanti – quando nella riunione del 2 marzo 2020 afferma che ‘la zona rossa va utilizzata con parsimonia perché ha un costo sociale politico ed economico molto elevato’. Queste considerazioni hanno prevalso sulla esigenza di proteggere gli operatori del sistema sanitario nazionale e i cittadini dalla diffusione del contagio”.

Toccherà al Tribunale dei Ministri di Brescia valutare la posizione dell’ex premier Giuseppe Conte e dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza, tra gli indagati dalla Procura di Bergamo nell’inchiesta sulla gestione della prima ondata di Covid in Val Seriana, la zona più colpita d’Italia e dove tra la fine di febbraio e i primi di marzo 2020 la diffusione del virus era oramai “incontrollabile” a causa, secondo la prospettazione dell’accusa, di una serie di ritardi e omissioni dovuti alla mancata istituzione della zona rossa e alla non applicazione del piano pandemico influenzale del 2006, quello che tre anni fa era in vigore in quanto mai aggiornato. “Ora denunce per non aver chiuso a sufficienza, in precedenza invece per aver chiuso”, ha commentato l’ex premier Giuseppe Conte, che ha detto di aver riferito alla Procura sulla zona rossa e di essere “tranquillo”. I pm bergamaschi hanno inviato, intanto, gli atti relativi alle posizioni dell’allora Capo del Governo e ora presidente di M5S e dell’attuale deputato di Articolo 1 ai colleghi bresciani. Faldoni di carte che ora il Procuratore Francesco Prete con i suoi sostituti hanno cominciato ad esaminare. Come prevede la legge avranno tempo 15 giorni, non per indagare, ma solo per ‘studiare’ la documentazione per poi inviarla al collegio composto da tre giudici con eventuali richieste istruttorie. In questo caso il Tribunale dei Ministri entro 60 giorni dovrà decidere se consentire ulteriori approfondimenti, altrimenti entro 90 giorni dovrà compiere le indagini preliminari in seguito alle quali potrà disporre o l’archiviazione (non si può impugnare) o la trasmissione al Procuratore affinché chieda l’autorizzazione a procedere alla Camera di appartenenza. Secondo gli accertamenti Conte e Speranza hanno due posizioni differenti. Entrambi rispondono di epidemia colposa aggravata ma per due diversi fatti. L’ex presidente del Consiglio è accusato di non aver istituito la zona rossa nel comuni di Nembro e Alzano Lombardo nonostante “l’ulteriore incremento del contagio” in Lombardia e “l’accertamento delle condizioni che (…) corrispondevano allo scenario più catastrofico”. Una contestazione, questa, che non riguarda Speranza che risponde solo per la mancata attuazione del piano pandemico. Infatti l’allora responsabile del dicastero di Lungotevere Ripa aveva firmato una bozza di decreto con cui proponeva di estendere la misura urgente di “contenimento del contagio” già adottata nel Lodigiano, ai due comuni della Bergamasca.

Tale bozza invece non venne sottoscritta da Conte. Il quale, quando nel giugno 2020 venne sentito a Roma dai pm di piazza Dante come persona informata sui fatti, aveva spiegato di aver agito “in scienza e coscienza” assumendosi la responsabilità di una scelta politica che arrivò dopo un confronto all’interno del governo e tra l’esecutivo e gli esperti. Una scelta. disse, che fu condivisa con la Regione Lombardia che, come previsto dalla legge, avrebbe potuto agire anche autonomamente. Per questo ora è indagato pure il governatore Attilio Fontana. Anche lui, in base alla ricostruzione, con due mail del 27 e 28 febbraio 2020, inviate a Palazzo Chigi, aveva chiesto di mantenere misure più blande (da zona gialla) nonostante “avesse piena consapevolezza” della situazione e senza segnalare “alcuna criticità” nonostante l’indice di trasmissione avesse raggiunto la soglia del 2. Dunque il non aver voluto questa seconda zona rossa in Lombardia, per i pm, ha comportato la diffusione dell’epidemia” con un “incremento stimato non inferiore al contagio di 4.148 persone” morte. “Ci abbiamo messo il massimo impegno, lavorando giorno e notte. Siamo stati accusati di tutto e il contrario di tutto, ho avuto denunce in tutte le procure d’Italia per aver chiuso. Sono stato accusato di essere un pazzo criminale e liberticida e adesso invece” ci sono “anche denunce per il fatto di non aver chiuso a sufficienza”, ha commentato ancora oggi Conte che ha ripetuto di essere “assolutamente tranquillo e a disposizione: ho già fornito ai procuratori tutte le informazioni in mio possesso e adesso se ci sarà una nuova occasione fornirò ancora la massima disponibilità”. Infine, mentre Fratelli d’Italia, con Galeazzo Bignami, chiede una commissione d’inchiesta sulla pandemia, il Procuratore di Bergamo Antonio Chiappani già ieri ha aperto un fascicolo sulla fuga di notizie in quanto i nomi degli indagati sono stati pubblicati la sera prima della notifica dell’avviso di conclusione dell’indagini.

Continua a leggere
Commenta l'articolo

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Cronaca

Pullman precipita dal cavalcavia a Mestre, 21 morti e 18 feriti

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 3 minuti
image_pdfimage_print

Una scena apocalittica: la barriera del cavalcavia divelta, un pullman finito giù sulla strada a fianco della ferrovia e che prende fuoco, le urla di chi assiste alla tragedia e di chi a bordo resta intrappolato tra le lamiere accartocciate e in fiamme.È di 21 morti – tra cui due bambini – e 15 feriti il bilancio ufficiale della tragedia avvenuta a Mestre. Le vittime sono di diverse nazionalità.

A bordo c’erano anche cittadini ucraini, tedeschi, francesi e croati. L’autista era italiano e risulta tra le vittime. Tra le prime ipotesi sulle cause forse un malore di chi era al volante .La Procura della Repubblica di Venezia ha aperto un fascicolo. Nelle prossime ore saranno analizzate le immagini delle telecamere di sicurezza puntate sul cavalcavia, per capire meglio la dinamica dello schianto. 

“Dai primi rilievi non ci sono segni di frenata – dice il comandante della Polizia municipale di Venezia, Marco Agostini accorso sul luogo dell’incidente – il malore del conducente è un’ipotesi”. Per chi era a bordo difficile avere scampo, il bus si è infatti incendiato: le fiamme si sono propagate dopo il terribile impatto, forse generate dall’esplosione del serbatoio del pullman che conteneva metano e poi alimentate dallo stesso gas. I vigili urbani parlano di ‘bus elettrico’, dunque il mezzo probabilmente era ibrido. Un bus Ncc nuovo di zecca, noleggiato per un servizio di navetta dal campeggio Hu di Marghera per i suoi ospiti, trasportava una quarantina di turisti. I vigili del fuoco hanno lavorato contro il tempo per spegnere le fiamme che non hanno reso agevoli i soccorsi. Sul posto sono subito state fatte convogliare le ambulanze di tutto il territorio, decine le auto delle forze dell’ordine. L’Usl 3 di Venezia ha attivato il protocollo delle “grandi emergenze” che prevede la messa a disposizione di tutti i pronto soccorso degli ospedali ed il richiamo al lavoro di personale di rinforzo.

La dinamica è ancora da accertare ma dai primi rilievi emerge che il bus è precipitato da oltre dieci metri, un volo dopo avere urtato violentemente la doppia barriera di protezione del cavalcavia della bretella che da Mestre porta verso Marghera e l’autostrada A4. Il pullman ha sfondato la prima protezione fatta da un guard rail e la seconda barriera in metallo che delimita il passaggio pedonale. Poi si è schiantato giù, capovolgendosi, e finendo tra un magazzino e i binari della stazione di Mestre incendiandosi. 

Il sindaco Brugnaro proclama il lutto cittadino per “l’immane tragedia che ha colpito questa sera la nostra comunità e in memoria delle numerose vittime che erano nell’autobus caduto. Una scena apocalittica, non ci sono parole”. Ora è il tempo del dolore. Ma gli inquirenti sono già al lavoro per capire le cause. La polizia stradale sta effettuando i rilievi: c’è da verificare la traiettoria della caduta, le condizioni del manto stradale. Segni di frenata sull’asfalto pare non ce ne siano. E per ora il malore sembra l’unica spiegazione ad una tragedia inspiegabile.
   

Il cordoglio del presidente Mattarella e della premier Meloni

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha telefonato al sindaco di Venezia Brugnaro per esprimergli il suo cordoglio per la gravissima tragedia di Mestre, che ha causato numerose vittime.

“Esprimo il più profondo cordoglio, mio personale e del governo tutto, per il grave incidente avvenuto a Mestre. Il pensiero va alle vittime e ai loro famigliari e amici. Sono in stretto contatto con il sindaco Luigi Brugnaro e con il ministro Matteo Piantedosi per seguire le notizie su questa tragedia”. Lo dichiara la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

La testimonianza di un vigile del fuoco: ‘Ci sono troppi morti’

“Ci sono tanti morti, troppi”. Sono le prime parole di un vigile del fuoco che si è allontanato per qualche minuto della zone di operazioni di recupero del pullman precipitato a Marghera. La zona è presidiata dalle forze dell’ordine che non fanno entrare nessuno. Ci sono almeno 50 ambulanze.

“Ci uniamo al dolore delle famiglie; tragedie come questa non dovrebbero mai verificarsi – affermano all’unisono Alberto Pallotti, presidente dell’Associazione Unitaria Familiari e Vittime della Strada Odv e dell’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada Odv, ed Elena Ronzullo, presidente dell’Associazione Mamme Coraggio e Vittime della Strada Odv -. C’è sempre qualcosa che non va nella sicurezza stradale. È questo il motivo per il quale chiediamo da anni controlli serrati. Dopo quanto accaduto ad Avellino, a Genova ed a Verona, anche oggi abbiamo dovuto leggere un’altra catastrofe inaspettata. Lanciamo un monito affinché questa mattanza finisca e tutti gli utenti della strada abbiano più consapevolezza delle responsabilità che ricoprono alla guida. Non condanniamo nessuno, ma ci appelliamo al governo affinché ponga la giusta attenzione sull’omicidio stradale, le pene da applicare ed i controlli da eseguire”.

Continua a leggere

Cronaca

Migranti, 5mila euro per la libertà: è scontro tra Governo e Magistratura

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print

Tre migranti tunisini escono fuori dal centro per il rimpatrio di Pozzallo su decisione del tribunale di Catania

Ad essere messo in discussione è il trattenimento dei richiedenti asilo provenienti dai cosiddetti Paesi sicuri, che sono in attesa dell’esito della procedura di frontiera accelerata, e la relativa cauzione di cinquemila euro per rimanere in libertà: secondo il giudice è illegittima e confligge con la normativa dell’Unione europea oltre a non essere in linea con i principi costituzionali.

È quanto basta per innescare uno scontro e rinnovare polemiche tra esponenti della maggioranza di governo e la magistratura.

E il Viminale ha già annunciato un ricorso. Il ministro Matteo Salvini, riportando su X le motivazioni addotte dal giudice, conclude che “serve una profonda riforma della giustizia” mentre la deputata di Fratelli d’Italia, Sara Kelany, responsabile del dipartimento immigrazione del partito, bolla come “decisioni politiche e ideologiche” le mancate convalide di trattenimento. “Spiace dover constatare come ancora una volta si pieghi il diritto all’ideologia”, aggiunge.

Ma il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, al contrario sottolinea: “Noi non partecipano all’indirizzo politico e governativo, facciamo giurisdizione. È fisiologico che ci possano essere provvedimenti dei giudici che vanno contro alcuni progetti e programmi di governo. E questo non deve essere vissuto come una interferenza, questa è la democrazia”. A difendere il provvedimento del giudice etneo l’opposizione con i Radicali (“ha fermato l’escalation razzista”), il leader di Si Fratoianni (il governo è contro la legge), il deputato del Pd Mauri (“una decisione solida”), il parlamentare di M5S Colucci e il deputato di Avs Bonelli. La decisione del magistrato, Iolanda Apostolico, è arrivata appena cinque giorni dopo l’inaugurazione della stessa struttura a Pozzallo, una parte della quale – circa ottanta posti – è destinata proprio ad ospitare le persone sottoposte alla procedura di frontiera accelerata: Sarebbe il primo centro destinato a questo tipo di misure che in genere, nei casi di migranti provenienti da Paesi ritenuti sicuri con i quali non vi siano specifici accordi, preludono ad un rimpatrio.

A disporre il trattenimento del gruppo di tunisini arrivato lo scorso 20 settembre a Lampedusa era stato, come da prassi, il questore di Ragusa, in attesa della decisione del giudice, il quale però poi non ha convalidato il provvedimento. La vicenda rischia di mettere in discussione, stando ai rilievi del giudice, i recenti provvedimenti del governo e lo stesso decreto Cutro. Il ministero dell’Interno, annunciando che ricorrerà contro la decisione del tribunale di Catania, sottoporrà quindi al vaglio di un altro giudice la fondatezza dei richiami giuridici contenuti nei provvedimenti. Fonti vicine al dossier migranti sottolineano che “la procedura accelerata di frontiera è uno degli aspetti che, già contenuto nella direttiva europea 2013, trova oggi l’unanime consenso dei Paesi europei nell’ambito del costruendo nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo e che il governo italiano ha disciplinato nel decreto Cutro”. Resta da capire ora, dopo il provvedimento del Tribunale di Catania, nel caso di nuove ondate di migranti provenienti dai Paesi cosiddetti sicuri come la Tunisia (con la quale l’Italia ha specifici accordi per il rimpatrio) quali saranno le decisioni dei giudici, anche di altri Tribunali, alle prossime richieste di convalida di trattenimento. Nuovi centri come quello inaugurato a Pozzallo sono comunque già in allestimento, destinati a questo tipo di misura.

Continua a leggere

Castelli Romani

Castel Gandolfo, nuova vita per la vecchia stazione di alimentazione tramviaria

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print

Da stazione di alimentazione tramviaria a nuovo polo polifunzionale per la Città di Castel Gandolfo. È il progetto che al centro dell’incontro che si è tenuto il 27 settembre a Roma nella sede di Cotral Spa e a cui hanno preso parte per il Comune di Castel Gandolfo il Sindaco Alberto De Angelis e l’Assessore ai Trasporti e alla Tutela del Paesaggio Tiziano Mariani, il Preside della Facoltà di Architettura dell’Università di Roma La Sapienza Professor Orazio Carpenzano, e i referenti di Cotral Spa la Dott.ssa Loredana Di Guida e l’Ingegnere Andrea di Gianni.

Il progetto prevedrà il recupero e il rifunzionamento della Stazione di Alimentazione Tramvia dei Castelli Romani che mira a definire un nuovo spazio flessibile destinato a mostre, piccole esposizioni, conferenze e corsi di formazione, oltre a una foresteria e a dei spazi di servizio.

“Ringrazio la Presidente di Cotral spa Amalia Colaceci per aver ideato, insieme al Preside di Architettura dell’Università La Sapienza, quest’intervento di riqualificazione che, da qui ai prossimi anni, darà alla nostra Città una nuova struttura polifunzionale destinata ad ospitare eventi e iniziative culturali e di formazione, dotando Castel Gandolfo di un centro di aggregazione, crescita e valorizzazione a beneficio di tutta la nostra comunità”, ha dichiarato il Sindaco Alberto De Angelis.

Mediante questo incontro congiunto che si è tenuto oggi – ha aggiunto l’Assessore Tiziano Mariani – ci impegniamo come Comune a fornire tutto il supporto necessario per avviare l’iter procedurale per la ristrutturazione integrale e la riqualificazione dell’immobile oggi esistente. Sarà un progetto in tandem, con Cotral Spa che finanzierà tutti i costi di realizzazione e con l’Università che parteciperà attraverso lo studio di ristrutturazione.

“Riprendendo le parole del Preside Carpenzano durante l’illustrazione del progetto, un’opera normalmente viene progettata per essere vista, in questo caso sarà anche un bellissimo punto di osservazione verso l’esterno, sullo spazio esterno, su Castel Gandolfo e sul paesaggio a valle”, ha concluso il Sindaco.

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti