PentaLega, nascita dì un governo asfittico: tra neo eletti che “tengono famiglia” e i galli d’Europa

Calato il sipario sulla pantomima Berlusconi no, Di Maio premier si. Calate le braghe di Silvio fin sotto le caviglie non si fa più caso dei “passi a lato” e di quelli all’indietro. Scene già viste nel recente passato. E’ capitato a D’Alema, quando Giuliano Pisapia gli aveva chiesto di fare un passo di lato per ricostruire il centrosinistra, che aveva risposto: ”C’é chi mi chiede un passo in avanti, chi uno indietro, e c’é chi mi chiede un passo di lato. Sembra di essere alla scuola di tango”.

Stavolta tocca ad altri ballare il tango

Tante parole al vento, frasi in libertà, un festival dei neologismi. Governo di servizi oppure di tregua oppure di benevolenza oppure del presidente.
Berlusconi dà l’ok a un governo Lega-M5S ma non darebbe la fiducia, un vero rebus, un nonsenso comprensibile solo da pochi intelligenti. Tante sciatterie, improvvisazioni e manifesta incoerenza che fa arrossire la dea ragione. Questo governo, qualora dovesse vedere la luce sarebbe sempre un aborto, in parte procurato ed in parte spontaneo. L’unione tra Lega e M5S è artificioso e non può essere feconda. Il seme del movimento grillino non potrà mai fecondare il sogno del Carroccio. Per dirne una: stipendio di cittadinanza e flat tax sono inconciliabili, uno è lo zenit e l’altro il nadir.

E’ riemerso lo stratagemma del 1974

E’ tornato lo spauracchio psicologico. Lo spread, il Pil, i consumi, la disoccupazione, l’Istat e l’Eurostat, situazioni molto familiari alla gente, che li vive quotidianamente. S’affacciano in scena anche loro, i galli dell’Europa, cantando il vecchio ritornello del ’74 e Berlusconi ancora una volta viene costretto a fare un passo indietro. C’è sempre un Giorgio Napolitano nella presidenza della Repubblica e Sergio Mattarella con tanta diplomazia, correttezza costituzionale e impiegando il potere di persuasione che è proprio del presidente, convince Silvio a compiere il passo indietro, così guadagnando una manciata di giorni, quei tanti che bastano per fare scadere i termini regolari per nuove votazioni a luglio.

Oramai se ne riparlerà tra ottobre e dicembre prossimi

Tutti gli eletti il 4 marzo tengono famiglia e sarebbe molto ingenuo pretendere che questi mollino “la poltrona certa” rinunciando a quello che rappresenta, cioè: un’indennità lorda mensile di 11.703 euro, più una diaria di 3.503,11 e un rimborso per spese di mandato di 3.690 euro per non contare 1.200 euro annui di rimborsi telefonici e un rimborso che va da 3.323,70 fino a 3.995,10 euro ogni tre mesi per i trasporti.

Che hanno scritto in faccia questi signori: giocondi a rinunciare?

Poi c’è l’Europa, i mercati, la Merkel, Macron, la vecchia politica che come un fiume carsico lavora sotto suolo. La paura anche per i politici fa novanta perché sono consapevoli che richiamare gli elettori alle urne a poca distanza dalle ultime elezioni abortite non è per niente igienico. Senza dubbio, al contrario dei pronostici, saranno penalizzati tutti i partiti tanto più che la gente sta imparando che il loro voto conta fino ad un certo punto, quanto il due di coppe quando regna spade nel gioco della briscola. Come volevasi dimostrare questo governo rabberciato s’ha da fare. Mattarella ce l’ha dato e noi ce lo dobbiamo tenere.

Emanuel Galea