POMEZIA E ARDEA SPIAGGE: FRA PECORE SGOZZATE E SCAVI ARCHEOLOGICI PARALIZZATI IMPERA L'ABBANDONO

di Maria Lanciotti

Pomezia / Ardea (RM) – Tornassero gli antichi romani ci metterebbero in croce. Loro non ci andavano tanto per il sottile, e forti del Diritto applicavano ai tempi loro la legge del taglione. Nel caso nostro, potendo, ci condannerebbero con la seguente motivazione: tu m’hai distrutto l’Impero e io ti distruggo.
Pensieri ameni camminando su una delle spiagge più belle della costa laziale, e anche fra le più disastrate, nel tratto fra Torvajanica nel comune di Pomezia e il territorio nel comune di Ardea.

Anno dopo anno la spiaggia risente di un abbandono che non si può descrivere, si deve respirare quell’aria infetta per capire, calpestare rifiuti e carogne per credere, sfiorare l’acqua satura di veleni e vuota di vita per afferrare la portata del dramma.

I pescatori per hobby continuano a raschiare il fondo, mentre i pescatori per professione campano alla giornata, appassionati del loro lavoro talvolta ereditato, amanti del mare di cui più di ogni altro conoscono lo stato di sofferenza sempre più avanzato. Conferma, uno di essi, l’impoverimento del fondo marino e delle risorse ittiche.

Da quelle parti, nei pressi della foce del fiume Incastro, emissario del lago di Nemi* (un fosso nero puzzolente fra canneti fittissimi) si trova pure il sito archeologico Castrum Inui, una piccola Pompei che a saperla valorizzare potrebbe far vivere di rendita il Comune che la ospita e non solo. Ma il fatto è che gli scavi partiti con ottimi esiti nel 1998, sembrerebbero abbandonati da almeno dieci anni, mentre tutto ciò che era venuto alla luce – il porto e la fortezza romana, una vasta area sacra – sta lì recintato e inaccessibile e mai un’anima che vi si avvicini, prossimo a tornare ad un secondo oblio, doloso e inqualificabile,  anche se c’è – fra gli addetti ai lavori – chi afferma che quegli scavi procedono ininterrottamente sebbene molto a rilento. Una questione che andrebbe certamente approfondita, poiché quel sito – posto fra Ardea e Tor San Lorenzo – rappresenta la sola eccellenza del luogo, che ahimè sempre più si va confondendo con il degrado generale che impera nella terra dei Rutuli.
 

*Antonio Nibby, Analisi storico-topografico-antiquaria della carta de' dintorni di Roma, Roma 1848, tomo II pag. 155:
"[L'Incastro] È il fiume più considerabile che sbocchi nel mare dopo il Tevere andando da Roma fino all'Astura imperciocchè è formato in origine dallo scolo del lago nemorense e raccoglie tutte le acque, che scendono dalle pendici meridionali di Albano, Ariccia, e Genzano, e che si raccolgono insieme sotto
Ardea. […]. Il suo nome suol derivarsi dall'incastro della rifolta [N.d.R.: la "rifolta" è un sistema di chiuse destinato a regolare il flusso di acque correnti per uso industriale, come nel caso delle mole] della mola di Fonte di Papa; ma […] io sono di opinione, che [il suo nome] derivi da un fatto più antico; imperciocchè questo fiume scorre sotto le pendici dall'antica Terra di Castrum lnvi, la quale era situata non lungi dalla sua foce, cioè fra Ardea ed il mare: veggasi l'articolo CASTRVM INVI; onde si disse il fiume dell Invi-castro e poscia dell'Incastro."

Oggi, a causa dell'abbassamento del livello, non raccoglie più le acque del lago di Nemi (da almeno trenta anni), ma solamente quelle che si originano dalle pendici occidentali del vulcano laziale (Albano, Ariccia, Genzano)