di Angelo Barraco
Pordenone – Ci sono importanti novità in merito alle indagini sul delitto misterioso delitto di Trifone e Teresa. Come è ben noto ai rigori della cronaca, Giosuè Ruotolo, 26enne di Pordenone che è stato iscritto nel registro degli indagati. L’uomo è un commilitone di Trifone, che era un sottoufficiale. L’uomo era stato sentito nei mesi scorsi e secondo le ipotesi avvalorate al momento, avrebbe agito da solo. Non è dato sapere il movente di tale gesto. Il Procuratore di Pordenone, Marco Martani, ha riferito: “l'inchiesta e' in una fase molto delicata. Posso solo confermare che all'interessato e' stato notificato il provvedimento e ha nominato un legale”.
Sul sopralluogo svolto nel luogo del delitto, l’avvocato di Giosuè Ruotolo ha riferito ai microfoni di Rai 3: “Noi abbiamo condotto un sopralluogo con i nostri consulenti tecnici per poter ricostruire i passaggi del ragazzo sul luogo del delitto. Ma stiamo procedendo 'a scatola chiusa' perche' gli atti delle indagini sono totalmente secretati” aggiungendo inoltre “ chiaro che gli inquirenti stanno facendo il loro lavoro e lo stanno facendo anche bene, ma e' evidente che in questo momento poter stabilire una strategia difensiva che possa anche essere coerente con la necessita' del ragazzo di uscire da questa vicenda, e' molto difficile perche' non e' possibile per noi poter acquisire informazioni utili” ma ha voluto precisare che “Quanto e' stato fatto nell'arco dei primi sei mesi di indagine a noi e' sconosciuto. Non abbiamo diritto di accedere agli atti che sono coperti da segreto istruttorio”. Ha poi confermato la presenza del suo assistito sul luogo del delitto, puntualizzando “come era lui la' quella sera c'erano anche altre 500 persone potenziali”. Sono in corso le analisi sulla Beretta 7.65 per eventuali tracce, anali anche sui vestiti e sull’auto di Ruotolo. Sotto la lente d’ingrandimento anche l’interrogatorio fatto a Ruotolo la sera scorsa. I legali del giovane sostengono che non esistono assoluta mentente tracce del giovane riconducibili al delitto, i contatti sarebbero stati casuali.
In merito alla posizione di Giosuè Ruotolo, il procuratore di Pordenone Marco Martani, al termine dell’interrogatorio a Ruotolo, ha riferito: “Non sono stati assunti provvedimenti restrittivi, ma valuteremo nei prossimi giorni l'intero contenuto delle dichiarazioni rese” ha aggiungo inoltre “l’indagato contrariamente a quanto affermato nelle dichiarazioni rese come persona informata sui fatti, ha confermato di essere stato presente nella zona del palazzetto dello sport la sera del duplice omicidio”. Il procuratore Martani aggiunge anche un particolare importante sui movimenti di Ruotolo di quella sera: “Ruotolo ha detto di essersi recato all'impianto sportivo per andare in palestra ma di non aver trovato parcheggio e quindi di aver preferito fare ritorno verso casa. L'indagato ha anche affermato di essersi fermato effettivamente per qualche minuto all'esterno del parco di San Valentino per fare della pratica sportiva, ma di avere poi desistito quasi subito”. Nella tarda serata di ieri è stato effettuato un sopralluogo nella zona in cui si è consumato il duplice omicidio. Erano presenti il sostituto procuratore di Pordenone e gli avvocati di Ruotolo che sono andati anche nel parco San Valentino. Il sopralluogo è stato un esperimento ed è stato percorso il tratto di strada che va dal palazzetto dello sport dove Ruotolo aveva sostato con la macchina fino alla zona dove è stata rinvenuta l’arma. Tale percorso è servito per dimostrare che per coprire la distanza servono più dei sette minuti che hanno immortalato l’automobile di Ruotolo. Il legale dell’indagato ha riferito che verrà chiesta una perizia sul percorso e un incidente probatorio, inoltre verrà effettuata una perizia sulle videocamere poiché riportano orari differenti.
Ritrovamento arma. L’iscrizione dell’uomo nel registro degli indagati arriva dopo mesi di assoluto silenzio insieme ad un’altra notizia importante, qualche giorno fa invece sono cominciate le ricerche presso il laghetto del parco di San Valentino di Pordenone. Le ricerche nel laghetto hanno dato esito positivo poiché i sommozzatori dei Carabinieri, dopo giorni di ricerche, hanno rinvenuto un oggetto riferibile al caricatore della pistola 7,65 usata per uccidere la coppia. Sulla scoperta c’è l’assoluto riserbo e l’unica conferma che è stata data riguarda il ritrovamento ma non è stato detto altro. Il parco in cui si trova il laghetto è distante meno di duecento metri dal luogo del delitto e l’ipotesi avvalorata è che il killer abbia gettato l’arma per evitare posti di blocco e sia passato proprio da li. Ma come si collega la beretta 7,65 a Giosuè Ruotolo? L’arma è stata rinvenuta smontata, gli inquirenti l’hanno rimontata tutta, hanno caricato un colpo e, malgrado l’arma sia molto vecchia, hanno potuto accertare la sua perfetta funzionalità. Allo stato attuale c’è una fitta cortina di mistero su chi o come gli inquirenti siano arrivati alla scoperta dell’arma. Ma c’è una novità, la beretta è dotata di matricola e proprio tramite di essa, a quanto pare, si è risaliti a Ruotolo poiché apparterrebbe alla collezione d’armi d’epoca della famiglia.
Storia del delitto. Il 17 marzo scorso nel parcheggio del palasport di Pordenone si è consumato l’atroce delitto di Trifone Ragone e Teresa Costanza. Un omicidio efferato compiuto in un luogo che avrebbe potuto portare ben presto alla risoluzione del caso ed invece non è stato così. I due fidanzati sono stati rinvenuti cadaveri all’interno di un automobile parcheggiata nel piazzale antistante il palazzotto dello sport di Pordenone. Ricordiamo che Trifone Ragone era un Sottoufficiale dell’Esercito e prestava servizio al 132/o Reggimento Carri di Cordenons. L’allarme è stato lanciato da un istruttore di judo che ha notato la macabra scena dopo essere uscito dal palazzetto dello sport dopo aver fatto allenamento. I fidanzati presentavano colpi di arma da fuoco alla testa. Poco prima che vi fosse il ritrovamento da parte dell’istruttore di Judo, un uomo aveva sentito delle urla. Inizialmente si ipotizzava l’omicidio-suicido, poi lo scenario è cambiato, e il Procuratore della Repubblica di Pordenone Marco Martani afferma che non si tratta di omicidio-suicidio bensì di duplice omicidio. I dubbi sull’accaduto sono stati chiariti dopo aver analizzato bene la scena. All’interno dell’automobile della coppia non è stata trovata l’arma, ciò dimostra che non si sia trattato di un gesto estremo dei ragazzi. La donna è stata raggiunta da tre proiettili alla testa, l’uomo invece da un proiettile. Tutti i colpi sono stati sparati dalla stessa arma, una calibro 7,65. L’autopsia ha confermato quanto emerso dalla tac cranica eseguita all’indomani dell’omicidio; sei colpi sparati di cui tre hanno colpito lui; uno alla tempia e due alla mandibola. Si ipotizza che Trifone sia stato colpito mentre passava dal lato guida al lato passeggero e non si sia accorto di essere stato colpito, la ragazza invece, si ipotizza, che abbia visto il killer e abbia cercato di mettere in moto la macchina ma invano; ciò sarebbe dimostrato dal fatto che un colpo che è stato schivato, ma gli altri due, non hanno dato scampo alla vittima. L’autopsia ha escluso che la donna fosse incinta.
Dopo l’esame autoptico si è passati ad una scoperta importante, gli uomini del Reparto di Investigazioni Scientifiche dell’Arma effettuarono sopralluoghi presso la casa della coppia pochi giorni dopo l’omicidio ed effettuarono anche esami scientifici all’interno dell’auto della coppia uccisa, i Carabinieri del Ris di Parma hanno trovato delle tracce biologiche diverse rispetto a quelle delle due vittime, si tratta di capelli che potrebbero appartenere al killer. Gli investigatori non sottovalutano il ritrovamento avvalorando la tesi che l’assassino, per sparare, sia stato costretto ad introdursi all’interno dell’auto della coppia. Ciò sarebbe confermato dalla circostanza del ritrovamento dei proiettili; soltanto uno è stato rinvenuto all’esterno dell’auto. Ma la prima delusione investigativa arriva proprio dallo strumento che poteva e doveva dare risposta in merito al tragico delitto, le telecamere. Il sistema di videosorveglianza non funzionava. i contenitori per le videocamere erano vuoti e non vi è stata alcuna ripresa, gli obiettivi non ci sono e i cavi sono scollegati. Le quattro telecamere indispensabili davano sul parcheggio, ma non riprendevano nulla, non ha mai funzionato.
Le novità sul caso. Ma pian piano saltano delle novità, quarto nuovo testimone che, secondo indiscrezioni, era a pochi metri dal luogo del duplice delitto perché stava posando il suo borsone in auto poiché anch’esso frequenta la palestra di arti marziali. Il testimone avrebbe sentito lo sparo ma in quel momento sarebbe rimasto sorpreso ed incredulo all’idea che nella tranquilla Pordenone potesse avvenire un omicidio e qualcuno potesse impugnare un’arma e sparare tant’è che gli spari gli sono sembrati petardi. L’uomo è stato ascoltato dagli inquirenti e la sua versione coincide con le dichiarazione rilasciate dall’amico della coppia che si trovava nel parcheggio e che li ha visti per ultimo, coincide con la testimonianza del runner che anch’esso ha dichiarato di aver scambiato gli spari per petardi e coincide con la dichiarazione del pesista che ritiene di aver sentito la stessa cosa. Vi era un buco di due ore di Teresa che, quando è uscita dall’ufficio e ha finito di lavorare ha disdetto il pranzo di lavoro. Questo gap è stato accertato dalle telecamere del Comune di Pordenone che, dopo essere state analizzate dalla Polizia, hanno fatto emergere, senza ombra di dubbio, che Teresa, nel momento in cui è uscita dall’ufficio al termine della mattinata lavorativa e nel momento in cui ha disdetto il pranzo è andata a casa. Dalle telecamere infatti la sua Suzuky Alto Bianca viene vista alle 14.43 ferma all’incrocio tra Via Grigoletti e Via Montereale, quindi minuti dopo la sua macchina viene inquadrata in Via Cavallotti. Quest’ultima strada viene percorsa dalla donna anche la mattina per recarsi in ufficio e tale circostanza è confermata dall’immagine che immortala la presenza dell’auto della donna alle 9.15 che percorre la strada.
Altra novità sul caso è la diffusione dell’identikit sul presunto killer della coppia. L’identikit è stato fatto grazie alla segnalazione dei cittadini che hanno visto persone sospette aggirarsi nei pressi della palestra nel periodo successivo all’omicidio. Il procuratore Marco Martani aveva lanciato il seguente appello ai cittadini di Pordenone: “Se avete visto qualcosa di strano parlate” e il risultato è stato l’identikit venuto fuori, sono emersi anche dettagli sui tratti somatici dell’uomo; l’uomo avrebbe un neo sulla guancia. Gli inquirenti hanno ricostruito anche l’abbigliamento e la fisionomia, il giovane avrebbe occhi chiari e – come visibile nell’identikit – aveva un cappello di lana fino alla fronte.
Piste investigative. Numerose le piste investigative analizzate dagli inquirenti, in primis le trasferte della coppia in Svizzera, l’ipotesi è che i viaggi potessero essere legati al mondo degli anabolizzanti o ad interessi economici. Sul profilo facebook della donna è apparsa una minaccia scritta da un 20enne kosovaro che ha scritto: “Ti sta bene, così non vai più in discoteca”. Un aspetto che stavano vagliando però, è quello che il giovane possa aver visto o sentito qualcosa che ha compromesso definitivamente la sua vita e quella della sua compagna. Tale ipotesi potrebbe risultare attendibile poiché la ragazza poco prima si era recata in quel luogo e aveva parcheggiato lì. Ciò dimostra che se l’assassino aveva come obiettivo la donna, avrebbe potuto agire nel momento in cui lei era più vulnerabile. La pista passionale è stata analizzata ma senza riscontri, analizzando il passato delle vittime è emerso che Teresa faceva la cubista e/o ragazza immagine con lo pseudonimo di “Greta”. I due ragazzi erano frequentatori di locali notturni, da quanto emerso. Al setaccio vi sono state le email e gli sms dei ragazzi per constatare la presenza o meno di qualcosa di anomalo. La pista mafiosa è stata ipotizata perché lo zio di Teresa Costanza, Antonio Costanza (zio del padre), nel 1995 era sparito, vittima di lupara bianca. I pentiti, in merito alla scomparsa dell’uomo hanno detto che fu ucciso e sepolto in un terreno di Campofranco. La sua morte sarebbe stata decisa da Cosa Nostra perché il soggetto fu indicato come spia che indicava agli investigatori il nascondiglio del boss.