Prezzi del cibo, aumenti dal 50 al 150 percento: Coldiretti Lazio chiede alla Regione lo stato di crisi del settore agricolo

Granieri: “Dalla fine di novembre ad oggi ci siamo trovati con la moltiplicazione dei costi di produzione, causati da scompensi internazionali di cui per primi gli agricoltori fanno le spese”

Dalla pandemia al conflitto in Ucraina, che ha fatto lievitare ulteriormente i prezzi del cibo, con il costo delle materie prime, già prima della guerra, arrivato ad un aumento che va dal 50% al 150%. Due anni da incubo che hanno spinto Coldiretti Lazio a chiedere alla Regione lo stato di crisi del settore agricolo. 

In questa situazione decisamente complessa e complicata – spiega il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri – abbiamo chiesto lo stato di crisi, con l’impegno di un confronto utile alla ricerca di soluzioni che ci possano aiutare a consentire la vita dell’agricoltura e dunque anche la cura dei territori della Regione Lazio”.

Dalla zootecnia che non riesce più sostenere i costi per l’acquisto dei mangimi per il bestiame e deve fare i conti con le speculazioni, all’ortofrutta con i prezzi del gasolio agricolo triplicato per i trattori, così come per i fertilizzanti. Dal florovivaismo che necessita di scaldare le serre e fa fatica a saldare le bollette dell’energia elettrica e gas ormai lievitati, al grano che ha messo a segno un aumento del 40,6% in una settimana per un valore ai massimi da 14 anni di 12,09 dollari per bushel (27,2 chili) che non si raggiungeva dal 2008. Non è esclusa la pesca con i prezzi del gasolio arrivato a +90, che costringe i pescherecci italiani a navigare in perdita o a tagliare le uscite. Tutto questo favorisce anche l’importazione di prodotti stranieri. 

“Non c’è una sola filiera – spiega il presidente di Coldiretti Lazio – che non sia stata toccata prima dalla crisi economica determinata dal Covid e ora dalle ripercussioni del conflitto in Ucraina. Una situazione insostenibile per gli agricoltori, che da due anni cercano di rialzarsi a fatica e poi ricadono inevitabilmente, schiacciati da una situazione che non consente loro di essere ripagati neanche dai costi sostenuti per la produzione. Eppure durante la pandemia l’agricoltura non si è mai fermata e gli agricoltori hanno continuato a lavorare per garantire il cibo sugli scaffali dei negozi e dei supermercati, nonostante abbiano perso anche molto prodotto per le continue chiusure e riaperture di bar e ristoranti”. 

Due anni che pesano enormemente sulla filiera agroalimentare che assorbe da sola il 10% dei consumi energetici, il caro energia mette a rischio le forniture di cibo e alimenta le speculazioni, con costi insostenibili per gli agricoltori e l’inflazione nel carrello della spesa con prezzi troppo alti per cinque milioni di italiani, che sono già nell’area della povertà alimentare.

“In un momento di grandi tensioni internazionali – continua Granieri – come quello che stiamo vivendo deve essere centrale e prioritario il tema della sovranità alimentare per non dipendere dall’estero. In questo scenario dobbiamo necessariamente garantire la sostenibilità finanziaria delle aziende che possa consentire agli agricoltori e agli allevatori di continuare a lavorare. I prezzi non devono e non possono scendere sotto i costi di produzione”.

Dalla fine di novembre ad oggi “ci siamo trovati con la moltiplicazione dei costi di produzione, causati da scompensi internazionali – conclude Granieri – di cui per primi gli agricoltori fanno le spese. Il primo anello della filiera resta il più debole, soprattutto quando la grande distribuzione non sostiene alcun aumento per non mettere in difficoltà il consumatore finale. Come due anni fa ci stiamo trovando a pagare le conseguenze di un conflitto internazionale, rispetto al quale gli aumenti delle materie prime, usate in agricoltura ogni giorno, lievitano in modo smisurato. Questi aumenti stanno gravando in modo trasversale su ogni settore”.