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1 mese faon
Un richiamo al silenzio, condito da ironia e minacce: “Calmatevi e pensate finalmente ai vostri problemi”. Così Vladimir Putin ha liquidato gli allarmi lanciati nelle ultime settimane dalle cancellerie europee sul rischio di un attacco russo diretto contro i Paesi membri della Nato. Una possibilità che, sostiene il presidente russo, “non credono nemmeno loro stessi”. La cornice scelta dal Cremlino non è casuale: la conferenza del Club Valdai a Sochi, appuntamento ormai tradizionale in cui Putin alterna riflessioni storiche, riscrittura del passato e stoccate geopolitiche. Davanti a un pubblico selezionato di accademici e giornalisti, il leader russo ha messo in chiaro due punti: Mosca non ha intenzione di attaccare l’Europa, ma si riserva di rispondere con “azioni convincenti” al percorso di militarizzazione che vede nei progetti occidentali, come il cosiddetto “muro di droni” e l’uso dei capitali russi congelati per armare Kiev.
Il discorso arriva a poche ore dalle dichiarazioni del premier polacco Donald Tusk, che al vertice della Comunità politica europea di Copenaghen aveva avvertito: “Siamo già in guerra con Mosca. È un nuovo tipo di conflitto, complesso e lungo. Se l’Ucraina perde, sarà anche la nostra sconfitta”. Putin, ribaltando la prospettiva, ha replicato: “Tutti i Paesi Nato sono in guerra con la Russia e non ne fanno segreto”. Secondo il Cremlino, infatti, gli istruttori occidentali non si limiterebbero all’addestramento delle forze armate ucraine, ma parteciperebbero alle decisioni operative sul campo. Una linea che conferma la strategia russa: presentare la guerra non come uno scontro bilaterale con Kiev, ma come una battaglia esistenziale con l’intero Occidente.
Mentre Putin deride i timori europei, i vertici dell’Alleanza Atlantica alzano il livello di allerta. “Siamo tutti in pericolo”, ha avvertito il segretario generale Mark Rutte in un’intervista al Tg1. “I missili ipersonici russi potrebbero raggiungere Roma, Amsterdam o Londra a cinque volte la velocità del suono”. Parole che danno la misura del clima: da una parte l’Europa che teme l’escalation e ribadisce il sostegno a Kiev, dall’altra la Russia che smentisce intenzioni offensive, ma contemporaneamente ricorda di poter colpire ovunque.
Sul fronte americano, Putin ha scelto toni più concilianti, soprattutto verso Donald Trump, probabile avversario di Joe Biden alle presidenziali del 2025. Ha definito “razionale” l’approccio dell’ex presidente, attento a difendere gli interessi del proprio Paese, e ha ribadito che Mosca “vuole ristabilire relazioni piene con gli Stati Uniti”. Ma la mano tesa è accompagnata da un avvertimento: il portavoce Dmitry Peskov ha già annunciato “risposte appropriate” se Washington dovesse fornire a Kiev i missili da crociera Tomahawk, capaci di colpire obiettivi fino a 2.500 chilometri di distanza.
Non poteva mancare il riferimento all’arma atomica, sempre evocata senza mai nominarla direttamente. Putin ha accusato l’esercito ucraino di aver colpito nei pressi della centrale nucleare di Zaporizhzhia, sotto controllo russo e senza fonti di energia esterne da oltre una settimana. Poi la minaccia, appena velata: “Anche loro hanno centrali nucleari sul loro territorio. Cosa ci impedirebbe di reagire?”. Un passaggio che conferma come l’infrastruttura energetica resti uno dei nervi più scoperti del conflitto.
Come da tradizione del Valdai, il leader russo ha voluto inquadrare la crisi in una prospettiva storica: “Due volte la Russia ha dichiarato di essere pronta a entrare nella Nato, ma l’Occidente ha rifiutato”. Una versione che contrasta con la realtà dei fatti, ma che risponde a un obiettivo preciso: dipingere Mosca come un attore respinto, costretto a scegliere la via della forza. “Senza la Russia non può essere garantito un equilibrio globale”, ha insistito.
La conclusione è stata un monito: “La Russia non mostrerà mai debolezza o indecisione. La nostra storia ha dimostrato che la debolezza è inaccettabile, perché crea l’illusione che i problemi con noi possano essere risolti con la forza. Se ne ricordino coloro che coltivano sogni di infliggerci una sconfitta strategica”. Parole che oscillano tra la sfida e la minaccia, come a dire che ogni concessione sarebbe letta come un segno di resa.
Il messaggio uscito da Sochi ha due letture. Sul piano esterno, Putin prova a rassicurare — o meglio, a irridere — l’opinione pubblica europea, negando l’intenzione di un attacco diretto. Ma lo fa mentre evoca la possibilità di colpire le centrali nucleari ucraine e avverte che i missili russi possono raggiungere le capitali europee in pochi minuti. Sul piano interno, invece, il discorso serve a ribadire l’immagine di una Russia accerchiata e mai disposta ad arretrare. Il risultato è una narrativa che si ripete da mesi: l’Occidente come aggressore, la Nato come parte belligerante, l’Ucraina come semplice pedina. Una retorica che rafforza la coesione del fronte interno russo, ma che allo stesso tempo contribuisce a tenere l’Europa in una tensione permanente.
La partita resta aperta, e il Valdai di Sochi ne è stato l’ennesimo capitolo: tra segnali di dialogo con Washington e nuove minacce al fianco orientale dell’Europa, Putin si conferma maestro nel tenere alta la pressione, senza mai scoprire del tutto le proprie carte.
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