QUELLI CHE BALLANO SULLE MACERIE

di Federico Altea

Tutti coloro che, stufi e delusi dalla politica, se ne disinteressano, probabilmente sbagliano. Montanelli insegnò a turarsi il naso ed a votare il “meno peggio”. Eppure accade che la realtà sia, per la cittadinanza, di una rassegnata disperazione, nonostante le penne dorate dei grandi quotidiani come quella del Ferruccio nazionale che il 19 maggio sul Corriere esalta (senza esporsi al patriottismo, per carità!) l’Italia e soprattutto gli italiani.

Per chi a cagione di fortunate contingenze anagrafiche ha potuto infiammarsi gli animi in gioventù militando in un partito, oggi, salvo l’eccezione dei 5 Stelle, è difficile immaginare che voglia ancora applicarsi in politica senza ottenere un tornaconto personale. Così come non si applica in politica il giovane che voglia agire per qualche senso di amor di patria o di territorio. Lo si capisce guardando alle azioni dei partiti del rimborso elettorale e delle segreterie factotum che si occupano di gestire i danari ottenuti illegittimamente in spregio del referendum del ’95 e di nominare i parlamentari della Repubblica nei listini bloccati. Anche a livello locale le medesime questioni si ripropongono, non per un posto al vertice di un istituto bancario … s’intende, ma comunque per un favore a destra ed uno a manca, ed il discorso sostanzialmente non cambia. Chi alimenti ancora nella sua dimensione privata un qualche ideale fa fatica a trovare il coraggio di manifestarlo: chi ad esempio ha oggi l’ardire di raccogliere quella sfida che Pasolini lanciò al ragazzo fascista, quando lo s’implorava di operare come defensor cives di fronte all’imperante dittatura del consumo?  Nel nostro tempo il consumismo prende le pieghe della voracità della vita online e della pochezza dei rapporti interpersonali. Oggi il consumismo prende le fattezze della mala politica e della politica per interesse, del compromesso sempre e comunque.

Quell’ “all’italiana” che ci accompagna sempre, nel bene e nel male e che fa sì che all’estero le persone si sincerino sempre che non le vogliamo fregare, prima di accordarci fiducia, amicizia, e spesso grande stima; perché noi italiani fuori confine diamo il meglio di noi stessi.

Un estratto da una poesia in friulano, tradotta, dove P. si rivolge al ragazzo fascista:  “(…) Tu difendi, conserva, prega: ma ama i poveri: ama la loro diversità… /… Dentro il nostro mondo, di’ / di non essere borghese, ma un santo / un soldato: un santo senza ignoranza, / un soldato senza violenza. / Porta con mani di santo o soldato / l'intimità col Re, Destra divina / che è dentro di noi, nel sonno. / Credi nel borghese cieco di onestà. / anche se è un'illusione, perché / anche i padroni hanno / i loro padroni, e sono figli di padri / che stanno da qualche parte nel mondo. / E' sufficiente che solo il sentimento / della vita sia per tutti uguale: / il resto non importa, giovane con in mano / il Libro senza la Parola. / Hic desinit cantus. Prenditi / tu, sulle spalle, questo fardello. / Io non posso: nessuno
ne capirebbe / lo scandalo (…)”.

Come possiamo difendere, conservare e pregare? Tutto è perduto, tutto è macerie: la sola ombra di onestà della politica è oggi appaltata ad un gruppo di persone che serrano nelle piazzd le loro fila di anarchici e professori d’odio, che bistrattano le istituzioni e la polizia, che usano la violenza contro uno Stato che, hanno ragione loro, è solo più parvenza di istituzione, divorato e logorato dalla corruzione imperante presente in ognuno di noi, in minimi gesti, per arrivare alle più grandi manifestazioni: quel chiudere gli occhi e schierarsi in difesa del politico indifendibile, che a due giorni dalle elezioni vuole uscire dall’euro o che si candida (si veda l’ex zarina Bresso) dopo scandali e scandali in regione in quell’Europa, con lo slogan di cambiarla, perché ormai perfino il Pd è costretto a malincuore ad ammettere che c’è qualcosa che non va, che il parlamento in Europa non conta e che la tecnobancocrazia va abbandonata per
sempre.

Trascinàti come plancton dallo spirito del tempo, questi politicastri hanno ancora la forza di farsi eleggere dai fantasmi degli perai e  da fighetti da villetta in collina che si recano a votare Pd già troppo turbati dalla novità ciarliera di un toscano buffone di corte. Nell’impossibilità ormai appurata di tornare indietro, precipitando in un pozzo e prima di schiantarci, tanto vale farci una risata, certi che le nostre voci rimbomberanno sulla pietra umida e nera, in una splendida solitudine.

Gesti enormi ed estremi come quello inverato da Dominique Venner nella cattedrale di Notre Dame vengono lasciati cadere nello stesso pozzo d’oblio, dal quale ridiamo rassegnati e volgari, antichi cimelii che discendono da fierezza mai conosciuta, che facciamo? Inneggiamo all’alcol dimenticando le vigne: dimenticando chi siamo e la terra dalla quale veniamo, bevendo scadente vino di un supermercato francese.  In un periodo come questo i senzatetto appaiono di una nobiltà d’animo, di una fierezza impenetrabile, loro: uomini senza compromesso, unici e soli.

Personaggi come Mario Adinolfi, fondatore del Pd e cattolico popolare, nella sua figura decadente di grande obeso e fine giocatore di poker americano “hold’em”, appare un rivoluzionario e viene riempito di insulti dall’intellighenzia che lui stesso ha contribuito a radunare sotto la bandiera del piddì. Rivoluzionario, Adinolfi, perché dice che la famiglia è formata da mamma, papà e figli.

Perché prima di impelagarsi in questioni dibattute come fecondazione eterologa, aborto, amniocentesi, è odiato perché del matrimonio condivide la definizione che ne danno tutti i vocabolari, cioè l’istituto giuridico (o, secondo la Chiesa cattolica, sacramento) mediante cui si dà forma legale (e rispettivamente carattere sacro) all’unione fisica e spirituale dell’uomo (marito) e della donna (moglie) che stabiliscono di vivere in comunità di vita al fine di fondare la famiglia. Allora a cosa serve oggi lanciare queste declamatorie righe contro la decadenza, se non  ad accrescere la decadenza stessa? Essere coscienti della caduta ci concederà appigli per risalire? Noi ci gongoliamo nello stare in vestaglia e guardare un bicchiere di liquore, ampollosi nelle nostre discussioni sterili, in ciabatte e davanti ad un camino, pensando che fuori cadono meteoriti.

Sperando che presto uno ci colpisca, per conferirci la dignità di un barbone. Forse però un’alternativa c’è, e va ricercata nelle parole del vecchio Ratzinger, il quale lodava il ritorno alla terra di tanti giovani: la terra che purifica, la terra che santifica. Donare la vita e assaggiare la durezza della natura potrebbe forse renderci più attaccati alle cose, meno farsescamente convinti di valere molto di più di quello che mangiamo e di quello che espletiamo, membri di un circolo ecologico che non dovremmo turbare con i nostri egoismi ed i nostri trastulli, nei quali oggi possiamo inserire, per la sua bassezza, pure la Politica.

E lasciamo i grandi centri urbani alla loro irrecuperabile corruzione.