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RAI 3, LINEA NOTTE: BIANCA BERLINGUER "TAGLIA" LA PAROLA A MICHELA MURGIA

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Tempo di lettura 5 minuti La direttrice del Tg3, stizzita, ha interrotto bruscamente il collegamento

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di Domenico Leccese

"In una trasmissione in cui si è parlato di morti e di guerra con estrema facilità non riesco a parlare del mio libro". E' quanto ha dichiarato Michela Murgia, scrittrice sarda – autrice del romanzo Chirù – ospite della trasmissione condotta da Bianca Berlinguer 'Linea Notte'. La direttrice del Tg3, stizzita, ha interrotto bruscamente il collegamento con la Murgia.

Chirù il nuovo romanzo di Michela Murgia
È il primo dopo il successo di Accabadora nel 2009, e racconta la storia tra un'attrice di successo di 38 anni e un ragazzo di 18 che sogna di fare l'artista.
È in libreria Chirù, il nuovo romanzo di Michela Murgia, un libro molto atteso che esce a sei anni dal grande successo di Accabadora. Chirù è ambientato ai nostri giorni e racconta il rapporto tra Eleonora, un’attrice di successo di 38 anni, e Chirù un ragazzo di 18 che sogna di fare l’artista e il musicista. Rispetto ad Accabadora – che era ambientato nella Sardegna degli anni Cinquanta e raccontava il rapporto tra una bambina, Maria, e l’anziana donna che l’aveva presa come figlia, Tzia Bonaria Urrai – in Chirù la prospettiva viene ribaltata: non è più quella di una bambina incuriosita e insieme spaventata dai comportamenti della donna che le fa da madre, ma quello di una donna incuriosita e insieme spaventata dai comportamenti di un ragazzo che ha poco meno della metà dei suoi anni. I due protagonisti si ritrovano uniti in un legame in cui le gerarchie tra maestra e allievo, e adottante e adottato, si ribaltano di continuo, e l’amore appare come una lotta di sottomissione e dominio. Il romanzo non è diviso in capitoli ma in lezioni, diciassette, e un “compimento finale”. In epigrafe c’è una frase di Federico Garcia Lorca a Salvador Dalì: «Ti ricordo sempre. Ti ricordo troppo. Figlio mio, devo pensarti bruttissimo per non amarti di piú».
Michela Murgia è nata a Cabras in Sardegna, nel 1972, prima di fare la scrittrice, ha fatto studi teologici, la cameriera e la portiera di albergo.
Il suo primo libro – Il mondo deve sapere, pubblicato da Isbn nel 2006 – era il diario di una venditrice telefonica di aspirapolveri Kirby, lavoro che Michela Murgia all’epoca svolgeva davvero. Paolo Virzì ne trasse il film Tutta la vita davanti, del 2008, con Sabrina Ferilli, Isabella Ragonese, Elio Germano e Valerio Mastandrea.
Accabadora, il primo vero romanzo di Michela Murgia, uscì nel 2009 per Einaudi. Vendette più di 300 mila copie e vinse molti premi, tra cui il Campiello e il SuperMondello.
Da allora Murgia ha scritto altri libri – tra cui nel 2011 Ave Mary, un saggio sulle donne e la chiesa cattolica, e il racconto lungo l’incontro nel 2012 – ha contribuito a varie antologie, scritto tabella su molti giornali, vinto premi e partecipato a migliaia di incontri pubblici, nel 2014 si è perfino candidata con una sua lista autonomista alla presidenza della Regione Sardegna prendendo il 10% dei voti e risultando terza. Ma non ha pubblicato altri romanzi.
Il testo è tratto dalla Lezione cinque: è una delle prime volte in cui Eleonora e Chirù si parlano, al Poetto, la spiaggia di Cagliari.

Andammo alla spiaggia del Poetto, il maestrale evocava gli odori dei fondali sferzando i nostri corpi con lame intermittenti di sabbia sottilissima.
Chirú aveva la spalla appesantita da una borsa piena di spartiti e le gambe gli fluttuavano nei calzoni come batacchi di una campana.
Aveva litigato con la sua ragazza e s’infervorava dicendo che era tutto finito. C’era qualcosa di primitivo nell’ansia confidenziale con cui mi si rivelava, e nell’apparenza del suo candore scorsi una spinta selvatica da bestia pronta a tutto.
Non avevo mai incontrato qualcuno così terrorizzato dall’idea dell’abbandono.

– Sembra che non so tenermi vicino nessuno.
– Forse dipende da come imposti le tue relazioni.
– Intendi quelle sentimentali?
– Tutte le relazioni sono sentimentali, Chirú.
– Non lo so, in realtà non ne ho molte… A parte Anna c’è solo Luca, il mio migliore amico.
– A diciotto anni usi ancora la categoria del migliore amico.
– Cosa c’è di strano?
– Niente, se organizzi i tuoi affetti per classifiche. Rallentò la falcata, prendendo spontaneamente la misura della mia. Mi parve un buon segnale e affondai il pungolo in quel cedimento.

– In base a cosa l’hai messo in cima alla tua lista?
– Lo conosco da quando ero bambino, siamo cresciuti nella stessa zona.
– Mi stai dicendo che è il tuo migliore amico per una coincidenza logistica?
– Abbiamo tante cose in comune, il Conservatorio, usciamo insieme…

Esitò, e la sua voce cambiò leggermente di tonalità.
Stavo imparando a capire che quando era in imbarazzo il timbro vocale gli diventava instabile e i toni gravi della baritonalità si alternavano a note acute quasi femminee, più marcate in prossimità di una risata.
Gli spiai il profilo. Tutto in lui appariva approssimativo, dai movimenti a grazia alterna fino all’abbigliamento privo di logica estetica.
Aveva la postura un po’ curva che avevo osservato spesso in persone più alte della media, come se la maggiore statura fisica rappresentasse un’affermazione di superbia di cui giustificarsi di continuo.
Il collo magro svettava dal giubbotto e i capelli castani erano scarmigliati oltre ogni giustificazione di vento, rigogliosi.
Sarebbe morto in molti modi, ma certamente non calvo.

Provai a rassicurarlo spostando il discorso su un terreno che potesse apparirgli meno scivoloso.

– Va bene, non è importante. Quel che conta alla fine sono i riti che condividi con queste persone.
– In che senso?
– I riti. Ce l’avrai un rituale, una cosa che fate solo tra voi.
– Non lo so. Non ci ho mai riflettuto.

Cercammo un bar dove sfuggire al vento freddo e mentre il ragazzo ordinava qualcosa da bere meditai sull’opportunità di lasciar cadere il discorso.
Ci sono cose che non diventano autentiche fino a quando non le chiami per nome, e cose che invece quando le nomini perdono ogni verità; mi sembrava che la questione dei riti fosse una di queste ultime.

Non avevo mai dovuto spiegare ad alcuno dei miei allievi una cosa così ovvia come l’esistenza di un linguaggio degli affetti. Alessandro nelle relazioni era un liturgista naturale, Teo aveva un’attitudine spiccata al gesto più opportuno e Nin mi aveva preceduto molte volte nel dettare i codici della reciproca appartenenza, rendendoli indelebili in modi di cui ancora pagavo il prezzo. Chirú però non somigliava a nessuno di loro. Somigliava a me.
A diciotto anni anch’io credevo che avrei sposato il tizio con cui stavo, che gli amici con cui uscivo sarebbero stati i pilastri della mia vita, e che la piccola e casuale rete di rapporti in cui mi muovevo sarebbe stata la base inclusiva su cui innestare tutte le relazioni future. Non avrei perso nessuno, questo credevo, e non mi passava nemmeno per la testa che i nomi delle persone che in quel momento consideravo care sarebbero stati dimenticati, i loro volti confusi con altri e le loro esistenze così lontane dalla mia da non desiderarne più alcuna notizia.
Se mi avessero detto che un giorno, in cima al cumulo dei miei cadaveri sociali, la sola cosa che avrei ricordato di quella gente sarebbero stati i riti che avevamo condiviso non ci avrei creduto.
Nessun adulto aveva mai corso il rischio di essere didascalico con me quando avevo diciotto anni, altrimenti forse qualcosa in più al momento opportuno l’avrei salvata.

Chiesi un caffè, fissai il ragazzo e andai avanti.
– Un rito è un segnale di riconoscimento reciproco. Serve a dire: tu sei mio, io sono tuo e il modo in cui lo siamo è unico al mondo.
Lui corrugò la fronte sotto il ciuffo castano, stranito dal peso di quella descrizione.
– … Accidenti. No, non credo di avere niente di simile con nessuno.

© 2015 Giulio Einaudi editore s.p.a.,
Torino Pubblicato in accordo con Agenzia Letteraria Kalama

 

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Il maternage: una pratica educativa di crescita individuale

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La relazione madre-figlio rappresenta il primo legame affettivo di un neonato.

Come afferma Bowlby, è in questa fase che la madre mette in atto una serie di comportamenti come, coccolare il proprio bambino, contenerlo e nutrirlo affinché si possa instaurare un attaccamento sicuro o insicuro.

Nell’ambito psicologico il maternage è un complesso di atteggiamenti ed azioni implicati nel rapporto madre-figlio. Tali comportamenti possono creare relazioni di dipendenza o di indipendenza. Da questi atteggiamenti il bambino costruisce il proprio io nonché la propria personalità.

Nell’ambito psicoterapico il maternage è considerato una tecnica per curare le psicosi avvenute nella prima infanzia. In questo caso il rapporto di cura si crea tra terapeuta e paziente. Il maternage, come cura del paziente da parte del terapeuta, è stato individuato da Racamier, Sechehaye e anche da Winnicott nel secolo scorso.

Il maternage nell’accezione complessa del termine è considerato un approccio, una filosofia di vita basata sulla condivisione emotiva tra due soggetti sia nell’ambito familiare, educativo che terapeutico.

Il termine maternage sottintende il prendersi cura dell’altro con delicatezza, con gentilezza e con rispetto. La tecnica del maternage è un cammino sia per il bambino che per l’adulto, è come dire “sono qui con te”, è una sorta di “formula magica”.
Il soggetto che si prende cura dell’altro funge da contenitore emotivo.
Lo studio del maternage analizza differenti pratiche diffuse nel mondo, in funzione dei modelli di riferimento definiti in base al livello di contatto: il maternage ad alto contatto, caratterizza le società tradizionali, mentre il maternage a basso contatto è tipico dei paesi industrializzati.

Tale affermazione pone in evidenza le differenziazioni culturali. Ad esempio, pensiamo ai bambini africani rispetto a quelli svedesi: i primi, per usanze e tradizioni hanno maggior contatto con la propria madre, mentre i secondi, data la frenesia quotidiana, hanno un minor coinvolgimento nelle cure materne.
È proprio in base alle attenzioni che si danno ad un soggetto che si riceveranno altrettante risposte differenti.

Il maternage è una tecnica di cura e di empatia, deve essere svolta nel modo più attento e sensibile possibile. In questo atteggiamento sono implicate le emozioni di entrambi i soggetti.
Tuttavia, un comportamento adeguato crea momenti di simbiosi unici, in particolare nel rapporto madre e figlio nei primissimi anni di vita. È un rapporto di esclusività che deve dar vita a sicurezza, serenità, fiducia e bidirezionalità relazionale: una sorta di gioco di sguardi che coinvolge i due soggetti in un rapporto sano, equilibrato e disposto a proseguire nel tempo.

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La nuova sede romana dei corrispondenti dei media esteri dall’Italia rinnova memorie berlusconiche

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La nuova sede romana dell’Associazione della Stampa Estera in Italia, ASEI, inaugurata in presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella, ha dato occasione ai media italiani ed esteri che hanno descritto l’evento di rinnovare memorie, di vario genere, sul trentennio berlusconiano attraversato dall’Italia, poiché la stessa sede era stata la residenza romana del magnate e politico italiano per molti anni. Si è ricordato, nelle descrizioni mediatiche, l’allergia di Berlusconi ai contatti con i corrispondenti, le occasioni di numerosi incontri politici, e poco politici, che avvenivano tra le museali stanze del secentesco palazzo Grazioli, proprietà di una famiglia nobiliare romana.
Non sono mancate citazioni pruriginose sulle vicende personali del presidente del Consiglio dell’epoca, che sono state una manna per i cronisti di cronaca nera o rosa, e che forse sarebbe ora di riporre negli scaffali della storia politica e del costume italiana.
Come scritto da taluni, la nuova sede al primo piano del palazzo, che assomiglia indubbiamente più ad un museo che ad una struttura per lavoro, ha subìto importanti ed autorizzati rifacimenti che la recedono senza dubbio unica in Europa, e forse nel mondo, come centrale operativa dei circa 400 corrispondenti della antica Associazione, fondata nel 1912 da un manipolo di corrispondenti basati a Roma a quel tempo, e in cui è attivo dal 1989 il giornalista tarantino Gianfranco Nitti, come corrispondente di media finlandesi.
Dopo il rituale saluto al Presidente Mattarella dalla Presidente dell’Associazione, la turca Esma Çakir, il capo dello Stato italiano, che aveva fatto un rapido giro nella sede, ha ringraziato per l’invito a essere presente in un momento così significativo: l’inaugurazione della nuova sede dell’Associazione Stampa. Nel formulare gli auguri, dicendosi lieto di vedere una così bella nuova sede, anche come socio onorario, Mattarela ha detto di apprezzare tale condivisone, ricordando come, oltre un secolo fa, sia iniziata la storia dell’Associazione, Come ricordato dal Presidente, era il momento in cui l’Europa attraversava la ‘belle époque’, poi travolta, dopo due anni, dalla terribile condizione della Grande Guerra. Fino a due anni fa, l’Europa viveva non in una belle époque, ma in una ‘époque de paix’, che si spera di riuscire a difendere, preservare e ripristinare appieno. È una storia importante quella dell’Associazione, con i corrispondenti esteri che si sono moltiplicati, insieme agli strumenti dell’informazione che cambiano continuamente in questa epoca. Tutto questo non ha visto cambiare lo spirito della presenza dei corrispondenti a Roma, in Italia. Mattarella ha detto di aver sempre accompagnato questo lavoro, questa attività, con due impegni: l’indipendenza di giudizio e la conoscenza approfondita dell’Italia. Queste attività integrative dell’Associazione – come conoscere meglio la cultura italiana, il cinema, la cucina, lo stile di vita italiano e lo sport – sono fondamentali per interpretare e raccontare l’Italia in maniera autentica. Il ruolo della libera stampa è decisivo, essendo il presidio indispensabile della libertà delle persone. Il Presidente ha evidenziato come la Repubblica italiana esprime riconoscenza verso i corrispondenti dei media esteri augurando buona fortuna per la loro attività, consapevole che il mondo è sempre più integrato e interconnesso, richiedendo rapporti collaborativi.
Hanno fatto eco a Mattarella il ministro degli Esteri Antonio Tajani e quello delle Imprese e Made in Italy, Adolfo Urso, con interventi di apprezzamento e di sostegno all’Associazione. È giusto ricordare che quest’ultimo ha la competenza sulla concessione della sede all’Associazione, sede che è messa a disposizione dallo Stato italiano, il che costituisce probabilmente un unicum nel mondo. Urso ha detto, tra l’altro, che “sin dall’inizio della legislatura abbiamo migliorato il contesto per l’internazionalizzazione economica del nostro paese e per gli investimenti esteri. In questi mesi gli investimenti esteri sono notevolmente cresciuti ed è notevolmente cresciuto, più di ogni altra borsa, l’indice di borsa italiana”. Si sono poi susseguiti interventi degli sponsors che hanno collaborato all’allestimento della nuova sede.



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L’amore ai giorni nostri…

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Oggi l’amore ha subito numerose variazioni. Rispetto al passato i sentimenti d’amore sono diventati più labili e superficiali.

Questo mutamento è dovuto anche ai nuovi sistemi tecnologici: dichiararsi con un messaggio whatsapp, lasciarsi con una telefonata e via dicendo…

L’amore oggi è come giocare a scacchi, l’essere umano vuole premeditare ogni mossa avversaria con lo scopo di risultare il più forte. Oggi è difficile riconoscere i propri sentimenti, mentre è diventato più facile fingere l’indifferenza.

L’aspetto che fa la differenza è legato anche all’incapacità emotivo-relazionale e affettivo-empatica. Non si piange più sulle spalle degli amici quando si soffre per amore, ma ci si chiude in sé stessi. Quando i nostri sentimenti sono feriti e quando le nostre aspettative vengono meno, cadiamo in pianti, urla e disperazione.

Un tempo questo scenario era maggiormente accettato dalla società, ma oggi purtroppo non lo è più: viviamo in un mondo fatto di solitudine, sensi di colpa e inquietudine.
Oggi l’amore è “liquido”, afferma Bauman, cioè è immaturo; è un amore scisso tra il desiderio di emozionarsi e la paura di legarsi. L’amore viene narrato come qualcosa di passeggero, futile, da non prendere troppo sul serio.

Il romanticismo non esiste più, al suo posto c’è la volgarità. Il corpo delle donne è uno strumento da usare e gettare via. La sessualità e il desiderio temporaneo del corpo dell’altro hanno la maggiore rispetto ai concetti legati all’amore e al sentimento duraturo e profondo.
I termini come matrimonio e procreazione sono fortemente messi alla prova: i giovani si sposano meno e temporeggiano sull’avere figli.

Questo fenomeno, in Italia, sta vedendo un calo della natalità e un progressivo aumento della popolazione anziana. L’amore rompe i propri schemi e riproduce il degrado della nostra società.

La nostra generazione pensa che la non curanza ed il disinteresse siano i concetti chiave di una relazione. Non è così; lo sforzo, l’interesse, la fedeltà, lo sono.
Oggi, cambiare le prospettive sul concetto di amore risulta molto difficile se non irraggiungibile. Sarebbe opportuno dare maggiore attenzione alle relazioni anche se questo a volte significa sacrificare il proprio orgoglio, bisognerebbe osservare le persone attorno a noi e non lasciarle andare facilmente.

Prima di arrenderci di fronte ad una difficoltà, dovremo assicurarci di aver lottato fino in fondo. Ognuno di noi dovrebbe custodire l’amore e farne qualcosa di prezioso. Bisognerebbe riconoscere il proprio modo di amare e fortificarlo ogni giorno di più.
Il pianto, il dolore e la vulnerabilità fanno parte dell’amore e in parte contribuiscono a renderlo magico.

Resistere alle tentazioni, al giorno d’oggi, è molto difficile, ma dovremo scindere il desiderio sessuale dal sentimento vero.

La società vulnerabile e superficiale dei nostri giorni non lascia il tempo di riflettere e meditare, è tutto più veloce e rapido. La cura e la parsimonia di avere una relazione stabile e continuativa, ricca di valori è un ideale che si sta sempre più allontanando.
Sarebbe adeguato essere più stabili sentimentalmente per garantirci una società meno legata alla “materia” e più aperta ai valori e ai sogni.

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