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1 mese faon
Il referendum si avvicina e con esso si accende il dibattito politico. A finire al centro della scena è la scelta della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, di non prendere parte attivamente alla consultazione referendaria, una posizione che ha già infiammato il confronto con l’opposizione ma che la premier difende apertamente, rivendicandone la piena legittimità democratica. «Non votare è un’opzione, è un mio diritto. Un diritto di tutti, dei lavoratori e dei non lavoratori», ha affermato, intervenendo nel corso di un evento pubblico organizzato dal quotidiano La Verità.
Meloni non si è tirata indietro nemmeno davanti alle accuse di boicottaggio, e anzi ha voluto ribaltare la narrativa, ricordando che l’astensione è sempre stata una strategia adottata da molti partiti nella storia della Repubblica italiana. «Oggi si fa polemica su ogni cosa, ma la verità è che molti dei promotori dei referendum sono stati al governo negli ultimi dieci anni. Se la cantano e se la suonano da soli, come si dice a Roma. E invece di spendere 400 milioni di euro, avrebbero potuto affrontare questi temi in Parlamento», ha attaccato. Meloni ha dichiarato che si recherà al seggio “per rispetto delle urne”, ma non ritirerà le schede referendarie. E ha fatto notare come anche esponenti del Partito Democratico, come Pina Picierno e Lorenzo Guerini, abbiano annunciato un comportamento analogo. «È una questione tutta interna alla sinistra. Stanno cercando un nemico esterno per non ammettere le loro divisioni, e scaricano la responsabilità su di noi».
La presidente del Consiglio ha poi allargato il discorso al ruolo internazionale dell’Italia, che – ha rivendicato – oggi è centrale, tutt’altro che isolato. «L’Italia non è la ruota di scorta di Francia e Germania. Siamo tornati ad essere protagonisti. Abbiamo riconquistato rispetto e credibilità, altro che isolamento», ha dichiarato con convinzione. Un’affermazione che trova riscontro anche nella ripresa del dialogo con il presidente francese Emmanuel Macron, con cui Meloni si è incontrata di recente a Roma per appianare le divergenze e rafforzare la cooperazione bilaterale. «Vedo più Macron che mia figlia», ha detto scherzando, «e solo questo mese abbiamo altri tre vertici internazionali in agenda».
Sul fronte della guerra in Ucraina, Meloni ha espresso forte preoccupazione per l’evoluzione del conflitto. «I segnali di una pace possibile sono, purtroppo, ancora molto deboli. Non è da escludere che nei piani di espansione di Putin ci siano anche altri Paesi europei. Occorre restare vigili». E a proposito della crisi in Medio Oriente, ha ribadito la posizione italiana a favore della tutela dei civili a Gaza. «Serve uno stop per fermare le operazioni che colpiscono la popolazione. Israele ha diritto alla sicurezza, ma deve rispettare il diritto internazionale. Il cessate il fuoco è fondamentale, così come il rilascio degli ostaggi».
Nel corso del suo intervento, Meloni ha anche difeso la solidità del suo esecutivo, rivendicando la stabilità come un valore politico imprescindibile. «Questo è il governo della stabilità, ed è la riforma più importante che possiamo offrire al Paese. Andremo avanti fino a fine legislatura. Sono fiera del lavoro che stiamo facendo, e dei miei vicepremier. Non sono certo una maestra», ha aggiunto, con una battuta che ha suscitato l’approvazione del pubblico.
Toccando il tema della sicurezza, ha difeso il decreto recentemente approvato e auspicato misure ancora più incisive. «Ci vorrebbero altre norme. Ma intanto stiamo facendo ciò che serve». Poi uno sguardo all’economia, con un messaggio rassicurante: «Abbiamo appena concluso un’emissione di BTP da 17 miliardi e le richieste hanno superato i 210 miliardi. Questo vuol dire che i mercati ci considerano solidi. L’Italia è vista come un Paese affidabile».
Infine, un affondo anche sul mondo della cultura e del cinema, dove negli ultimi giorni sono esplose polemiche nei confronti del governo. «Qualcuno ci ha accusato di comportarci come un clan. Ma quanti attori di destra conoscete che lo dicono pubblicamente? Chi non è di sinistra spesso non dichiara le sue opinioni politiche perché teme di non lavorare. Le nostre norme non sono punitive, sono di buonsenso. Servono a impedire sprechi, non a fare liste di proscrizione».
E sul contenuto dei quesiti referendari, Meloni ha voluto soffermarsi su uno in particolare, il quinto, che riguarda la cittadinanza. «Sono contrarissima a dimezzare i tempi. La legge italiana attuale è ottima, non c’è alcun bisogno di cambiarla». In un intervento denso e articolato, la premier ha voluto delineare il profilo di un’Italia stabile, ascoltata e rispettata a livello internazionale. E sull’astensione ha mandato un messaggio chiaro: è un atto politico consapevole, non un tradimento della democrazia. Il referendum, più che un appuntamento tecnico, si conferma così un nuovo terreno di scontro politico tra maggioranza e opposizione.
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