Riordino delle carriere in polizia. Ugl, Silp-Cgil, Coisp: si, ma la legge va migliorata

di Roberto Ragone

 

Grande puntata della trasmissione Officina Stampa, il web talk condotto dalla giornalista Chiara Rai in diretta dal Black Jack di Grottaferrata, quella di giovedì 9 marzo. Presenti i rappresentanti di tre sindacati di Polizia di Stato: Valter Mazzetti, segretario generale UGL, Tommaso Delli Paoli, segretario nazionale SILP-CGIL, Umberto De Angelis, segretario generale provinciale di Roma del COISP. Assente a sorpresa, perché colto da improvviso malessere, il segretario generale del SAP Gianni Tonelli.

Riuniti in un’atmosfera di comunione d’intenti, malgrado le loro sigle denotassero orientamenti politici differenti, i tre intervenuti sono stati d’accordo su parecchi punti, praticamente su tutti: dal riordino delle carriere, agli stanziamenti per una maggior professionalità, dall’esigenza di costruire nuove carceri per evitare che i giudici siano costretti a liberare i delinquenti arrestati a rischio anche della vita degli agenti, all’esigenza di assumere nuovo personale in polizia penitenziaria, dall’imprescindibile e capillare controllo del territorio al fine di garantire sicurezza ai cittadini, al problema dell’assistenza legale ai colleghi coinvolti in conflitti a fuoco, nei quali in meno di un secondo si devono prendere decisioni capitali.

Ma su tutto spicca un consenso unanime, che alla fine è stato il motivo della puntata, e che sarà il punto di partenza per un reale riordino della carriere in polizia, oltre che del rimpiazzo e dello svecchiamento di una forza dell’ordine oggi sotto organico e fatalmente composta da uomini e donne con un’età media attorno ai 45/46 anni.

Nonostante i proclami del ministro Pinotti, – il cui intervento è stato trasmesso nel video servizio di apertura –  non è difficile rilevare che l’impegno economico profuso per questa iniziativa, attesa da oltre vent’anni, non è sufficiente. Ora i sindacati, in un quadro generale ancora confuso, hanno 90 giorni di tempo per proporre miglioramenti al testo, e per farli accettare, dato che il testo attuale risulta per le tre sigle intervenute irricevibile.

Per questo motivo è stata prevista una manifestazione di piazza nella giornata di venerdì 10 marzo davanti al Ministero degli Interni, alla Questura di Roma e agli uffici di P.S.

Il delegato della CGIL, Tommaso Delli Paoli, ha voluto spiegare che la protesta non riguarda il lato economico, infatti se ci sono i soldi, perché protestare? In realtà questo disegno di legge non procura maggiore professionalità agli operatori di polizia, e di conseguenza neanche maggior sicurezza per i cittadini, né da’ le giuste risposte per un automatismo che riguardi l’avanzamento nelle carriere.

Il segretario generale UGL, Valter Mazzetti, ha specificato che i soldi ci sono, ma non sono tutti destinati alla Polizia di Stato, ma anche a Carabinieri, Guardia di Finanza, quindi alle forze dell’ordine in generale. Si chiedono avanzamenti più veloci, per rimpiazzare i colleghi che sono andati in pensione, o sono stati promossi ad incarichi più elevati, e quindi una maggior dignità.

Infatti gli agenti impiegati nelle volanti  per l’ordine pubblico hanno un’età media di 45/46 anni, quindi inidonei ad intervenire in alcune occasioni di contrasto diretto al crimine. In questi casi l’età anagrafica è importante. Per la carriere è necessario innescare un percorso virtuoso, che oggi non c’è, ha proseguito Mazzetti che ha detto anche che il nuovo riordino non può certamente soddisfare.

Nei quadri superiori c’è troppo personale anziano: circa 55/56.000 operatori, di cui almeno 46.000 assistenti capo, contro non più di 6.000 agenti. L’impressione è che questo riordino sia uno spot politico-elettorale, e non un provvedimento strutturale che agevoli un percorso di ricambio e integrazione dell’organico.

Il riordino si può migliorare, ha detto Umberto De Angelis, rappresentante del COISP. Infatti alcune modifiche proposte sono già state inserite e il ritardo non è imputabile alla Polizia di Stato, ma dell’Amministrazione, che non ha provveduto a bandire concorsi ogni anno, a differenza di ciò che hanno fatto le altre forze dell’ordine.
De Angelis ha anche evidenziato il fatto che queste risorse non sono sufficienti per un riordino totale, per il quale occorrerebbero circa 2,5 miliardi di euro. Siamo a 977 milioni, ma si dovrà fare di più: la cosa più importante è svecchiare le Forze dell’Ordine.

Al cittadino interessa che ci sia un maggior controllo del territorio e che l’aiuto arrivi tempestivamente.

La discussione è continuata con i convenuti che alternativamente hanno preso la parola. Temi comuni, sui quali, come già spiegato il consenso era unanime. Per esempio sul problema delle troppe depenalizzazioni, per cui gli arresti anche in flagranza sono vanificati dalla magistratura che denuncia ‘a piede libero’, liberando di fatto l’arrestato, che il giorno appresso torna a delinquere, a volte anche sbeffeggiando la stessa pattuglia che lo ha arrestato. Tutto ciò crea situazioni di pura follia, e incentivo a commettere reati in piena impunità, senza il deterrente di una pena certa. Di contro, a volte capita che l’operatore sia indagato a sua volta per aver fatto il suo dovere, cioè per aver difeso il cittadino. C’è chi ha dovuto vendere la casa acquistata a prezzo di sacrifici con anni di mutuo per pagarsi un avvocato che lo difendesse in sede civile. Troppe volte, infatti, il carabiniere o il poliziotto sono sottoposti a risarcimento danni da parte del giudice su richiesta del bandito arrestato, addirittura, come accaduto di recente, per un arresto ‘troppo violento’; o, aggiungiamo noi, non sufficientemente gentile.

Il riordino proposto tende ad una maggiore professionalità, il tutto a vantaggio della sicurezza del cittadino: dopo i recenti episodi di intrusioni domestiche, diurne e notturne, nessuno vuole armarsi, come è costretto a fare, ma per questo è senz’altro indispensabile un maggior controllo del territorio, come già spiegato.

Nel corso degli ultimi anni, invece, gli organici di polizia sono stati depotenziati, giungendo ad annoverare 99.000 agenti contro i 117.000 del periodo precedente. Capita a volte che si debba scegliere a quale chiamata rispondere prima, e che se ne debba valutare la gravità. Per ciò che riguarda il sovraffollamento delle carceri, tutti e tre i rappresentanti sono stati d’accordo nel proporre la costruzione di nuove carceri e il ripristino di quelle già esistenti e magari inutilizzate, parallelamente ad una massiccia assunzione di personale di polizia penitenziaria. Ma questo è un problema politico, e implica dei costi che la politica non è disposta a sopportare. Anche la polizia penitenziaria ha subito il blocco del turn-over al 50%, ciò che provoca un progressivo invecchiamento dell’organico, e un suo depauperamento.

Umberto De Angelis ha posto l’accento sul fatto che la sicurezza non è un costo, ma un investimento, e come tale dev’essere valutata. E la sicurezza è maggiormente prevenzione del crimine, più che contrasto. Quindi, ha aggiunto Delli Paoli, è maggiormente presente quando la situazione è tranquilla, di normalità. Un paese civile, aggiunge De Angelis, adegua le vecchie carceri e ne crea di nuove: non dice ‘non arrestiamo più. Un paese civile assume polizia penitenziaria, e nelle carceri nuove chi delinque può scontare la sua pena.

Secondo Walter mazzetti, poi, si fa sempre troppo poco per l’assistenza legale ai colleghi, perché i fondi a disposizione sono sempre insufficienti e non vengono ripristinati a sufficienza, oltre ad essere erogati secondo la presunta gravità del fatto,  e non secondo un calcolo reale di necessità.
Bisogna che il fondo sia sempre al massimo della disponibilità, per tutelare al meglio il poliziotto che ne avesse bisogno. Un’altra esigenza è quella di un protocollo operativo, che manca, e che costringe l’operatore di polizia ad assumersi, in un tempo infinitesimale, rischi che nessun burocrate seduto in poltrona si assumerebbe mai. Salvo poi, a bocce ferme, venire giudicato da chi non si è mai trovato in una situazione del genere. La questione del protocollo operativo è stata più volte sollevata dai sindacati, ma senza alcun esito. Tanto che attualmente, valutandone i rischi, si ha quasi paura di intervenire. Se i poliziotti sono armati, è per svolgere un compito preciso, che implica anche l’uso delle armi, e non è corretto che ogni volta l’operatore debba decidere per sé, senza alcun supporto protocollare, a proprio esclusivo rischio; che può comportare la perdita della vita, o anche mettere sé e la propria famiglia in gravi situazioni di disagio. Un commento da cronista: l’impressione generale è che il provvedimento di riordino delle carriere sia stato affrontato da chi di questo tema capisce poco e niente. Sono molti, infatti, e troppo astrusi i tecnicismi che questo provvedimento contiene, e che in pratica limitano l’accesso a chi voglia entrare in polizia con la prospettiva di una carriera. Gli stanziamenti palesemente insufficienti, poi, completano il quadro.

Poco c’entra il ministro Pinotti: sappiamo che le nomine ministeriali vengono fatte per politica e non per competenza. Certamente queste riforme sono studiate e redatte a tavolino da chi non è mai stato in polizia, e non ha mai affrontato un delinquente armato, né ha mai avuto problemi economici, nonostante la professione dichiaratamente rischiosa. Ritengo che queste riforme vadano fatte con la partecipazione degli organismi preposti alla tutela degli iscritti, e cioè dei sindacati: chi infatti meglio di chi il poliziotto ha fatto ed è tuttora può capire le esigenze di un servizio fondamentale, non solo per la tutela in piazza dei politici – quando i poliziotti prendono le botte – ma anche e soprattutto del cittadino comune, quello della strada: quello che vota e paga le tasse,e che alla politica interessa solo per queste due cose.

L’impressione – e si specifica impressione – è che ‘ci stiano provando’, salvo poi a mercanteggiare su alcuni argomenti, il tutto per spendere il meno possibile. Tutto questo, se fosse vero, sarebbe non solo sulla pelle dei poliziotti e di tutte le forze dell’ordine coinvolte, ma soprattutto sulla pelle dei cittadini, sulla nostra pelle: il che, per l’ennesima volta, ci ridurrebbe, da cittadini, a sudditi. Come in effetti siamo.

 

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