All’indomani dell’incendio accorso
all’impianto TBM di Rocca Cencia, la
sensazione è quella della calma prima della tempesta – e non solo politica! -,
da resa dei conti, serrata, tra il martoriato territorio del Municipio VI, cosparso di discariche a
cielo aperto (e di malati oncologici), e il Campidoglio. Le parole della Sindaca
Raggi, – “se qualcuno ci vuole sabotare, sappia che non ci piegheremo”-, risuonano,
a questo punto della storia, come acqua calda.
Che quei rapporti sono logori da
un pezzo, lo dimostra la tensione che ieri sera trasaliva davanti all’entrata
dello stabilimento AMA, al netto
dell’odore acre che impiastrava l’aria. Urla e slogan contro la compagine
amministrativa da un lato, mentre dall’altra abbandono dell’impianto alla
chetichella da parte dei consiglieri municipali della maggioranza e,
successivamente, della Sindacata stessa. Questo a significare che il consenso
plebiscitario ottenuto dal Movimento nelle passate elezioni amministrative, proprio
in quei quartieri, si è compromesso in maniera irreversibile, al punto da trasformare
la schiacciante vittoria in una nuova Waterloo.
Perché quella della Rocca Cencia è una questione molto sentita dalla cittadinanza,
ancora di più delle scosse telluriche che stanno scuotendo gli inquilini
(sempre della maggioranza) di Palazzo Senatorio.
L’incendio, doloso, ha
interessato la vasca di ricezione rifiuti, mandando in fumo (ovvero in diossina)
circa 500 tonnellate di rifiuti cittadini, ospitate nell’area dell’ultimo TMB
di proprietà della società AMA, dopo l’incendio di fine 2018 che ha messo ko
l’impianto del Salario. Le proporzioni sono per fortuna diverse, a Rocca Cencia
il rogo è stato meno esteso, circoscritto, soprattutto grazie all’opera del
personale della società e dei Vigili del Fuoco. Ci vorrà ancora qualche giorno
per avere i risultati della campionatura dell’aria. La Procura di Roma ha
aperto un fascicolo contro ignoti per disastro colposo.
E questo non può e non deve
essere un alibi per il Campidoglio. Che di fronte a tale emergenze avrebbe
dovuto avere il coraggio di chiarire, una volta per tutte, la sua posizione nei
confronti del TMB di Rocca Cencia. Sarà chiuso, riconvertito o cosa? “Si chiami
mafia o incapacità gestionale – va giù duro Marco Manna del Comitato
Periferie Roma Est – si tratta del secondo impianto andato a fuoco in
pochissimo tempo. Capiamo prima le dimensioni e le conseguenze di tale
incendio, ma visto il carico di lavoro dopo gli eventi del Salario sarebbe
stato il minimo vedere da parte di ama un impegno nella organizzazione di
trasferenze…e invece ci troviamo qui di nuovo a piangere sul latte versato. Dopo
l’incendio del Salario – prosegue – come comitati territoriali abbiamo evitato
di forzare la mano contro la sindaca nonostante vedessimo aumentare ogni giorno
il flusso di mezzi ama che venivano a scaricare qui da tutta Roma. Ora però
basta, o si rivede la gestione dei rifiuti a Roma partendo dalla normativa anche
a livello nazionale o delle chiacchiere ne abbiamo abbastanza”.
“Stamattina la situazione è
ancora più surreale – tuona il capogruppo capitolino della Lista Civica #romatornaromaSvetlana
Celli – da una parte i presidi di Carabinieri e Vigili de Fuoco, dall’altra
le troupe televisive che riprendevano una fila di camion della spazzatura in
attesa di entrare. Nessuna comunicazione ufficiale da parte di Comune e
Municipio. Tre anni di promesse mancate, scaricabarili e trasparenza a parole:
ecco la gestione dei rifiuti del M5S a Roma”.
“Un’amministrazione normale –
rincara Dario Nanni, consigliere
municipale del VI e Coordinatore di
Italia in Comune di Roma e Provincia – avrebbe messo in atto tutte le
attività di controllo per mettere in sicurezza l’impianto di Rocca Cencia. Ma
qui siamo arrivati al teatro dell’assurdo dove, una Sindaca eletta tre anni fa,
parla dei problemi di Roma come fosse una studentessa in gita. Mi chiedo perché,
dopo quanto accaduto qualche mese fa al TMB Salario nessuno abbia pensato di
organizzare un servizio di controllo fisso che garantisse la sicurezza di quel
sito”.
I consiglieri di opposizione Compagnone e Celli
La cronaca di ieri notte è segnata anche da un evento piuttosto singolare. “Inizialmente – spiega la Celli – è stato impedito l’accesso all’impianto ai consiglieri comunali e municipali di opposizione, mentre quelli del M5S erano entrati senza problemi. Siamo riusciti ad entrare solo dopo vibrate proteste, anche da parte dei cittadini allarmati che chiedevano risposte a Comune e Municipio. Risposte che non sono arrivate. La Sindaca è scappata via senza parlare coi cittadini, mentre il Presidente del Municipio ha messo in scena il solito stucchevole ‘chiedete alla Regione Lazio’”. Con lei il capogruppo municipale del Pd Fabrizio Compagnone, “vengono meno una delle prerogative dei consiglieri – ha urlato nell’attesa di accedere – e di questa scelta politica qualcuno ne risponderà davanti al giudice”. Poi, finalmente, la situazione si è sbloccata ed entrambi gli esponenti sono riusciti a varcare la soglia dell’impianto.
Ma gli animi si erano ormai
surriscaldati. E quando la Sindaca è uscita di soppiatto all’interno di un’auto
bianca, la folla l’ha inseguita con urla e fischi. “Mi permetto di ricordare
che ieri le esalazioni di quanto bruciava a Rocca Cencia si sono sentite a km
di distanza – riprende Nanni-. In pratica per i cittadini di Roma Est, oltre al
danno la beffa. Perché oltre a dover subire le quotidiane esalazioni e i
continui disagi, ieri hanno anche dovuto respirare ciò che bruciava. Ricordo
sempre che i Cinque Stelle avevano promesso ai cittadini, concludendo proprio
davanti a Rocca Cencia, la loro campagna elettorale del 2016, che quel sito
sarebbe stato chiuso nel momento in cui si sarebbero insediati”.
“Con la chiusura del TMB Salario –
chiosa la capogruppo Celli -, Rocca Cencia rischia di divenire il punto di
approdo di tutti i rifiuti della Capitale. Un appesantimento indegno per un
territorio che ha già fatto la sua parte e continua a farla ogni giorno,
sopportando fumi e cattivi odori. Il Comune, invece di gridare al complotto, si
attivi al più presto per garantire maggiore sorveglianza, un presidio fisso del
sito ed un monitoraggio continuo dei livelli di emissioni”.
Il Presidente del Municipio VI Romanella assediato
È l’inizio di una lunga battaglia,
la politica del Campidoglio, quella di decidere di non decidere, ha mostrato la
corda e nelle peggiore dei modi.
Sabato 1 e domenica 2 aprile 2023, la Locanda Martorelli-Museo del Grand Tour di Ariccia partecipa alla seconda edizione delle Giornate Nazionali delle Case dei Personaggi Illustri italiani, patrocinata dal MIC e dall’Icom Italia. Una giornata dedicata ai luoghi che custodiscono la memoria e il lascito dei “Grandi” alla quale parteciperanno ben 114 case museo.
È per celebrare questi luoghi carichi di suggestione che l’Associazione Nazionale Case della Memoria ha deciso di promuovere in tutta Italia la Giornata nazionale delle Case dei personaggi illustri, in programma per il prossimo sabato 1 e domenica 2 aprile. Piccole case o ville storiche, abitazioni o veri e propri musei, residenze stabili o “rifugi” estivi, in cui si respira un’atmosfera diversa, in cui la Storia si mescola con il presente, per mantenere vivo il ricordo di chi, pur non essendo più in vita, ha ancora molto da dire. Tutte unite idealmente per due giorni sotto la stessa insegna: valorizzare la memoria del passato per tramandarla alle nuove generazioni.
“Due giorni di porte aperte per riaccendere l’attenzione sulle tantissime case di personaggi illustri di cui è disseminato il nostro Paese – spiega Adriano Rigoli, presidente dell’Associazione Nazionale Case della Memoria -. Un modo per ‘unire le forze’ e dire: noi ci siamo. Quello che da quasi vent’anni anima la nostra associazione è proprio la voglia di non lasciare indietro nessuno, ma anzi fare il più possibile rete per arrivare a un fine comune: che si parli delle case dei ‘Grandi’, per alimentare la voglia di scoprirle e immergersi nella loro atmosfera”.
L’Associazione Nazionale Case della Memoria è in Italia l’unica rete museale di case museo di personaggi illustri a livello nazionale, partecipa alla Conferenza Permanente delle Associazioni Museali Italiane di ICOM Italia ed è “istituzione cooperante” del Programma UNESCO “Memory of the World” (sottocomitato Educazione e Ricerca).
La Locanda Martorelli, di proprietà del Comune di Ariccia – (Roma), è un edificio storico sul corso Garibaldi ad Ariccia ed affaccia sulla Piazza di Corte realizzata nella seconda metà del ‘600 su progetto di Gian Lorenzo Bernini. Nella seconda metà del ‘700 era di proprietà dell’artista Giovan Battista Stazi e a questo periodo risalgono le tempere murarie a carattere storico mitologico opera del pittore polacco Taddeo Kuntze e degli artisti suoi collaboratori. Il pregevole ciclo pittorico si compone di 11 tempere murarie che raccontano la storia dell’antica città di Aricia e dei suoi culti quali Diana e Ippolito.
Il Casino Stazi nell’800 viene acquistata da Antonio Martorelli che la trasforma in un albergo che ha ospitato numerosi artisti quali Massimo D’Azeglio, Nino Costa, William Turner, Camille Corot, Henry Wadswort Longfellow e tanti altri. Dal 2009 il Comune di Ariccia ha affidato il servizio di custodia e visite didattiche all’Associazione Archeoclub Aricino Nemorense aps (iscritta al Registro Unico del Terzo Settore) che ha musealizzato alcuni ambienti con un percorso dedicato al Grand Tour e all’Appia Antica.
“Sono estremamente soddisfatta – ha commentato la consigliera comunale Irene Falcone – per essere riuscita, insieme alla collega Anita Luciano e a tutta l’amministrazione comunale, a portare la Locanda Martorelli all’interno della rete nazionale delle Case Museo. Questi due giorni di visite guidate saranno importanti per continuare quel processo di marketing culturare del territorio che stiamo portando avanti da qualche anno e che sta mettendo Ariccia sempre più al centro dell’area dei Castelli Romani, non solo per le sue eccellenze enogastronomiche ampiamente riconosciute, ma anche per il valore storico, artistico e culturale del proprio territorio”
I Carabinieri della Compagnia Piazza Verdi, con il contributo dei Carabinieri Forestali del Centro Anticrimine Natura di Palermo – Nucleo CITES, hanno deferito in stato di libertà all’Autorità Giudiziaria un 28enne palermitano, con l’accusa di maltrattamenti di animali e partecipazione a competizione non autorizzata tra animali.
Negli ultimi giorni, sui social network, era divenuto “virale” un video nel quale viene ripresa una competizione clandestina fra cavalli in via Mongitore, nel quartiere Ballarò. Nel corso della gara uno dei due animali, guidato da un fantino e trainante un calesse, era andato ad impattare contro un’autovettura.
I militari dell’Arma hanno dato inizio a una meticolosa attività info-investigativa d’iniziativa, per risalire agli autori del reato e agli animali partecipanti alla competizione, anche mediante l’analisi delle immagini.
Proprio fra i vicoli del quartiere Ballarò è stata trovata una stalla, abusiva e sconosciuta all’Autorità sanitaria, attigua a un magazzino, in cui era presente uno dei due pony: i Carabinieri sono risaliti quindi al giovane proprietario, rinvenendo e sequestrando altresì un calesse utilizzato per la corsa clandestina.
Il pony, visitato da personale del Dipartimento di Prevenzione Veterinaria dell’ASP di Palermo, non presentava ferite evidenti, era sprovvisto di documentazione sanitaria e microchip, ed è risultato compatibile con il cavallo coinvolto nell’incidente avvenuto durante la corsa. L’animale è stato dunque sottoposto a sequestro sanitario e trasportato, con idoneo mezzo adibito al trasporto animali prontamente messo a disposizione dal Corpo Forestale della Regione Siciliana, presso l’Istituto Zootecnico Sperimentale per la Sicilia di Palermo, dove è stato affidato a personale specializzato che procederà all’identificazione dell’animale e all’effettuazione delle necessarie analisi per valutarne le effettive condizioni di salute.
Musumeci: “Lavorare per nuova programmazione in sinergia con professionisti e costruttori”
In Sicilia sono 200 i Comuni sprovvisti di un piano della Protezione Civile per fronteggiare terremoti, alluvioni e disastri causati dal dissesto idrogeologico – molti altri, invece, hanno ancora una mappatura non aggiornata – a Catania su 100 scuole solo 24 hanno una struttura a norma antisismica. Sono questi i dati che fotografano una Sicilia dal costruito vetusto, che «in caso di terremoti o altre calamità naturali presenta un rischio elevato di gravi danni e ingenti perdite di vite umane». Si esprime senza troppi giri di parole il ministro della Protezione Civile e delle Politiche del Mare Nello Musumeci (alla presidenza della Regione Siciliana nella passata legislatura), in occasione del convegno sulla prevenzione sismica organizzato a 330 anni dal sisma della Sicilia Orientale da Ance Catania, dagli Ordini etnei degli Architetti PPC, dagli Ingegneri, dal Collegio catanese dei Geometri e dai Geologi di Sicilia, unitamente al Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell’Università di Catania (Dicar).
«Uno scenario comune a gran parte del Paese e di cui il Governo Meloni ha preso atto, impegnandosi a fondo per garantire il diritto alla vita e alla sicurezza – prosegue Musumeci – con il PNRR e il Fondo Sviluppo e Coesione sono stati stanziati quasi 4 miliardi di euro per la prevenzione da destinare a Regioni ed Enti locali. Occorre, però, una semplificazione delle procedure e una programmazione degli interventi. In questo senso, il dialogo con protezione civile, professionisti e costruttori sarà certamente proficuo». Quattro i punti principali individuati dal ministro, «da norme tecniche e fiscali chiare ed efficaci sia dal punto di vista energetico che sismico, fino alla riorganizzazione strutturale del piano di prevenzione, oggi segmentato tra molteplici ministeri – da affidare interamente alla protezione civile. Importante il censimento del costruito, a cui affiancare incentivi fiscali mirati e destinati principalmente all’edilizia popolare e alle aree con maggior rischio. Altra aspetto da non trascurare il piano di ricostruzione, processo che dovrebbe concludersi in massimo 10 anni». Frutto di queste azioni sarà la raccolta di dati importanti di cui i cittadini devono essere in possesso. Da qui altri due elementi di grande rilevanza: la comunicazione e la trasparenza. «Conoscere le reali condizioni di rischio in cui si vive, sia per morfologia del territorio sia per caratteristiche dell’immobile, contribuirà a mettere in campo azioni efficaci, quali la ristrutturazione, la demolizione o, in casi estremi, il cambio di domicilio», aggiunge Musumeci.
Impegno del governo e modalità operative esposte dal ministro sono risposta alle osservazioni di Ordini professionali e costruttori – moderati dal giornalista Mario Barresi – ancora una volta protagonisti di una tavola rotonda che chiede norme chiare, snellimento e programmazione. Giovan Battista Perciaccante (vicepresidente nazionale Ance), Angelo Domenico Perrini (presidente Consiglio Nazionale Ingegneri), Francesco Miceli (presidente Consiglio Nazionale Architetti P.P.C.), Ezio Piantedosi (vicepresidente Consiglio Nazionale Geometri) e Filippo Cappotto (vicepresidente Consiglio Nazionale Geologi) si sono fatti portavoce delle esigenze che accomunano le diverse categorie professionali, costrette a far fronte e numerose criticità. Le stesse riscontrate e amplificate in un territorio fragile quale quello siciliano, in particolar modo catanese, ancora privo di un piano urbanistico dopo 60 anni e con una forte necessità di rigenerazione e riqualificazione urbana. Il necessario intervento per la messa in sicurezza del costruito, ancora prima dei lavori di efficientamento energetico, è il punto cardine degli interventi di Rosario Fresta (presidente Ance Catania), Mauro Scaccianoce (presidente Ordine Ingegneri Catania), Sebastian Carlo Greco (presidente Ordine Architetti PPC Catania), Agatino Spoto (presidente Collegio dei Geometri Catania), Mauro Corrao (presidente Ordine Regionale dei Geologi) e Matteo Ignaccolo (direttore del DICAr).
Magnitudo 7.3, magnitudo 7.1 e magnitudo 6.4: sono questi i valori dei terremoti più devastanti registrati negli ulti 330 anni in Sicilia orientale, rispettivamente nel 1963, 1908 e 1968. Oltre 140mila le vittime, ben 70 le città distrutte, di cui 17 ricostruite in siti differenti. Questi i numeri illustrati durante le relazioni di Raffaele Azzaro (resp. Unità Pericolosità sismica INGV CT), Salvatore Cocina (direttore generale Protezione Civile Regione Sicilia) e Ivo Caliò (Ordinario Scienza delle Costruzioni DICAR UniCT), da cui emerge un ulteriore dato significativo e delicato per Catania: gran parte degli edifici potrebbe crollare in caso di un forte movimento tellurico. La città etnea è stata dichiarata zona sismica con un apposito regolamento solo nel 1981, motivo per cui le costruzioni antecedenti a questa data non hanno seguito specifiche regole di sicurezza. A differenza di quanto successo a Messina, che ha cambiato approccio a seguito del sisma del 1908.
Collante indispensabile è la Regione Siciliana, portavoce della rete di professionisti e delle necessità del territorio: presente il presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana Gaetano Galvagno, secondo il quale «l’attuale stato di arretratezza deve fare da volano per una nuova programmazione e gestione delle risorse, avviando un percorso di messa in sicurezza importantissimo per il nostro futuro e quello dei nostri figli». «Come dipartimento dell’Urbanistica riceviamo i dati che ci arrivano dall’autorità di bacino e dalla protezione civile – spiega l’assessore regionale del Territorio e dell’Ambiente Elena Pagana – una collaborazione già avviata nella passata legislatura e che, certamente, cercheremo di rendere ancor più efficace».
A conclusione, a testimonianza delle possibilità offerte dai fondi europei, è intervenuto il sindaco di Sant’Agata Li Battiati Marco Rubino.