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Editoriali

SICILIA E LA "CUFFARIZZAZIONE" DEL PARTITO DEMOCRATICO: TOTÒ, FAUSTO E… IL MAL DI PD

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Tempo di lettura 5 minuti Una congregazione silenziosa di adepti sta colonizzando il nuovo corso del partito che fu di Pio La Torre e Luigi Berlinguer per trasformarlo in una nuova “Balena Bianca”.

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di Enzo Basso

Da Botteghe Oscure alle folgorazioni di “Cambiamenti”, il nome che il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone ha voluto dare alla Leopolda in salsa sicula in programma dall’8 al 10 aprile prossimo a Palermo. Ma sono proprio i “cambiamenti” dentro il Pd Renziano in Sicilia ad avere portato il segretario Regionale Fausto Raciti a sospendere i tesseramenti in corso e a chiedere una verifica ai garanti del partito. Una verifica su cosa? Sugli “ingressi anomali”, che stanno cambiando non solo il peso ma anche la geografia e le forze interne del Pd in Sicilia. Col sospetto che a guidarne le sorti presto potrebbero essere gli ex Cuffariani, un partito silenzioso di adepti che sta colonizzando il nuovo corso del partito che fu di Pio la Torre e Luigi Berlinguer per trasformarlo in una nuova “Balena Bianca”.

Complice una intervista, all’Huffington-Post diretto da Lucia Annunziata, dell’ex governatore della Sicilia Totò Cuffaro
che ha riconosciuto come molti suoi ex sostenitori siano finiti nella rete del Pd, “più che rottamati – li ha definiti – mi sembrano riciclati”. L’ingresso che ha trasformato le polemiche da roventi in un vero e proprio “casus belli” nazionale, è arrivato da Siracusa: l’iscrizione al Pd dell’ex sindaco di Carlentini, ex Pdl, ex Udc, Pippo Basso, presente l’assessore regionale alla Formazione, Bruno Marziano.

Un fatto che ha mandato su tutte le furie Fausto Raciti
che ha chiesto la sospensione del tesseramento in corso, registrando prima il sostegno convinto dell’ex segretario Perluigi Bersani e poi di Walter Veltroni, che nel suo intervento alla scuola di formazione battezzata da Renzi con un “#Classdem”, davanti a 370 giovani quadri tra i 17 e i 35 anni, ha detto sui nuovi ingressi provenienti dalla Sicilia, che minano alla base il Dna del partito. Tanto che sarebbe “meglio perdere, che perderci”.

Ma cosa sta cambiando davvero nel partito che fu promotore delle lotte contadine raccontate da Emanuele Macaluso in Sicilia? Secondo il presidente regionale Giuseppe Bruno, che a 25 anni era cuffariano, “la trasformazione c’è, è palpabile, ed è quella del partito aperto alle istanze della società”. A noi – ha detto – si avvicinano giovani, docenti universitari, militanti che chiedono un nuovo modo di fare politica. Sono le istanze fresche della società. Raciti è ancora legato a un’idea di partito simbiotico a Crisafulli e Cracolici…”. A preoccupare, sono i numeri in crescita del tesseramento in corso che hanno fatto lievitare le adesioni a quota ventimila, le stesse che prima sfoggiava a Messina un solo candidato come Francantonio Genovese.

Se a Palermo si è passati da seimila a diecimila, il segnale che arriva dalla periferia è quanto mai eloquente: ad Agrigento le tessere sono passate da 3200 a 4000, con alcuni casi-simbolo come quello di Palma di Montechiaro dove, grazie all’apporto di Letizia Pace, che nel 2014 era ancora in Forza Italia, sono arrivate a pioggia duecento nuove iscrizioni. Fatti che simultaneamente si registrano anche a Ragusa, patria dell’ex sindaco forzista Nello Di Pasquale, un deputato che un tempo diceva “il Pd fa schifo”, che ora corregge il tiro e dice che il “Pd è cambiato…”.  Si ma per andare dove? Secondo il deputato Giovanni Burtone, che ha scritto un intervento su “Repubblica”, è in corso una “eterogenesi” e l’allarme è più che dovuto perché la missione è che “bisogna cambiare la Sicilia, non farci cambiare”. E ha ricordato come le stesse problematiche il partito se le era poste in un drammatico dibattito il 19 dicembre del 2009, quando bisognava decidere se dare l’appoggio tecnico al governo Lombardo. C’era allora lo scontro tra Lupo e Lumia.

Ora c’è Renzi – scrive Burtone – ma il dibattito è ancora sul cuffarismo e sul lombardismo…” Chi tace in questo momento è proprio il senatore Giuseppe Lumia, leader del Movimento antimafia che registra le acidule stoccate di Davide Faraone sul governo Crocetta: “E’ ora di dire basta all’antimafia di facciata, all’ambientalismo di convenienza e alle politiche di assistenzialismo che non creano vero lavoro. C’è bisogno di un vero cambio di passo. Ed è quello che il governo Renzi sta facendo…” . L’analisi del sangue del Pd, come un tempo sosteneva Michelangelo Russo, che “non può essere fatta alle imprese che operano in Sicilia”, indica una crescita di “globuli bianchi e azzurri” senza precedenti nella storia del partito: se prima scoccavano le polemiche perché l’ex sindaco Udc di Agrigento, Marco Zambuto assurto alla carica di presidente Pd, avesse incontrato ad Arcore l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi, in tempi di patto del Nazareno post-verdiniano, il bollettino degli ingressi in Sicilia si è trasformato in una febbre della sezione: è entrato nel partito perfino il leader degli universitari di Agrigento, l’ex cuffariano Michele Catanzaro. Poca cosa rispetto agli ingressi dell’ex deputato dell’Mpa Nicola d’Agostino o della nuova capogruppo del partito in Sicilia Alice Anselmo, reduce da sette cambi di casacca, che si è battuta per conquistare la guida del Pd con l’ex Udc etneo Luca Sammartino. Renziani sono oggi Paolo Ruggirello, vicepresidente dei deputati questori all’Ars, ex Mpa di Trapani, che ha fatto da segretario all’ex assessore al territorio Bartolo Pellegrino; Valeria Sudano, nipote dell’ex senatore Dc e Pippo Nicotra, un passato nel Psi, nell’Mpa, nel Pdl, nell’Udc, noto al grande pubblico perché , prima di essere sospeso dalla carica dal prefetto, da sindaco di Acicatena polemizzò con il questore di Catania che voleva vietare i funerali a un boss.

Partenogenesi? No, ci sono due anime che si scontrano. Da una parte i vecchi politici che navigano a vista spinti dalle correnti e dall’altra i giovani Renziani, tutti “hi tech”, “twitter”, e “social” che comunicano per slogan e si sentono protagonisti di un nuovo modo di fare politica. Da una parte le strategie delle vecchie volpi che imbarcano i movimenti collaterali, come “Sicilia Democratica” di Totò Cascio, o “Sicilia Futura” di Totò Cardinale, poi i supporter tecnici, i partiti- stampella come l’Udc e parte dell’Ncd, con un piede dentro la giunta e l’altro fuori, per vedere l’effetto che fa, fiancheggiatori in nome del "senso di resposnabilità" dell’esperienza ritenuta ormai a termine di Crocetta e che porta Faraone a dichiarare: “Le rivoluzioni non si annunciano, si fanno”.

E gli effetti si vedono: Crocetta è già un presidente commissariato sul bilancio, per i fondi assegnati al lumicino, e ora rischia di esserlo su molti altri fronti, rifiuti in testa. Non c’è una sola riforma varata da Crocetta che non abbia incontrato i rigori dell’impugnazione da parte del governo Renzi: dalla riforma delle Province, a quella sugli appalti, a quella sull’acqua. Con il sospetto neanche troppo velato che lo zampino sia proprio quello di Faraone.

Qui è il nocciolo dello scontro: la partita in corso per la Presidenza della Regione. Da una parte i sostenitori della candidatura Davide Faraone; dall’altra tutto il popolo silenzioso del centrodestra che si sta organizzando, carsicamente, come succede a Messina. Qui l’ex segretario regionale del Pd, Francantonio Genovese, ha fatto ribaltare i numeri del consiglio comunale spostando dal Pd a Forza Italia undici degli attuali consiglieri. Un fenomeno esattamente opposto a quello che si registra nel resto dell'Isola, denunciato dal commissario del partito Ernesto Carbone. Per un Pd che ingrassa nel resto della Sicilia, c’è un Pd che dimagrisce a Messina. Chiamatela se volete coerenza, ricerca di ideali. O più semplicemente, “crisi di identità”. La stessa che, con democristiana furbizia, ha diagnosticato Totò Cuffaro ai suoi ex sostenitori, passati sotto le ali di Matteo Renzi. Non si sa per quanto.

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Editoriali

Il Consiglio di Stato: “Non ci sono fondi per la disabilità” dobbiamo limitare l’inclusione scolastica

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Il titolo preannuncia una possibile “tragedia” che sta colpendo la dignità umana, questa è pura follia! L’inclusione della disabilità ha seguito un iter legislativo molto complesso che va consolidato ogni giorno con dei progetti validi a livello nazionale/europeo. Sentir parlare di limitare i fondi di bilancio che promuovono l’inclusione della disabilità è disfunzionale alla nostra etica morale.

La scuola italiana negli ultimi decenni si è impegnata sempre più in termini di inclusione, pertanto i “cantieri che si sono aperti” devono essere lavorati e non serrati. Sull’inclusione scolastica sono stati fatti numerosi studi, convegni e seminari; ad esempio l’Università Alma Mater di Bologna riconosce un grande merito al professore Andrea Canevaro, nonché il pioniere della prima cattedra di pedagogia speciale in Italia. Purtroppo, venuto a mancare da qualche anno, il professore Canevaro ha scritto i cardini su cui poggia la pedagogia speciale, ha studiato e fatto ricerca su molti punti chiave della disabilità: in particolare proprio sul concetto di inclusione.

È intervenuto con tecniche e strategie innovative tali da diffondere tre concetti chiave: il disabile non è diverso, ma tutti siamo uomini diversi, la consapevolezza dell’assenza di giudizio, il sostegno alla disabilità e le famiglie come fulcro del suo pensiero pedagogico.
Ostacolare oggi questi studi è come buttare una “mina” su tutto quello che è stato fatto da numerosi professionisti, insegnanti di sostegno e docenti. Inoltre, tutto quello che il Consiglio di Stato Italiano ha detto non ha fatto altro che creare malcontenti, delusioni e rabbia, nonché profonde ferite che colpiscono gli animi dei ragazzi/e, gli studiosi, le istituzioni e le famiglie stesse.
Il taglio dei fondi riguarderebbe non solo la disabilità certificata, ma anche le fragilità di alcuni ragazzi/e (i DSA e i BES). In tal caso, crollerebbe l’istituzione scuola, il ruolo degli insegnanti di sostegno e le progettazioni che si organizzano (es. i Piani Educativi Individualizzati).

Le famiglie sono molto preoccupate dopo la sentenza n° 1798/2024, poiché quest’ultima non riguarderebbe solo la violazione del diritto all’istruzione degli studenti disabili, ma anche di tanti altri servizi importanti come il trasposto, la riabilitazione e le cure. Le amministrazioni certificano, così, che il diritto allo studio per i disabili vale meno degli altri, riportando-ci ad un concetto terrificate: la discriminazione. Concetto, quest’ultimo, che non deve “esistere” in una repubblica democratica come l’Italia.


Se i fondi per l’assistenza scolastica stanno finendo, non bisogna certo infierire contro le situazioni più deboli. In tal caso si vanno ad infrangere i principi della nostra Costituzione Italiana quali, la dignità, l’uguaglianza, l’inclusione e le pari opportunità.

Pertanto, diciamo NO a questi possibili “tagli” ne va della nostra reputazione personale e collettiva.

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Editoriali

Giovani e lavoro: sfide e opportunità nell’era post-studi

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Tra aspettative, realtà del mercato e nuove competenze: come i neolaureati affrontano l’ingresso nel mondo professionale

Il passaggio dal mondo accademico a quello lavorativo rappresenta un momento cruciale nella vita di ogni giovane. Oggi, più che mai, questo transito è caratterizzato da sfide complesse e opportunità in rapida evoluzione. L’era digitale, la globalizzazione e i cambiamenti socio-economici hanno ridisegnato il panorama professionale, creando nuove aspettative e richiedendo competenze sempre più specifiche.

Secondo recenti studi dell’ISTAT, in Italia il tasso di disoccupazione giovanile si attesta intorno al 30%, un dato allarmante che sottolinea le difficoltà incontrate dai neolaureati nel trovare un’occupazione coerente con il proprio percorso di studi. La dott.ssa Maria Rossi, sociologa del lavoro presso l’Università di Milano, commenta: “I giovani di oggi si trovano di fronte a un paradosso: sono la generazione più istruita di sempre, ma faticano a trovare la loro collocazione nel mercato del lavoro.”

Uno dei principali ostacoli è il disallineamento tra le competenze acquisite durante il percorso di studi e quelle richieste dalle aziende. Il dott. Luca Bianchi, responsabile delle risorse umane di una multinazionale, spiega: “Spesso i neolaureati hanno una solida base teorica, ma mancano di competenze pratiche e soft skills essenziali nel mondo del lavoro, come la capacità di lavorare in team, la flessibilità e la gestione dello stress.”

Per colmare questo gap, molte università stanno implementando programmi di alternanza scuola-lavoro e stage curriculari. La prof.ssa Giulia Verdi, docente di Economia all’Università di Roma, afferma: “È fondamentale creare un ponte tra il mondo accademico e quello professionale. Gli stage e i tirocini offrono agli studenti l’opportunità di mettere in pratica le loro conoscenze e di familiarizzare con le dinamiche aziendali.”

Un altro aspetto cruciale è l’orientamento professionale. Molti giovani si sentono disorientati di fronte alla molteplicità di opzioni e alla rapida evoluzione del mercato del lavoro. Il dott. Marco Neri, psicologo del lavoro, sottolinea l’importanza di un approccio proattivo: “È essenziale che i giovani inizino a riflettere sul loro futuro professionale già durante gli studi, esplorando diverse opportunità e costruendo un network di contatti.”

L’era digitale ha anche aperto nuove strade per l’autoimprenditorialità. Sempre più giovani scelgono di avviare startup o di intraprendere carriere da freelance. Andrea Russo, 28 anni, fondatore di una startup nel settore tech, racconta: “Ho deciso di creare la mia azienda perché volevo mettere in pratica le mie idee e avere un impatto diretto. È una sfida enorme, ma anche un’opportunità di crescita incredibile.”

Tuttavia, non mancano le criticità. La precarietà lavorativa e i contratti a tempo determinato sono spesso la norma per i neoassunti. La dott.ssa Laura Bianchi, esperta di politiche del lavoro, evidenzia: “C’è il rischio di creare una generazione di lavoratori perennemente precari. È necessario un intervento legislativo per tutelare i giovani e incentivare le assunzioni a tempo indeterminato.”

Le aziende, dal canto loro, stanno cercando di adattarsi alle nuove esigenze dei giovani lavoratori. Flessibilità oraria, smart working e programmi di formazione continua sono alcune delle strategie adottate per attrarre e trattenere i talenti. Il dott. Paolo Verdi, CEO di una media impresa, spiega: “Investiamo molto nella formazione e nel benessere dei nostri dipendenti. I giovani oggi cercano non solo uno stipendio, ma un ambiente di lavoro stimolante e in linea con i loro valori.”

In conclusione, l’approccio dei giovani al mondo del lavoro è caratterizzato da una miscela di entusiasmo e preoccupazione. Se da un lato ci sono sfide significative da affrontare, dall’altro le nuove generazioni hanno a disposizione strumenti e opportunità senza precedenti. La chiave per il successo sembra risiedere nella capacità di adattarsi, di apprendere continuamente e di coltivare una mentalità aperta e flessibile.

Come sottolinea la prof.ssa Verdi: “Il mondo del lavoro sta cambiando rapidamente. I giovani che riusciranno a navigare queste acque turbolente, combinando competenze tecniche, soft skills e una buona dose di resilienza, saranno quelli che tracceranno il futuro del mondo professionale.”

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Diocesi di Roma e gestione patrimoniale: scelte controverse, cambiamenti interni e accuse di “furto” [INCHIESTA #3]

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Dalla gestione ecclesiastica a quella commerciale: i timori per il futuro del patrimonio diocesano

Negli ultimi mesi, la Diocesi di Roma è stata al centro di una serie di eventi che hanno suscitato preoccupazioni riguardo alla gestione del suo vasto patrimonio immobiliare. Diverse decisioni amministrative e nomine interne hanno alimentato il dibattito tra chi teme che la struttura stia subendo cambiamenti significativi, con ripercussioni sia sul patrimonio che sui rapporti interni.

Il Caso dell’immobile sul Lungotevere

Un esempio emblematico riguarda la stipula del contratto di locazione per un immobile situato in lungotevere dei Vallati, concesso alla società “Wellington Polo Fashion s.r.l.”.

Purtroppo c’è di mezzo una presunta falsificazione degli atti

L’operazione ha sollevato numerose domande e, tra l’altro, nonostante la firma del contratto, la società non ha ancora versato il primo e il secondo canone di locazione. La situazione ha destato perplessità, considerando che è stato accordato anche uno stralcio del debito preesistente e una dilazione del pagamento in cinque anni. Ci si chiede se le condizioni stabilite siano state realmente vantaggiose per la Diocesi o se vi siano state delle leggerezze nella stipula dell’accordo.

Riunioni a porte chiuse e preoccupazioni

La mancanza di comunicazioni ufficiali ha generato un clima di incertezza. Diverse riunioni si sono susseguite, con l’intento di affrontare la questione, e sembrerebbe che alcune figure chiave stiano cercando di individuare eventuali responsabilità.

Tra i nomi coinvolti, si parla del Vicegerente Mons. Baldassare Reina, della Cancelliera Maria Teresa Romano figure di rilievo nell’amministrazione della Diocesi e anche del Notaio Carlo Cavicchioni.

Le dimissioni e le nomine

In questo contesto, un altro evento significativo è stato quello delle recenti dimissioni del dott. Davide Adiutori, unico addetto dell’Ufficio Patrimonio della Diocesi. Adiutori lascerà il suo incarico il prossimo 30 settembre, un fatto che ha alimentato ulteriori dubbi su possibili difficoltà interne nella gestione del patrimonio. Le sue dimissioni sono viste da molti come un segnale preoccupante, poiché potrebbero lasciare spazio a cambiamenti significativi nella gestione delle risorse immobiliari.
Parallelamente, è stata resa pubblica la nomina di Don Renato Tarantelli Baccari a Vicario episcopale giuridico-amministrativo, con poteri straordinari nella gestione degli enti della Diocesi. La nomina, firmata dal Santo Padre in data 24 giugno 2024, conferisce a Don Tarantelli un ruolo di grande responsabilità, oltre a diversi altri conferiti in precedenza, con l’autorità di coordinare gli ambiti giuridici e amministrativi della Diocesi di Roma.

La Diocesi di Roma potrebbe presto trasferire tutto il suo patrimonio immobiliare nelle mani dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), l’ente che gestisce i beni e le risorse economiche della Città del Vaticano. C’è anche il timore che, oltre agli immobili, il Santo Padre possa acquisire presto anche il controllo del patrimonio mobiliare (cioè i beni non immobili come titoli finanziari o denaro) della Diocesi.
Inoltre, con una logica che sembra più vicina a quella di un’impresa commerciale che a una struttura ecclesiastica, è stato deciso di smembrare il settore centro della Diocesi di Roma. Questo settore sarà suddiviso tra gli altri settori presenti a Roma, senza tener conto delle specificità e delle necessità di questa particolare e speciale realtà della Diocesi. Questo cambiamento potrebbe dare al Vicario Episcopale un maggiore controllo sugli enti che si trovano nel centro di Roma, come le rettorie e altre strutture religiose. L’obiettivo sembrerebbe essere quello di consolidare il potere e appropriarsi del patrimonio accumulato nel corso di tanti anni grazie ai contributi dei fedeli. In futuro, anche questi beni potrebbero essere trasferiti sotto la gestione diretta del Santo Padre.

Cambiamenti al vertice e riorganizzazione Interna

L’inchiesta giornalistica che sta portando avanti questo quotidiano mette in luce anche altre dinamiche interne, come la nomina di Don Alessandro Caserio a direttore dell’Ufficio Amministrativo.

Caserio, amico di lunga data di Don Tarantelli, ha assunto il ruolo dopo la partenza della dott.ssa Cristiana Odoardi, che si era precedentemente dimessa e anche lui come la Odoardi non ha competenze economiche avendo forse una laurea in architettura.

Questi spostamenti interni sollevano domande sull’effettiva indipendenza delle nomine e sui possibili conflitti di interesse.
In aggiunta, vi sono segnali di una riorganizzazione del personale all’interno del Vicariato. Alcuni dipendenti e sacerdoti che non si sono allineati con la nuova linea amministrativa sarebbero stati gradualmente allontanati, alimentando un clima di tensione tra chi teme un progressivo accentramento del potere.
Mentre la Diocesi di Roma attraversa questo periodo di cambiamenti, molti fedeli e osservatori restano in attesa di capire quali saranno le implicazioni a lungo termine delle recenti decisioni. Le domande sulla gestione del patrimonio e le dinamiche interne sollevano interrogativi che potrebbero influenzare la fiducia nella trasparenza e nell’amministrazione della Chiesa a livello locale.
Resta da vedere come si evolveranno gli eventi nei prossimi mesi e se le scelte attuate porteranno ad ulteriori divisioni all’interno della Diocesi. La gestione del patrimonio, un tema delicato e cruciale, continua a essere un argomento di grande interesse per chi segue da vicino le vicende della Chiesa romana.

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