SICILIA E LA "CUFFARIZZAZIONE" DEL PARTITO DEMOCRATICO: TOTÒ, FAUSTO E… IL MAL DI PD

di Enzo Basso

Da Botteghe Oscure alle folgorazioni di “Cambiamenti”, il nome che il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone ha voluto dare alla Leopolda in salsa sicula in programma dall’8 al 10 aprile prossimo a Palermo. Ma sono proprio i “cambiamenti” dentro il Pd Renziano in Sicilia ad avere portato il segretario Regionale Fausto Raciti a sospendere i tesseramenti in corso e a chiedere una verifica ai garanti del partito. Una verifica su cosa? Sugli “ingressi anomali”, che stanno cambiando non solo il peso ma anche la geografia e le forze interne del Pd in Sicilia. Col sospetto che a guidarne le sorti presto potrebbero essere gli ex Cuffariani, un partito silenzioso di adepti che sta colonizzando il nuovo corso del partito che fu di Pio la Torre e Luigi Berlinguer per trasformarlo in una nuova “Balena Bianca”.

Complice una intervista, all’Huffington-Post diretto da Lucia Annunziata, dell’ex governatore della Sicilia Totò Cuffaro
che ha riconosciuto come molti suoi ex sostenitori siano finiti nella rete del Pd, “più che rottamati – li ha definiti – mi sembrano riciclati”. L’ingresso che ha trasformato le polemiche da roventi in un vero e proprio “casus belli” nazionale, è arrivato da Siracusa: l’iscrizione al Pd dell’ex sindaco di Carlentini, ex Pdl, ex Udc, Pippo Basso, presente l’assessore regionale alla Formazione, Bruno Marziano.

Un fatto che ha mandato su tutte le furie Fausto Raciti
che ha chiesto la sospensione del tesseramento in corso, registrando prima il sostegno convinto dell’ex segretario Perluigi Bersani e poi di Walter Veltroni, che nel suo intervento alla scuola di formazione battezzata da Renzi con un “#Classdem”, davanti a 370 giovani quadri tra i 17 e i 35 anni, ha detto sui nuovi ingressi provenienti dalla Sicilia, che minano alla base il Dna del partito. Tanto che sarebbe “meglio perdere, che perderci”.

Ma cosa sta cambiando davvero nel partito che fu promotore delle lotte contadine raccontate da Emanuele Macaluso in Sicilia? Secondo il presidente regionale Giuseppe Bruno, che a 25 anni era cuffariano, “la trasformazione c’è, è palpabile, ed è quella del partito aperto alle istanze della società”. A noi – ha detto – si avvicinano giovani, docenti universitari, militanti che chiedono un nuovo modo di fare politica. Sono le istanze fresche della società. Raciti è ancora legato a un’idea di partito simbiotico a Crisafulli e Cracolici…”. A preoccupare, sono i numeri in crescita del tesseramento in corso che hanno fatto lievitare le adesioni a quota ventimila, le stesse che prima sfoggiava a Messina un solo candidato come Francantonio Genovese.

Se a Palermo si è passati da seimila a diecimila, il segnale che arriva dalla periferia è quanto mai eloquente: ad Agrigento le tessere sono passate da 3200 a 4000, con alcuni casi-simbolo come quello di Palma di Montechiaro dove, grazie all’apporto di Letizia Pace, che nel 2014 era ancora in Forza Italia, sono arrivate a pioggia duecento nuove iscrizioni. Fatti che simultaneamente si registrano anche a Ragusa, patria dell’ex sindaco forzista Nello Di Pasquale, un deputato che un tempo diceva “il Pd fa schifo”, che ora corregge il tiro e dice che il “Pd è cambiato…”.  Si ma per andare dove? Secondo il deputato Giovanni Burtone, che ha scritto un intervento su “Repubblica”, è in corso una “eterogenesi” e l’allarme è più che dovuto perché la missione è che “bisogna cambiare la Sicilia, non farci cambiare”. E ha ricordato come le stesse problematiche il partito se le era poste in un drammatico dibattito il 19 dicembre del 2009, quando bisognava decidere se dare l’appoggio tecnico al governo Lombardo. C’era allora lo scontro tra Lupo e Lumia.

Ora c’è Renzi – scrive Burtone – ma il dibattito è ancora sul cuffarismo e sul lombardismo…” Chi tace in questo momento è proprio il senatore Giuseppe Lumia, leader del Movimento antimafia che registra le acidule stoccate di Davide Faraone sul governo Crocetta: “E’ ora di dire basta all’antimafia di facciata, all’ambientalismo di convenienza e alle politiche di assistenzialismo che non creano vero lavoro. C’è bisogno di un vero cambio di passo. Ed è quello che il governo Renzi sta facendo…” . L’analisi del sangue del Pd, come un tempo sosteneva Michelangelo Russo, che “non può essere fatta alle imprese che operano in Sicilia”, indica una crescita di “globuli bianchi e azzurri” senza precedenti nella storia del partito: se prima scoccavano le polemiche perché l’ex sindaco Udc di Agrigento, Marco Zambuto assurto alla carica di presidente Pd, avesse incontrato ad Arcore l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi, in tempi di patto del Nazareno post-verdiniano, il bollettino degli ingressi in Sicilia si è trasformato in una febbre della sezione: è entrato nel partito perfino il leader degli universitari di Agrigento, l’ex cuffariano Michele Catanzaro. Poca cosa rispetto agli ingressi dell’ex deputato dell’Mpa Nicola d’Agostino o della nuova capogruppo del partito in Sicilia Alice Anselmo, reduce da sette cambi di casacca, che si è battuta per conquistare la guida del Pd con l’ex Udc etneo Luca Sammartino. Renziani sono oggi Paolo Ruggirello, vicepresidente dei deputati questori all’Ars, ex Mpa di Trapani, che ha fatto da segretario all’ex assessore al territorio Bartolo Pellegrino; Valeria Sudano, nipote dell’ex senatore Dc e Pippo Nicotra, un passato nel Psi, nell’Mpa, nel Pdl, nell’Udc, noto al grande pubblico perché , prima di essere sospeso dalla carica dal prefetto, da sindaco di Acicatena polemizzò con il questore di Catania che voleva vietare i funerali a un boss.

Partenogenesi? No, ci sono due anime che si scontrano. Da una parte i vecchi politici che navigano a vista spinti dalle correnti e dall’altra i giovani Renziani, tutti “hi tech”, “twitter”, e “social” che comunicano per slogan e si sentono protagonisti di un nuovo modo di fare politica. Da una parte le strategie delle vecchie volpi che imbarcano i movimenti collaterali, come “Sicilia Democratica” di Totò Cascio, o “Sicilia Futura” di Totò Cardinale, poi i supporter tecnici, i partiti- stampella come l’Udc e parte dell’Ncd, con un piede dentro la giunta e l’altro fuori, per vedere l’effetto che fa, fiancheggiatori in nome del "senso di resposnabilità" dell’esperienza ritenuta ormai a termine di Crocetta e che porta Faraone a dichiarare: “Le rivoluzioni non si annunciano, si fanno”.

E gli effetti si vedono: Crocetta è già un presidente commissariato sul bilancio, per i fondi assegnati al lumicino, e ora rischia di esserlo su molti altri fronti, rifiuti in testa. Non c’è una sola riforma varata da Crocetta che non abbia incontrato i rigori dell’impugnazione da parte del governo Renzi: dalla riforma delle Province, a quella sugli appalti, a quella sull’acqua. Con il sospetto neanche troppo velato che lo zampino sia proprio quello di Faraone.

Qui è il nocciolo dello scontro: la partita in corso per la Presidenza della Regione. Da una parte i sostenitori della candidatura Davide Faraone; dall’altra tutto il popolo silenzioso del centrodestra che si sta organizzando, carsicamente, come succede a Messina. Qui l’ex segretario regionale del Pd, Francantonio Genovese, ha fatto ribaltare i numeri del consiglio comunale spostando dal Pd a Forza Italia undici degli attuali consiglieri. Un fenomeno esattamente opposto a quello che si registra nel resto dell'Isola, denunciato dal commissario del partito Ernesto Carbone. Per un Pd che ingrassa nel resto della Sicilia, c’è un Pd che dimagrisce a Messina. Chiamatela se volete coerenza, ricerca di ideali. O più semplicemente, “crisi di identità”. La stessa che, con democristiana furbizia, ha diagnosticato Totò Cuffaro ai suoi ex sostenitori, passati sotto le ali di Matteo Renzi. Non si sa per quanto.