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di Angelo Barraco
Roma – Nella prima parte di questa esclusiva de L’Osservatore D’Italia dedicata al giallo di Via Poma, abbiamo introdotto la scena del crimine che si è presentata sotto gli occhi di Paola Cesaroni, il suo fidanzato Antonello Barone, il datore di lavoro di Simonetta Salvatore Volponi –che fu il primo ad entrare nell’ufficio dove si trovava il cadavere- il figlio Luca, la portiera Giuseppa De Luca e il figliastro Mario Vanacore, Pietro Vanacore sopraggiunse poco dopo poiché si trovava a casa dell’architetto Cesare Valle, in quel momento unico inquilino presente nel palazzo. La porta dell’ufficio dentro cui lavorava Simonetta era chiusa con quattro mandate e fu aperta dalla moglie di Vanacore a seguito di iniziali insistenze. Iniziamo ad addentrarci nel giallo di Via Poma, analizzando in modo clinico, analitico e critico, tutte le piste battute dagli inquirenti nel corso di questi lunghi anni d’indagine.
Pista investigativa: Pietrino Vanacore. La macchina investigativa parte immediatamente e l’occhio viene puntato su coloro che in quel momento si trovavano all’interno dello stabile. Emerge subito che i portieri di Via Poma, oltre a De Luca, Vancacore e Grimaldi, avevano chiacchierato davanti alla fontana del condominio e avevano asserito di non aver visto entrare nessuno nella fascia oraria che va dalle 16.00 alle 20.00. del 7 agosto. Ma qualcosa non quadra poiché emerge che Pietrino Vanacore non si trovava con gli altri portieri, circostanza che va in netto contrasto con quanto asserito da lui. L’uomo infatti era in quel luogo nella fascia oraria che va dalle 17.30 alle 18.30, orario in cui Simonetta sarebbe stata uccisa, Vanacore risultava assente. Dalle indagini era emerso che Vanacore si era recato, insieme al portiere Grimardi, a fare degli acquisti in un ferramenta e successivamente aveva annaffiato alcune piante, quest'ultima operazione l'aveva fatta da solo. Ma gli elementi di contraddizione e sospetto attorno a Vanacore crescono poiché aveva asserito che alle 22.30 era uscito di casa per recarsi dall’architetto Cesare Valle, per fare a quest’ultimo assistenza notturna. Ma tale circostanza è stata smentita poiché emerge che il portiere si reca dall’architetto alle 23.00. Il portiere conosceva bene i luoghi e nella mezz’ora che va dalle 22.30 alle 23.00 avrebbe potuto disfarsi dell’arma e ripulire per bene la scena del crimine. Emerge inoltre che nessun estraneo fu visto quel pomeriggio in Via Poma, tranne dalla Signora De Luca che disse agli inquirenti di aver visto un uomo, che dagli accertamenti si rivelò poi un soggetto che si trovava fuori Roma. Ma mancava il movente: Che legame c’era tra Vanacore e Simonetta? I due non si conoscevano se non di sfuggita, il portiere inoltre, malgrado avesse le chiavi e potesse agire con facilità, non poteva avere la certezza che Simonetta fosse da sola in ufficio. Si parlò tanto del sangue rinvenuto sui pantaloni di Vanacore, tv e giornali misero in prima pagina il “colpevole” di Via Poma e quel sangue rinvenuto sui suoi pantaloni rappresentò per tutti la chiave del delitto, ma dagli accertamenti emerse chiaramente che quel sangue non proveniva dalla scena del crimine e non apparteneva a Simonetta, ma proveniva dalle emorroidi di cui soffriva il portiere. Viene scarcerato il 23 aprile del 1991 e la sua posizione archiviata. Un anno dopo la sua posizione si ribalta e viene indagato per favoreggiamento, questa volta viene individuato l’autore dell’omicidio nella persona di Federico Valle. Nell’ottobre del 2008 viene perquisita la sua casa pugliese, gli inquirenti cercano un’agenda telefonica, ma non trovano nulla. Il 9 marzo del 2010 si suicida a Maruggio, vicino Taranto, Pietrino Vanacore. Il suo corpo viene rinvenuto alle ore 13.00 in mare, con una fune legata al piede e l’altro della fune invece legata ad un albero. L’uomo lasciò anche due biglietti sul ,tergicristalli della macchina, in cui vi era scritto “20 anni perseguitati senza nessuna colpa”.
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