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Esteri

Siria abbatte jet militare russo

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SIRIA – Un aereo militare russo Il-20 con a bordo 14 militari è scomparso dai radar ieri notte mentre sorvolava il Mediterraneo di ritorno alla base aerea russa di Khmeimim, in Siria. Secondo il dicastero, i contatti col jet si sono persi mentre quattro F-16 israeliani attaccavano obiettivi siriani nella provincia di Latakia. “Allo stesso tempo – riporta il ministero – i radar russi hanno registrato lanci di missili dalla fregata francese Auvergne, che era in quella zona”.

Secondo la CNN, l’aereo è stato abbattuto per errore dalle difese anti-aeree siriane. In quel momento Damasco si stava difendendo dall’attacco israeliano. Sempre secondo l’emittente Usa il velivolo è stato abbattuto da un sistema di difesa anti-aerea venduto ai siriani dai russi diversi anni fa.

“Il 17 settembre, attorno alle 23 ora di Mosca (le 22 in Italia, ndr), si sono persi i contatti con l’equipaggio di un aereo russo Il-20 sopra il Mediterraneo, mentre il velivolo era di ritorno all’aerodromo di Khmeimim e si trovava a 35 chilometri dalla costa siriana”, fa sapere il ministero della Difesa russo. Il comando della base aerea di Khmeimim ha lanciato un’operazione di ricerca e di soccorso.

Esteri

USA 2024, Harris e Trump: duello finale nel segno dei battleground states

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Con il countdown per le elezioni che si intensifica, la vicepresidente Harris sfrutta il sostegno degli elettori, mentre Trump continua a sollevare polemiche su sicurezza e libertà di stampa

Con soli due giorni alla scadenza, Kamala Harris si consolida nei battleground states mentre Trump intensifica la retorica provocatoria, promettendo riforme controverse e rispondendo alle critiche.

A meno di 48 ore dalle elezioni statunitensi, i dati diffusi dal New York Times e dal Siena College mostrano Kamala Harris in vantaggio dell’8% tra gli elettori che hanno già votato, mentre Donald Trump mantiene una leadership tra quelli che hanno dichiarato l’intenzione di votare nei prossimi giorni. Questa fase critica della campagna elettorale ha visto entrambi i candidati intensificare la loro presenza negli stati chiave, dove il sostegno popolare potrebbe decidere l’esito dell’elezione.

Kamala Harris ha scelto il Michigan per uno degli ultimi comizi, parlando alla comunità musulmana e araba della regione, che si è mostrata critica verso la politica dell’amministrazione Biden in relazione al conflitto in Gaza. Durante un discorso presso la chiesa Greater Emmanuel Institutional di Detroit, la Harris ha invocato l’unità, affermando che “il piano di Dio è di guarirci e unirci come nazione”, ma ha sottolineato la necessità di agire per realizzare questa visione.

Donald Trump, invece, ha mantenuto un tono più polemico durante un raduno in Pennsylvania, criticando aspramente la stampa e ironizzando sulla possibilità di attacchi contro di lui. “Per colpirmi, qualcuno dovrebbe sparare attraverso le fake news e non mi dispiacerebbe troppo”, ha dichiarato, scatenando le reazioni sia del pubblico che della comunità politica. Alcuni esponenti democratici hanno definito queste dichiarazioni “pericolose” e “irresponsabili”. Joe Biden, ex presidente e sostenitore di Harris, ha commentato: “Le parole contano, soprattutto in un momento così delicato. È importante che ogni candidato mostri rispetto per le istituzioni e la stampa”.

Trump ha anche promesso un ruolo centrale a Robert F. Kennedy Jr. nel caso di un’eventuale vittoria, facendogli supervisionare la politica sanitaria e altre tematiche ambientali. L’ex presidente ha accennato all’idea, avanzata da Kennedy, di rimuovere il fluoro dall’acqua potabile, suscitando preoccupazioni tra esperti e analisti di salute pubblica. “Queste proposte devono essere valutate con cautela”, ha affermato il dott. Anthony Fauci, aggiungendo che “la scienza deve sempre guidare le decisioni di politica sanitaria”.

Trump ha continuato la sua retorica contro i leader repubblicani, come il senatore Mitch McConnell, sostenendo che la sua influenza nel partito stia ostacolando una vera rinascita conservatrice. Allo stesso tempo, ha descritto i sondaggi negativi, come quelli del New York Times, come strumenti per demoralizzare il suo elettorato.

Harris, invece, ha evitato di rispondere direttamente alle critiche sulle recenti decisioni legislative in California, concentrandosi sulla promessa di porre fine al conflitto in Medio Oriente e rafforzare i diritti civili negli Stati Uniti.

Dal fronte internazionale, i leader europei osservano con attenzione gli sviluppi delle elezioni americane. Il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato: “Qualunque sia il risultato, l’Europa deve essere pronta a collaborare con il nuovo governo per affrontare sfide globali come il cambiamento climatico e la sicurezza internazionale”. Anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha ribadito l’importanza della stabilità politica americana per l’equilibrio globale, affermando che “la democrazia americana ha un impatto diretto su tutte le altre democrazie del mondo”.

Mentre l’elezione si avvicina al traguardo, l’attenzione è massima, non solo tra i cittadini statunitensi, ma anche tra i partner globali che aspettano di vedere quale direzione prenderà la leadership della superpotenza mondiale.

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Cronaca

Clima impazzito: Valencia tra rovine e speranze per un futuro sostenibile

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Il sud della Spagna vive giorni di dolore e distruzione in seguito a una delle peggiori inondazioni della sua storia recente. Nella sola provincia di Valencia si contano, finora, 92 dei 95 morti accertati, ma la cifra sembra destinata a salire, considerando che molte persone risultano ancora disperse. L’ondata di piogge torrenziali, causata da una depressione atmosferica che ha scatenato temporali devastanti, ha sommerso interi paesi e costretto oltre 120.000 persone ad abbandonare le proprie case. Cittadine come Paiporta, Sedaví e altre zone periferiche di Valencia sono ora cumuli di fango, detriti e dolore. Qui, la conta delle vittime si fa sempre più angosciante: solo a Paiporta sono stati recuperati 40 corpi, e il numero di persone ancora intrappolate o disperse è alto, un’incognita che grava come un’ombra sui soccorritori.

Le operazioni di soccorso non si sono fermate un attimo: migliaia di soccorritori, tra cui oltre mille militari, scavano giorno e notte tra il fango e le macerie, mentre le forze dell’ordine e l’Unità di emergenza dell’esercito si sono mobilitate per salvare più vite possibile. Finora, più di 250 persone sono state salvate via elicottero e 70 via terra, ma la situazione resta critica. Nel frattempo, le previsioni meteo lanciano un nuovo allarme per il nord di Castellón, una provincia già devastata, con l’agenzia meteorologica Aemet che invita i residenti a rimanere al riparo e non uscire per alcun motivo, poiché “le tempeste non si fermano”. Le autorità hanno dichiarato lo stato di emergenza e i collegamenti ferroviari e autostradali sono stati interrotti, isolando intere aree.

La disperazione e l’impotenza prendono forma nelle parole di chi ha perso tutto: “La necessità più urgente è che vengano a recuperare i cadaveri. Ci sono ancora persone sotto le macchine. È un disastro indescrivibile,” racconta Javier, un ex militare di Sedaví, che ha assistito impotente alla distruzione della sua città. “Abbiamo bisogno di cibo e rifornimenti. I negozi sono stati presi d’assalto e gli scaffali sono vuoti”, aggiunge con voce spezzata.

Oggi, il primo ministro Pedro Sánchez si recherà a Valencia per incontrare i soccorritori e visitare le aree più colpite, mentre il leader del Partito Popolare, Alberto Núñez Feijóo, farà altrettanto per mostrare il proprio sostegno. In un momento in cui ogni minuto può fare la differenza tra la vita e la morte, la speranza si affievolisce, ma l’impegno di volontari e soccorritori continua senza sosta.

Le autorità locali e nazionali stanno lavorando a un piano di ricostruzione e assistenza per le migliaia di famiglie sfollate. Intanto, Valencia piange e lotta, in attesa di un aiuto che possa riportare almeno un po’ di sollievo e speranza in una regione martoriata.

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Esteri

Medio oriente in fiamme: Israele risponde con forza all’Iran, il mondo trattiene il fiato

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Missili e attacchi notturni segnano l’escalation di una crisi che minaccia la stabilità globale. L’Iran Riduce l’impatto e prepara la controffensiva

In una nuova fase di escalation tra Israele e Iran, le forze israeliane hanno lanciato, nella notte di sabato, attacchi mirati contro siti militari in territorio iraniano, puntando specificamente a strutture di produzione di missili e sistemi di difesa aerea. Questa operazione risponde a un recente attacco missilistico iraniano contro Israele, segnando un nuovo picco nel conflitto che da decenni vede i due Paesi scontrarsi indirettamente attraverso azioni militari e alleati regionali.

Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno spiegato che l’attacco, condotto con grande precisione, è stato studiato per evitare infrastrutture critiche iraniane come giacimenti petroliferi e impianti nucleari, limitando così i potenziali danni a livello regionale e colpendo invece risorse militari fondamentali. Gli attacchi, riportati intorno alle 2:15 ora locale a ovest di Teheran, sono stati seguiti da ulteriori ondate prima dell’alba, con video pubblicati sui social che mostrano fuochi di traccianti ed esplosioni nel cielo della capitale iraniana.

Secondo i media statali iraniani, la maggior parte dei missili in arrivo sarebbe stata intercettata, e i danni si sarebbero rivelati “limitati”, nonostante le esplosioni iniziali avvenute nelle province di Teheran, Ilam e Khuzestan. L’esercito iraniano ha successivamente confermato la perdita di due soldati, uccisi nel tentativo di “contrastare i proiettili dell’entità sionista criminale”, come Israele viene spesso definito dai funzionari iraniani.

Questo scontro fa parte della risposta di Israele a un massiccio attacco missilistico iraniano del 1° ottobre, quando Teheran ha lanciato 200 missili contro obiettivi israeliani dopo l’uccisione del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, a Beirut. L’intensificazione delle operazioni israeliane contro gli alleati dell’Iran in Libano, Yemen e Siria riflette una strategia volta a limitare l’influenza regionale di Teheran attraverso colpi mirati contro le sue forze per procura.

Le tensioni in Libano sono ulteriormente aumentate, con gli attacchi israeliani che hanno causato più di 2.500 morti, sfollato 1,2 milioni di persone e creato una grave crisi umanitaria. Le operazioni in corso a Gaza dal 7 ottobre, scatenate dall’attacco di Hamas, hanno peggiorato la situazione, con rappresentanti delle Nazioni Unite che denunciano gravi sofferenze per i civili.

Gli Stati Uniti hanno mantenuto una posizione di non coinvolgimento diretto, esortando Israele a concentrare gli attacchi su obiettivi militari ed evitando strutture nucleari o petrolifere iraniane, per prevenire gravi conseguenze economiche e ambientali nella regione del Golfo. Pur riconoscendo il diritto alla difesa di Israele, gli Stati Uniti e altri alleati occidentali hanno chiesto moderazione, temendo che un’escalation possa coinvolgere direttamente gli Stati Uniti e i loro alleati regionali. Recentemente, il Presidente Joe Biden ha discusso con il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, consigliando una risposta mirata per evitare una guerra totale.

Rimane incerta la risposta dell’Iran a questa cauta operazione israeliana, con le autorità militari di Tel Aviv che avvertono che qualsiasi futura aggressione iraniana sarà seguita da ulteriori controffensive israeliane. Questo ciclo incessante di risposte militari sottolinea la fragilità della stabilità regionale, con entrambi i Paesi che dispongono di risorse militari significative e alleanze strategiche capaci di trasformare il conflitto in una minaccia più vasta e destabilizzante per l’intero Medio Oriente.

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