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Stefano Andreotti: “Vi racconto chi era mio padre Giulio”

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Stefano Andreotti, figlio di Giulio Andreotti, è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format “I Lunatici”, condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta ogni notte dall’1.30 alle 6.00 del mattino.

Andreotti Jr ha raccontato alcuni aspetti privati legati a suo padre: “Spesso mi viene chiesto chi fosse mio padre. Rispondere non è semplice. La prima cosa che mi viene in mente è che mio padre è stato un profondo cristiano che credeva negli insegnamenti della Chiesa Cattolica e ha cercato, magari non sempre ci è riuscito, di uniformare la sua vita privata e pubblica a questi insegnamenti. E’ stato un uomo politico che ha vissuto una vita per lo Stato e nello Stato. E’ stato un ottimo marito e un padre molto attento, non molto presente come tempi ma è riuscito a compensare questo con un grande rapporto di qualità. Viveva molte ore al giorno sveglio, dormiva quattro ore a notte, le ore in cui era sveglio lavorava quasi sempre, compresi i sabati e spesso la domenica. E’ stato sempre però molto attento a tutto ciò che accadeva in famiglia”.

Stefano Andreotti ha svelato alcuni aneddoti del padre Giulio: “Amava lo sport, ma solo da seduto. Amava guardarlo, non farlo. Era pigrissimo. Faceva un’eccezione per me, nel corridoio di casa abbiamo fatto qualche partita di calcio quando ero piccolo. Ricordo le partite a carte che facevamo d’estate, o quando andavamo a vedere le partite insieme. Amava le corse dei cavalli, la sua grande passione. Io sono irrimediabilmente tifoso della Lazio, lui era un grande romanista, c’era un derby in casa. Questo è l’unico punto su cui non siamo mai andati d’accordo. Quando ero bambino mi portava spesso allo stadio a vedere la Lazio. Poi quando è iniziato il periodo brutto del terrorismo per lui non è stato più possibile andare in certi posti a rischio. Noi siamo quattro fratelli, mamma ha sempre fatto la parte dell’educatore severo, lui ci ha sempre dato una grande libertà di scelta. Quando facevamo una cavolata ce lo faceva notare, ma ci dava la possibilità di scegliere. Di sbagliare anche. Ma con la nostra testa. Da bambino quando mi chiedevano che lavoro facesse mio padre, io rispondevo che faceva il Ministro, cosa che non è molto corrente ma che nel suo caso è stata la realtà”.

Su quello che penserebbe Giulio Andreotti della situazione politica attuale: “E’ morto cinque anni fa, ha convissuto con una situazione politica già molto diversa da quella che era la sua. Chiaramente lui accettava che i tempi fossero cambiati. La cosa che più gli farebbe dispiacere della politica di oggi è la violenza dialettica che c’è tra i vari esponenti. Lui, all’epoca, aveva rapporti di massima stima e rispetto anche con gli esponenti del Partito Comunista. Nell’archivio di mio padre ci sono delle lettere che si scambiava con alcuni esponenti del partito comunista che a leggerle oggi si potrebbe pensare andassero a fare le scampagnate insieme”.

Sulle rappresentazioni che hanno caratterizzato Giulio Andreotti nel corso degli anni: “Il soprannome di belzebù è venuto fuori negli anni 80. Mio padre ha sempre lasciato correre. Di sicuro, Andreotti, mio padre, era l’opposto di ciò che è stato rappresentato nel film Il Divo di Sorrentino. Questo lo possono testimoniare tutte le persone che lo hanno conosciuto. Lui si è sempre divertito, ha sempre lasciato perdere. Ha conservato tutte le vignette satiriche che lo hanno riguardato. Si divertiva nel guardarle. Uno dei pochi momenti, forse l’unico, in cui ha reagito bruscamente è stato il film di Sorrentino. Lo definì una mascalzonata. Il soprannome di belzebù sicuramente non gli faceva piacere, ma lasciava perdere. Non dava troppa importanza a certe cose, non gli faceva piacere ma non ne ha mai fatto un dramma. L’unica volta per cui veramente l’ho visto seccato fu il film di Sorrentino”.

Le ultime parole che gli ha detto il padre prima di morire: “Mio papà Giulio ha vissuto fino a 94 anni, la salute l’ha assistito a lungo, l’ultimo anno è stata una sofferenza. Io andai a trovarlo la domenica dopo una partita della Lazio, lui poi è morto il lunedì. Gli chiesi come stesse, mi rispose ‘maluccio’. E’ stata l’ultima cosa che mi ha detto. Lui scherzava molto su tutto, una delle battute che faceva sempre era che gli avessero addebitato tutte le colpe di ciò che è accaduto in Italia dalle guerre puniche in poi. Lui prima di morire ci ha lasciato delle lettere, scritte in varie fasi della sua vita in cui pensava fosse prossima la morte. Poco dopo il rapimento di Moro, ad esempio, aveva sentore che sarebbe toccato anche a lui. In queste lettere traspare una grande serenità. Anche se diceva che gli hanno fatto scontare un purgatorio in terra, è morto con una coscienza tranquilla. Lui era molto credente, se ne è andato sereno, consapevole di poter affrontare tranquillamente anche una vita nell’aldilà”.

Sul peso del cognome Andreotti: “Non posso dire che questo cognome mi abbia nuociuto. Fino a pochi anni fa c’era ancora chi pensava che il figlio di Andreotti potesse trovarti un posto di lavoro. Ho sempre vissuto in modo semplice, ho cercato di non approfittare mai di questo cognome, certamente avrò avuto qualche vantaggio ma anche qualche rottura di scatole”. 

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Editoriali

Vicariato di Roma: nuove riforme o ritorno all’autoritarismo? [INCHIESTA #5]

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Dalla Capitale alla Toscana: Gervasi e Salera verso nuovi incarichi ecclesiastici

Nel corso della storia, la Chiesa ha spesso sperimentato un intricato legame tra potere e fede, dando luogo, talvolta, a episodi di ambiguità e autoritarismo. Questo aspetto sembra oggi riemergere nel cuore del Vicariato di Roma. Le recenti riforme istituzionali promosse da Papa Francesco, culminate nella Costituzione Apostolica In Ecclesiarum Communione del gennaio 2023, avevano l’obiettivo dichiarato di rendere più trasparente e aperta la gestione ecclesiastica, allineandola ai principi di uguaglianza e democrazia. Tuttavia, alcune voci all’interno della Chiesa stessa segnalano che queste modifiche normative potrebbero avere l’effetto opposto, aprendo le porte a una gestione autoritaria.

Il nuovo assetto, che ha sostituito la precedente costituzione Ecclesia in Urbe, ha subito suscitato critiche per le sue contraddizioni. Nel dicembre 2023, Papa Francesco ha approvato un nuovo Regolamento Generale del Vicariato, destinato a chiarire e applicare In Ecclesiarum Communione, ma che non è stato pubblicato ufficialmente. Questo silenzio istituzionale ha generato molteplici interrogativi e sospetti sulla reale natura della riforma, spingendo alcuni a vedere in essa un possibile rafforzamento del potere centrale, concentrato nelle mani del Vicario, Mons. Baldo Reina.

In questo contesto di trasformazioni, sembra che Mons. Dario Gervasi potrebbe essere presto destinato a Grosseto, mentre Mons. Daniele Salera sarebbe in procinto di trasferirsi a Siena per supportare il Cardinale Lojudice, rafforzando la presenza di figure di rilievo nelle diocesi toscane.

Il Ritorno della “Legge ad Personam”?

Un punto particolarmente critico della nuova gestione risiederebbe in quella che alcuni definiscono una sorta di “legge ad personam”, applicata in ambito ecclesiastico per favorire certe figure o escluderne altre da ruoli chiave. Questo principio, associato al clientelismo, desta preoccupazione in quanto sembra contrastare con l’idea di uguaglianza proclamata dalla Chiesa stessa e dai valori democratici. Il potenziale accentramento del potere e l’assegnazione di incarichi specifici a figure già consolidate all’interno del Vicariato di Roma alimentano dubbi circa l’effettiva apertura e trasparenza che la riforma avrebbe dovuto portare.

Riorganizzazioni e possibili conseguenze

Le riforme non si limitano alla riorganizzazione dei ruoli, ma interessano anche la struttura di controllo all’interno del Vicariato. Tra le modifiche previste, si vocifera che Mons. Reina possa ottenere poteri simili a quelli previsti in Ecclesia in Urbe, e che l’eliminazione della Commissione Indipendente di Vigilanza, istituita per garantire trasparenza e giustizia, sia ormai all’orizzonte. La soppressione di alcuni ruoli, come quello dei vescovi ausiliari e dei direttori, potrebbe accentrare ulteriormente la gestione della Diocesi nelle mani di pochi.

Le reazioni a questa “retro-riforma” vanno oltre le semplici divergenze normative, ponendo questioni più ampie di equità e coerenza rispetto ai valori fondanti della Chiesa. Invece di promuovere una distribuzione del potere che rispecchi i principi evangelici, il Vicariato potrebbe andare incontro a un’involuzione, trasformandosi in una struttura accentrata e chiusa. Se i timori legati a un nuovo autoritarismo trovassero conferma, questa riforma rappresenterebbe un momento delicato per la Chiesa, chiamata a rispondere delle proprie scelte nel rispetto della trasparenza e dell’uguaglianza che predica.

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Castelli Romani

Conflitti d’interesse e influenze familiari: il sistema Romagnoli nel Lazio

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Le vicende singolari di Carlo Romagnoli, figura di spicco nella Banca Popolare del Lazio, sembrano avere lo stesso tenore di quelle di suo figlio, Efrem Romagnoli, ex presidente dell’Ordine dei Commercialisti di Latina.

Carlo Romagnoli è stato coinvolto in polemiche riguardanti conflitti d’interesse legati alla sua posizione nella Banca Popolare del Lazio, complicando ulteriormente la sua reputazione. Mentre Efrem è stato appena condannato per l’indebita assegnazione dello stabilimento Belvedere a Nettuno, un caso che ha sollevato interrogativi sulla gestione degli appalti e sull’influenza che le famiglie locali esercitano in ambiti professionali e giuridici.

Efrem Romagnoli ha ricoperto un ruolo predominante nell’Ordine dei Commercialisti per anni, consolidando una sorta di “feudo” familiare in un’area già notoriamente influenzata da reti di potere.

Dopo la sua presidenza, la sorella Raffaella ha preso il testimone, diventando la prima donna a guidare l’Ordine dei Commercialisti di Latina, il che evidenzia la continuità della presenza della famiglia in posizioni chiave. Questo legame familiare non solo solleva domande su un sistema con dinamiche che ricordano gli eredi al trono di sua maestà, ma evidenzia anche l’importanza di comprendere come le reti professionali e familiari possano influenzare le decisioni politiche e giuridiche in un contesto locale già critico.

In aggiunta, la presunta connessione tra Efrem Romagnoli e il giudice Lollo, noto per le sue controversie, alimenta sospetti su possibili collusioni all’interno del sistema giudiziario di Latina, dove i Romagnoli hanno accumulato innumerevoli incarichi. Questo scenario pone una questione cruciale: fino a che punto le dinamiche familiari possono influenzare la giustizia e la trasparenza in un territorio già segnato da scandali?

La situazione solleva interrogativi sul futuro della Banca Popolare del Lazio e sull’integrità delle istituzioni professionali e giuridiche locali, creando un quadro complesso di relazioni e responsabilità che merita un attento scrutinio. La vicenda Romagnoli non è solo una questione personale, ma riflette una più ampia rete di potere che coinvolge il settore bancario e il sistema giudiziario della provincia di Latina. Del resto, spesso per mantenere buoni gli equilibri, vige ormai una sorta di pratica consolidata delle assunzioni dei figli di personaggi chiave del mondo politico finanziario e giudiziario.

Ma chi è Carlo Romagnoli? È il padre di Efrem che è stato appena condannato e (in pratica Efrem curatore della confisca dello stabilimento balneare di Nettuno Belvedere, Efrem Romagnoli, sottratto in via definitiva a Fernando Mancini, è stato condannato dal Tribunale di Velletri per l’assegnazione dell’area demaniale, senza il consenso dello Stato ad un gestore di origine Campana. Il curatore, oltre alla condanna con sospensione della pena è stato condannato al pagamento di una multa di 1800 euro circa ed è stato rimosso dall’incarico della gestione dei beni di Mancini passati allo Stato) ha avuto un ruolo di rilievo nella Banca Popolare del Lazio, ricoprendo la carica di Presidente del Collegio Sindacale. Poi dopo alcuni fatti che lo hanno visto indagato c’è stato il passaggio di testimone da Carlo Romagnoli, ex presidente del Collegio Sindacale della Banca Popolare del Lazio, a sua figlia nel consiglio di amministrazione. Una mossa che ha sollevato dubbi sulla trasparenza e sull’equità della governance all’interno dell’istituto. Romagnoli, che ha guidato il Collegio per oltre due decenni, si è dimesso nel 2023, lasciando aperta una posizione strategica, mentre la banca affrontava polemiche per possibili conflitti di interesse. La nomina di sua figlia, che ha seguito le dimissioni di massa di alcuni membri del consiglio, è stata interpretata da alcuni come una mossa per mantenere il controllo familiare all’interno della banca, attirando critiche sull’assenza di una gestione indipendente e trasparente.
Le sue dimissioni sono state annunciate dal Presidente del Consiglio di Amministrazione, Edmondo Maria Capecelatro, che ha ringraziato Romagnoli per il suo lungo servizio.
Inoltre Romagnoli e Giancarlo Natalizia della Natalizia Petroli, società cliente della BPl, non hanno brillato per dichiarazioni di conflitti d’interesse.

I collegamenti tra Carlo Romagnoli e Giancarlo Natalizia all’interno della Banca Popolare del Lazio hanno evidenziato infatti conflitti d’interesse legati alle posizioni occupate da entrambi e alle loro relazioni di affari. Romagnoli, presidente del Collegio Sindacale, ha supervisionato il lavoro del consiglio di amministrazione mentre Alessandro Natalizia, figlio di Giancarlo Natalizia (figura di spicco nella banca e presidente della Natalizia Petroli), è stato socio e amministratore della stessa Natalizia Petroli. Questo legame si è complicato ulteriormente quando Alessandro ha assunto posizioni in banca, sollevando dubbi sul conflitto d’interessi per la supervisione incrociata delle loro attività, vista anche la storica presenza della Natalizia Petroli come uno dei principali clienti della banca.

E non è una novità che le dinamiche interne alla banca sono state ulteriormente esacerbate quando la figlia di Romagnoli è stata inserita nelle liste per il Consiglio di amministrazione, una mossa che secondo alcune fonti sembra aver avuto il doppio intento di soddisfare requisiti di rappresentanza di genere e al contempo preservare l’influenza delle famiglie Romagnoli e Natalizia all’interno della struttura di governance della banca. Le preoccupazioni riguardo alla trasparenza e al controllo reciproco hanno suscitato critiche esterne, complicate anche dalle dimissioni di massa dell’amministrazione della banca.

Queste connessioni e il delicato equilibrio di potere tra le famiglie suggeriscono che i conflitti d’interesse nella gestione della banca vadano oltre semplici legami professionali, con implicazioni che potrebbero influenzare anche le scelte strategiche dell’istituto. Un istituto che storicamente chiude il bilancio in attivo ma che clamorosamente invece quest’anno ha chiuso il bilancio in perdita e questo ha implicato la mancanza distribuzione di premi di produzione al personale, riducendo il loro incentivo economico e influenzando negativamente il morale dei lavoratori. Inoltre, le riserve patrimoniali della banca potrebbero rischiare di essere intaccate per coprire le perdite, riducendo la capacità della banca di investire o offrire nuovi servizi.

Questi fatti rischiano seriamente di compromettere la fiducia dei soci e dei clienti, oltre a ridurre la competitività sul mercato.

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Castelli Romani

Righini e la compagna “veggente”: fondi stradali annunciati sui social prima della delibera

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L’assessore al Bilancio della Regione Lazio e l’annuncio premonitore della compagna agitano la politica laziale: l’opposizione denuncia opacità nella gestione dei fondi e chiede indagini in commissione

È esplosa nelle ultime ore una nuova bufera politica attorno alla giunta Rocca e all’assessore al Bilancio Giancarlo Righini (FdI), dopo che la compagna Lorella Biordi, senza alcun ruolo istituzionale in Regione, ha anticipato sui social l’arrivo di 400mila euro per le strade di Monte San Giovanni Campano, suo paese di origine in provincia di Frosinone, con una delibera regionale che non era stata ancora ufficialmente discussa.

A innescare le critiche, non solo l’anticipazione del provvedimento ma anche la partecipazione di Biordi a missioni istituzionali, sollevando interrogativi su trasparenza e opportunità politica.

Dopo che il post è stato rimosso, esponenti di vari schieramenti hanno espresso dubbi sull’operato della giunta.

Claudio Fazzone, coordinatore di Forza Italia nel Lazio, ha commentato: «È grave dal punto di vista dell’etica e della riservatezza degli atti amministrativi. Dobbiamo chiarire chi può avere accesso a certe informazioni e in quali circostanze». La dichiarazione riflette la tensione interna alla maggioranza, con Forza Italia sempre più critica e attenta al proprio ruolo all’interno del governo regionale.

In parallelo, il Partito Democratico ha annunciato che richiederà l’intervento della commissione trasparenza per verificare la regolarità dell’assegnazione dei fondi ai comuni laziali, denunciando quella che definiscono un’assegnazione “a sportello”. «È curioso il modo di procedere della giunta Rocca. Sembra che la lista delle priorità dei finanziamenti segua logiche opache, dove i rapporti personali potrebbero avere più peso delle reali necessità del territorio», ha dichiarato Massimiliano Valeriani, presidente della commissione trasparenza.

Dal Movimento 5 Stelle si è aggiunta una ferma richiesta di spiegazioni: «Serve un sistema trasparente e regole chiare, altrimenti il rischio è che i cittadini perdano fiducia nelle istituzioni», ha dichiarato la consigliera Gaia Pernarella, sottolineando la necessità di evitare favoritismi in un settore, quello delle opere pubbliche, delicato per l’equilibrio del territorio.

Anche il presidente della Regione, Francesco Rocca, ha assicurato che la vicenda sarà chiarita nel prossimo Consiglio, affermando che «il rispetto delle norme è e resterà la nostra priorità». Tuttavia, i rapporti all’interno della coalizione sembrano farsi più tesi, con Forza Italia e Fratelli d’Italia che rivendicano posizioni diverse su gestione e organizzazione degli incarichi.

La vicenda sta inoltre suscitando reazioni anche per il ruolo “non ufficiale” di Biordi, che, pur non avendo incarichi formali, è spesso al fianco dell’assessore Righini in occasioni istituzionali e missioni all’estero, come i recenti viaggi in Germania e a Parigi. «Siamo di fronte a una situazione in cui i rapporti privati sembrano sovrapporsi a quelli pubblici, in un modo che richiede chiarimenti», ha aggiunto Mario Ciarla, consigliere regionale dem.

Mentre la giunta regionale si prepara ad affrontare il dibattito in consiglio, la questione della trasparenza sui finanziamenti pubblici e il rispetto delle procedure istituzionali restano al centro del dibattito, con la maggioranza che difende la bontà delle proprie decisioni e l’opposizione determinata a far luce sulla vicenda.

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