L’Avvocato Angelo Lucarella invitato dal World Economic Forum per il 2024

Il World Economic Forum, nato nel 1971, coinvolge i principali esponenti della società – CEO, Capi di Stato, Ministri e responsabili politici, esperti ed accademici, organizzazioni internazionali, giovani, innovatori e rappresentanti della tecnologia e della società civile – in uno spazio imparziale con l’obiettivo di guidare un cambiamento positivo e di portata globale attraverso programmi mirati lungo tre fondamentali assi strategici: la quarta rivoluzione industriale, la gestione dei problemi legati ai beni comuni, la sicurezza globale.

La riunione annuale del WEF di Davos riunisce all’inizio di ogni anno i principali leader mondiali in una piattaforma pubblico-privata per la cooperazione internazionale.

Tra gli invitati a partecipare come uditori l’avvocato Angelo Lucarella, docente dell’Università Federico II di Napoli, già vice presidente della Commissione Giustizia del Ministero dello sviluppo economico e delegato al G20 under 40 di Amburgo nel 2022 nonché tra gli esperti italiani invitati dal World Justice project sostenuto dalla Commissione Europea.

“Un grande onore l’invito giuntomi dal World Economic Forum. – Ha dichiarato Lucarella – Questo evento mi carica di energia e sapere che la partecipazione di gennaio 2024, seppure nel mio caso sara’ online, vedrà illustri relatori e partecipanti provenienti da tutto il mondo non può che trasmettermi anche un certo senso di responsabilità per contribuire al meglio al processo di confronto che ci sarà”.




Angelo Lucarella: “Sarri può fare tanto”. Le parole dell’illustre tifoso laziale

Si avvicina il giorno del raduno per la squadra del Presidente Lotito: dalla prossima stagione calcistica ci sarà a Maurizio Sarri a guidare i biancocelesti. Lo start operazioni del ritiro dell’intera compagine è previsto per il 7 luglio prossimo.

Non sarà certo facile far dimenticare presto l’addio del figlio prodigo di casa Formello ormai approdato a Milano, in sponda nerazzurra, Simone Inzaghi. Maurizio Sarri pare determinato: alle spalle tante stagioni con il Napoli, poi Chelsea ed in ultimo Juventus prima che prendesse un vero e proprio anno sabbatico. Tra i trofei più importanti uno scudetto italiano ed una Europa League (ex Coppa Uefa).

L’ambiente dei tifosi laziali, dopo l’annuncio dell’avvento del “sarrismo”, ha sicuramente percepito un cambio netto con il passato tra metodo di allenamento, rapporto con i giocatori, comunicazione, ecc.

Tra i super tifosi l’avvocato Angelo Lucarella, tra l’altro scrittore e vice pres. coord. Commissione Giustizia del Ministero Sviluppo Economico, che commenta l’arrivo di Sarri alla Lazio e l’inizio della nuova stagione calcistica per L’Osservatore Italia.

“Sarri può fare tanto.

Negli ultimi anni, soprattutto, ha fatto ulteriore esperienza sul piano internazionale e, aggiungerei, di livello.

Anche se gli anni passati a Napoli sono quelli che più l’hanno affermato concretamente nel calcio di primissima fascia, tuttavia, è indubbiamente un allenatore che si presta a forgiare le squadre verso una dimensione quantomeno europea.

Mi auguro che la piazza laziale possa andargli a genio cosicché riesca a percepire tutta la forza di un ambiente così caloroso come quello biancoceleste.

Costruire davvero qualcosa di interessante e di prospettiva è chiaramente il sogno di tutti, ma l’unica strategia è, come in ogni ambito della vita, l’impegno ed il lavoro; motori principale per raggiungere importanti traguardi con la società.

Di Sarri è risaputo che abbia entrambe le caratteristiche.

Ad ogni modo essendo una scelta alquanto inedita, sia sul piano tattico che di metodo, staremo a vedere i risultati.

Spero che alla Lazio si trovi così bene in futuro, ormai non tanto lontano, da poter fumare qualche sigaretta in meno (mi si consenta la battuta).

Per ora auguro buon lavoro a Mister Sarri con un grande Forza Lazio”.




Sequestro Modigliani in Svizzera. Lucarella: “Le Istituzioni italiane siano in prima linea sull’accaduto”

L’avvocato Angelo Lucarella, da pochi mesi Vice Presidente coordinatore della Commissione Giustizia del Ministero dello Sviluppo Economico, interviene sul particolare caso Modigliani.

“Questione delicata a cui dare risposte o, quantomeno, cercarle è dovere sia morale che istituzionale dinanzi alla portata incredibile che ne sta assumendo sia a livello nazionale che internazionale.

Anzitutto è necessario che si faccia chiarezza complessiva sull’accaduto ai fini di giustizia e per la tutela dell’interesse nazionale.

Le Istituzioni, laddove saranno ravvisabili responsabilità (a seconda dei diversi piani giuridici) punibili secondo l’ordinamento, non possono e non potranno che essere in prima linea nella difesa, per l’appunto, degli interessi italiani; quest’ultimi non possono prescindere da una operazione verità che, rispetto alle singole competenze, gli attori istituzionali devono e dovranno compiere per porre in essere tutto con coraggio.

Lo stesso coraggio che, prorompentemente, si percepisce nel libro-inchiesta “L’Affare Modigliani” scritto da Dania Mondini e Claudio Loiodice i quali, ne va dato atto, hanno contribuito alla realizzazione di una indagine che, ormai, sta registrando apprezzamenti e riscontri anche all’estero.

La Procura di Bellinzona in Svizzera, infatti, è intervenuta recentemente sequestrando i c.d. “Archivi” del celebre artista italiano Amedeo Modigliani; si tratta di circa 6000 reperti oggetto di cessione, nel 2006, da parte della figlia allo Stato italiano.

Un caso, non solo di connotato giudiziario, nel quale gli eventuali danni e diritti lesi non possono che considerarsi, per certi versi, anche connessi ad un pregiudizio serio e cospicuo degli interessi dello Stato italiano.

Ciò soprattutto se si dovesse considerare l’aspetto dell’economia culturale quale strategico per lo sviluppo del paese.

Perciò l’impegno istituzionale, doverosamente, comporta di attivare le dinamiche ministeriali più confacenti affinché se ne possa riconoscere una sorta di natura strategica, altresì, tenuto conto che Modigliani sarebbe diventato, stando alle parole utilizzate dagli autori del libro-inchiesta, un “brand” attorno al quale continuano, da circa un secolo, ad intrecciarsi affari milionari”.




Stati generali dell’Economia: la politica che, nell’emergenza, cerca il punto di emersione. Costituzione permettendo

di Angelo Lucarella*

Una recente affermazione del Presidente Mattarella è il punto da cui partire: “la Magistratura recuperi credibilità, ai cittadini si dia certezza del diritto”. Mi si dirà, condivisibilmente, cosa mai c’entri la questione toghe con gli Stati generali dell’Economia. C’entra eccome. Il mondo “Giustizia” vale, stime 2019, circa 18 miliardi di euro e costituisce pressappoco il 3% di Pil; la lentezza del sistema, nel suo complesso, costa invece circa il 2% di esso.

Allora come si fa a non tenere conto del fatto che il diritto, in altri termini, non è che l’economia stessa di un paese? D’altronde il diritto non altro delimita il confine in cui il mondo del “pubblico” ed il mondo del “privato” cercano la rispettiva dignità in un rapporto di auspicato equilibrio che, il più delle volte, vede il primo sopraffare l’altro e, sporadicamente, accadendo il contrario.  

Chi dovrebbe essere l’arbitro? Un soggetto terzo, imparziale (non immacolato, ma quasi) chiamato Giudice

Nella nostra Costituzione c’è l’art. 111 il quale, splendidamente, afferma un principio sacrosanto chiamato “Giusto Processo”; un principio che fonda le radici nella parità di trattamento (meglio detta eguaglianza), nel diritto di difesa (pieno ed effettivo), nell’equilibrio dell’arbitro, per l’appunto, presumibilmente terzo ed imparziale.

Per garantire tutto ciò, nel lontano dopoguerra, si era pensato di dotare la magistratura di c.d. “indipendenza”. A poco a poco, tuttavia, la politica succedutasi nei decenni ha quasi del tutto abrogato (mi si faccia passare il termine) se stessa al punto tale di essersi spogliata di un ruolo fondamentale quale diretto interposto tra Popolo e Potere.

La magistratura ha dovuto, da una parte, “sostituire” la politica e, dall’altra, “arrestare” la politica medesima in qualche occasione. Certamente non si può fare una colpa ai giudici per avere cercato di combattere il malaffare.

Anzi quei Giudici coraggiosi, dediti al lavoro e che, talvolta, ci hanno rimesso affetti e, disperatamente aggiungerei, anche la vita andrebbero non solo riconosciuti a futura memoria (quanto a valor massimo repubblicano esistente), ma soprattutto studiati!

Penso sia questo il fulcro principale su cui si dovrebbe instradare una riforma seria del mondo “Giustizia”: chi ha competenza, nei ruoli per cui serve competenza (partendo anche dalla questione universitaria).

Oggi il mondo cambia velocemente. Vero. La mole di norme è ancor più aumentata negli ultimi 20 anni rispetto alla prima Repubblica. Il contenzioso italiano, quindi, è sempre più tecnico anche tenuto conto delle numerosissime disposizioni normative di matrice europea ed internazionale.

Non si può più fondare un sistema ispirato al “Giusto Processo” se vige, ancora, l’idea che il magistrato si differenzia per funzione e non per carriera. È pur vero che la separazione delle carriere di per sé sola non basterebbe a rendere migliore l’affermazione del principio di certezza del diritto legato ad una credibilità complessiva del sistema.

Occorrerebbe che si riscoprisse una sensibilità maggiore rispetto ai tempi che corrono: ma questo potrà riaffermarsi solo se alle spalle della magistratura vi ci sarà una politica tornata consapevole e studiosa dei fenomeni.

Non trascurandosi il fatto, poi, che la formazione continua obbligatoria non serve a granché se ad essa non si accompagna una funzionale responsabilizzazione del giudice (a prescindere dalle norme generali esistenti) rispetto a ciò che fa; ciò per rendere tale figura più uguale, nel bene o nel male, a tutti gli altri cittadini.

Le parole del Presidente Mattarella, quindi, non sono peregrine. La credibilità del terzo potere dello Stato passa dalla certezza del diritto: principio che nella reale vita del “sistema giustizia” diventa realtà solo mediante il fare dei magistrati contraddistinto da approccio solenne, imparziale, terzo, equilibrato, fermo, colmo di rettitudine e (soprattutto) alimentato di competenza.

Parole, comunque, che se per un attimo affibbiate alla politica diventerebbero, quasi identicamente, così elaborate: “il Legislatore recuperi credibilità, ai cittadini si diano leggi certe”.

Ecco come, cambiando l’ordine degli addendi, può percepirsi una portata immensa nel significato di poche parole ben ordinate in modo sistematico; già, perché, in ipotesi contraria il risultato sarebbe altro e cioè il seguente “il Legislatore recuperi credibilità, ai cittadini si dia certezza delle leggi”.

Non è un caso. Le parole hanno un senso specifico per come ordinate. Nel caso della politica dare “certezza di leggi” è cosa diametralmente opposta rispetto al partorire “leggi certe”.

Perché nelle leggi certe non si nasconderà alcuna possibilità di interpretazione discrezionale da parte del Giudice e, così facendo, sarà più facile e semplice (tanto per le imprese che per i lavoratori, ad esempio, dato che si è nel pieno degli Stati generali dell’Economia) capire qual è la portata “giusta” di una disciplina legata all’attività economica, all’investimento, al lavoro, ecc.

Allora, se proprio una stortura del sistema giudiziario si può evincere, non è nella separazione delle carriere il nocciolo della questione (semmai ne è il derivato), ma nel divieto di carriere e laddove, con quest’ultimo termine, si vuole riferirsi più che altro alla duplice diversità di formazione tra accusatore e giudicante che si forgia durante l’espletamento della funzione magistratuale (e mai prima durante il percorso universitario o pre-concorso pubblico).

Recentemente l’ex Presidente della Camera On.le Luciano Violante ha ricordato che difficilmente, nel nostro sistema, chi inizia come indagatore finisce, poi, per essere l’arbitro della contesa e viceversa.

Della serie se nasci tondo, non puoi morire quadrato

Al Senato, nel maggio 2019, il Pres. Casellati ha ricordato anche i risultati degli ultimi monitoraggi sulla durata dei processi fatti dal Ministero della Giustizia: circa il 20 per cento dei procedimenti incardinati nei tribunali e oltre il 40 per cento di quelli presso le Corti di Appello sono a rischio di “legge Pinto” (trattasi della norma che prevede l’equa riparazione per il cittadino per danni causati dall’irragionevole durata di un processo).

Ad ogni buon conto anomalie ve ne sono parecchie: come certificato dal “quadro di valutazione sullo stato della giustizia 2018”, pubblicato dalla Commissione europea, esse hanno prodotto in questi anni costi enormi a carico dei bilanci dello Stato facendo sprofondare lo stivale tra gli ultimi in Europa quanto ad efficienza del “sistema giustizia”.

Un esempio su tutti? Una primeggia nel ruvido contrasto di ruoli di cui innanzi.

Si consideri come il sistema di giustizia tributaria, tutt’oggi, sia l’emblema del dualismo di mentalità giurisdizionale derivato dal fatto che in quasi tutte le Commissioni Tributarie italiane ci sono Procuratori degli uffici di Pubblico Ministero a decidere le sorti dei contribuenti.

Magistrati i quali, pertanto, ricoprono contemporaneamente due uffici d’incarico pubblico: inquirenti nel penale, giudicanti nel tributario.

La questione anomala appena rappresentata, però, non va risolta semplicisticamente così: un buon inquirente potrebbe essere anche un ottimo giudicante e saper discernere i rispettivi ruoli a seconda della funzione di giustizia da svolgere ed a cui è chiamato.

È proprio qui che si inciampa perché il Giudice del Pubblico Ministero dipende dal CSM, mentre il Giudice tributario dipende dal sistema di Giustizia tributaria organizzato e controllato dal Ministero dell’Economia (detto MEF) in tutto e per tutto.

Si badi bene che il MEF non solo è il controllore del cittadino tramite gli Enti delle entrate, non solo è la controparte naturale del giudizio tributario, ma è anche il soggetto a cui fa riferimento il giudice del tributario ed a cui deve dare conto del suo operato di decidente.

Quanto innanzi non è che uno degli innumerevoli incidenti di percorso; il nostro legislatore da anni non riesce a decifrarne politicamente la portata negativa (in termini generali) ed a risolvere la sovrapposizione di interessi in gioco (costituzionalmente parlando).

Ne va certamente di quella famosa “parvenza di imparzialità e terzietà” a cui i fruitori di giustizia vorrebbero affidarsi: proprio perché ne va della credibilità del sistema oltreché del paese.

Questo è un nodo cruciale del corretto rapporto tra Popolo e Potere e, di contro, del quanto più ottimale bilanciamento tra i poteri stessi dello Stato.

Se c’è qualcosa, con priorità tra le priorità, da cui si potrebbe partire agli Stati generali dell’Economia insediati dal Pres. Giuseppe Conte è proprio questo: il ruolo della politica dinanzi alla crisi della magistratura (e non il contrario) che, a conti fatti, deriva a sua volta dal troppo onere caricato sul giurisdizionale nonché dal troppo potere dato negli anni dalla politica stessa (così da implicarne diversi riflessi d’interferenza, assolutamente non funzionale, con il legislatore e l’esecutivo).

Sulla questione “giustizia” ne va, eccome, dello sviluppo del paese.

Mettendoci per un secondo nei panni di un investitore straniero, pur con la Costituzione più bella al mondo, quest’ultimo si troverebbe dinanzi ad un sistema quasi “infernale”; per non parlare del costo sociale che, specie aggravata dall’ultima riforma sulla prescrizione, si appresta, per certi versi, a vestirsi di “diabolico”.

La sopraffazione di un potere rispetto all’altro rischierebbe e, cogentemente, rischia di portare il paese (e la storia ce lo insegna) ad un processo “democraticamente irreversibile” in cui la iniziativa privata, pur costituzionalmente tutelata ed in qualsiasi forma, rimarrebbe lettera morta sino ad arrivare, man mano, ad una economia Generale dello Stato.

Il cambio di rotta ci può essere purché fatto con competenza; perché di “certezza della politica” ne abbiamo da vendere, ma è di “certa politica” di cui il paese avrebbe bisogno.

La Magistratura non ha tutte le colpe, ma alcuni giudici si

Tutto il contrario della Politica: a cui, in tempi di emergenza, tocca rimanere a galla cercando al più presto un punto di emersione. Al Popolo, per ora, non rimane che l’assoluzione dai peccati. Costituzione permettendo.

*Avvocato tributarista, Presidente CLN AssoConsum, membro Commissione Giustizia MISE




Modello di società o Società modello? Ripensare le scelte politiche per preservare lavoro (salutare) e tenuta sociale

La lungimiranza, evolutiva, della nostra Costituzione

di Angelo Lucarella*

Non è mai troppo tardi. Per leggere, ancora una volta, l’art. 1 della nostra Costituzione “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” basta davvero un click oppure un testo tascabile.

Non vuole essere retorica, ma il doveroso richiamo a ciò che è il dono più grande della nostra contemporaneità: non foss’altro perché lavorare significa rispettare il dettato costituzionale, da una parte, e coltivare la pace sociale, dall’altra parte.

Ma il modello su cui poggiava e poggia l’impianto della nostra società è messo a dura prova dalla drammatica incidenza del risaputo coronavirus.

L’equilibrio costruito in decenni è davanti ad un bivio: crescita ad ogni costo o sostenibilità all’insegna della tutela primaria della salute, del lavoro (qualunque esso sia) e dell’unità del paese?

Una domanda che ammorba quasi tutti coloro che si interessano oggigiorno di diritto, economia,  sociologia, politica, ecc.

Non occorre, però, andare oltre a quanto è certo in questo momento: esiste una Carta fondamentale che pone al primo posto la dimensione lavoristica dell’Uomo e lo fa affermandone la sacralità in ogni sua forma (a prescindere, quindi, se trattasi di esercizio autonomo, dipendente, imprenditoriale, pubblico o privato).

C’è un problema, di tutta evidenza eccezionale, che sta fagocitando sia risorse umane che risorse economiche: la crisi mondiale da COVID 19.

Crisi che, stima del Fondo Monetario Internazionale, si assesterà intorno al – 3% del PIL entro il 2020. Le stime per l’Italia, invece, sono al – 9% circa.

La peggiore recessione, in pratica, registrata sin dagli anni trenta del secolo scorso allorquando si parlava addirittura di “Grande Depressione”.

Ed allora si paventa l’inizio di una Repubblica fondata sull’assistenza? Con quali risorse? Con quale impatto di tenuta sociale?

Tema, onnicomprensivamente, alquanto difficile da trattare e che si instrada su un cammino pieno di buche; occorre tuttavia imporsi un categorico “dobbiamo riuscirci a tutti i costi”.

Oggi, indubbiamente, non si può pensare di condurre al sottosoglia di povertà chi già soffriva e, per trascuratezza sistemica, condurne degli altri.

Diventerebbe un tal problema quasi paragonabile ad un cane che si morde la coda senza soluzione di continuità.

Quindi l’approccio dell’assistenza finalizzato a preservare un minimo stato di degna sopravvivenza dell’individuo non è solo funzionale, ma essenziale al sistema paese (tenuto conto che, tra l’altro, dati Istat, al quarto trimestre del 2019, consolidavano il tasso di disoccupazione nazionale al 9,9% mentre quello dell’Eurozona, a gennaio 2020, si attestava al 7,4%).

Non si può certo disconoscere che il lavoro, in quanto tale, poggi geneticamente la ragion d’essere (in un sistema democratico che si rispetti) su tre elementi imprescindibili: libera iniziativa economica d’impresa, la competitività virtuosa e la tutela della salute sia per il lavoratore dipendente che per l’imprenditore (due facce della stessa medaglia atteso il rapporto complementare – necessario – tra quest’ultimi).

Come si può, quindi, ripensare un modello di società vincente, sotto un profilo umanistico, e al tempo stesso sostenibile, sotto il profilo realistico, mantenendo intatte le tutele costituzionali nella vita reale ottimizzando, al contempo, le risorse disponibili?

A titolo di esempio, il reddito di cittadinanza ben potrebbe essere rivisitato, normativamente parlando, al fine di indirizzare coloro che, innatamente o successivamente, hanno manifestato una propensione all’attività d’impresa per avviare, dopo aver usufruito di un periodo tampone (di magari due anni per uscire dallo stato di indigenza o difficoltà cronica), una realtà produttiva. A ciò aggiungendosi, ovviamente, una politica fiscale ad hoc con effetto cuscinetto a sostegno dell’avviamento.

Ci si immagini, per un attimo, quanto efficace possa essere (oltreché utile) uno sdoganamento funzionale del reddito di cittadinanza nella prospettiva imprenditoriale appena accennata (od anche altro tipo di misura assistenziale sia ben chiaro) ordinatamente legato all’obiettivo primario di uno Stato: recuperare la capacità “lavoristica”, produttiva, contributiva ed attiva dell’individuo sia in termini di autonomia che di dignità esistenziale.

È altrettanto chiaro che si potrebbero ripensare tante altre fattispecie, ma per farlo occorre una politica che nella sua interezza di classe dirigente (quindi non riferito ad un partito piuttosto che ad un altro) sia d’impatto rispetto al “come” gestire il momento assistenzialistico di una parte del paese così da condurlo verso un nuovo modello di società in cui, inevitabilmente, occorrerà più sensibilità rispetto alla questione dell’inquinamento ambientale e, mi si consentirà, anche dell’inquinamento mentale (non foss’altro per i numerosi suicidi del nostro paese).

Ciò nell’ottica di una sostenibilità sistemica (che altro non sarebbe essenza realistica) legata alla ragionevolezza di una visione di crescita che non per forza di cose deve tradursi in sfrenata ricerca della ricchezza.

Quindi il ruolo della nostra Costituzione è ancora attualissimo: prima di destra, centro o sinistra c’è l’Uomo, il cittadino, il lavoratore e lo “spirito realizzatore”.

Spirito, quest’ultimo, che è innato nell’italianità.

Tante aziende, grandi e medio-piccole, del nostro paese sono rinomate nel mondo (e fiore all’occhiello) per il connubio indissolubile di successo costituito e costruito nel tempo dal reciproco rispetto tra imprenditore e lavoratore.

La politica può prendere esempio da quest’ultimi per ritrovare una dimensione costruttiva con una inclinazione programmatica volta ad immaginare un nuovo futuro (partendo dal presente): anzitutto vaccinarsi dagli “ismi” distruttivi che aleggiano con il sapore di passato è doveroso al fine di non piegare il capo dinanzi alle responsabilità dei tempi che corrono.

De Gasperi, uno dei padri fondatori della nostra Repubblica, il vaccino lo aveva scoperto e donato agli italiani (chiaramente insieme ad altri della sua elevata – mi si lasci abusare del termine – statura scientifico-politica”) quando teorizzava per la politica stessa di “lavorare in profondità”, senza ambizioni particolaristiche, con alto senso del dovere e, per l’appunto, “spirito realizzatore”.

E se il nostro paese ritrovasse in questa lungimirante innovazione, pur quasi centennale, la capacità di ripensare il mondo del lavoro, calarlo nella vita reale (pur considerando gli effetti economici del coronavirus), assicurando la prospettiva imprenditoriale e la sostenibilità del lavoro stesso (sperando altresì nella preservazione del livello di tutele temporali), allora, vorrà dire che la politica tutta non potrà tirarsi indietro rispetto alla necessità di alzare il livello complessivo.

Se non altro per rispetto nei confronti di quei cittadini che, nel quotidiano, nelle sofferenze, nelle preoccupazioni, non mollano neanche un secondo per “lavorare in profondità”, per reinventarsi, per ricominciare nonostante tutto, anche se (onestamente) non sia facile camminare in acque alte, accennatamente toccando il fondo, restando in apnea.

Per questo gli “ismi” otre ad essere anacronistici, non alzano il livello neanche per aiutare chi si ritiene e presume incapace al comando oggi.

Ce lo ricorda la nostra storia (alcune volte) di mala salute politica.

Perché quando, invece, la politica è sana nella sua interezza diventa il Braccio, Forte del popolo ma che, come tutte le utopie, rimane solo l’idea di una “società modello” piuttosto che la colonna vertebrale del contemporaneo “modello di società”.

*Avvocato tributarista, Presidente CLN AssoConsum, membro Commissione Giustizia MISE




Cura Italia: ecco le prime modifiche proposte da AssoConsum in Commissione Giustizia al Ministero Sviluppo Economico

Nella serata di ieri AssoConsum ha inoltrato al Ministero dello Sviluppo Economico alcune proposte di modifica al decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020 c.d. “Cura Italia”.

“Si tratta, precisamente, di tre
iniziative di rivalutazione normativa in materia tributaria finalizzate ad una
migliore tutela di cittadini-consumatori, famiglie, piccole-medio imprese.

Soprattutto in questo drammatico
periodo storico, di impatto sociale enormemente negativo, è necessario che
l’apporto collaborativo istituzionale che ora ci compete possa contribuire ad
un inquadramento quanto più ottimale delle norme.

Motivo, quest’ultimo, per cui l’associazione
immediatamente dopo la promulgazione del decreto da parte del Presidente della
Repubblica ha attivato la Consulta Legale Nazionale (da poco più di un anno
istituita proprio per il vaglio di più ampio raggio delle questioni giuridiche
rilevanti) al fine di considerare il disposto di legge nella sua interezza.

Attesa l’evoluzione dell’emergenza
coronavirus ed l’iter parlamentare già iniziato per l’eventuale conversione in
legge del decreto Cura Italia  è chiaro
che il tempo diventa davvero prezioso; ragione per cui AssoConsum ha
considerato vitale in questo momento offrire alla Commissione Giustizia del
MISE un primo ventaglio di proposte che, con ogni buona probabilità, verrà
ampliato coinvolgendo anche altri settori giuridici interessati come ad esempio
l’ambito bancario, alimentare, amministrativo, assicurativo, ecc.”.

Qui di seguito l’abstract delle proposte AssoConsum, in materia tributaria, inviate al Ministero Sviluppo Economico per la Commissione Giustizia

  1. all’art. 67 si propone la non conversione
    dell’ampliamento, per combinato disposto, dei “TERMINI DI DECADENZA E
    PRESCRIZIONE
    ” – Non convertire in
    legge 
    l’ultimo comma (n. 4) atteso che, ove mai consentita
    l’applicabilità dell’art. 12, co. 2, del D.Lgs. 159/2015, si genererebbe una violazione del
    principio di eguaglianza e parità di trattamento – art. 3 Costituzione – tra
    Amministrazione pubblica e Cittadini (segnatamente in sfavore di
    quest’ultimi). 

In caso di conversione in legge della suddetta
disposizione, invece, prevedere una norma d’interpretazione autentica, ai sensi
dell’art. 1 co. 2, LEGGE 212/2000 (Statuto dei Contribuenti), inserendo nel
testo di legge (a deliberarsi) il progressivo art. 67 bis mediante
il quale chiarire che “l’Istituto della sospensione dei termini delle
attività degli uffici degli Enti Impositori e degli Agenti della Riscossione
non può intendersi, ad ogni modo, in sfavore del cittadino-contribuente non
applicandosi, per l’effetto, alcuna proroga del termine sino al 31 dicembre del
secondo anno successivo rispetto al giorno di dichiarata fine dello stato
di emergenza (quale evento eccezionale) dovendosi pertanto applicare solo la
sospensione effettiva”. 

  • all’art. 67 si propone il “BLOCCO DI TUTTE LE
    ATTIVITA’ DEGLI UFFICI IMPOSITORI ED ESATTORIALI
    ” – Prevedere con disposizione aggiuntiva,
    avente progressivo comma 5, l’applicazione espressa del «divieto di
    notificazione di atti esattoriali di qualsiasi natura per tutto il periodo di
    dichiarata emergenza di cui alla Delibera del Consiglio dei Ministri del 31
    gennaio 2020 (durata di 6 mesi)»; 
    quanto innanzi attesa l’inesistenza
    oggettiva di alcuna menzione specifica riguardo l’art. 12, co.
    3, D.Lgs. 159/2015 nel Decreto Legge.

Prevedere, altresì, una estensione
totale del blocco 
suddetto a tutte le misure cautelari (ipoteca e
fermo amm.vo), ai pignoramenti, a tutti gli atti intesi e qualificabili
non puramente ed esclusivamente esattoriali come ad esempio i provvedimenti di
cui agli artt. 29 e 30 del D.L. 78/2010, le iscrizioni a ruolo di ogni genere e
tutti gli atti preordinati a quest’ultime attività (il riferimento è, quindi, a
liquidazioni, controlli, accertamenti, ecc.); estensione da prevedersi nel
testo (a deliberarsi) ad abundantiam rispetto ad attività
di verifica, in essere o da iniziare, pur con «presunzioni» (fatte salve le
attività di polizia tributaria inerenti indagini ricadenti in sfera mafiosa od
altre da specificarsi opportunamente).

In virtù della vigente autonomia
delle Regioni e degli Enti Locali, in ogni caso, estendere il blocco di cui
innanzi a tutte le fattispecie regionali, provinciali, comunali ed ad
atti dei riscossori privati. 
Il tutto nel doveroso rispetto del
principio di capacità e proporzionalità contributiva di cui all’art. 53
della Costituzione e dei Principi della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo;

  • all’art. 68 si propone “AMPLIAMENTO SOSPENSIONE
    TERMINI DI PAGAMENTO”
     – Deliberare una norma d’interpretazione autentica, ai sensi
    dell’art. 1, co. 2, della legge 212/2000 (Statuto dei Contribuenti), inserendo
    nel testo di legge (a deliberarsi) il progressivo art. 68 bis volto
    a chiarire che «la sospensione dei termini dei versamenti in scadenza
    nel periodo intercorrente dal giorno 8 marzo al giorno 31 maggio 2020,
    derivanti da cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione, va
    applicata ai piani di rateazione di cui all’art. 19 del D.P.R.
    n. 602/1973 anche laddove concessi dai riscossori privati in ragione degli
    artt. 52 e 53 del D.Lgs. 446/1997».

Prevedere all’art. 68 l’inserimento
del comma 1 bis mediante il quale riconoscere l’estensione del
regime di sospensione dei termini di versamento anche alle casistiche di
adesione e/o di definizione alternativa che fuoriescono dalla specifica di cui
in decreto e cioè, a titolo di esempio, le forme rateali delle comunicazioni
d’irregolarità, controllo formale, avvisi bonari, accertamento con adesione,
mediazione contenziosa, ecc.




Commissione Giustizia del MISE: l’avvocato Angelo Lucarella designato per ASSOCONSUM

Angelo Lucarella, avvocato pugliese di Martina Franca, esperto di
contenzioso tributario, designato da poche ore per fare ingresso nella
Commissione “Giustizia e Legislazione”
istituita dal Ministero dello Sviluppo Economico.

Si tratta di una delle otto Commissioni che il MISE ha istituito nell’ambito delle attività istituzionali del CNCU (Consiglio Nazionale dei Consumatori); quest’ultimo nato di fatto con la famosa riforma del 1998 confluendo, successivamente, nel c.d. Codice del consumo del 2005.

L’Avv. Lucarella, da pochissimi mesi chiamato a presiedere la Consulta
Legale Nazionale di AssoConsum, precisa:

“Con comunicazione del
18 febbraio 2020 mi è stato notiziato di esser stato designato per far parte
della Commissione “Giustizia e Legislazione” istituita in seno al Ministero
dello Sviluppo Economico.

In attesa della ratifica
della nomina ministeriale, dopo aver assunto da qualche mese la presidenza della
Consulta Legale Nazionale Asso-Consum, non posso che sentirmi onorato di poter
rappresentare ai più alti livelli istituzionali le questioni giuridiche più
delicate e i problemi più diffusi e sentiti da parte dei cittadini. Spero che
il mio contributo in sede di Commissione Giustizia al MISE possa essere utile a
migliorare, pur nel piccolo, l’evoluzione normativa italiana nel prossimo
futuro”.