BANDA DELLA MAGLIANA VI: L'IMPERO ECONOMICO DI DE PEDIS

di Angelo Barraco

23 giugno 1986, a quasi 3 anni dalla prima deposizione di Lucioli, la Corte D’Assise condanna in primo grado 37 imputati su 60. La sentenza riconosce principalmente il traffico di stupefacenti, la metà di loro tornano liberi, compreso Enrico De Pedis. La condanna più pedante va ad Edoardo Toscano, dovrà scontare 20 anni di carcere per omicidio. La battaglia con la giustizia è stata vinta ma una nuova minaccia arriva da un affiliato che fino a quel momento aveva agito nell’ombra, si chiama Claudio Sicilia detto “il vesuviano”. Claudio Sicilia è tra i pochissimi scampati all’arresto del 1983, con i compagni in carcere ha preso le redini dell’organizzazione. La sua reggenza finisce nell’autunno del 1986, anno in cui viene arrestato. Temendo per la sua incolumità, Sicilia decide di parlare e conferma i racconti degli altri pentiti e aggrava le posizioni degli altri compagni. Lui parla delle finte malattie di Abbatino. Abbatino vuole riprendere il controllo dell’organizzazione cercando l’appoggio negli amici di sempre, ma viene ignorato. Ha capito che ha Roma non ha più alleati ma nemici. Il 23 dicembre del 1986 Abbatino, che era ricoverato a Villa Gina da molti mesi, evade dalla villa tramite il supporto di lenzuola. Si da alla latitanza e fa perdere le sue tracce, a regnare sulla capitale adesso c’è soltanto De Pedis. 17 marzo 1987, pochi mesi dopo l’evasione di Abbatino, la procura di Roma emette 91 ordini di cattura contro le persone chiamate in causa da Claudio Sicilia. Sembrerebbe la svolta, ma De Pedis e compagni hanno preso le dovute precauzioni.

Secondo Sicilia la Banda è riuscita a corrompere persino i tribunali, ma le sue parole cadono nel vuoto. Quello stesso tribunale che ha accusato respinge le sue dichiarazioni, Sicilia rimane un uomo solo e i suoi compagni, che verranno scarcerati poco dopo, lo metteranno a tacere il 18 novembre 1991 all’Eur, ucciso in un negozio. Il 14 giugno 1988, gli uomini della Banda della Magliana attendono l’ultimo grado di giudizio di un processo che li vede imputati per reati gravi. Come sempre trovano la strada per uscire liberi. La Corte di Cassazione, presieduta dal Giudice Corrado Carnevale soprannominato “Il giudice ammazza sentenze”, demolisce l’intero impianto accusatorio del processo, le condanne saltano. I ragazzi finalmente sono liberi, Enrico De Pedis si mette a caccia dei suoi nemici. Il suo primo obiettivo è la persona che durante gli anni del carcere ha provato a mettersi contro di lui, ovvero Edoardo Toscano “l’operaietto”.  Mancini racconta che Toscano era andato da un fornaio usuraio per investire cinquanta milioni, De Pedis ha chiesto all’usuraio di avvisarlo non appena fosse arrivato Toscano e in cambio avrebbe dato i cinquanta milioni di Toscano più altri cinquanta milioni di tasca sua, e il fornaio ha accettato. La mattina in cui Toscano si recò presso questo fornaio-usuraio, è arrivata questa moto con a bordo due persone: Angelo Cassani detto “Ciletto” e Angelici, e gli hanno sparato in testa il 16 marzo 1989 ad Ostia.

Agli inizi degli anni 90 De Pedis gestisce un impero economico, a Roma è diventato un intoccabile. A Roma nessuno osa colpirlo, tranne chi voleva vendicare la morte di Toscano. Colafisci all’interno dei manicomi conosce due Toscani, Colafigli voleva uccidere De Pedis e queste persone si adoperano per compiere l’omicidio. Per completare l’opera però ci vuole l’esca giusta, Colafigli come esca per De Pedis convince a collaborare, sotto minaccia, un piccolo criminale amico di del boss di Testaccio. Questa persona prende appuntamento con De Pedis a Campo dei Fiori, usando come pretesto un affare di quadri poiché De Pedis ormai si interessava anche di arte. 2 febbraio 1990, Via del Pellegrino, è il giorno dell’appuntamento di De Pedis per l’affare, De Pedis arrivato in quel luogo ha capito che non era una questione di quadri ma era una vendetta, allora salì in moto e tentò la fuga, una moto gli si è avvicinata e ha iniziato a sparare ed è morto Enrico De Pedis.
Con la sua morte la Banda della Magliana non esiste più. La polizia da anni, da la caccia ad Abbatino, ultimo cane sciolto e pericoloso boss. Abbatino è cercato sia dai suoi ex compagni che dalla polizia, gli ex compagni lo vogliono trovare prima della polizia e potrebbe rivelarsi pericoloso poiché nasconde molti segreti. Per gli ex compagni della Banda, per stanare Abbatino c’è un solo modo, far parlare i familiari. Roberto Abbatino, fratello del boss, è la vittima prescelta. 18 marzo 1990, il corpo di Roberto Abbatino emerge dal tevere, colpito da 30 coltellate. Lo hanno ucciso per sapere da lui dove si trovasse il fratello, ma non ha parlato e ha parlato con la morte.

31 dicembre 1991, la polizia intercetta Abbatino che chiama la madre presso il quartiere Magliana. E’ una svolta! In mezz’ora la polizia ha l’indirizzo di Abbatino. Abbatino è a Caracas, in Venezuela. In tutti questi anni si è rifatto una vita Abbatino, stringendo contatti con la piccola criminalità locale e lo spaccio di droga. Quando Abbatino vede la polizia italiana non oppone resistenza, ma sorride. 4 ottobre 1992, Abbatino arriva in Italia, in manette. Torna in Italia con l’intento di vendicarsi, ma a modo suo per la vendetta del fratello. 16 aprile 1993, scatta l’operazione Colosseo, 500 agenti della squadra mobile si sparpagliano per Roma, vengono effettuati 56 arresti e vengono sequestrati alla Banda della Magliana ottanta miliardi di lire in beni mobili e immobili. L’accusa è associazione a delinquere. Per anni, Abbatino, Mancini e Moretti diventano testimoni in aule di tribunali dei più oscuri misteri d’Italia. Il processo alla Banda della Magliana si conclude con pesanti condanne, questa volta i boss non godono di nessuna protezione.
I protagonisti di questa vicenda, ancora superstiti, hanno quasi saldato il conto con la giustizia e anche Roma è cambiata e la storia della Banda della Magliana rimane uno dei capitoli più neri della storia italiana densa e impregnata di mistero.  
 




BANDA DELLA MAGLIANA IV PARTE: 1983 ARRESTATE 64 PERSONE

Normal 0 14 false false false IT X-NONE X-NONE MicrosoftInternetExplorer4

/* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name:"Tabella normale"; mso-tstyle-rowband-size:0; mso-tstyle-colband-size:0; mso-style-noshow:yes; mso-style-priority:99; mso-style-qformat:yes; mso-style-parent:""; mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt; mso-para-margin:0cm; mso-para-margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:11.0pt; mso-ascii- mso-ascii-theme- mso-fareast- mso-fareast-theme- mso-hansi- mso-hansi-theme- mso-bidi- mso-bidi-theme-}

di Angelo Barraco

Roberto Calvi, rimesso il libertà provvisoria, riassume la presidenza del Banco Ambrosiano. Ma la sua situazione non è delle migliori, entra perciò in contatto e in rapporti con Flavio Carboni, amico di alti prelati e politici, ma anche amico di Pippo Calò e Danilo Abbruciati. Carboni conquista la fiducia di Calvi e lo convince a farsi concedere un forte prestito dal Banco Ambrosiano. Carboni promette a Calvi che con quella somma lo aiuterà ad uscire dalla brutta situazione in cui si trova. Roberto Rosone, vicepresidente del Banco Ambrosiano, non è d’accordo a questo prestito. Roberto Rosone è un uomo che è entrato nel Banco Ambrosiano da semplice impiegato e ha fatto carriera diventanto vicepresidente, capisce le difficoltà di Calvi e capisce anche che Calvi rischia di trascinare l’intero istituto nel baratro e critica apertamente questa scelta di Calvi. A questo punto le vicende del Banco Ambrosiano entrano in misterioso contatto con la Banda romana.
26 aprile 1982,  Danilo Abbruciani si dirige in treno verso Milano. Il 27 aprile 1982 due persone, uno in motocicletta e uno a piedi, poco distante, attendevano che Roberto Rosone uscisse di casa per recarsi al Banco Ambrosiano. Roberto Rosone esce dal suo appartamento per raggiungere l’appartamento per raggiungere l’ufficio, un uomo gli si avvicinò, cerco di sparare ma l’arma non gli funzionò subito, riprovò e riusci a colpirlo e Rosone cadde a terra. L’uomo che spara è Danilo Abbruciati, ma l’errore che commette è quello di voltare le spalle alla vittima. Dopo aver sparato Abbruciati scappò, c’erano delle persone presenti tra cui una guardia giurata, la guardia giurata sparò ad Abbruciati e morì. Abbruciati ha agito senza informare il resto del gruppo e ancora una volta Abbatino si è sentito tradito. Per Abbatino parte uno scontro aperto contro la banda dei Testaccini, guidati ormai da Enrico De Pedis. I ragazzi della banda non si sono resi conto che le forze dell’ordine, tramite gli omicidi, hanno individuato il gruppo criminale e sono sulle loro tracce.

La magistratura si rende conto di avere un’arma da puntare anche contro la Banda della Magliana, i pentiti. Il 15 dicembre 1983 vengono arrestate 64 persone. La capitale viene passata al setaccio. L’organizzazione viene messa dietro le sbarre, da Abbatino a De Pedis. Vengo accusati di associazione a delinquere, sequestro di persona, pluriomicidio, traffico di stupefacenti. Hanno sempre potuto contare di amicizie compiacenti, per loro stringere amicizie nei corridoi dei tribunali non è mai stato un problema. Questa volta non hanno valutato un imprevisto, Fulvio Lucioli diventa collaboratore di giustizia. Lucioli era un uomo di Selis e fece comprendere ai suoi uomini di essere esposti ad un enorme rischio, sapeva che sarebbe stato ucciso e quindi decise di parlare. La sua confessione fiume lascia gli inquirenti senza parole, Lucioli parla di un’organizzazione con appoggi politici, mafiosi e di alto livello. La situazione era cambiata per la banda. Il clan compatto non c’è più.

LEGGI ANCHE:

 06/12/2014 BANDA DELLA MAGLIANA – I PARTE

 18/12/2014 BANDA DELLA MAGLIANA – II PARTE

23/12/2014 BANDA DELLA MAGLIANA – TERZA PARTE





BANDA DELLA MAGLIANA – TERZA PARTE

di Angelo Barraco

Abbatino raccoglie l’eredità di Giuseppucci e guida i compagni verso la vendetta e si libera del suo nemico, Selis. Agli inizi degli anni 80 Abbatino deve affrontare ben altri problemi, la Banda è diventata un’organizzazione talmente ramificata che sfugge al controllo del suo stesso capo e il rischio è quello di una nuova faida sanguinaria. All’interno della Banda si sta sviluppando una nuova corrente che si sviluppa nel gruppo del quartiere Testaccio guidato da Enrico De Pedis e Danilo Abbruciati. Abbruciati sin da giovane è attivo negli ambienti criminali, sin da giovane si unisce alla banda dei Marsigliesi, nel 1976 il clan viene sgominato, Abbruciati scampa all’arresto e torna ai margini della criminalità romana. Abbruciati mantiene un rapporto non simbiotico con la banda, poiché è costretto ad attuare misure cautelari per i suoi trascorsi criminali, ma si serve spesso della banda per i suoi interessi. Abbruciati porta all’interno della banda una giovane spacciatrice, Fabiola Moretti sua compagna. Agli inizi degli anni 80 Abbruciati  e De Pedis controlla il traffico di droga nel quartiere Testaccio. La droga arriva dalle più importanti organizzazioni mafiose, l’eroina arriva da cosa nostra e il principale fornitore è Stefano Bontade, che agisce sulla capitale attraverso Pippo Calò, conosciuto come il cassiere della mafia. A lui spetta riciclare il denaro in attività lecite, è lui il tramite con i colletti bianchi. Il gruppo dei Testaccini aveva stretto legami con Cosa Nostra e con Pippo Calò. Gli affari tra i Testaccini e Cosa Nostra proseguono fino al 1981, il 23 aprile a Palermo viene ucciso Stefano Bontade, vittima della seconda guerra di mafia che vede l’ascesa del boss Totò Riina. Pippo Calò, uomo di Stefano Bontade, si allea ai Corleonesi e ha salva la vita. Roma si divide in due gruppi, i Testaccini, alleati con Pippi Calò che entrarono in affari e quello della Magliana che mantiene i suoi interessi sullo spaccio dei stupefacenti.

Abbruciati inizia a stringere amicizie nel campo dei colletti bianchi, conosce persone  per bene e usurai, conosce anche Domenico Calducci, usuraio conosciuto a Roma perché teneva nel suo negozio a Campo dei Fiori un cartello con su scritto “Qui si vendono soldi”. Memmo Balducci commette però un errore, trattiene una quota di deraro per se da un versamento di Pippo Calò. Un gesto che Calò non gradisce. 16 ottobre 1981, Balducci rientra a casa e spuntano alle sue spalle tre uomini armati, Balducci cade a terra ucciso da cinque colpi di pistola. Secondo i pentiti, i sicari di Balducci sono: Danilo Abbruciati ed Enrico De Pedis. I ragazzi della Magliana, gli uomini di Abbatino erano invece all’oscuro di tutto. Questo gesto dei Testaccini viene visto come un favore fatto a Cosa Nostra, siglando un patto di sangue con Cosa Nostra e Pippo Calò. Questa spaccatura ai ragazzi della Magliana non piace affatto. La frantumazione ha portato a sentimenti di odio e rancore, di invidia per non aver seguito tutti un’unica direzione e presupponeva una guerra interna che di li a poco si sarebbe sviluppata. L’organizzazione compatta si incrina e si frammenta. 

Il 27 novembre 1981, gli agenti della Digos fanno irruzione nel Ministero della Sanità all’Eur, nel cui sottoscala la Banda della Magliana custodiva il suo arsenale. Il custode, Biagio Alesse, all’oscuro di tutto, viene arrestato, viene arrestato anche Abbatino il 14 ottobre. Si comprenderà, dalla scoperta di quel deposito, che quel deposito era estremamente importante poiché la Banda della Magliana dava armi ai NAR, alla Mafia e a varie organizzazioni criminali. Abbatino viene accusato da Biagio Alesse e, arrestato, deve rispondere di quell’arsenale. Ma Alesse dopo qualche giorno ritratta tutto tramite una lettera e individua come responsabili coloro che sono già detenuti. Abbatino ha i suoi metodi per rimanere fuori dalle mura della prigione, negli anni ha costruito una fitta rete di corruzione e clientele che lo hanno messo al sicuro da ogni arresto. Per i Maglianesi il carcere si deve vivere il meno possibile e si deve vivere il carcere da padroni. I Maglianesi corrompevano anche medici per testimoniare il falso e poter uscire. E’ l’inizio 1982, Abbatino è libero e vuole regolare i conti con i Testaccini di Abbruciati e De Pedis. 18 gennaio 1982, in un cantiere edile viene trovato un cadavere carbonizzato, dopo due giorni si identifica il cadavere che è di Massimo Barbieri. E’ stato ucciso da Abbruciati per questioni di donne, futili motivi alla base. Malgrado Abbruciati avesse stretto fitti rapporti con l’alta finanza, non dimentica il mondo da cui proviene. Abbatino un mese dopo l’omicidio-Barbieri, Abbatino ordina l’omicidio di Claudio Vannicola, spacciatore che non vuole rifornirsi della Banda della Magliana reputandola finita, errore che gli costerà la vita.

Nei primi anni 80 uno scandalo senza precedenti scuote l’Italia. In una lussuosa villa in provincia di Arezzo, la guardia di finanza trova un foglio di carta destinato a cambiare per sempre la storia della Repubblica Italiana. Un mistero mistero rimasto chiuso nella cassaforte dell’imprenditore Licio Gelli. Una lista di nomi e cognomi altisonanti, ministri, imprenditori, militari, giornalisti, tutti affiliati con la loggia massonica P2 di cui Gelli è il gran maestro venerabile. La loggia rappresentava un insieme di interessi politici, economici, finanziari e criminali che aveva come obbiettivo quello di condizionare, in maniera occulta, il potere costituito. Dopo pochi giorni, il presidente del Banco Ambrosiano, Roberto Calvi, viene arrestato e processato. Nella lista della P2 c’è anche il suo nome. L’accusa contro Calvi è grave, Calvi attraverso la sua banca avrebbe appoggiato le attività economiche della loggia massonica di Gelli, un insieme di denaro riciclato nascosto in società fantasma all’estero che coinvolge anche Cosa Nostra e istituti insospettabili come lo IOR (istituti opere religiose) con sede nella Città del Vaticano. Anche Danilo Abbruciati sarà protagonista di questo misterioso e tortuoso groviglio. A coinvolgerlo sarà Pippo Calò, il cassiere di Cosa Nostra con cui Abbruciati è da tempo il affari. Calò ha tanti interessi su Roma, ma quello che lo preoccupa di più è recuperare le ingenti somme che la mafia ha perso negli investimenti di Roberto Calvi.

LEGGI ANCHE:

BANDA DELLA MAGLIANA – I PARTE

BANDA DELLA MAGLIANA – II PARTE




BANDA DELLA MAGLIANA – II PARTE

di Angelo Barraco 

Roma – Il 13 settembre 1980 Franco Giuseppucci viene ucciso da un clan rivale, i “Pesciaroli”. La banda è pronta a vendicarsi per la morte del carismatico capo e Abbatino detto “Crispino” prende in mano le redini della banda e sa che per vendicare la morta del suo capo bisogna vendicarsi uccidendo i rivali. Le forze dell’ordine arrestano la notte del delitto due membri della famiglia Proietti, sospettati di aver ucciso Giuseppucci. La Polizia trattiene Fernando Proietti, mentre suo fratello Mario è ancora a piede libero e fa perdere le sue tracce. Il primo tentativo di vendetta scatta sei giorni dopo la morte di Giuseppucci. Abbatino, essendoci già in carcere parte dei Proietti, mira ad una vendetta trasversale. A finire in questa rete è Enrico Proietti, cugino dei sicari di Giuseppucci. Abbatino e alcuni sicari lo aspettano fuori da una villa ma le cose non vanno come aveva previsto Abbatino; i killer sbagliano persona ed Enrico Proietti la fa franca. Il 27 ottobre 1980, Abbatino e i suoi uomini ritentano l’attentato, vengono esplosi su di lui colpi di arma da fuoco ma riesce a darsi alla fuga in macchina. Due mesi più tardi, Mario Proietti viene avvistato a Ponte Miglio, Abbatino invia un gruppo d’uomo per ucciderlo, ma Mario Proietti riesce a scampare alla morte. La Banda, dopo l’ennesimo colpo fallito, mira alla vendetta trasversale, questa volte contro Orazio De Benedetti che era un fiancheggiatore dei Proietti. La Banda lo uccise perché dopo la morte di Giuseppucci, qualcuno della Banda lo vide brindare ed esultare per tale avvenimento. Il gruppo d’uomo che uccise De Benedetti era composto da: Edoardo Toscano e Enrico (Renatino) De Pedis

Una nuova minaccia incombe su Abbatino, Nicolino Selis, che lo vuole scalzare dal suo ruolo di capo della banda e ha progetti e piani di cui Abbatino non ne è a conoscenza. Selis per i ragazzi della banda diventa un problema che non può essere rimandato. Selis non ha la sete di vendetta che hanno gli altri membri della banda, la morte di Giuseppucci per Selis è l’occasione di diventare il capo e scalzare Abbatino. Selis era una persona che aveva molte amicizie dentro e fuori il carcere, tra cui Raffaele Cutolo. Selis vorrebbe formare una banda su Roma simile alla nuova camorra organizzata e questo appoggio lo considera come una garanzia.
Mentre i membre dela Banda sono impegnati a vendicarsi, Selis è ancora in carcere ed è proprio lì che ha modo di stringere affari e accordi importanti. Dal carcere manda ordini, chiede chi deve essere eliminato e dice che quando uscirà regolerà i conti con tutti. Da fuori i suoi ordini non vengono recepiti dai suoi compagni e non vengono accolti e considerati. Come ultimo atto contro la Banda aveva acquistato una partita di eroina e aveva tenuto 2 Kg per se e un Kg per la Banda e questo viene visto come un tradimento. Ma la banda non agisce finchè la camorra e Raffaele Cutolo proteggono Selis. All’improvviso le cose cambiano per la NCO e Cutolo viene trasferito all’asinara dove la sua posizione di supremazia crolla a causa di una faida per l’appropriazione di appalti. All’improvviso anche la posizione di Selis non è più al sicuro e Abbatino può agire. Il 3 febbraio 1981 Abbatino vuole chiudere il conto con Selis. Selis è fuori per un permesso premio e viene convocato da Abbatino per chiarire la situazione, Selis capisce che la situazione non è delle migliori e allora si fa scortare da suo cognato Antonio Leccese, un pregiudicato. Selis viene accompagnato in una villa nei pressi di Ostia, la sua zona. La sua prima sorpresa è quella di incontrare un vecchio compagno di cella, Antonio Mancini. Abbatino tira fuori una pistola che aveva nascosto e la punta alla tempia a Selis e lo uccide, successivamente Mancini uccide Antonio Leccese, testimone scomodo.

Ora che Abbatino si è liberato del rivale, ricomincia la caccia ai “Pesciaroli”, assassini di Franco Giuseppucci. Abbattino sa anche che la Polizia lo sta cercando per la scomparsa di Selis e quella di Leccese, allora compie un gesto eclatante e azzardoso, il 2 marzo 1981 si presenta spontaneamente in questura e dichiara la sua estraneità ai fatti fornendo alibi falsi e fornendo spiegazioni sufficientemente credibili per essere lasciato libero, la Polizia gli crede e viene lasciato libero. Abbatino, riprende così la vendetta contro i Proietti con un braccio di fuoco composto da Antonio Mancini e Marcellone Colafigli, amico intimo di Giuseppucci ed era ossessionato nel vendicarsi. Il 16 marzo 1981 in Via donna olimpia vengono scovati dalla Banda, la Banda incontra Maurizio e Mario Proietti, entrano nell’atrio dell’appartamento e li uccidono. I Banditi sparano anche contro la Polizia, poi entrano nel palazzo e salgono sulle scale i Banditi e iniziano le trattative con la Polizia. Successivamente Mancini e Colafigli vengono arrestati rischiando il linciaggio della folla. Sul luogo sono accorsi trenta mezzi della Polizia.
La Banda ha terminato la caccia ai Proietti e ha vendicato l’omicidio di Franco Giuseppucci, Maurizio Abbatino “Crispino” ha dimostrato di avere la tempra di un capo, eliminando il suo rivale Selis e vendicando il suo capo Giuseppucci.




BANDA DELLA MAGLIANA – I PARTE

di Angelo Barraco

Roma – Oggi Trastevere è un quartiere alla moda, meta di turisti che tra questi vicoli riscoprono il fascino di Roma. Oggi le case sono state ristrutturate, ma è rimasto intatto il fascino della Roma popolare. Negli anni 70 il volto di Trastevere era un altro; è un quartiere dove le case sono senza servizi, abitate da operai e piccoli artigiani. Nel quartiere, di notte si svolgono attività criminali come prostituzione e bische clandestine. Tra questi vicoli c’è il forno della famiglia Giuseppucci, famiglia semplice. Franco, il figlio del proprietario, lavora lì sin da bambino ed è proprio così che si è guadagnato il suo soprannome, “Er Fornaretto”. Ma il Fornaretto all’odore del pane preferisce l’odore dei soldi, così nel tempo libero frequenta una sala corse ad Ostia, dove impara che i criminali lì godono di rispetto e che i soldi possono raddoppiare facilmente come altrettanto facilmente si possono perdere. Nel 1976 Franco Giuseppucci ha poco meno di 30 anni, ha compiuto qualche piccola rapina, decide che deve rischiare e come prima mossa stringe amicizia nell’ambiente criminale locale, offrendosi di custodire armi nella roulotte di sua proprietà. 

Il 14 gennaio 1976 la roulotte viene perquisita e viene sequestrato l’arsenale e Giuseppucci viene arrestato. Pensa che la sua carriera da criminale termina con l’arresto, ma è proprio l’ambiente carcerario di Regina Coeli ad offrirgli nuove alleanze, acquisisce la fama di duro ed un nuovo nome di battaglia: “Er Negro”, per via della sua carnagione scura. Quando esce ha capito dove ha sbagliato e si è prefissato un obbiettivo, diventare il più importante boss della mala romana. La prima regola di un boss è avere un gruppo d’uomo, Er Negro recluta i suoi amici di sempre. Il primo ad essere reclutato è Renzo Danesi. Er Negro ha stretto alcune alleanze, ma all’inizio del 1977 è ancora un piccolo criminale di quartiere, ha ripreso a custodire armi per conto d’altri. Questa volta le tiene con se, nascoste in un borsone all’interno della sua auto, fino al giorno in cui la sua auto viene rubata. Infuriato per il furto inizia a cercare colui che ha commesso il furto, le informazioni che raccoglie lo conducono ad un giovane ladro del quartiere Magliana, Maurizio Abbatino detto “Crispino” per via dei suoi capelli ricci. Giuseppucci deve decidere se andare da Abbatino e vendicarsi per il furto oppure allearsi. Giuseppucci propone a Crispino di usare insieme quelle armi per mettere in atto un colpo che li possa arricchire per davvero. La proposta viene accolta e nasce così la Banda della Magliana.

E’ il 1977, si verificano scontri tra Polizia e soggetti aventi ideali degli anni passati. In questo trambusto si sviluppa la microcriminalità, ovvero piccoli gruppi criminali che si uniscono per un solo colpo e poi si sciolgono, tale meccanismo prende il nome di “Batteria”. Si sviluppa anche un’altra forma di manifestazione criminale, il sequestro di persona. Nel 1977 Giulio Grazioli è poco più che 30enne, figlio del Duca Massimiliano Grazioni Lante Della Rovere le cui discendenze risalgono alla Roma dei Papi. Giulio Grazioli ha la passione per le armi e i fuori strada, passione che condivide con un suo amico, Enrico Mariotti. Enrico Mariotti sembra uno per bene, in realtà gestisce una sala corse ad Ostia e le sue amicizie più strette contano malavitosi che frequentano la sua sala corse tra cui Franco Giuseppucci “Er Negro”. Ed è proprio lì che Mariotti indica a Giuseppucci il colpo della svolta. Giuseppucci affida il sequestro ad una “Batteria” amica, così da poter essere libero ed avviare le trattative. Il primo contatto dei rapitori con Giulio Grazioli avviene dopo poche ore dal sequestro, telefonata in cui vengono chiesti 10 miliardi. Mariotti è il primo ad arrivare a Palazzo Grazioli, da A Giulio Grazioli un registratore per registrare le telefonate. Ma tutto ciò ha un fine, ovvero controllare in modo diretto le attività di indagine delle forze dell’ordine. Le trattative vanno avanti per mesi. I sospetti dei Carabinieri, con il tempo, cadono su Enrico Mariotti, l’amico di Giulio Grazioli. Mariotti perciò decide di sparire e scappa a Londra. Non essendoci più il basista di Giuseppucci, quest’ultimo si affretta nel chiudere le trattative riducendo la cifra del riscatto a un miliardo e mezzo. Giulio Grazioli depone la somma all’interno di un borsone, i rapitori puntuali si fanno sentire e danno indicazioni al figlio del Duca per il luogo della consegna del denaro verso la periferia romana. Giulio Grazioli, dopo le indicazioni date dai rapitori, giunge ad un parcheggio affianco ad un cavalcavia, qui trova la prova che tanto aspettava, una foto del padre vivo con in mano il quotidiano del giorno. Accando un biglietto dice che presto abbraccerà suo padre. Sotto il cavalcavia ci sono coloro che hanno il compito di prelevare il denaro, il figlio del Duca lo getta dal cavalcavia e la trattativa sembra, apparentemente, conclusa. Consegnato il denaro il figlio del Duca era convinto che il Duca fosse stato liberato in fretta ma non fu così, i giorni, i mesi passarono ma il Duca non tornò; come mai non rispettarono i patti i rapitori? Il Duca è stato ucciso qualche giorno prima dello scambio per aver riconosciuto uno dei rapitori, la foto che è stata inviata al figlio lo ritrae già morto.

 

Franco Giuseppucci “Er Negro”, ha adesso il capitale necessario per poter investire su affari miliardari. Sua è l’idea della suddivisione del denaro in quote pari, chiamata “Stecca Para” e sua è l’idea di creare un fondo da poter utilizzare in caso di necessità. La prima fonte di investimento su cui punta Giuseppucci è la droga. Giuseppucci tesse una rete di fornitori suddivisa a zone di competenza, scientifica e capillare in modo tale che il controllo della droga è in mano solo ed esclusivamente ai ragazzi della Banda della Magliana. La città viene suddivisa in zone: i quartieri Testaccio e Trastevere vanno a Renatino De Pedis e Danilo Abbruciati detto “Il Camaleonte”, alla Magliana e al Trullo restano Abbatino e Danesi. Ogni capo reclutava spacciatori sulle strade si Roma, tra cui una giovane, Fabiola Moretti, che inizia a frequentare la Banda nel 1979. Diventa la compagna di Danilo Abbruciati e collaboratrice fidata di De Pedis. Il carisma di Giuseppucci porta la Banda al totale controllo del traffico di stupefacenti nella capitale. La Magliana, Trastevere e Testaccio diventano improvvisamente zone tranquille e senza violenza, non avvenivano atti di violenza senza l’autorizzazione di Giuseppucci.

16 marzo 1978, il presidente della democrazia cristiana Aldo Moro viene rapito dalle Brigate Rosse. Per ritrovare Moro la Polizia è disposta a tutto, anche a chiedere aiuto ai criminali. Secondo la testimonianza di alcuni pentiti, si rivolgono al boss della nuova camorra organizzata, Raffaele Tutolo, che a sua volta incarica il boss di Acilia e Ostia che è Nicolino Selis. Selis coinvolge la Banda della Magliana, sa che Giuseppucci è in grado di scovare il covo dove è tenuto segregato Aldo Moro. I collaboratori di giustizia raccontano che Giuseppucci riesce a trovare il covo, Abbatino racconta di un incontro tra Giuseppucci e L’Onorevole F.Piccoli. Il sequestro Moro non da a Giuseppucci i frutti sperati e la sua collaborazione con le più alte cariche dello stato finisce lì. Aldo Moro viene trovato morto e la Banda della Magliana ha un nuovo alleato, Nicolino Selis. Tra gli amici di Selis c’è Antonio Mancini detto “Accattone”, si unisce alla Banda e compie delitti efferati, adesso è collaboratore di giustizia.

Giuseppucci negli anni si è preso il controllo su tutto, da semplice fornaio è diventato un boss temuto e rispettato, ma vuole ancora di più, vuole prendersi anche il racket delle scommesse clandestine. Le sue mire di espansione devo fare i conti con Franco Nicolini detto “Franchino il Criminale”, vecchio nemico di Selis e Mancini. Franco Nicolini gestisce gli ippodromi tra cui uno a Tor di valle, al confine con la Magliana, possiere una scuderia e riesce a condizionare l’andamento delle corse e incassa milioni di lire. Per conquistare il suo territorio la Banda ha soltanto una soluzione: l’omicidio. Il 26 luglio 1978 la Banda aspetta Franco Nicolini che esca dall’ippodromo, non appena è fuori viene colpito da una raffica di proiettili. E così la Banda prende in mano anche l’ippodromo di Tor di Valle. Gli inquirenti ignorano l’esistenza di una banda organizzata ma pensano che si tratti di una vendetta trasversale. Per Giuseppucci e soci inizia la vita che hanno sempre voluto, fatta di lusso, di eleganza e di rispetto. L’omicidio diventa il mezzo per dimostrare il potere raggiunto e colpisce chi non paga, chi reagisce ai soprusi. Un esempio di tale efferatezza è l’omicidio di un tabaccaio ucciso da due giovani che hanno ucciso il tabaccaio. Il tabaccaio era entrato in conflitto con Franco Giuseppucci che lo fa eliminare. Questo omicidio segna l’unione operativa tra esponenti della Banda della Magliana ed esponenti del terrorismo nero. Ad uccidere il tabaccaio infatti non è stata la banda della Magliana, ma secondo la testimonianza di alcuni pentiti è stato un certo Massimo Carminati. Carminati era il pupillo di Franco Giuseppicci ed era anche un giovane fascista che ha scelto la strada della lotta armata, è uno dei nuclei armati rivoluzionari. I NAR sono terroristi di estrema destra che negli anni 70 mettono sotto pressione la capitale, sono figli della Roma bene. Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, considerati i capi insieme a Massimo Carminati, sono stati condannati per la strage di Bologna avvenuta il 2 Agosto 1980.

Giuseppucci e Carminati si conoscono in uno dei bar controllati dalla banda e tra i due c’è subito intesa e rispetto. Carminati capisce che può usare la banda per raggiungere i suoi scopi, per i suoi fini politici. I NAR si finanziano attraverso le rapine, e Giuseppucci coglie l’affare, i soldi vengono investiti nell’usura e viene creato un arsenale comune, come nascondiglio scelgono gli scantinati del ministero della sanità all’Eur. Giuseppucci ha in pugno in controllo criminale della città, ma non immagina che l’alleanza con i NAR gli costerà cara, infatti una mattina di gennaio del 1980 accade una cosa che nessuno si sarebbe mai aspettato. Franco Giuseppucci viene nuovamente arrestato per furto, furto che però era stato compiuto da Massimo Carminati e compari. I rapporti con la destra eversiva che Giuseppucci aveva intrecciato lo hanno tradito, sei mesi più tardi il giudice che conduce le indagini su Giuseppucci, Giudice Mario Amato, viene ucciso il 23 giugno del 1980 in un agguato. Ad ucciderlo sono due sicari dei NAR. Giuseppucci non appena esce riallaccia i suoi rapporti criminali e i suoi affari specialmente quelli dell’ippodromo a Tor di Valle. Tutti sanno chi è stato ad uccidere “Franchino er Criminale” e c’è chi da anni brama vendetta. I fratelli Proietti, detti “i Pesciaroli” per via del banco del pesce che gestiscono ma che in realtà è un’attività di copertura per traffici illeciti. Il 13 settembre 1980 Franco Giuseppucci è a Trastevere, seduto in un bar in Piazza. Giuseppucci ha appena finito di giocare a carte con il fratello e con alcuni amici, saluta gli amici, sale in auto e infila le chiavi nel cruscotto. Un giovane si avvicina allo sportello ed ha esploso un colpo e spara a Giuseppucci, poi si allontana a piedi e viene raggiunto da un giovane alla guida di una moto. Giuseppucci si reca in ospedale da solo in auto ma muore. E la banda perde il suo capo.




OSTIA, E' ALLARME ALLEANZA TRA MAFIA, CAMORRA ED EX BANDA DELLA MAGLIANA.

Redazione

Ostia (RM) –  "Gli ultimi episodi violenti legati al clan Spada ad Ostia sono solo la punta dell'iceberg perche' e' ormai evidente che nel litorale romano ci sono pesantissime infiltrazioni criminali, frutto di un'alleanza fra Mafia, Camorra e la ex Banda della Magliana. 

A Ostia, ormai da anni, operano clan camorristici e mafiosi in un equilibrio che e' stato garantito dall'ex boss della Banda della Magliana ed ex Nar Carmine Fasciani. Stiamo parlando di clan camorristici di spicco come quello legato a Senese (detto 'O' Pazzo') oppure dei clan mafiosi dei Cuntrera, dei Capuano e Tiassi: in poche parole di Cosa Nostra". Lo dichiara il Presidente dei Verdi Angelo Bonelli che aggiunge: "Ad attirare gli appetiti criminali sono i lucrosi affari che si possono fare con le concessioni balneari. 

A Ostia, e non solo, gli stabilimenti balneari sono sottoposti alle attenzioni e alle infiltrazioni delle organizzazioni criminali che hanno fiutato un grosso affare ed hanno la liquidità  per impossessarsi delle spiagge. 

Avere in gestione una spiaggia non solo consente di fare alti profitti con canoni irrisori (ricordiamo che il canone di uno stabilimento balneare di 8000 metri che rende milioni di euro costa un canone di 1,20 euro a metro quadro. Circa 10mila euro annui: ossia 800 euro al mese) ma anche fare il riciclaggio dei proventi delle altre attività  criminali".

"Già  nel 2005 nello stabilimento dove oggi è stato trovato l'ordigno il ristorante è stato distrutto da un incendio. Nel luglio del 2007 fu necessario un sit-in di fronte la spiaggia gestita dalla cooperativa Social Beach per attirare l'attenzione sul fenomeno criminale legato alla gestione della spiaggia: quella spiaggia era stata strappata alla criminalità  organizzata – continua il leader ecologista -. Chi l'aveva in gestione fu oggetto di violenze e intimidazioni con la scarcerazione di presunti affiliati alla Banda della Magliana: in sintesi la malavita rivoleva indietro ciò che riteneva suo. 

Sempre ad Ostia la Procura di Roma dopo alcune operazioni fra cui quella Anco Marzio sottopose a sequestro uno stabilimento, il Village, finito nelle mani di una persona arrestata e definita dai Carabinieri come terminale di interessi criminali".

"L'elenco degli attentati in stile racket agli stabilimenti balneari – racconta il leader dei Verdi – è impressionante: 1 gennaio 2007 incendio allo stabilimento MED; 18 Luglio 2007 incendio allo Stabilimento Happy Surf; 18 marzo 2009 incendio allo stabilimento Buco Beach; 22 novembre 2009 incendio al chiosco dello stabilimento Punto Ovest; 19 luglio 2010 cento (100) ombrelloni e sdraio andati a fuoco sempre nello stabilimento Punto Ovest; 14 maggio 2010 incendiata la veranda del CaffÀ¨ Salerno; 3 gennaio 2011 incendiati 3 canotti dello stabilimento Anima e Core; 11 aprile 2011 incendio allo stabilimento Chiosco Bianco".

"I segnali che arrivano dal litorale romano sono chiari: la situazione è sfuggita di mano – conclude Bonelli -. E' urgentissimo che si potenzi la vigilanza delle forze dell'ordine e chiediamo che si avvii un immediato monitoraggio delle attività  economiche del litorale romano che ormai in larghi settori sono diventati preda dell'inedita alleanza fra ex Banda della Magliana, Cosa Nostra e Camorra: solo così sarà  possibile tutelare gli imprenditori onesti e l'economia sana".

LEGGI ANCHE:

OSTIA, COLLUSIONI MALAVITA E AMMINISTRAZIONE: IN ATTESA DI CHIARIMENTI GIUDIZIARI SOSTITUITI DIRETTORE E DIRIGENTE UFFICIO TECNICO MUNICIPIO X




CASTEL GANDOLFO: BOSSOLO PER IL SINDACO MILVIA MONACHESI RITROVATO A PROPAGANDA FIDE

Normal 0 14 false false false MicrosoftInternetExplorer4

C.R.

Castel Gandolfo (RM) – Al sindaco di Castel Gandolfo Milvia Monachesi è stata indirizzata una busta con all’interno un bossolo e un biglietto con su scritto “saluti dalla Magliana”. La busta è stata trovata mercoledì pomeriggio da un ragazzo di propaganda fide, la sede dei focolarini che fu bombardata durante la guerra. Infatti Il bombardamento anglo-americano del Collegio di Propaganda Fide a Castel Gandolfo è stato un episodio della seconda guerra mondiale ai Castelli Romani, avvenuto il 10 febbraio 1944.

I carabinieri di Castel Gandolfo diretti dal Capitano Aureli, sono stati immediatamente allertati e ieri pomeriggio hanno cercato di rintracciare subito il sindaco per metterla al corrente del ritrovamento della busta a lei indirizzata. Dopo averla cercata in casa e poi in Comune l’hanno raggiunta nella sezione politica dove il suo cellulare non prendeva e, accompagnata nella locale stazione, le hanno mostrato la busta con il proiettile all’interno.

Soltanto domenica scorsa, Milvia Monachesi aveva inaugurato la sede di Libera all’interno del Castelletto, bene confiscato di recente tornato in possesso del Comune.

Il sindaco Monachesi che da subito ha mostrato la sua tempra, la sua trasparenza e volontà di non portare il bavaglio schierandosi a favore della legalità non sembra voler arretrare neppure di un passo e in questa delicata occasione mostra coraggio: “E’ successo a una donna – dice Monachesi –  e già questo è un gesto deplorevole ed è successo in un momento particolare dove si sono toccati temi delicati. Ho piena fiducia nei carabinieri che stanno operando le indagini e che in ogni momento manifestano la loro presenza e professionalità. Mi piace vedere il lato più bello e caloroso di questa brutta esperienza che è proprio l’affetto e la vicinanza di tutti. Dalle istituzioni, agli amici, al mondo politico tutto. E’ chiaro che non posso fermarmi a causa di questo evento, continuerò a fare quello che facevo prima di ricevere questa amara sorpresa”.

Solidarietà è arrivata anche da parte del sindaco di Roma Ignazio Marino: “Esprimo la mia vicinanza al sindaco di Castel Gandolfo Milvia Monachesi – ha detto Marino. –  Le minacce subite sono quanto di più insopportabile per chi, come lei, agisce a favore della legalità. Una lettera anonima che rappresenta un gesto vile e da condannare, ma contemporaneamente uno stimolo ad andare avanti sulla strada intrapresa. Il mio augurio è che queste minacce non fermino l'ottimo lavoro fin qui svolto dal sindaco e che le Forze dell'Ordine riescano quanto prima a individuare gli autori di questo inaccettabile gesto”.

LEGGI ANCHE:

CASTEL GANDOLFO, IL CASTELLETTO DIVENTERA' MUSEO DEL LAGO?

CASTEL GANDOLFO, IL "CASTELLETTO" DIVENTERA' PRESIDIO DELLE FORZE DELL'ORDINE E DELLA CROCE ROSSA ITALIANA

CASTEL GANDOLFO, CONFISCATO IL "CASTELLETTO" DELLA BANDA DELLA MAGLIANA

CASTEL GANDOLFO, ALESSIO CAMPI: IL CASTELLETTO DELLA BANDA DELLA MAGLIANA E’ CASA NOSTRA

/* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name:"Tabella normale"; mso-tstyle-rowband-size:0; mso-tstyle-colband-size:0; mso-style-noshow:yes; mso-style-parent:""; mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt; mso-para-margin:0cm; mso-para-margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:10.0pt; mso-ansi-language:#0400; mso-fareast-language:#0400; mso-bidi-language:#0400;}




OSTIA, RIACCIUFFATO "L'IRACHENO" DELLA BANDA DELLA MAGLIANA

Redazione

Sulaiman Faraj, detto “Frank l’iracheno”, appartenente all’ex Banda della Magliana e coinvolto nell'operazione del 2004 denominata "Anco Marzio", è stato arrestato ieri dagli agenti del Commissariato di Ostia, diretti dal dr. Antonio Franco. A carico dell’uomo era pendente un decreto per la carcerazione emesso dalla Procura della Repubblica di Tivoli, per  una serie di reati commessi nel 2010. L’uomo, che dovrà scontare circa un anno di pena,  è stato fermato dalla Polizia di Stato nei pressi del porto turistico di Ostia. Sul litorale lidense “Frank” è un volto noto alle forze dell’ordine. Nell’anno  2004 è stato coinvolto nella vasta operazione  effettuata dalla Squadra Mobile romana denominata "Anco Marzio".L’operazione ebbe origine in seguito all’uccisione, avvenuta nel 2002, del boss Paolo Frau, detto “Paoletto”, freddato da due killer a bordo di una moto sotto la sua abitazione. Le indagini sull'omicidio Frau avevano permesso di individuare sul litorale, un sodalizio criminale dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti e soprattutto di gioco d’azzardo con il monopolio delle c.d. “macchinette video poker”. In quella circostanza furono diciotto le persone a finire in manette, alcune delle quali con nomi di spicco, tra i quali Luciano Crialesi, 53 anni e Roberto Pergola detto "Er Negro” boss della banda,  Francesco Antonini "Er Sorcanera", Vincenzo De Angelis "Er Caprotto", Claudio Tomassoni "Il Capitano" e Sulaiman Faraj “l’iracheno”.