Catalogna, schiaffo a Rajoy: vince il fronte indipendentista

A meno di due mesi dalla proclamazione della ‘Repubblica’ e dall’immediata decapitazione da parte di Madrid delle istituzioni catalane, la regione ribelle ha votato di nuovo oggi per il campo indipendentista infliggendo un sonoro schiaffo politico al premier spagnolo Mariano Rajoy.

Le tre liste del fronte repubblicano – Erc del vicepresidente Oriol Junqueras in carcere a Madrid, JxCat del President Carles Puigdemont ‘in esilio’ a Bruxelles e gli antisistema della Cup – riconquistano insieme la maggioranza assoluta con 70 seggi su 135 nel nuovo Parlamento di Barcellona, in base ad oltre il 96% dei voti scrutinati. L’altro grande dato politico è il successo di Ciudadanos, il partito più duramente unionista, che diventa la prima formazione catalana vampirizzando il Partido Popular di Rajoy.

La lista della ‘andalusa’ Inés Arrimada, capitalizzando sulla crescita del nazionalismo spagnolo anche in Catalogna, ottiene 36 seggi, e arriva prima in voti. JxCat del President ‘in esilio’ Carles Puigdemont è secondo con 34 seggi, davanti a Erc del ‘detenuto politico’ Junqueras con 32. Il terzo partito indipendentista, la Cup, si ferma a 4 seggi. Nel campo unionista arrivano secondi i socialisti di Miquel Iceta con 17 deputati, mentre il Pp crolla dagli 11 seggi uscenti a 4, e al 4% dei voti. Per il potere spagnolo è una chiara disfatta. Il candidato di Rajoy in Catalogna Xavier Albiol aveva promesso di spazzare via gli indipendentisti. Nonostante le incriminazioni di tutti i suoi leader, dieci dei quali sono finiti in carcere – quattro lo sono tuttora – l’ ‘esilio’ in Belgio di Puigdemont e di altri 4 suoi ministri inseguiti da mandati di cattura spagnoli, il fronte della secessione ha vinto di nuovo. In voti incassa il 48% contro il 43,5% ai tre partiti unionisti. L’affluenza è stata altissima, all’82%. Il travaso di voti registrato in Catalogna fra i due partiti unionisti di destra, Cs e Pp, a danno del partito del premier, è un segnale d’allarme per Rajoy.

Potrebbe spingere il giovane e ambizioso leader di Ciudadanos, il catalano Albert Rivera, a tentare di accelerare l’uscita di scena dell’attuale premier, che da un anno governa in fragile minoranza a Madrid. La vittoria degli indipendentisti è ancora più bruciante per Madrid in quanto è stata ottenuta in elezioni che hanno registrato un’affluenza senza precedenti, attorno all’82%, che danno una ancora maggiore legittimità popolare al destituito Puigdemont. Gli scenari delle prossime settimane si fanno ora complicati. Il principale candidato alla presidenza della Catalogna, Puigdemont, si trova in Belgio. Se rimette piede in terra spagnola sarà arrestato. Il suo vicepresidente, Junqueras, capo del secondo partito indipendentista, è in carcere. Puigdemont chiede che il governo destituito venga ‘restituito’ al paese, e che tutti i ‘detenuti politici’ siano liberati. Altri due nuovi deputati sono in carcere a Madrid, due ‘in esilio’ a Bruxelles. Al momento sembra molto difficile possano occupare il loro nuovo scranno in Parlamento e partecipare all’elezione del President.




Catalogna, arrestati 8 ministri: in migliaia scendono in piazza

CATALOGNA – Migliaia di persone sono scese in piazza in tutte le città catalane alla 19 all’appello delle organizzazioni della società civile indipendentista per denunciare l’arresto ordinato oggi dalla giudice spagnola Carmen Lamela di otto membri del Govern di Carles Puigdemont, fra cui il vicepresidente Oriol Junqueras, leader del primo partito catalano, Erc. Concentrazioni sono in corso in particolare a Barcellona, Girona, Badalona, Tarragona, Lleida.  La giudice ha ordinato che gli otto ministri  siano separati e detenuti in cinque prigioni diverse. Il vicepresidente Oriol Junqueras e il ministro Joaquim Forn saranno trasferiti nel carcere di Estremera, Jordi Turull e Raul Romeva a Valdemoro, Josep Rull a Navalcarnero e Carlesd Mundò a Aranjuez. Dolors Bassa e Meritxell Borras saranno detenute nel carcere per donne di Alcalà.

Tutti i leader indipendentisti hanno lanciato appelli perché la popolazione catalana mantenga la calma. Lo stesso appello è stato lanciato, “nell’indignazione”, dalle segretarie di Erc e Pdecat, Marta Pascal e Marta Rovira. Gli avvocati degli otto detenuti hanno detto che anche da parte loro, prima di essere portati via, nei furgoni cellulari sono venuti appelli “alla tranquillità”.

In un comunicato diffuso ieri sera a Bruxelles, scrive la stampa belga, l’ex presidente Carles Puigdemont, in Belgio insieme ad altri quattro suoi ministri, ha ribadito che non tornerà in Spagna denunciando “un processo politico” nei suoi confronti. I giudici spagnoli potrebbero quindi spiccare un mandato di arresto europeo.




Catalogna, dichiarata l’indipendenza da Madrid: Rajoy assume la presidenza

Il parlamento di Barcellona ha dichiarato l’indipendenza da Madrid e ha dato il via al processo costituente della Repubblica. Nelle stesse ore, il Senato iberico ha attivato l’art.155 della Costituzione, che commissaria la regione ribelle.

E oggi il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy ha assunto le funzioni e i poteri del presidente della Generalitat catalana, dopo la destituzione di Carles Puigdemont, ai sensi dell’art. 155 della Costituzione. La vicepremier, Soraya Saenz de Santamaria, assume le funzioni e i poteri del vice presidente catalano al posto del numero due del Govern, Oriol Junqueras. E’ quanto si legge nella Gazzetta ufficiale spagnola pubblicata stamani e ripresa da El Pais.

Inoltre il comandante dei Mossos d’Esquadra, la polizia regionale catalana, Josep Lluis Trapero, è stato rimosso con un ordine del ministero degli Interni spagnolo. La rimozione di Trapero – che ieri non era stata annunciata dal governo spagnolo – è prevista dall’attivazione dell’art. 155 della Costituzione per il commissariamento della Catalogna, pubblicata stamani nella Gazzetta ufficiale, ripresa dai media spagnoli.

“Proteggere e garantire la sicurezza delle persone è la nostra priorità. Continuiamo a lavorare normalmente“. E’ quanto si legge sull’account Twitter dei Mossos d’Esquadra, la polizia regionale catalana, il cui comandante Josep Luis Trapero è stato destituito dal governo di Madrid. Nel post anche la foto di due agenti che camminano tra i passanti in una via affollata.

Le aspirazioni indipendentiste catalane hanno radici lunghe secoli e si sono rafforzate nell’Ottocento, il secolo di nazionalismi. Si è anche sviluppata una letteratura catalana, lingua romanza ben distinta dal castigliano parlata da 10 milioni di persone.

Il 6 ottobre 1934 il presidente del governo autonomo di Catalogna, Lluis Companys, proclamava uno “Stato catalano nel quadro di una Repubblica federale di Spagna”, ancora inesistente. Dieci ore e decine di morti dopo si arrendeva.

“Catalani! – esclamò dal balcone della Generalitat, la sede del governo catalano – In questa ora solenne, a nome del popolo e del
Parlamento, il governo che presiedo assume tutti i poteri in Catalogna, proclama lo Stato Catalano della Repubblica federale
spagnola”. La risposta del governo centrale non si fece attendere. Il comandante militare in Catalogna, generale Domingo Batet, rifiutò di mettersi agli ordini della Generalitat e dopo aver consultato il capo del governo a Madrid, proclamò lo stato di guerra.

Un soldato cadde sotto i colpi di un miliziano, l’esercito rispose con i cannoni. Gli scontri nella notte provocarono fra 46 e 80 morti, secondo gli storici. Alle 6 del mattino del 7 ottobre, 10 ore dopo la proclamazione, Companys annunciò la resa al generale Batet. Venne arrestato insieme al suo governo e a diversi deputati; la loro foto dietro alle sbarre farà il giro del mondo.

Il 14 dicembre, una legge sospese indefinitamente l’autonomia della Catalogna. Rifugiatosi in Francia dopo la guerra civile (1936-1939), Companys fu arrestato dai tedeschi nel 1940 e consegnato al dittatore Francisco Franco. Fu fucilato il 15 ottobre à Montjuic, fortezza che sovrasta Barcellona, diventando un eroe degli indipendentisti catalani.

La questione catalana ha punti di contatto con i Paesi Baschi e la Navarra, dove si parla la lingua basca, che non ha punti di contatto con le altre lingue indoeuropee, ed esiste un forte senso nazionale rispetto a Madrid. I baschi, a differenza, dei catalani per decenni si sono organizzati militarmente in modo clandestino tenendo a lungo testa al governo centrale. Alla fine si è raggiunto un accordo di compromesso in cui alle due regioni basche è stata riconosciuta una forte autonomia, anche fiscale, in base ad accordi speciali.




Catalogna: Puigdemont dichiara l’indipendenza e poi la sospende per favorire il dialogo con Madrid

All’indomani del discorso al parlamento di Barcellona del presidente catalano Puigdemont, che ha dichiarato l’indipendenza ma l’ha sospesa per favorire il dialogo con Madrid, è il momento delle contromosse del governo centrale. Il premier spagnolo Mariano Rajoy terrà una conferenza stampa alla fine dei lavori del consiglio dei ministri straordinario; dovrebbe parlare verso mezzogiorno. Nel pomeriggio riferirà al Congresso dei deputati. Sul tavolo c’è fra l’altro la possibilità di applicare l’art.155 della costituzione che consentirebbe la sospensione dell’autonomia catalana. ‘Andremo avanti lo stesso‘, dice il portavoce del governo catalano.

Art. 155 e 116 su tavolo di Rajoy – Due articoli della costituzione spagnola, il 155 che consentirebbe di sospendere l’autonomia catalana, e il 116, che permette di istituire lo ‘stato di eccezione’ in una parte del territorio dello stato, possono essere usati dal premier Mariano Rajoy se opta per la mano dura con la regione ribelle. Per l’applicazione del 155 ci vuole il via libera del senato, dove il Pp di Rajoy ha la maggioranza assoluta, per il 116 è necessario quello del Congresso, dove Rajoy è minoritario.

La Catalogna ieri si è dichiarata indipendente. Per un minuto. Alle 19.41 il presidente Carles Puigdemont ha proclamato la Repubblica catalana. Alle 19.42 ha sospeso la secessione, per tentare “una tappa di dialogo” con Madrid. Ma in serata c’è stato anche tempo per la firma della dichiarazione da parte delle massime cariche della Catalogna e dai rappresentanti della maggioranza di governo. Un gesto simbolico, visto che, come ha detto anche un portavoce della Cup, l’ala più oltranzista del fronte indipendentista, la dichiarazione firmata “non è ancora valida”. Immediata la reazione di Madrid. Prima con fonti che hanno definito “inammissibile una dichiarazione implicita di indipendenza e poi una sua sospensione esplicita”.”Il governo – hanno aggiunto – non cederà a ricatti”. Poi con la vice di Rajoy, Soraya Saenz de Santamaria, che ha detto che oggi “Puidgemont ha esposto la Catalogna al grado massimo di incertezza”. “Non si può accettare una legge che non esiste o dare validità ad un referendum mai avvenuto”. Domani mattina alle 9 è stato convocata una riunione d’emergenza del governo, ha aggiunto. E questa sera Rajoy ha visto i principali leader politici di Madrid, tra cui il capo dei socialisti Pedro Sanchez. Alla dichiarazione si è arrivati dopo ore di trattative ad alta tensione con le varie componenti del fronte indipendentista. Sommerso dagli appelli da tutto il mondo perché evitasse un gesto “irreparabile”, il leader catalano alla fine ha optato per la ‘formula slovena’. Così aveva fatto Lubiana al momento della separazione da Belgrado: aveva dichiarato l’indipendenza, ma l’aveva sospesa per sei mesi, per arrivare a un divorzio negoziato con Belgrado. Una grandissima incertezza su quanto avrebbe detto incombeva su Barcellona da due giorni. I suoi ministri da domenica hanno tenuto le bocche cucite. La legge catalana del referendum prevedeva una dichiarazione di indipendenza entro due giorni dalla proclamazione dei risultati, in caso di vittoria del ‘sì’ al referendum del primo ottobre. Mille giornalisti di tutto il mondo hanno invaso il parlamento per seguire il suo storico discorso, trasmesso in diretta planetaria. Un discorso iniziato con un’ora di ritardo. Sessanta minuti nei quali ci sono state frenetiche trattative con la Cup, l’ala sinistra del fronte indipendentista, ostile all’indipendenza sospesa. E, sembra, telefonate con una personalità europea impegnata in un’opera di mediazione. Si è parlato di Jean Claude Juncker e del Consiglio d’Europa. Che hanno smentito. C’è stato invece poco prima dell’intervento di Puigdemont un appello del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, che ha chiesto al leader catalano di evitare l’irreparabile. Probabilmente ha avuto effetto. Il cammino già percorso dal governo secessionista catalano è impressionante. Ha potuto tenere il referendum nonostante la repressione di Madrid, ha reso la causa catalana popolare nel mondo, grazie anche allo shock delle immagini delle cariche della polizia spagnola contro la folla ai seggi. Ma sul cammino della vera indipendenza, il difficile inizia ora. Perché la Catalogna possa diventare davvero una Repubblica in grado di reggersi sulle sue gambe, un accordo con Madrid sembra necessario. Come avevano capito i dirigenti sloveni. Puigdemont oggi ha teso ancora una volta la mano a Madrid. “Non abbiamo nulla contro la Spagna e contro gli spagnoli. Anzi, vogliamo capirci meglio. Non siamo delinquenti, pazzi o golpisti, siamo gente normale che vuole poter votare”, ha detto in spagnolo. Il ‘president’ ha ricordato l’infelice vicenda dello ‘statuto catalano’ del 2006, ratificato dal popolo della Catalogna e poi bocciato nel 2010 dalla Corte costituzionale spagnola, “i cui giudici sono eletti dai due grandi partiti” di Madrid, Pp e Psoe. Così la Catalogna, ha accusato, è stata “umiliata”. Da allora sono iniziate le marce oceaniche per l’indipendenza a Barcellona, e la corsa al referendum. La sospensione della dichiarazione di indipendenza deve permettere uno spazio di dialogo, ha auspicato Puigdemont. L’obiettivo è arrivare a un compromesso con Madrid. Non sarà facile. Rajoy ha preannunciato durissime misure se Puigdemont avesse dichiarato l’indipendenza. Senza escludere l’utilizzo dell’articolo 155, che consentirebbe di destituirlo e di sospendere l’autonomia catalana. Puigdemont rischia anche l’arresto per “ribellione”. Ma su Rajoy sono puntati ora gli occhi di tutto il mondo. Che difficilmente accetterebbe nuove immagini di violenza in Catalogna. “L’Italia ritiene inaccettabile la dichiarazione unilaterale di indipendenza e rigetta ogni escalation. Esprimiamo la nostra fiducia nella capacità del governo spagnolo di tutelare l’ordine e la legalità costituzionali e, di conseguenza, di garantire il rispetto dei diritti di tutti i cittadini”, è la posizione di Roma espressa in serata dal ministro degli Esteri Angelino Alfano.




Catalogna, secessione: è il giorno della verità

CATALOGNA – Martedì, ore 18, parlamento di Barcellona: parla Carles Puigdemont. Per Catalogna e Spagna è l’ora della verità nell’infinita crisi catalana. Puigdemont deve riferire sui risultati del referendum del 1/o ottobre. E probabilmente dichiarare l’indipendenza. Ma non è chiaro quale sarà la portata: formale, immediata o ‘differita’?

Sul ‘president’ le pressioni sono state fortissime. Puigdemont ha tenuto le carte coperte nelle ultime ore nonostante appelli e moniti di alleati e avversari. Il premier spagnolo Mariano Rajoy lo ha diffidato dal proclamare l’indipendenza, una mossa che farebbe scattare la dura reazione dello stato. Rajoy può usare l’art.155 della Costituzione per sospendere l’autonomia catalana, destituire Puigdemont, sciogliere il parlamento e convocare elezioni anticipate, dichiarare lo stato d’emergenza.

“Prenderemo le misure necessarie. La separazione della Catalogna non ci sarà”, ha avvertito il premier. Il vicesegretario del suo partito, il popolare Pablo Casado, ha avvertito Puigdemont che se dichiara l’indipendenza “rischia di finire” come il suo predecessore Lluis Companys che nel 1934 proclamò una effimera “repubblica catalana”. Durò 11 ore. Poi intervenne l’esercito spagnolo, venne arrestato, processato e condannato a 30 anni. I franchisti lo fucilarono nel 1940. Parole che hanno suscitato una tempesta di polemiche. Podemos ha parlato di “guerracivilismo” e chiesto a Casado di dimettersi. L’esponente del Pp ha dovuto precisare di avere inteso l’arresto e non certo la fucilazione di Companys. Pensando probabilmente alle decine di migliaia di unionisti che ieri hanno manifestato a Barcellona gridando “Puigdemont in prigione”.




Rajoy e re Filipe – fragilità e insicurezza: e intanto la Corte europea dei diritti umani sta a guardare

Non si vuole in alcun modo sminuire i meriti dell’inaffondabile, tenace, ostinato e grigio galiziano presidente Mariano Rajoy, meritevole di avere fatto uscire il paese dal tunnel della crisi ereditata dal socialista Josè Luis Zapatero. Ugualmente non è oggetto di questo articolo negare al pluridecorato e blasonato Filipe Juan Pablo Alfonso de Todos los Santos de Borbon, i titoli, i premi, le onorificenze e le sue ascendenze. Tutto quanto accantonato, segregato al passato, lontano e recente, non rimane che il giorno tristemente ricordato come un disastro sociopolitico senza precedenti in Spagna. Esuliamo dall’entrare nel merito che il referendum per l’indipendenza della Catalogna incontrava opposizione nella Costituzione del 1978 e specificatamente dove la Carta fondamentale sancisce: “L’unità indissolubile della nazione spagnola, patria comune ed indivisibile di tutti gli spagnoli, riconoscendo e garantendo il diritto all’autonomia”.

 

Ci atteniamo ai fatti del contendere, e cioè la violenta repressione del governo del primo ministro spagnolo Rajoy che, snobbando l’evidenza delle scene cruenti trasmesse dai media di tutto il mondo, li ha definiti “inesistenti”. Per Rajoy, il 1 ottobre i catalani hanno “celebrato una farsa”. A questa dichiarazione poco rispettosa si può ribadire: caro presidente, non si contestano le farse con le manganellate! La brevissima conferenza stampa di re Filipe non è stata per niente all’altezza della situazione. Ha dimostrato fragilità ed insicurezza, incapace di parlare alla sua gente. Ha scelto di indirizzarsi alle autorità governative catalane: “Le autorità catalane si sono messe ai margini della legalità e della democrazia” Filipe ha tenuto particolarmente a ribadire che le autorità catalane hanno commesso una slealtà inammissibile verso i poteri dello Stato. Discorso fragile che allarga il dissenso. Il sovrano, volutamente o meno, ha omesso di fare il minimo cenno alle atrocità commesse dai suoi servizi d’ordine, dalla guardia civil . Si parla di un numero elevato di feriti, Madrid contesta il numero di 800 . Il numero è irrilevante. Molti hanno potuto assistere alle scene di enorme inciviltà di quei militari in servizio in tenuta da sommossa, mentre manganellavano donne e persone inermi. Il sovrano Filipe con il suo “duro” ed insicuro discorso ha fatto intendere che non riconosce come suoi cittadini quei catalani offesi dalle sue guardie.

Si è detto che l’Europa non ha alcun potere per intervenire nella vertenza interna Spagna/Catalogna. Questo è quanto ha trasmesso il presidente Tajani.

Nulla da eccepire, però ricordiamo che a Strasburgo da tempo è stata costituita la Corte europea dei diritti umani. Fu questa stessa corte ad avere condannato l’Italia per quanto compiuto dalle forze dell’ordine italiane nell’irruzione alla Diaz il 21 luglio 2001 e specificatamente per il pestaggio subito da uno dei manifestanti.

Il 1 ottobre 2017 in Catalogna, nelle scuole per votare al referendum c’è stato più di un cittadino vittima di un pestaggio, più di un cittadino è stato costretto a recarsi al pronto soccorso perché le guardie in servizio non hanno badato ne al sesso e neppure all’età. La domanda è una: c’è ancora la Corte europea per i diritti umani a difesa del cittadino vittima delle guardie di Mariano Rajoy-Filipe Juan Pablo Alfonso de Todos los Santos de Borbon? I diritti umani si misurano secondo la sensibilità di un popolo. Il caso italiano forse fa scuola. Nello sgombero degli immigrati dal palazzo a via Curtatone a Roma, qualcuno di questi gettò da una finestra del palazzo una bombola addosso alla polizia in servizio. Il funzionario che guidava la celere, trovandosi con i suoi tra ferro e fuoco gridava :“Devono sparire, se tirano qualcosa spaccategli un braccio“. A seguito di questa frase la Questura di Roma, la stessa sera fece sapere di avere aperto “una formale inchiesta”. Sta di fatto che per avere solamente pronunciato quella frase il funzionario fu trasferito. Morale della favola, ci sono diritti umani a Roma, ancora non si sa se ce ne saranno a Madrid e intanto la Corte europea dei diritti umani sta a guardare.

Emanuel Galea




Catalogna, referendum: scontri a Girona e Barcellona. Polizia sequestra le urne

CATALOGNA – Tafferugli e spintoni con la polizia si sono verificati davanti alcuni seggi per il referendum in Catalogna, in particolare quando gli elettori si sono rifiutati di far entrare gli uomini della Guardia Civil nei seggi. Alcune persone, a Girona e a Barcellona, si sono messe davanti agli ingressi oppure si sono sdraiati a terra opponendo resistenza passiva, ma sono stati spostati con la forza. Si registrano anche i primi feriti, almeno tre, tra cui una signora anziana nel quartiere di Roquetes a Barcellona.

La polizia spagnola in tenuta antisommossa ha sequestrato le urne dopo avere fatto irruzione nel seggio di Ramon Llul a Barcellona, dove erano già iniziate le operazioni di voto. Gli agenti spagnoli, alcuni dei quali imbracciavano fucili lancia granate, sono usciti al centro portando le urne in mezzo a una folla di elettori che gridavano “votarem!”.

Agenti della Guardia Civil spagnola in tenuta anti-sommossa sono intervenuti nel seggio dove era previsto votasse il presidente catalano Carles Puigdemont, a Girnoa. Gli agenti spagnoli hanno allontanato la stampa e usano la forza per spostare la folla di cittadini concentrati a protezione del seggio. Il presidente catalano però ha già votato in un altro seggio a Girona dopo che la polizia spagnola ha fatto irruzione in quello di Sant Julia de Ramis.

Le operazioni di voto sono iniziate in diversi collegi elettorali in Catalogna che hanno potuto aprire alle 9. In alcuni seggi sta intervenendo la polizia spagnola. Migliaia di persone si sono concentrate in tutto il paese davanti ai seggi, che in molti casi sono difesi dai trattori del sindacato dei Contadini catalani (Up).




TRAGEDIA IN CATALOGNA: SI SCHIANTA BUS CHE TRASPORTAVA STUDENTI ERASMUS: MORTE 8 ITALIANE

Redazione

Il bilancio dello schianto del bus in Catalogna si fa sempre più drammatico: le vittime sono 14, di cui 8 italiane. Ai tragici numeri forniti dalla Farnesina si è aggiunta Elena Maestrini, 21enne di Gavorrano (Grosseto) iscritta all'Università di Firenze e morta dopo il ricovero nell'ospedale di Tarragona. Nell'elenco ci sono anche due tedesche, una romena, una uzbeka, una francese e una austriaca. Il disastroso bilancio parla anche di 34 feriti i cui 3 molto gravi, 9 gravi e 2 non gravi. Le vittime erano di età compresa tra i 19 e i 25 anni

Si chiamava Valentina Gallo l'altra italiana rimasta uccisa, era una fiorentina di 22 anni. La famiglia della ragazza è già arrivata sul posto, dovesi trova anche il console generale d'Italia a Barcellona, Stefano Nicoletti.

Intanto è stato indagato per 13 omicidi per "imprudenza" l'autista che ieri ha perso il controllo dell'autobus degli studenti Erasmus lungo l'autostrada che unisce Valencia a Barcellona, in Spagna. A bordo c'erano 57 giovani di 22 nazionalità. L'uomo, 63 anni, avrebbe dovuto comparire stamani davanti a un giudice ma è stato portato in ospedale per cpmplicazioni respiratorie. Ieri sera era stato interrogato dal Mossos d'Esquadra, la polizia regionale catalana.