Bruno Contrada: un torto che resterà insanabile

Sulla vicenda del Prefetto Bruno Contrada ripresa dal programma di approfondimento giornalistico Officina Stampa condotto dal direttore responsabile di questo quotidiano Chiara Rai, nel corso di 7 puntate andate in onda tra il 28 settembre e il 16 novembre di quest’anno, dove sono intervenuti diversi rappresentanti delle Istituzioni, un prezioso contributo da parte del giornalista Giancarlo Perna, già penna dell’Ansa, de L’Europeo, di Panorama de il Giornale, allora diretto da Indro Montanelli, dove permane fino al 2014, di Libero e attualmente de La Verità diretto da Maurizio Belpietro.

 

Di seguito riceviamo e pubblichiamo da Giancarlo Perna

 

Il torto subito da Bruno Contrada resterà insanabile. Era giunto ai più alti gradi della Polizia e considerato il detective antimafia per eccellenza. Alla vigilia di Natale del 1992, la giustizia con cui collaborava lo ha arrestato. Passò 2 anni e sette mesi in carcere preventivo. Ha subito 4 processi. Assolto in uno e stato poi definitivamente condannato per mafiosità. Ha scontato altri 2 anni in una fortezza militare, 4 agli arresti domiciliari, 2 anni gli sono stati condonati per buona condotta.

Perché questo errore giudiziario? La magistratura ha preferito credere ai pentiti, fiori di mafiosi, alcuni arrestati da Bruno Contrada e assetati di vendetta, piuttosto che al capo della polizia in carica, a 4 ex capi della polizia, a capi del Sisde, generali e prefetti che testimoniarono sulla sua perfetta fedeltà ai propri doveri. Questo la dice lunga sulla fiducia reciproca tra corpi istituzionali in questo paese.

Vilipeso in Italia, Bruno Contrada è stato riabilitato dalla Corte europea per i diritti dell’uomo al cui vaglio la nostra giustizia esce con le ossa rotte. La Corte con una prima sentenza ha condannato l’Italia a risarcire Bruno Contrada per violazione dei diritti umani avendolo tenuto in carcere malato. Con una seconda, perché il processo non doveva neanche svolgersi, mancando di sufficienti basi legali. Contrada riavrà i gradi, gli arretrati economici e gli avanzamenti di carriera negati.

Resta che aveva 61 anni quando l’ingiustizia lo ha travolto e ne ha 87 ora che la giustizia ha ripreso il sopravvento. Gli rimane anche l’amarezza che solo nei tribunali esteri sono state capite le sue ragioni, alle quali i tribunali del proprio paese erano rimasti sordi.

Giancarlo Perna

 

Officina Stampa il programma condotto da Chiara Rai andato in onda lo scorso 16 novembre 2017 

 




Caso Contrada, il senatore Compagna: “L’amico Bruno, esemplare servitore dello Stato”

Sesta parte dell’intervista rilasciata a Chiara Rai dal Prefetto Bruno Contrada quella andata in onda a Officina Stampa giovedì 6 novembre. A commentare i fatti storici che hanno riguardato la vicenda del già capo della Mobile di Palermo il Senatore Luigi Compagna (video intervista rilasciata a Gianpaolo Plini per L’Osservatore d’Italia), membro Gruppo FL (Id-PL, PLI), membro della 3ª Commissione permanente (Affari esteri, emigrazione), membro sostituto del Comitato parlamentare per i procedimenti di accusa, membro della Delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), membro della Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro.

 

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Bruno Contrada è un ex funzionario, agente segreto ed ufficiale di polizia italiano

È stato dirigente della Polizia di Stato, numero tre del Sisde, capo della Mobile di Palermo nonché capo della sezione siciliana della Criminalpol. Il suo nome è stato associato alla cosiddetta “zona grigia” tra legalità ed illegalità, tra Stato e mafia. È stato arrestato il 24 dicembre 1992, in un primo momento assolto in appello ma, successivamente, condannato in via definitiva nel 2007 a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. In tutto Contrada ha scontato 4 anni di carcere, 4 di arresti domiciliari mentre 2 anni sono stati sottratti alla pena per buona condotta. Il caso è rimasto per lungo tempo al centro del dibattito pubblico per la sua difficile interpretazione.

L’11 settembre 2014 la Corte Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha condannato lo Stato Italiano

per la mancata concessione degli arresti domiciliari al Contrada nel 2008 a seguito delle condizioni di grave malattia (si era dimagrito di 22 kg) che lo rendevano incompatibile col regime carcerario appellandosi all’articolo 3 del CEDU riguardo il divieto di trattamenti inumani o degradanti. Nel 2015 altra condanna in ossequio al noto principio italiano del nulla poena sine lege, dato che all’epoca dei fatti (1979-1988) il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non era previsto dal nostro codice penale. Nel 2017 si è pronunciata la Cassazione che ha dichiarato l’improduttività di sentenza penale della condanna. Per ultimo, il 14 ottobre 2017 il capo della Polizia Franco Gabrielli ha revocato il provvedimento di destituzione di Bruno Contrada, reinserendolo nel sistema pensionistico della Polizia di Stato. Tale revoca ha valenza retroattiva e inizia dal 1993.

 

È interessante analizzare come il caso Bruno Contrada appartenga ad un’epoca storica molto densa di fatti a livello politico

Gli anni 90 della storia italiana hanno segnato, irrimediabilmente, il concetto ed il modo di avvicinarsi alla politica. L’ambizione di riassumerli in poche righe sarebbe utopica, ma basti ricordare come il Pool di Mani Pulite abbia portato allo scioglimento della DC ed al ridimensionamento del PDS e soprattutto come tale intervento giudiziario abbia decretato la fine della Prima Repubblica ed il comincio della Seconda Repubblica. Il Pool era composto da Pier Camillo Davigo, Antonio Di Pietro e Gherardo Colombo incaricati di indagare sulla famosa Tangentopoli che iniziò con l’arresto del “mariuolo isolato” Mario Chiesa esponente del Partito Socialista Italiano, il quale rivelò che il sistema di tangenti era molto più esteso di come l’opinione pubblica e Bettino Craxi avevano immaginato. Di lì a poco si arrivò al crollo della partitocrazia italiana.

 

I magistrati proseguirono con l’arresto di numerosi tra politici ed imprenditori, parte dei quali si suicidarono

Il clima come racconta Davigo era però anche ironico: “molti confessavano anche al citofono”. La storia di mani pulite si dovette intrecciare indubbiamente col la Trattativa Stato-Mafia nella quale fa da chiave di volta il papello di Totò Riina e le Leghe del Sud di Provenzano. La mafia voleva entrare in politica. In questo clima di cospirazioni, di frode e di collaborazione mafiosa venne accusato Bruno Contrada che, seppur ancor fiducioso nelle istituzioni, dichiara a Chiara Rai che se quel 19 luglio del 1992 non fosse stato su una barca con 12 testimoni, sarebbe stato accusato anche della strage di via d’Amelio nella quale rimase ucciso Paolo Borsellino.

Gianpaolo Plini




Bruno Contrada: quelle strane coincidenze del 1992

Un’altra puntata sul caso del neo reintegrato “sbirro” Bruno Contrada il quale è stato intervistato dalla giornalista Chiara Rai a Palermo. Una video intervista commentata negli studi della trasmissione giornalistica Officina Stampa arrivata ormai alla seconda stagione e che finora ha avuto tutti ospiti di rilievo che hanno trattato temi di respiro nazionale. La serie “Fango sulla divisa” che è cominciata con il caso Bruno Contrada è entrata nel vivo. In studio, lo scorso giovedì 19 ottobre, è stata ospite l’Onorevole Stefania Craxi che ha commentato un anno difficile che coincide proprio con l’anno dell’arresto di Contrada: il 1992.


Il paradosso delle sentenze e “i confidenti” Bruno Contrada, ha risposto a diverse domande della giornalista: “Mi chiede come si operava? Con i confidenti. E dove si vanno a trovare i confidenti? Nei conventi delle Orsoline?  O delle Clarisse o dei Francescani? Nll’ambiente della criminalità. E chi è che deve scovarli? Chi deve procurarseli? Gli sbirri, i poliziotti”.

Poi si è puntata l’attenzione sulla figura del boss di Mondello Rosario Riccobono: ”Riccobono con la sua cosca – ha proseguito Bruno Contrada –  era stato responsabile dell’omicidio dell’agente Gaetano Cappiello ed è stato uno dei criminali che più ho perseguito. Ammetto di essere uscito un po’ fuori dalla deontologia professionale perché lo considerai un nemico personale ma ero particolarmente legato a quel ragazzo napoletano, come me, di soli 22 anni che lavorava con noi alla Squadra Mobile di Palermo. Giurai, quando Gaetano Cappiello morì tra le mie braccia che avrei fatto di tutto per capire chi lo aveva ucciso. Dopo indagini e lavoro serrato riuscì a portare Rosario Riccobono e Gaspare Mutolo davanti alla Corte d’Assise che non solo li assolse per l’omicidio di Cappiello ma anche dall’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso dicendo che non c’erano prove che quei due criminali appartenessero alla mafia. Quel che è ancora più assurdo è che quella sentenza fu scritta da un giudice e dal presidente della V sezione penale  del Tribunale di Palermo che mi condannò dicendo che ero amico di Rosario Riccobono. Adesso, se è vero che è fisiologico che il magistrato assolva e il poliziotto arresti, è nel sistema e accade spesso, non è fisiologico però che un magistrato assolve per insufficienza di prove due criminali rimettendoli in libertà e poi condanna il poliziotto che li ha portati davanti a lui chiedendogli di farli condannare”.

 

Lo sbirro Contrada e i boss della mafia Poi Bruno Contrada ha rimarcato il fatto che se Rosario Riccobono fosse stato un suo confidente lo avrebbe detto perché quando si tenne il processo il boss era già morto nell’’82: “Riccobono non è stato mai un mio confidente perché ero contrario ad avere come confidenti gli esponenti di spicco, cercavo quelli con un piede dentro e uno fuori ma non i capi della mafia”.

 

Le dichiarazioni di Buscetta sulla Polizia di Stato di Palermo Bruno Contrada ha anche detto che quando Tommaso Buscetta fu interrogato da Giovanni Falcone il quale gli chiese informazioni sugli organi di polizia di Palermo, il pentito rispose: “A me risulta che gli organi di polizia a Palermo hanno fatto sempre il loro dovere”.

Bruno Contrada ricorda ancora: “Buscetta lo prelevai a Roma insieme a Ninni Russo e lo portammo a Palermo passando la nottata intera in treno a parlare con Buscetta e quando questo raccontava di come era stato trattato in Brasile dalla polizia politica “securitad social” e che era stato costretto a chinarsi in terra per mangiare io intervenni in maniera istintiva e sbagliai a parlare dicendo che  gli stessi sistemi dovevamo adottarli noi poliziotti a Palermo con voi mafiosi e d’allora lui non mi rivolse più la parola”.

Tra gli accusatori di Contrada c’è Gaspare Mutolo: “Io ho perseguito Mutolo e l’ho fatto condannare a 9 anni di carcere. Mutolo non aveva accusato solo Contrada ma anche il Pm Domenico Signorino che si sparò perché non resse l’accusa e i tre giudici che lo avevano condannato. Mutolo è stato a mio parere il più bugiardo tra tutti i pentiti”.

Stefania Craxi ha definito Bruno contrada: “Il più grande sbirro italiano che ha arrestato decine di mafiosi quando arrestare significava passare giornate intere a fare indagini senza mezzi, ne la tecnologia di oggi. Per lui – ricorda Stefania Craxi – hanno testimoniato centinaia di funzionari dello Stato e invece si è voluto ‘usare’ dei pentiti, gente che si è macchiata di delitti efferati perché era un momento in cui gli apparati dello Stato seguivano gli ordini e Bruno Contrada che è un uomo dello Stato agli ordini di qualcosa contrario alla nostra Repubblica non sarebbe mai stato capace di farlo”.

 

Stefania Craxi: “Nessun riconoscimento per mio padre ancora a Milano” Poi, inevitabilmente si è parlato di Bettino Craxi tra i più grandi rappresentanti della Prima Repubblica. A lui sono state dedicate tante vie e piazze in italia: “Certamente questi riconoscimenti che non sono una questione toponomastica ma una questione politica fanno molto piacere – dice stefania Craxi – ma ho il rammarico che proprio da Milano che è la sua città, la città del socialismo riformista, questi riconoscimenti non sono potuti ancora avvenire. E aggiungo anche che incredibilmente sono state le giunte di centrodestra di tanti Comuni italiani a dare riconoscimenti a mio padre, dico incredibilmente perché Craxi appartiene alla storia della sinistra socialista”.

 

Gli effetti della crisi di Sigonella raccontati da Stefania Craxi Nel parlare di Bettino Craxi, gli ospiti di Officina Stampa, hanno citato la crisi di Sigonella quando l’allora presidente del Consiglio piegò le decisioni di Ronald Regan: “Mi dà agio di ricordare – aggiunge Stefania Craxi – che il dvd della notte di Sigonella è in edicola con Panorama. Una ricostruzione fedele di ciò che è successo. Vorrei però dire che il “decisionista” Craxi in realtà era un riflessivo che prima di prendere una decisione rifletteva a lungo ma detto questo in quei cinque giorni, tanto durò il rapimento della nave Achille Lauro fino alla liberazione degli ostaggi e alla ripartenza dell’aereo Egiziano, Craxi ebbe poco tempo per decidere, poche informazioni sommarie e decise quindi da solo ma in base a delle sue convinzioni profonde, innanzi tutto che l’Italia era una Nazione e non un paesello e che doveva essere rispettata anche dai nostri maggiori alleati e poi che non dovesse passare il principio che a governare lo scenario internazionale dovesse essere “la legge del più forte” e non i principi del diritto internazionale. L’altra grande convinzione è che l’uomo viene prima di qualsiasi altra cosa e quindi il suo primo tentativo fu di usare le armi della diplomazia per salvare gli oltre 500 ostaggi nella nave e poi c’era sotto tutto questo una grande visione mediterranea l’idea che l’Italia dovesse avere nel Mediterraneo un ruolo di leadership e quindi un suo ruolo importante sullo scenario internazionale”

 

Bettino Craxi e la caduta della Prima Repubblica Parlando di distruzione del sistema politico italiano, del fatidico 1992, Stefania Craxi dice suo padre riteneva che certamente ambienti nazionali e internazionali dell’epoca che hanno approfittato della temperie politica per comprare le aziende di Stato a prezzi d’incanto non avrebbero voluto una classe dirigente che si fosse opposta alla svendita del patrimonio italiano: “Ebbene Craxi – continua sua figlia – aveva dato l’impressione di un personaggio che non si sarebbe mai piegato se non agli interessi del suo paese”.

Uno spirito di servizio che indubbiamente Stefania Craxi riconosce anche a Bruno Contrada: “Bruno non soffriva il carcere perché era un uomo abituato a vivere per strada. Lui subiva l’umiliazione e quindi la restituzione della divisa (ndR. il riferimento è alla revoca di destituzione effettuata nei giorni scorsi dal Capo della Polizia Gabrielli) è una sconfitta per questa malagiustizia ma anche un atto di riconoscimento per un uomo che ha speso la vita per servire il suo Paese”.

Chi dovrebbe avere il coraggio di scusarsi adesso? Non ci sarà nessuno che scriverà una lettera a Bruno Contrada? Ci si chiede in studio ad Officina Stampa: “Io credo – dice Stefania Craxi – che ci sono dei responsabili di questo atto di sciacallaggio, che hanno perpetrato questa infamia e che per dovere morale potrebbero anche chiedere scusa”

 

I nemici di Bruno Contrada e il 1992 Il riferimento fa pensare immediatamente e spontaneamente sempre al 1992 quando sono iniziati tutti problemi di Bruno Contrada che ricevette l’incarico dal direttore del Sisde di riorganizzare il servizio segreto civile per contrastare il pericolo dell’eversione mafiosa. A qualcuno probabilmente quell’incarico assegnato a Bruno Contrada non faceva piacere, nonostante il Governo avesse dato indicazioni precise in tal senso. I fatti e le testimonianze di Contrada dicono chiaramente che la Direzione Investigativa Antimafia non gradiva assolutamente. All’epoca, era diretta dal generale dei Carabinieri Giuseppe Tavormina, il suo vice operativo era Gianni De Gennaro, che aveva un grado inferiore a quello di Bruno Contrada. Insomma i due si muovevamo su strade parallele.

 

Il mancato arresto di Bernardo Provenzano, lo smantellamento del pool e le manette per Bruno Contrada In quello scorcio del 1992, Bruno Contrada aveva un’indicazione importante per catturare uno dei due latitanti più pericolosi di Cosa nostra: Bernardo Provenzano. Una fonte gli aveva passato i numeri di cellulare di alcune persone vicine al boss. D’intesa con l’allora capo della polizia Vincenzo Parisi era stato creato un gruppo di lavoro misto, con elementi della Criminalpol e dei Servizi. Ma all’improvviso quel gruppo venne smantellato nonostante le ottime possibilità di arrivare all’obiettivo. E qualche settimana dopo Bruno Contrada fu arrestato. E lo “sbirro” non nasconde nulla: “Ho avuto anche dei nemici oltre a moltissimi estimatori – dice a Chiara Rai –  persone che per emergere avevano bisogno di abbassare il valore degli altri e questo l’ho avuto anche io nella mia amministrazione ma ho avuto anche 140 uomini delle istituzioni che sono venuti a deporre a favore della verità e della giustizia non di Bruno Contrada intendiamoci!

 

E proprio Contrada nella seconda parte dell’intervista dice chiaramente: “La mia storia bisogna contestualizzarla con l’anno 1992 un periodo in cui era in atto un processo politico di sovvertimento dei valori politici che avevano retto l’Italia dal dopoguerra in poi per circa 50 anni. C’era la volontà politica di distruggere il partito egemone rappresentato dalla Democrazia Cristiana con uomini di valore, statisti, anche il Partito Socialista che ha avuto sempre una grande importanza nella vita politica italiana e i vari partiti satelliti Repubblicano, Socialdemocratico, ecc, insomma statisti che dalle macerie della guerra nel ‘45, portarono l’Italia a rappresentare una delle massime potenze industriali del mondo. Così oltre a colpire quel mondo politico per distruggerlo e farlo crollare definitivamente dovevano essere colpiti anche quegli uomini di apparato che venivano considerati in quel contesto, tanto per citarne uno il Magistrato Corrado Carnevale”.

 

Il caso del Magistrato Corrado Carnevale Carnevale fu accusato di aver favorito, durante la presidenza della prima sezione penale della Cassazione, alcuni imputati eccellenti in processi di Mafia, annullando talvolta le condanne per vizi di forma (solitamente vizi procedurali, inosservanza delle norme di legge o difetto di motivazione ). Fu però definitivamente assolto nel processo per concorso esterno in associazione di tipo mafioso (in seguito ad accuse sempre del solito Gaspare Mutolo che lo coinvolse nel processo a Giulio Andreotti), in quanto il fatto non sussisteva; vista la richiesta volontaria di trasferimento a una sezione civile da parte di Carnevale, fu bloccato anche il procedimento di inchiesta a cui era sottoposto. ll 29 giugno 2001, dopo l’assoluzione in primo grado dell’8 giugno 2000 perché “il fatto non sussiste”, Corrado Carnevale fu condannato dalla Corte d’appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa a 6 anni di carcere, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e all’interdizione legale lungo l’arco della pena (Carnevale era in corsa per ottenere la carica di primo presidente della Corte). Poche voci si levarono in sua difesa, tra esse quella del leader radicale Marco Pannella che definì la sentenza “un’esecuzione, una condanna ignobile, un momento di trionfo del neofascismo etico di sinistra”. La sentenza finale in Cassazione del 30 ottobre 2002, davanti alle sezioni penali riunite, lo assolse invece con formula piena, tramite annullamento senza rinvio che ribaltò la sentenza della Corte d’appello e ripristinò la sentenza di primo grado, constatando prove insufficienti (articolo 530) a sostenere tali accuse, non essendo dimostrabile che Corrado Carnevale volesse aiutare la mafia (rilevando che gli annullamenti erano stati effettuati anche in processi che non riguardavano la mafia).

 

L’omicidio Cappiello Il proprietario di un noto laboratorio fotografico era stato più volte oggetto di minacce ed estorsione da parte di banditi che chiedevano soldi in cambio di protezione. Il commerciante si rivolge alla Polizia, che organizza un servizio per catturare gli estortori. Dopo numerosi appostamenti, andati a vuoto per la particolare cautela adoperata dai banditi, l’ultimo appuntamento, quello decisivo è previsto per le ore 21,30 del giorno 2 Luglio, davanti alla Chiesa della Resurrezione nel quartiere “Villaggio Ruffini”. La zona è circondata da agenti e sottufficiali in borghese, mentre un furgoncino civetta è posteggiato ad una ventina di metri dal luogo dell’appuntamento. L’agente Cappiello si trova nella macchina dell’imprenditore per proteggerlo durante la consegna del denaro e poi lasciare intervenire i colleghi. Alle ore 21,15 i banditi telefonano a Randazzo dicendogli di attendere il loro arrivo in macchina. Quando si avvicinano, Cappiello esce improvvisamente dalla vettura, dichiarandoli in arresto, ma viene raggiunto da cinque colpi al petto. Morirà poco dopo all’ospedale di Villa Sofia, tra le braccia del suo capo della mobile, Bruno Contrada. Cappiello lasciò la Moglie e un figlio in tenera età




Bruno Contrada: reintegrato in polizia l’ex capo della Mobile di Palermo

PALERMO – Il capo della Polizia, Franco Gabrielli, ha revocato il provvedimento di destituzione di Bruno Contrada, ex capo della squadra Mobile di Palermo e numero due del Sisde. La decisione, resa nota dal legale di Contrada, l’avvocato Stefano Giordano, segue la sentenza con cui la Cassazione, nei mesi scorsi, aveva revocato la condanna di Contrada a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. La revoca della destituzione è retroattiva e decorre dal gennaio del 1993, quando l’ex dirigente della Mobile venne arrestato.

“È un giorno importante per il nostro assistito, –  dichiarano gli avvocati Stefano Giordano e Vittorio Manes, difensori di Bruno Contrada e autori del ricorso vittorioso in Cassazione – che dopo tanti anni vede restituita la sua onorabilità e viene reinserito tra i prefetti della Polizia, ma più in generale per tutti, perché la forza del diritto prevale sulle ingiustizie. Esprimiamo sincero apprezzamento e stima nei confronti del Capo della Polizia dott. Gabrielli per la sollecitudine e la disponibilità dimostrata, un esempio dell’Italia che funziona.”