Corleone, amministrative. vittoria per il centrodestra: Nicolò Nicolosi è il nuovo sindaco

CORLEONE (PA) – Al Comune di Corleone vince il centrodestra: è Nicolò Nicolosi con 3.587 voti il nuovo sindaco del paese del Palermitano sciolto per mafia. E’ il dato ufficiale pubblicato dal sito dell’Ente dopo lo scrutinio di tutte le 12 sezioni. Maurizio Pascucci, candidato inizialmente dal M5s e poi disconosciuto da Luigi Di Maio per avere postato su Facebook una foto con il nipote di Bernardo Provenzano, è arrivato secondo con 1.830 voti, poco più della metà dei voti del neo sindaco. Il terzo candidato, Salvatore Antonino Saporito, ha ottenuto 1.006 consensi. Ieri alle urne si sono recati 6.611 elettori dei 10.814 aventi diritto, facendo registrare un’affluenza del 61,13%. “L’esito delle elezioni è una vittoria per la città. I corleonesi si sono svegliati affidando a noi il compito di condurre Corleone verso nuove mete. Lo faremo con la squadra di consiglieri e assessori che abbiamo designato, lo faremo con tutti i corleonesi”, ha commentato a caldo il neo sindaco Nicolò Nicolosi.




Corleone, operazione “Giustizia”: stroncata organizzazione criminale dedita allo spaccio

CORLEONE (PA) – Il notevole incremento dei controlli e dei servizi da parte dei Carabinieri della Compagnia di Corleone sta rendendo sempre più fitte e inviolabili le maglie della giustizia.
Alle prime luci dell’alba di mercoledì 12 settembre, i militari della Compagnia Carabinieri di Corleone, hanno eseguito 6 ordinanze di applicazione di misure cautelari emesse dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Termini Imerese, su richiesta della competente Procura della Repubblica, nei confronti di altrettanti indagati resisi responsabili a vario titolo ed in concorso tra loro, di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio.

L’operazione, denominata “Giustizia”, in ricordo di una delle opere del famoso scrittore Federico De Roberto, a cui è intitolata la strada ove avvenivano i traffici illeciti, scaturisce da una lunga e complessa attività investigativa condotta dal personale del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Corleone, che ha consentito di disarticolare, mediante sofisticate attività di indagine, un sodalizio criminale dedito allo spaccio di stupefacenti nel locale centro.

L’indagine, iniziata nel mese di ottobre 2016, si è conclusa questa mattina con l’esecuzione di 2 obblighi di dimora nel comune di Corleone e 5 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria. Nella sua fase esecutiva, l’operazione ha visto l’impiego di circa venti Carabinieri e di personale del Nucleo Cinofili di Palermo.
Nel corso dell’attività di polizia giudiziaria, venivano inoltre eseguite delle perquisizioni domiciliari e personali alla ricerca di stupefacenti, al termine delle quali venivano deferiti in stato di libertà due soggetti poiché trovati in possesso di complessivi grammi 12 circa di hashish, uno spinello, bilancino di precisione e materiale vario per il confezionamento.
Non accenna a placarsi l’opera di controllo da parte dei Carabinieri di Corleone e continueranno incessanti le attività dei militari della Benemerita nella cittadina volte alla prevenzione dei reati ed al contrasto di attività illecite, con particolare attenzione alla detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, reati spesso rivolti ai giovani.




Corleone, bagno di folla per la fanfara dei Carabinieri

CORLEONE (PA) – A Corleone ieri alle 12.00 in occasione della Festa di San Leoluca, Santo Patrono della città di Corleone, la Fanfara del 12° Reggimento Carabinieri Sicilia (composta da 30 elementi, tutti diplomati presso conservatori italiani e diretta dal Maestro Maresciallo Maggiore SENA) si è esibita in un concerto in piazza Falcone e Borsellino di Corleone. L’iniziativa – fortemente voluta dal Comandante Interregionale Carabinieri Culqualber, Generale di Corpo d’Armata Luigi Robusto, dopo una sua visita alla Stazione Carabinieri di Corleone – è stata particolarmente apprezzata dalla cittadinanza che ha gremito la piazza dedicata ai magistrati uccisi dalla mafia ed ha inteso suggellare ulteriormente lo stretto legame che unisce l’Arma alla popolazione: il Carabiniere è da sempre il vicino di casa di tutti noi! La significativa presenza dei corleonesi dimostra che Corleone è cambiata. La città – in passato etichettata come luogo di mafia e di mafiosi, dove nulla poteva esser fatto senza il benestare di cosa nostra – si è ieri unita nella sua piazza principale dove tante famiglie e tantissimi bambini hanno simbolicamente abbracciato i Carabinieri in alta uniforme, ringraziando della loro presenza con innumerevoli applausi.




Totò Riina, no a funerali pubblici: storia di un pubblico peccatore, di omertà e di morti ammazzati

No ai funerali di Riina. Questa la posizione netta presa dalla Chiesa in merito al sanguinario boss Salvatore (Totò) Riina, morto venerdì 17 alle ore 3.37.

“Un funerale publico non è pensabile. – Ha detto Don Ivan Maffeis, portavoce della Cei – Ricordo la scomunica del Papa ai mafiosi, – ha proseguito il portavoce Cei – la condanna della Chiesa italiana che su questo fenomeno ha una posizione inequivocabile. La Chiesa non si sostituisce al giudizio di Dio ma non possiamo confondere le coscienze”.  Don Ivan Maffeis ha puntualizzato inoltre che la Chiesa e la Chiesa Italiana hanno una posizione chiarissima di fronte a chi si è reso responsabile di questi crimini e un funerale pubblico è impensabile poiché calpesta la memoria delle vittime che sono state brutalmente uccise “penso a Falcone, Borsellino, Livatino, ma anche i tanti preti uccisi, come don Puglisi, e comunque i magistrati, le forze dell’ordine, le tante persone che sono state assassinate. Un funerale pubblico sarebbe un segno che va nella direzione opposta del compito della Chiesa, che quello di educare la coscienza e contrastare la mentalità criminale”.

 

Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale segue la stessa linea di pensiero di Maffeis precisando cheBisogna educare le coscienze alla giustizia e alla legalità e di contrastare la mentalità mafiosa. Ancora non ho informazioni se e quando la salma di Riina sarà trasferita a Corleone. Trattandosi di un pubblico peccatore non si potranno fare funerali pubblici. Ove i familiari lo chiedessero si valuterà di fare una preghiera privata al cimitero”.

 

“Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. Ci sono entrato per caso. E poi ci sono rimasto per un problema morale. La gente mi moriva attorno” disse il Magistrato Paolo Borsellino, ucciso il 19 luglio 1992 dalla mafia, con una carica di esplosivo di 90 chilogrammi contenuta all’interno di una Fiat 126, in quel terribile attentato morirono anche i cinque agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Una questione morale che il sanguinario Boss di Corleone Totò Riina, invece, non si è mai posto nel corso della sua lunga carriera criminale, prediligendo  senza indugi l’eco assordante della lupara, con la quale metteva  a tacere tutti coloro che osavano contrastare la sua ascesa al potere mafioso. Una carneficina che ha disseminato, lungo le strade di Palermo, corpi inermi il cui sangue ha impregnato le vie della città e delle borgate in cui nessuno aveva visto e sentito nulla. Totò “U curtù”, da gregario di Luciano Liggio, raggiunse ben presto i vertici di cosa nostra, scatenando stragi, ordinando esecuzioni, sfidando lo Stato e facendo sparire nel nulla uomini che hanno lottato in prima persona per la libertà e la democrazia. Ha vissuto per un ventennio nell’ombra, nascondendosi dal braccio armato della legge che lo condannava agli ergastoli.  Una latitanza condivisa fianco a fianco con il boss corleonese Bernardo Provenzano “Binnu”, suo amico d’infanzia con il quale ha suggellato un’alleanza consolidata negli anni per l’affermazione del potere di Corleone su Palermo. Un destino criminale e di interessi che ha messo in ginocchio la Sicilia, terra ricca finita nelle mani di meschini senza scrupoli che l’hanno macchiata di sangue e dolore.

La lunga latitanza di Totò “u curtu”, però, si interrompe il 15 gennaio del 1993, quando viene catturato dal CRIMOR, squadra speciale dei ROS guidata dal Capitano Ultimo.  Da allora il sanguinario boss dei corleonesi, condannato a 26 ergastoli, sconta la sua pena nel severissimo regime carcerario 41 bis; gli inquirenti ritengono però che abbia continuato ad esercitare il suo potere anche da quel rigido sistema detentivo e infatti, nel mese di luglio, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna respinge la richiesta di un differimento di pena per motivi di salute. Dopo il suo arresto si interrompe l’eco delle armi a Palermo, finisce l’epoca delle stragi e della sfida contro lo Stato; Bernardo Provenzano “Binnu”, diventa il nuovo capo di cosa nostra e il comandamento che impone è quello di non fare “scruscio”, ovvero “non fare rumore”; una strategia mafiosa diversa da quella di Totò “U curtu” che invece prediligeva l’azione armata. Il silenzio imposto da Provenzano faceva macinare miliardi senza sosta alla mafia, taciti accordi con i colletti bianchi che si stipulavano con una stretta di mano e un “pizzino” contenente l’ordine e le direttive da seguire, sentenze di morte o di assoluzione.

 

L’Avvocato Nicodemo Gentile, che recentemente ha pubblicato il suo ultimo libro “Laggiù tra il ferro – storie di vita, storie di reclusi” ha dedicato un intero capitolo al 41 bis e ha voluto darne un cenno per i lettori de L’Osservatore d’Italia al fine di capire meglio come funziona: “Da un punto di vista tecnico si tratta di un inasprimento che nasce proprio a seguito delle stragi anche se era stato già concepito ma non attuato per quanto riguarda la lotta alle Brigate Rosse. Si tratta di un Atto Ministeriale, quindi che prescinde dal discorso giurisdizionale e va ad attaccare tutti quei soggetti che si sono macchiati di crimini al fine di rompere ogni tipo di legame, contrastare ogni tipo di prosecuzione anche dal carcere per l’attività di ordinamento, controllo e gestione di cosa nostra. Non possono stare con altre persone, devono fare l’ora d’aria da soli o massimo con un’altra persona, hanno tutta una serie di preclusioni per quanto riguarda i colloqui che si fanno attraverso un vetro divisorio, per quanto riguarda il fatto di avere corrispondenze, i cibi, i vestiti, spesso e volentieri la luce esterna è schermata, le finestre e le sbarre sono anche schermate con un ulteriore pannello che oscura tutto”.

 

Con la morte di Totò Riina, avvenuta venerdì 17 alle ore 3.37, si chiude un capito della mafia stragista e sanguinaria, ma non è possibile però decretare la fine del fenomeno mafioso nella sua totalità poichè in questi anni ha assunto nuove forme, ramificandosi sempre di più in diversi settori.. Totò “U curtu” verrà sepolto a Corleone, dove ebbe inizio la sua carriera criminale, quando ancora era un ragazzino; nello stesso cimitero comunale è sepolto anche il suo amico di sempre e boss Bernardo Provenzano, Michele Navarra, Luciano Liggio e vi sono anche i resti del sindacalista Placido Rizzotto, ucciso da Liggio del 1948. Tante sono state le reazioni che hanno accompagnato la notizia della morte di Totò Riina e da più fronti: la figlia Maria Concetta, per esempio, ha postato sul suo profilo facebook una rosa nera e una mano con scritto “shhh…”, successivamente ha precisato che “La foto sfondo del mio profilo Fb non vuole affatto essere un messaggio mafioso dove si intima il silenzio , bensì la richiesta di rispettare questo mio personale momento di dolore”.


Numerosi i messaggi di cordoglio che si susseguono sul suo profilo ma anche in pagine dedicate al boss di cosa nostra, con manifestazioni esplicite di dispiacere che fanno accapponare la pelle in una società democratica che contrasta la mafia in tutti i modi. “Ho dei figli minori, non ho niente da dire. Vi denuncio” ha detto Maria Concetta ai giornalisti che si sono recati nella sezione di Medicina Legale dell’ospedale di Parma, dove è stata effettuata l’autopsia. Ma è impossibile contrastare l’onda mediatica legata al caso vista l’entità e la ferocia delle mattanze compiute da Riina e soci, nessuno può dimenticare le vittime innocenti e cancellare quanto accaduto. Ad Ercolano (Napoli) è apparso un manifesto che da l’annuncio della morte di Riina e che recita: “E’ morto Salvatore Riina di anni 87, ne danno il lieto annuncio…” e seguono i nomi di 24 vittime di mafia.

 

La dottoressa Mary Petrillo, Psicologa, criminologa, Coordinatrice del Crime Analysts Team, Docente Master Univ. Niccolò Cusano ci ha dato il suo punto di vista in merito alla vicenda:
“Il giorno della morte del boss mafioso Salvatore, detto Totó, Riina, non mi son sentita di gioire per niente, forse altri avranno gioito della sua morte perché cosí non avrebbe piú potuto tenere sotto scacco qualcuno minacciando di parlare e di dire chissà quante altre cose su “cosa nostra” e su chi l’ha utilizzata; piuttosto ho ritenuto giusto commemorare tutte le persone morte a causa sua, ho ritenuto opportuno, poi, fare una riflessione sul fatto che  morto Riina la mafia però non é morta, anzi la mafia é già in trasformazione, sta già diventando “altro”. La mafia ora, a mio parere, ha un’altra prospettiva e tende a muoversi nel mondo economico e finanziario, la mafia, per usare un termine dal significato ben preciso e molto in uso oggi, direi che è”liquida”. Molti pensano che il nuovo “erede” di Riina sia il latitante Matteo Messina Denaro, ma, personalmente, a questa ipotesi poco ci credo, seppure egli si muove diversamente da Riina, piuttosto penso che molti giovani avvezzi anche al  mercato delle nuove tecnologie e qualcuno anche con buona istruzione, possano essere i ” nuovi perni” su cui gira l’affaire mafia”.

 

Chissà invece se qualcuno ha mai pensato e rispettato il dolore della mamma di Giuseppe Di Matteo, ucciso brutalmente  dalla mafia quando aveva soltanto 13 anni, nel tentativo di far tacere il padre Santino Di Matteo perché divenuto collaboratore di giustizia. Il suo rapimento avvenne ad Altofonte il 23 novembre 1993. Il piccolo venne strangolato e dissolto nell’acido l’11 gennaio del 1996, a seguito di una lunga prigionia durata 25 mesi e 779 giorni. Chissà se qualcuno ha mai rispettato la sofferenza che hanno provato i genitori di Giuseppe Letizia, giovane pastore e vittima di mafia ucciso all’età di 12 anni perché testimone scomodo dell’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto. Il piccolo si trovava ad accudire il suo gregge nelle campagne corleonesi e il giorno seguente fu trovato dal padre in stato di shock. Fu portato all’Ospedale diretto da Michele Navarra e li, in preda a febbre alta, raccontò del delitto a cui aveva assistito. Gli fecero un’iniezione e morì, si ritiene che quella siringa contenesse del veleno. Chissà se qualcuno ha mai pensato ai genitori del piccolo Claudio Domino, ucciso dalla mafia a soli 11 anni. Suo padre era gestore del servizio di pulizia dell’aula bunker del maxiprocesso di Palermo. La sera del 7 ottobre del 1986 stava passeggiando in una via del quartiere San Lorenzo quando fu chiamato da un uomo che gli sparò in fronte un colpo di pistola che lo uccise sul colpo. Secondo il pentito Ferrante, il piccolo fu ucciso perché testimone involontario e quindi scomodo di scambi di stupefacenti tra spacciatori. Famiglie che hanno perso un proprio caro strappato brutalmente e ingiustamente alla vita, nel silenzio della notte e con il fragore di uno sparo. Nessuna di queste famiglie riceverà mai più una telefonata, un abbraccio o un sorriso da parte del proprio congiunto; ci saranno soltanto vedove che piangeranno mariti, madri che piangeranno figli morti ingiustamente e sepolti sotto metri di terra, sciolti nell’acido, uccisi con il veleno, sparati in fronte e svaniti nel nulla per mano di mafiosi senza scrupoli: chi ha rispettato il loro silenzio?

 

La dottoressa Rossana Putignano [Psicologa- Psicoterapeuta, Consulente di parte con il CRIME ANALYSTS TEAM in qualità di Responsabile della Divisione Sud e della Divisione di Diagnosi Neuropsicologica e Forense] in merito alla vicenda riferisce che: “Le interviste rilasciate in questi giorni nel paese del Capo dei Capi, Totó Riina hanno mosso in noi tanti malumori e ci si chiede come si fa a essere così omertosi, così ciechi davanti al passato criminale di quest’ uomo coinvolto in prima linea in tante stragi tra cui quelle che hanno determinato la morte di Falcone e Borsellino e tutti i ragazzi della loro scorta, padri, madri, figli e fratelli. Ci si chiede come sia possibile. Abbiamo sentito ” non lo conosco ” ” non so niente” ” era una brava persona” ” era un uomo d’onore” parole che ci fanno ribrezzo e che lasciano in noi tanta perplessità e timore che la mafia continui a esistere, alimentata proprio da questa subcultura. Perché di subcultura e tradizione si tratta, non di affiliazione o adesione al contesto criminale. C’ é però da fare un distinguo tra omertá e soggezione verso queste figure, aimé passate alla storia, perché così si sentiva Riina -stando alle intercettazioni- sentiva di essere entrato nella storia. Quello che piú dovrebbe scandalizzare, a mio avviso, non é la soggezione verso la figura del bos ma le parole vigliacche di chi dice di non conoscerlo e di non sapere niente. Personalmente, mi spaventa questa eccessiva tutela di sé, questa codardia di chi pensa di proteggersi ignorando l’ esistenza di questa gente, in una sola parola “omertá”. Ammettere invece che Totó Riina sia stato un uomo d’ onore, una brava persona non é peró racapricciante se pensiamo a quello che può rappresentare la presenza di un boss in un piccolo contesto paesano come Corleone: molte di queste persone si sentono protette e sanno a chi rivolgersi in caso di bisogno, i boss sono persone altamente religiose (anche se hanno una visione distorta della religione) pregano la Madonna e tutti i santi e sono sempre disponibili verso il prossimo. Oltretutto questa storia é vecchia come il cucco: a fine 800 inizio 900 esistevano i picciotti, oggi diventati ‘ndrangheta, che prestavano soldi in usura e si rendevano disponibili nel risolvere i problemi dei latifondisti quando questi erano in difficoltà, magari erano i diretti responsabili delle stesse, tuttavia costituivano una figura tranquillizzante per chi subiva dei furti ed erano garanzia che parte della refurtiva sarebbe stata in qualche modo recuperata. Nel tempo queste figure hanno acquisito potere, importanza e oggi sono indispensabili a certi uomini di potere per il cosiddetto voto di scambio. Finché c’é aristocrazia c’ é mafia se non una sovrapposizione delle stesse ma quello che alimenta questo sistema é sicuramente é il servilismo di chi si dimena al bar per offrire il caffè al bos- ricordando un esempio di Gratteri, Procuratore Capo di Catanzaro in una sua recente intervista- di cui si potrebbe fare a meno e la cecitá di chi “ignora” volontariamente l’ esistenza di queste realtá. Omertá e servilismo sono due facce della stessa medaglia dell’ uomo che continua ad avere paura. Forse bisognerebbe sconfiggere la nostra paura, prima che la mafia”.

 

I familiari delle vittime di mafia hanno risposto alla notizia della morte del capo dei capi; Rita Dalla Chiesa, giornalista e conduttrice tv, figlia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia il 3 settembre 1982, ha scritto sulla sua pagina facebook “La sua morte è arrivata a 87anni mentre gli uomini dello Stato che ha ucciso erano tutti uomini che nella loro vita non hanno potuto proseguire nei loro affetti, nei loro interessi, nello stare vicini a mogli, figli e nipoti”. Rosario Terranova, famoso attore e nipote del magistrato Cesare Terranova, ucciso dalla mafia il 25 settembre 1979 ha scritto sul suo profilo facebook il seguente messaggio: “Dovrei esultare che è morto? pubblicare una sua foto? cosa cambia Zio Cesare, nulla, io voglio pubblicare la tua di foto, il tuo sorriso e come sei stato ridotto. Lui va via e porta con se tutto, tutti i segreti, che tali rimarranno per sempre, nomi e mandanti. Ha vissuto, brindato alle morti, comandato e rimasto tale sino all’ultimo, come una persona normale il suo corpo è invecchiato e se n’è andato con la famiglia al capezzale. Onore a Te, Zio Cesare”.

 

Rosario Terranova ha deciso di rilasciarci un’intervista in esclusiva, raccontandoci le sue emozioni e i suoi sentimenti legati a questo momento: “finisce un’epoca, finisce un’era ma lui si porta tutto quello che sapeva e che sa. Quello che ti posso dire è che nulla toglie quello che lui è stato, che è indescrivibile, indefinibile, non si può neanche raccontare facendo un film o una fiction realmente quelle che sono state queste persone. Sicuramente non provo né pena né pietà né tantomeno esulto. Io nel mio piccolo, nel 79, quando è stato ucciso zio Cesare avevo quattro anni, ma sono delle cose che non ti togli mai dalla mente. Sono sempre cresciuto nei discorsi della famiglia, di mio nonno Rosario, mi raccontava di lui. Sono delle ferite che non rimargini mai, che poi nel tempo, negli anni si sono sempre più riaperte con Falcone, con Borsellino. Da palermitano è difficile che non conosci le persone o dei poliziotti che hanno perso la vita. Molti mi hanno criticato perché ho postato la foto del sorriso di zio Cesare e sia la foto trucidato dentro l’auto, ma è una cosa che ho voluto fare perché comunque si continua a parlare che Riina è un uomo, che Riina è morto, ma c’è chi ha pianto su un corpo. Comunque lui è invecchiato, lui è morto da uomo, c’è chi piange una bara dove all’interno c’è quello che resta di un uomo”.

 

Angelo Barraco

 

Il dottor Giuseppe Ayala parla di “Strane coincidenze”




Corleone, maltrattamenti alla materna: maestra interdetta per 12 mesi

CORLEONE (PA) –  I militari della Stazione Carabinieri di Corleone hanno eseguito, questa mattina, un’ordinanza di misura cautelare della sospensione dall’esercizio di pubblico ufficio nei confronti di una insegnante di 54 anni di scuola materna, con conseguente interdizione per dodici mesi da tutte le attività inerenti al suo incarico, per maltrattamenti verso i fanciulli.

Le delicate attività d’indagine, dirette dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Termini Imerese, sono state avviate a seguito della denuncia della mamma di un bambino che aveva riferito di essere stato vittima di maltrattamenti da parte della maestra. Le microtelecamere installate dagli investigatori hanno permesso di confermare l’attendibilità della denunciante. Durante la giornata scolastica, la maestra ricorreva abitualmente a punizioni fisiche ogniqualvolta si poneva la necessità di riprendere un comportamento non corretto avuto da uno o più bambini. Bastavano anche dei giocattoli fatti cadere a terra per far sì che il rimprovero, oltre che verbale, diventasse fisico.

Durante i quasi due mesi d’indagine, i militari hanno registrato reiterati episodi di maltrattamenti ai danni dei minori, consistiti in schiaffi alla nuca ai piccoli alunni e avvenuti sempre quando l’insegnante rimaneva sola con i bambini, senza occhi indiscreti a guardare.

Già nel mese di marzo, dopo l’ennesimo episodio di violenza, i Carabinieri della Stazione di Corleone intervennero sul posto, allontanando la maestra dall’aula e portandola in caserma dove, d’intesa con la competente Autorità Giudiziaria, veniva dichiarata in stato di arresto in flagranza di reato e condotta inizialmente agli arresti domiciliari. Poi, a distanza di alcuni mesi, la Sezione per il riesame del Tribunale penale di Palermo ha accolto il ricorso della Procura applicando la misura cautelare della sospensione dai pubblici uffici, con interdizione dalle attività connesse con l’incarico di maestra per la durata di dodici mesi, con provvedimento divenuto definitivo in seguito alla pronuncia della Corte di Cassazione.




Corleone, celebrata Santa Messa per la preparazione al Natale


Redazione


CORLEONE – Nel quadro delle iniziative programmate dall'Arma dei Carabinieri per festeggiare il SS. Natale, questa mattina alle ore 10.00 è stata celebrata la Santa Messa nella chiesa Madre di Corleone. Erano presenti per l'occasione, non solo Cappellano militare del Comando Legione Carabinieri Sicilia Don Salvatore Falsone, ma anche i Cappellani militari della Polizia di Stato, Don Massimiliano Purpura, e della Guardia di Finanza, Mons. Mario Raneri.

Alla funzione religiosa hanno inoltre partecipato, insieme al Vice Prefetto Giovanna Termini, Commissario straordinario del comune di Corleone, e al Colonnello Antonio Di Stasio, Comandante Provinciale dei Carabinieri di Palermo, tutti i rappresentanti delle citate tre forze di polizie, della locale polizia municipale, dell'Esercito, della Protezione civile e del Corpo Forestale dello Stato e dell'Associazione Carabinieri in congedo, nonché la mamma del Brig. Intravaia caduto a Nassirya nel 2003.

In tale contesto, il Colonnello Di Stasio – dopo aver evidenziato la presenza granitica e corale di tutte le Istituzioni dello Stato in Corleone – ha ricordato che: “il Natale oltre a rappresentare un ritorno alle origini della fede, deve essere per noi anche occasione per rievocare il giuramento prestato all'inizio del nostro servizio”.




Corleone, colpo duro alla mafia: 12 arresti

di Angelo Barraco
 
Palermo – E’ stata denominata “Grande Passo 4” l’operazione eseguita durante la notte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo e della Compagnia di Corleone che ha portato all’esecuzione di misure cautelari nei confronti di dodici persone ritenute responsabili a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, tentata estorsione e danneggiamento, delitti aggravati dalla finalità di agevolare l'attività dell’associazione mafiosa e sono: Gariffo Carmelo, Vaccaro Pietro, Coscino Vincenzo, Saporito Bernardo,  Di Marco Antonino, Lo Bue Leoluca, Pellitteri Vincenzo, Scianni Francesco Paolo, Filippello Vito Biagio, Masaracchia Pietro Paolo, Geraci Francesco, Geraci Francesco. Alla libertà vigilata sono stati sottoposti invece: Gebbia Gaspare e Gebbia Pietro. Una complessa operazione che è stata compiuta su richiesta della Procura Distrettuale diretta dal Dott. Lo Voi e dalle indagini coordinate dal Procuratore aggiunto Dott. Agueci e dai sostituti Dott. Demontis, Dott.ssa Malagoli e Dott. Spedale. Tale operazione rappresenta un’ulteriore tassello all’interno del pregresso quadro investigativo in cui sono state compiute le tre indagini “Grande Passo”, relative al mandamento mafioso di Corleone che hanno portato all’arresto di esponenti di spicco tra il settembre del 2014 e il novembre 2015. Indagini che hanno condotto gli inquirenti a compiere ispezioni all’interno del Comune di Corleone e successivamente hanno portato allo scioglimento dell’Ente allo scioglimento per infiltrazioni mafiose. Il tutto ha inizio nel marzo del 2014, quando viene scarcerato Carmelo Gariffo, il nipote del superboss di cosa nostra Bernardo Provenzano. Gli inquirenti avviano ulteriori attività d’intercettazione all’interno degli uffici del custode del campo sportivo di Corleone, Antonino di Marco, uomo vicino ai vertici di Cosa Nostra. Da tali intercettazioni si sviluppa l’indagine denominata “Grande Passo” che ha portato all’individuazione del mandamento di Corleone nella persona di Rosario Salvatore Lo Bue, l’identificazione delle famiglie mafiose di Chiusa Sclafani e Palazzo Adriano nelle persone di Vincenzo Pellitteri e Pietro Paolo Masaracchia, è stato delineato il ruolo di Antonino Di Marco quale supervisore della attività della famiglia mafiosa di Palazzo Adriano, sono state accertate le responsabilità di Pietro Pollichino quale supervisore dell’area Contessa Entellina. Le indagini che hanno portato all’ordinanza di custodia cautelare hanno interessato: Carmelo Gariffo, nipote del boss Bernardo Provenzano; Leoluca Lo Bue, capo del mandamento di Corleone; Antonino Di Marco, arrestato nel settembre del 2014 nell’operazione “Grande Passo” e condannato a 12 anni di reclusione in primo grado per associazione mafiosa; Vincenzo Pellitteri, arrestato nel novembre 2015 nell’operazione “Grande Passo 3”; Pietro paolo Masaracchia, arrestato nel settembre 2014 nell’operazione “Grande Passo” e condannato a 11 anni di reclusione per associazione mafiosa in primo grado; Vito Biagio Filippello, reggente della famiglia mafiosa di Palazzo Adriano, Bernardo Saporito, Francesco Scianni e Vincenzo Coscino ritenuti appartenenti alla famiglia mafiosa di Corleone; Francesco Geraci e un altro omonimo poco più grande di lui, entrambi imprenditori e Pietro Vaccaro, appartenenti alla famiglia di Chiusa Sclafani. Per Gaspare Gebbia e il figlio è stata applicata la libertà vigilata per due anni. 
 
Le indagini hanno appurato il potere decisionale della famiglia mafiosa di Corleone sulle famiglie di Palazzo Adriano e Chiusa Sclafani, che pianificavano illecite attività sotto la supervisione e l’autorizzazione dei corleonesi. Dalle indagini è emersa una fitta rete di estorsioni di ditte impegnate sui lavori pubblici. Rispetto al passato, gli imprenditori e i commercianti hanno alzato la testa e si sono ribellati al muro di omertà imposto da un sistema marcio e non riuscendo più a gestire la situazione hanno deciso di collaborare. Nel mese di luglio del 2014 un imprenditore di Palermo che si era aggiudicato un appalto di lavori di manutenzione ha denunciato l’incendio di due mezzi da lavoro. Gli inquirenti hanno avviato delle attività investigative di intercettazioni telefoniche e ambientali ed è emerso il ruolo degli indagati, in particolar modo è stato individuato il ruolo di Gebbia e del figlio Pietro quali mandati di un progetto omicidiario ad danno di un agricoltore. Gli inquirenti hanno appurato quanto sia ancora ben presente e utilizzato il sistema estorsivo dalle organizzazioni criminali come strumento cumulativo di capitale. Un sistema che annienta le vittime sia da un punto di vista economico che psicologico evidenziando quanto il clima di paura e di terrore del sistema mafioso sia ancora ben presente in Sicilia e che può essere sconfitto attraverso l’abbattimento del muro di omertà.  



CORLEONE, NINETTA BAGARELLA: L'ENNESIMO INCHINO SOTTO CASA DI LADY RIINA

Red. Cronaca

Palermo – La Curia di Monreale ha fatto sapere di aver avviato un'indagine su quanto avvenuto la sera del 31 maggio a Corleone, durante la processione di S. Giovanni Evangelista, che si è fermata davanti alla casa di Ninetta Bagarella, la moglie di Totò Riina. La Commissione si riunirà lunedì 6 giugno ed  stata nominata dall'arcivescovo. Informato dell'accaduto "appena qualche istante dopo", monsignor Michele Pennisi "ha manifestato il suo profondo rammarico e la sua ferma condanna".

La Curia precisa inoltre che "il parroco, don Domenico Mancuso, al quale è stata chiesta una relazione ben dettagliata dei fatti, afferma che il tragitto processionale e' stato quello tradizionale, comunicato a tempo debito, come di regola, al Commissariato di Polizia, al Comando dei Carabinieri e al Comando di Polizia municipale; la sosta, non concordata precedentemente, c'è stata realmente ma non c'è stato alcun 'inchino' del simulacro".

"Si consuma l'ennesimo episodio di 'inchino' nella culla del capo dei capi", ha denunciato il senatore del M5S e componente della Commissione Antimafia, Mario Giarrusso. Si tratta di "episodi ormai collaudati che si ripetono da anni in diversi parti del Meridione; luoghi dove la mafia si vuole imporre a tutti i costi anche tramite l'ausilio di politici corrotti e purtroppo anche delle istituzioni religiose. Questa volta l'episodio e' accaduto a Corleone. Un 'inchino' in via Scorsone – ha spiegato Giarrusso – sotto l'abitazione della moglie di Riina. E' un fatto gravissimo, l'episodio fa emergere il lato oscuro della complicita' di chi non poteva non sapere della scelta di fermarsi sotto l'abitazione della moglie del boss. Questo grave fatto avviene dopo una serie di episodi contrastati dalle forze dell'ordine con arresti effettuati nei mesi scorsi e di cattiva gestione pubblica che ha portato il ministro dell'Interno ad inviare un'ispezione per verificare l'esistenza di eventuali infiltrazioni mafiose presso il comune di Corleone". L'ispezione voluta dal ministero dell'Interno, ha riferito ancora Giarrusso, "si è conclusa da alcune settimane ma ad oggi non ne conosciamo l'esito. L'altro grave episodio – ha continuato il senatore dei 5 Stelle – e' l'intervista a Porta a Porta, trasmissione della tv di Stato, del figlio di Riina che ha di fatto sancito una nuova stagione tramite la 'personalizzazione mediatica' dei poteri mafiosi. Nelle prossime ore, presenterò un'interrogazione parlamentare urgente per chiedere se il ministro Angelino Alfano intende intervenire nell'immediato al fine di contrastare tali dinamiche di 'potere mediatico mafioso' e quali misure di pubblica sicurezza intende attivare per garantire la vera libertà non solo alla comunita' Corleonese, ma a tutte le altre comunità vittime degli 'inchini'", conclude.

Mafia: Lumia (Pd), inchino sotto casa di Ninetta Bagarella è un fatto grave
“Da quando Salvuccio Riina si è presentato al grande pubblico come aspirante capo, chiarendo che la mafia è in grado di reggere l’urto della reazione dello Stato, dentro il popolo di Cosa nostra c’è un fremito. Molti boss alzano la testa, sono pronti a reagire, a intimidire e se è il caso anche a colpire. L’inchino fatto durante la processione di San Giovanni sotto l’abitazione di Ninetta Bagarella non va sottovalutato. Ecco perché già ieri avevo presentato un’interrogazione parlamentare per denunciare questo fatto grave”. Lo dice il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione antimafia. “Sia chiaro – aggiunge – che lo Stato dovrà impedire a Giovanni Grizzaffi di ritornare a Corleone dopo la sua scarcerazione. Si tratta, infatti, di un altro capo mandamento tanto atteso. Altrettanto chiaramente denuncio le minacce fatte da Ciavarello, marito della figlia di Riina, a Dino Paternostro per aver postato sui social l’articolo di Salvo Palazzolo, pubblicato sul quotidiano ‘la Repubblica’, proprio sulla notizia dell’inchino. Le sue minacce la dicono lunga sullo stato d’animo di sfida che oggi attraversa una parte del mondo di Cosa nostra”.
“Lo Stato – conclude Lumia – deve rispondere colpo su colpo, per stroncare sul nascere il tentativo dei boss di rialzare la testa. L’ho detto già in occasione dell’agguato ad Antoci: è guerra e guerra sia”.
 




CORLEONE: IL COMUNE DICE NO ALLE GUIDE TURISTICHE DEL FIGLIO DI BERNARDO PROVENZANO


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di Angelo Barraco

Corleone (PA) – Il consiglio comunale di Corleone ha approvato all’unanimità una mozione che ha presentato il Pd e che invita il Sindaco Lea Savona a verificare “se vi siano le condizioni per chiedere un risarcimento ad un tour operator di Boston per danni morali a Corleone” causati dagli incontri dei turisti con Angelo Provenzano, il figlio maggiore di Bernardo Provenzano detto “Binnu”, il sanguinario boss di Cosa Nostra che è stato un fantasma per anni e adesso si trova al carcere duro. La motivazioni di tale risarcimento che il consiglio comunale ha approvato è che tale iniziativa di Provenzano Jr. danneggia l’immagine di Corleone.
 
Intanto da parecchi mesi a Palermo, i diversi turisti americani che sbarcano nel capoluogo siciliano per visitare la città di Palermo e i suoi splendidi luoghi come: la cattedrale, il teatro Massimo, i mercati, la scalinata dell’ultima scena del Padrino, successivamente il gruppo di turisti si sposta dalla finzione cinematografica che tanto ha fatto appassionare i cinofili e non di tutto il mondo, alla realtà. I turisti conoscono Angelo Provenzano, figlio di Bernardo Provenzano, detto “binnu”, spesso veniva chiamato anche “u raggioniere” (il ragioniere), o “u  tratturi” (il trattore), nome dato dal fatto che dove passava lui non cresceva più l’erba; il Provenzano delle stragi, della trattativa e il Provenzano che ha tenuto in scacco l’Italia per tantissimi anni. Questa particolare iniziativa nasce dall’idea di un tour operator di Boston che ha messo sotto contratto il figlio del boss e lo ha incluso come attrazione principale in un “pacchetto turistico”. Durante questo tour turistico gli accompagnatori forniscono una ricostruzione di Cosa Nostra, la palla passa poi ad Angelo Provenzano che racconta la storia della mafia, del padre, del peso di dover portare un cognome così ingombrante. Angelo Provenzano dice: “Vorrei una vita normale ma mi rendo conto che non c’è speranza”.



CORLEONE, MAFIA: DURO COLPO ALLA FAMIGLIA DI PALAZZO ADRIANO

Redazione

Corleone (PA) –  Carabinieri della Compagnia di Corleone hanno sviluppato una complessa ed articolata attività di indagine coordinata dalla DDA di Palermo e condotta sulla famiglia mafiosa di Palazzo Adriano, operativa nell’ambito del mandamento di Corleone, a seguito della quale nella mattinata odierna sono state arrestate alcune persone per associazione mafiosa.

L’indagine ha permesso di evidenziare l’esistenza di una vera e propria organizzazione criminale, dedita prevalentemente alla commissione di reati estorsivi con il tipico metodo mafioso, e di individuare con esattezza ruoli e funzioni dei suoi appartenenti.

Le indagini, sviluppate attraverso attività tecniche e servizi di osservazione e pedinamento, hanno  permesso di ricostruire l’intero assetto della famiglia mafiosa di Palazzo Adriano, nonché il suo completo inserimento all’interno del mandamento mafioso di Corleone.

L’associazione ha continuato a mantenere saldamente in mano il controllo del territorio attraverso la pressante azione estorsiva nei confronti di imprenditori ed il controllo dei pubblici appalti. Le attività investigative hanno consentito, quindi, di accertare la consumazione di più episodi di pagamento, contribuendo a delineare ulteriormente l’operatività della locale famiglia mafiosa. Tali pagamenti, nella maggior parte dei casi, hanno mantenuto la canonica percentuale del 3% dell’importo complessivo del lavoro da eseguire. In altri casi, gli associati, oltre a richiedere il pagamento della somma di denaro, hanno imposto agli imprenditori anche l’utilizzo di manodopera e l’acquisto di materie prime presso imprenditori da loro indicati.

Quanto ai metodi utilizzati, al fine di convincere le vittime alla cosiddetta “messa a posto”, la consorteria ha utilizzato il classico metodo intimidatorio della bottiglia incendiaria. Inoltre, per attirare l’attenzione degli imprenditori, gli affiliati hanno proceduto anche ad effettuare furti e danneggiamenti all’interno dei cantieri proprio nell’immediatezza dell’inizio dei lavori.

 

In merito alla “cassa” le indagini sul sodalizio criminale di tipo mafioso operante tra Palazzo Adriano e Corleone hanno permesso di appurare anche che quella famiglia raccoglieva i proventi delle estorsioni all’interno appunto della cassa comune, gestita direttamente dal capo famiglia e utilizzata per finanziare le diverse azioni criminali nonché le piccole spese di tutti i sodali.




PALERMO: FALSI INCIDENTI STRADALI, 23 PERSONE INDAGATE

Redazione

Partinico / Corleone (PA) – Gli agenti dei commissariati di Partinico e di Corleone e della Squadra mobile di Palermo, questa mattina, con l'operazione "Phantom Crash", incidente fantasma, hanno eseguito 23 misure cautelari nei confronti degli appartenenti ad una associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe ai danni di compagnie assicurative di Palermo.

Tra le persone coinvolte, con compiti distinti, una serie di professionisti tra avvocati, periti assicurativi ed impiegati postali.

Decine sono state le truffe scoperte dalla polizia, con un danno per le compagnie di assicurazione di centinaia di migliaia di euro.

L'indagine, non a caso denominata "Phantom Crash", iniziata circa due anni fa, ha permesso di scoprire la composizione del gruppo malavitoso formato da 23 persone.

Al vertice risaltava, per la sua abilità di gestione e coordinamento , un pregiudicato partinicese di 54 anni che, si serviva della collaborazione di più persone di fiducia, familiari compresi, nelle fasi organizzative della simulazioni dei sinistri.

Le investigazioni, condotte anche con intercettazioni telefoniche e riprese video, hanno permesso di registrare i meccanismi dei raggiri messi a segno in modo sistematico dall'organizzazione.

Per compiere la truffa è stato sfruttato un vasto appezzamento di terreno a Partinico, nella disponibilità della "mente" della banda. L'area veniva utilizzata come pista di collisione dove provocare gli incidenti; questi poi venivano denunciati come reali con sostanziosi risarcimenti.

Nel terreno, risultato ben protetto da occhi indiscreti grazie ad un'alta recinzione perimetrale disseminata da telecamere a circuito chiuso ed allarmi sonori, c'era anche un deposito di parti di carrozzerie già danneggiate; portiere, cofani, paraurti ed altro materiale venivano adoperati di volta in volta a seconda del tipo di auto e di incidente da simulare.

Nelle corso delle riprese aeree gli investigatori del Commissariato di Partinico hanno filmato alcuni dei momenti in cui si provavano le manovre di collisione ripetute anche più volte, fino a raggiungere un elevato grado di danno al mezzo.

In quelle circostanze si impiegavano delle carcasse di autovetture contro le quali, dopo una breve rincorsa, venivano lanciate, con autista a bordo, le auto, il più delle volte noleggiate presso agenzie.

Per gli incidenti fantasma i criminali utilizzavanoanche carcasse di auto già danneggiate o prossime alla demolizione; altre volte i mezzi coinvolti risultavano essere gli stessi con targhe sostituite.

I poliziotti hanno riscontrato in altre occasioni che le targhe dei mezzi coinvolti nei falsi incidenti stradali venivano pure alterate, in modo da indurre le compagnie assicuratrici in errore sullo stato della pratica risarcitoria.

Infatti, nella redazione delle denunce dei sinistri, i denuncianti formulavano intenzionalmente la variazione di un numero o di una lettera nel tentativo, spesso riuscito, di eludere i controlli.

Dopo la fase della realizzazione dell'incidente entravano in azione i periti e i liquidatori che avevano il fondamentale ruolo "evolutivo" nella gestione delle pratiche peritali, agendo con dolo nell'esecuzione delle false perizie.

Gli avvocati, poi intervenivano nelle fasi risarcitorie istruendo le pratiche; alcuni impiegati delle Poste Italiane, invece, facilitavano l'incasso di assegni intestati a terze persone che, risultavano essere stati falsamente coinvolti nei vari sinistri.

Amici e parenti, invece figuravano nei CID, i moduli di contestazione amichevole di incidente, come parti coinvolte in incidenti in realtà inesistenti.