LA NASCITA E L’EVOLUZIONE DELLA CORRUZIONE IN ITALIA – 2 PUNTATA "PROTEZIONISMO E CORRUZIONE”

Una tariffa protettiva, che reintroduceva la tassa sulla fame come ai tempi dell'imposta sul macinato e che danneggiava inoltre il settore della produzione meridionale del vino e dell'ortofrutta, già in crisi dalla rottura dei rapporti commerciali con la Francia dai tempi del Congresso di Berlino e della politica filotedesca di Crispi.

 

di Angelo Parca  [ Già pubblicato sull'edizione de L'osservatore d'Italia sfogliabile di lunedì 26 maggio 2014 – per consultare www.osservatoreitalia.com ]

Il protezionismo, che si voglia ammettere o meno ha seminato degli errori nel passato e sorprende che proprio la sinistra che lo ha introdotto per ragioni comprensibilissime, oggi è come se in un certo senso rinnegasse queste radici in favore di una volontà europeista piuttosto convinta nonostante sia volutamente direzionata a voler dettare legge a Bruxelles. Ma quest’ultimo intento finora non è stato conseguito da nessuno. Il protezionismo politico veniva a ledere gli interessi dei piccoli coltivatori del sud mentre favoriva il settore tessile e siderurgico del nord. Quest’ultimo già protetto con commesse statali, assorbiva una parte rilevante di risorse finanziarie che non investì nelle migliorie produttive necessarie a competere con le industrie straniere, adattandosi a produrre a costi elevati e non concorrenziali.

La Destra storica mantenne la tradizionale alleanza con la Francia ma quando subentrò la Sinistra con Depretis fu abbandonata l'alleanza con la Francia, a causa della conquista da parte dello Stato d'oltralpe della Tunisia. L'Italia entrò quindi nella Triplice alleanza, alleandosi con la Germania e l'Impero austro-ungarico. I governi italiani della Sinistra furono fortemente condizionati da gruppi industriali del Nord, e su spinta di quest’ultimi (ripeto su spinta di quest’ultimi), approvarono nel 1878 l'introduzione di tariffe doganali a protezione delle industrie tessili e siderurgiche; furono inoltre concessi sussidi ai settori in difficoltà e sviluppate le infrastrutture. Nel 1887, per fronteggiare la grande depressione, si diede vita a quel "blocco agrario-industriale", come lo chiama Antonio Gramsci, tra la classe liberale e progressista del Nord con gli agrari e i latifondisti reazionari del Meridione, estendendo la tariffa protettiva sulla cerealicoltura che risentiva delle esportazioni dagli Stati Uniti d'America di grano, che, per la riduzione dei noli dei trasporti, arrivava sul mercato italiano a prezzi inferiori.

Un dazio che danneggiava evidentemente gli industriali settentrionali che dovevano commisurare il salario degli operai sul prezzo del pane che aumentava artificiosamente e che pure accettarono di buon grado il danno economico, compensato, secondo la storiografia marxista, da un'alleanza con gli agrari che avrebbe tenuto lontani tentativi di riscatto sociale delle masse subalterne. Una tariffa protettiva, che reintroduceva la tassa sulla fame come ai tempi dell'imposta sul macinato e che danneggiava inoltre il settore della produzione meridionale del vino e dell'ortofrutta, già in crisi dalla rottura dei rapporti commerciali con la Francia dai tempi del Congresso di Berlino e della politica filotedesca di Crispi. In politica economica Crispi adottò una politica di protezionismo commerciale diretta a difendere i prodotti nazionali contro la concorrenza straniera. La "guerra delle tariffe" che contrappose Francia e Italia tra il 1888 e il 1892, in seguito all’adozione italiana di tariffe protezionistiche da parte dei governi della Sinistra storica, avevano avuto due autorevoli e convinti sostenitori in Agostino Depretis e Francesco Crispi, ispirati dalle riflessioni di Luigi Luzzati in materia di commercio estero, ma soprattutto pressati dai gruppi agrari e industriali del Nord e dai latifondisti meridionali. Pensiamo soltanto a cosa successe oltreoceano dove una delle cause della guerra di secessione negli Stati Uniti fu proprio la contrapposizione tra le industrie nascenti del Nord, che volevano protezione doganale contro le importazioni industriali, e i piantatori del Sud, che temevano le ritorsioni estere contro le loro esportazioni ed erano quindi a favore del libero scambio.

Tuttavia l’applicazione del dazio sui cereali importati risultò efficace per bloccare l’importazione del grano americano ma l’agricoltura meridionale, il cui aratro a chiodo non sapeva spremere dalla terra che grano, pur sopravvivendo grazie ad esso, subì un declino della produzione cerealicola e l’aumento della disoccupazione in quanto i latifondisti, volendo ridurre l’ammontare dei salari, adibirono a pascolo il terreno agricolo, con beneficio dell’industria casearia locale. Le conseguenze si possono presto desumere: C’è un Paese in balia del brigantaggio e in forte impoverimento con il favoritismo e la corruzione che nel pubblico hanno sempre un più palese spazio. C’è un Paese che chiude le proprie frontiere al volume di reddito e al dinamismo che potrebbero scaturire in seguito all'affacciarsi sul mercato internazionale, della possibilità che le industrie protette non siano stimolate a crescere e, dunque, sia loro impossibilitato di raggiungere quell’ideale stadio della produzione che giustificherebbe la fine delle misure di natura protezionistica, la flessione del volume delle esportazioni, determinata nel lungo periodo proprio dalla riduzione delle importazioni, con conseguente calo dell’oc
cupazione.

Questa grande reazione può vanificare, quanto a dimensione, quell'incremento di occupazione che si può manifestare nei comparti produttivi soggetti a protezione. Col risultato che la massimizzazione del reddito nazionale che si crede di perseguire con scelte avverse al libero scambio risulta inefficacemente perseguita nella misura in cui le illusorie compensazioni conseguite in questo o quel settore particolare sono vanificate dalle più ampie e pregiudizievoli conseguenze che si registrano nell'economia nel suo complesso. La guerra ad oltranza che, per quasi un decennio, il nuovo Stato combatté contro il brigantaggio con l’impiego di un esercito smisurato ed atrocità che coinvolsero indiscriminatamente comunità inermi, marcarono una profonda rottura tra le popolazioni meridionali ed il nuovo Stato, verso cui si manifestò una avversione maggiore di quella contro il precedente regime borbonico al punto che, secondo cronisti del tempo, se un paese straniero avesse tentato di sottrarre la Sicilia all’Italia, avrebbe ricevuto il medesimo entusiastico appoggio di cui godette Garibaldi nell’impresa dei Mille. Tutto, senza che i nuovi amministratori tentassero di arrestare la diffusa corruzione e di modificare i privilegi imperanti di cui godevano le poche famiglie vicine ai palazzi del potere, in grado di ripartire in ambito familiare le cariche gestionali con cui si poteva influenzare la somministrazione della giustizia ed usurpare impunemente le terre demaniali, facendo rinascere un nuovo feudalesimo.

Benedetto Cairoli che si alternò a Depretis nella guida del governo tentò di abolire la tassa sul macinato ma, per l’opposizione dei deputati meridionali portatori degli interessi dei latifondisti del Sud, decisi a caricare il peso fiscale sui contadini, riuscì solo a ridurla (1879), rimandandone l’abolizione all’83. A questo non seguì però una generale riforma fiscale che ridistribuisse il carico impositivo. Questo, continuando a gravare sulle classi meno abbienti, le spinse alla reazione che, nel Nord portò alla costituzione delle prime leghe operaie ed alla proclamazione dei primi scioperi (1884-85), che, benché repressi dal governo, ebbero il merito di diffondere la protesta e favorire, rispettivamente in Piemonte, Lombardia, Liguria ed in Valpadana, aggregazioni operaie e contadine che contribuiranno alla costituzione del partito socialista (1892). In quel periodo però la Sinistra storica ebbe due grossi meriti che controbilanciarono una sana nascita di malcontento: l’introduzione (legge Coppino del 1877) dell’obbligo scolastico nel primo ciclo delle elementari e l’allargamento della base degli aventi diritto al voto a 18 anni. Nella prossima puntata si parla di mafia.

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LA NASCITA E L’EVOLUZIONE DELLA CORRUZIONE IN ITALIA – 1 PUNTATA

 

di Angelo Parca  [ Già pubblicato sull'edizione de L'osservatore d'Italia sfogliabile di domenica 18 maggio 2014 – per consultare www.osservatoreitalia.com ]

Le tasse, la discriminazione tra ricchi e poveri e la caccia al prelievo di risorse dalla massa meno abbiente ha prodotto l’alternarsi al potere nella storia della politica italiana della destra e della sinistra senza che si fosse mai raggiunto l’optimum. Intendo dire che la corruzione c’è sempre stata fin dall’’800 e sicuramente non possiamo affermare che abbia un colore politico. Nel passato storico politico si sono fatti molti errori, anche grossolani se vogliamo, ma all’epoca la Destra e la Sinistra storiche credevano in dei progetti e si può addirittura stilare un elenco di riforme positive per il Paese che sono state portate a termine dai due partiti politici con la maiuscola. I ministeri della Destra storica (1847 con Massimo D’Azeglio) dal primo governo Cavour (1852) al governo di Marco Minghetti del 1876 conseguirono importanti risultati, primo fra tutti l'unità d'Italia, compiuta nel 1861 e portata a termine nel 1870 con la breccia di Porta Pia e la presa di Roma. Nell’ambito dell’istruzione la legge Casati è un prodotto di Destra: riformò in modo organico l'intero ordinamento scolastico, dall'amministrazione all'articolazione per ordini e gradi ed alle materie di insegnamento, confermando la volontà dello Stato di farsi carico del diritto-dovere di intervenire in materia scolastica a fianco e in sostituzione della Chiesa cattolica che da secoli deteneva il monopolio dell'istruzione.

La sete di fare di più e di primeggiare rispetto agli altri Paesi d’Europa ha portato la Destra a passare sopra le esigenze primarie della povera gente. L’apice fu raggiunto, quando alla guida c’era l’anello debole Minghetti, quando fu introdotta la tassa sul macinato. Insomma si è tirata troppo la corda chiedendo ai poveri sacrifici che non erano in grado di sostenere.

Questo malcontento fu espressione della forte voce di opposizione della sinistra. Per risanare il bilancio la Destra impose anche un pesante fiscalismo, al fine di finanziare le opere pubbliche di cui il Paese aveva bisogno per competere con le altre potenze europee. Il 16 marzo 1876, il Presidente del Consiglio, Marco Minghetti, annunciò il pareggio di bilancio. La ricchezza nazionale aumentò in due scaglioni tra il 1860 e il 1880.

Nella prima fase aumentò tramite le imposte dirette, che riguardavano i redditi di origine agraria, nella seconda fase invece con le imposte indirette, colpendo maggiormente i ceti meno abbienti. Nel 1868 venne introdotta la tassa sul macinato (per la precisione, sulla macinazione dei cereali) scatenando così proteste popolari con assalti ai mulini, distruzione dei contatori, invasioni di municipi. Al termine di questa rivolta contadina si contarono molti arrestati, feriti e morti.

Per non parlare poi, del’introduzione del servizio militare obbligatorio. Quando venne al potere la sinistra storica però, chi confidava in un cambiamento radicale rimase deluso. Il Parlamento destituì la Destra e il Re Vittorio Emanuele II affidò il governo a Depretis fu presidente del consiglio dal 1876 al 1887 con due brevi interruzioni.
Il cambiamento che l'avvento della Sinistra al potere faceva prevedere all'interno della politica dello Stato italiano in realtà non avvenne.

Depretis introdusse una nuova pratica parlamentare detta del “trasformismo” con la quale al governo partecipavano di volta in volta anche esponenti di altri partiti politici, insomma la primordiale copia delle larghe intese moderne. In tal modo caddero le rigide barriere che fino ad allora avevano contrapposto la Destra storica e la Sinistra, e si venne a creare un sistema politico aperto alla partecipazione di tutte le componenti della classe dirigente italiana, anche della piccola e media borghesia.

Ma il fenomeno della corruzione già aveva messo radici e Depretis, non estremista come invece furino Agostino Bertani e Felice Cavallotti, introdusse le pratiche del favoritismo e della concessione di poteri locali a vari singoli destinatari che così vennero convinti (a volte con la corruzione) ad entrare nella maggioranza. Attraverso questa pratica si portò a compimento la coalizione tra la borghesia dell'Italia settentrionale e la borghesia agraria del Meridione.

Sostanzialmente con il passaggio da Destra a Sinistra non ci fu quel mutamento sostanziale che i cittadini si aspettavano.

Un fotofinish simile ai giorni d’oggi che vede il popolo stanco perché non vi è alcuna volontà profonda di cambiamento radicale che elimini quella malevola e grassa parola che è “corruzione” e che continua ad essere alla ribalta delle cronache dalla nascita della storia politica italiana ad oggi. Una storia che vogliamo ripercorrere per analizzarne le falle, gli interventi positivi e le ricascate sistematiche che portano personaggi come Grillo in auge e piazze piene di strilla e urla di gente esausta di mantenere dei parassiti al potere.

Tornando a Depretis, con la cui figura chiudiamo questa prima riflessione storica, criticabile fu anche la nuova legge elettorale del 1882 che portava a due milioni gli elettori. Restando esclusi i nullatenenti e gli analfabeti. Dunque una riforma che mantenne l'emarginazione delle masse meridionali che continuarono ad essere escluse dai diritti politici. La seconda legge di rilievo fu la legge Coppino del 1877 che rendeva obbligatoria e gratuita l'istruzione per altri due anni rispetto alla precedente legge Casati che ne prevedeva solo due. Tale legge restò però inoperante, specie nelle regioni più povere. Nel 1879 il governo abolì l'odiata tassa sul macinato che era stata, come sappiamo, motivo di malumore e di rivolta per le popolazioni meridionali; ma, non essendo mutato il sistema di prelievo fiscale dello Stato, l'abolizione di questa tassa non alleggerì le condizioni di vita dei poveri.

Durante la gestione politica di Depretis la politica economica dello Stato subì una svolta; cominciò infatti l'intervento a difesa delle industrie nazionali con l'applicazione di tariffe e dogane sulle merci straniere e con le sovvenzioni statali ad alcune industrie nazionali. La Sinistra storica prese provvedimenti anche in campo amministrativo, dove provvide ad un decentramento dei poteri e in campo sociale, con l'introduzione di prime misure a difesa dei lavoratori. Furono inoltre avviate numerose inchieste per esaminare le condizioni di vita della popolazione rurale: la più nota è senz'altro l'inchiesta Jacini, che rivelò una diffusa malnutrizione (pellagra), alta mortalità infantile (per difterite), grande povertà e scarse condizioni igieniche. Diffuso era il fenomeno dell'emigrazione.

In seguito vedremo però gli errori del “protezionismo”.