MORTE MARCELLO LONZI: IL CALVARIO DELLA MAMMA PER SCOPRIRE LA VERITA'

 

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di Christian Montagna
Non si da pace Maria Ciuffi che lotta da oltre undici anni per sapere la verità su quanto accadde al figlio Marcello Lonzi all'interno del penitenziario delle Sughere a Livorno l' 11 Luglio 2003. Una morte dichiarata naturale ma che di naturale ha ben poco ha rischiato di essere archiviata come tale nonostante le numerose prove e testimonianze che attestino il contrario.

Intervistata telefonicamente dal nostro quotidiano, Maria ha voluto raccontare per filo e per segno gli attimi concitati di quei maledetti giorni che le videro portar via ingiustamente il figlio. Siamo di fronte indubbiamente ad un caso Cucchi-bis del quale non si vuole giungere alla verità. Dopo archiviazioni inaspettate e tentativi di depistaggi, il prossimo 13 Marzo si terrà a Livorno l'udienza al termine della quale si procederà o all'archiviazione per la terza volta del caso o al rinvio a giudizio dei due medici del carcere Enrico Martellini e Orlando Gaspare e del primo medico legale che eseguì l'autopsia sul corpo di Marcello, Alessandro Bassi Luciani. Maria Ciuffi che lotta pubblicamente con forza da undici anni ha raccontato la verità sui meccanismi e gli indizi che portano a dubitare sull'operato delle guardie anche nei giorni precedenti la morte di Lonzi.

Era l' 11 Luglio 2003 quando l'allora ventottenne Marcello Lonzi fu trovato senza vita nel carcere delle Sughere di Livorno. Entratovi il 3 Marzo dello stesso anno, stava scontando una pena di nove mesi per tentato furto. Proprio la sera in cui fu arrestato, Maria che dell'accaduto non ne sapeva ancora nulla, tramite le testimonianze dell'ex compagna di Marcello accorsa sul luogo dopo aver udito le urla del compagno, è riuscita a ricostruire la dinamica degli eventi. Lonzi la sera del 3 Marzo dunque viene arrestato perché colto su un'impalcatura con una birra tra le mani a ridere e intento a compiere un furto in compagnia di un complice del quale però non si sa più nulla. Il processo per direttissima a Livorno condanna soltanto Lonzi a nove mesi di reclusione. Per essere il più attinente possibile alla verità dei fatti, Maria, che da sempre ha ritenuto giusto che il figlio pagasse per quanto accaduto in merito al reato commesso, ci racconta un altro precedente con la giustizia risalente al 2000 quando, Marcello trascorse un mese di arresti domiciliari a casa della stessa mamma per furto di auto condannato insieme a Gabriele Ghelardini ed una ragazza. Portato al carcere don Bosco, dopo due giorni di reclusione viene affidato alla mamma grazie alla concessione degli arresti domiciliari del pm Antonio di Bugno, lo stesso che ha condotto poi le altre indagini e chiesto l'archiviazione del caso. Tornando al 2003, in merito all'arresto che lo ha portato in carcere alle Sughere dal quale non è mai più uscito, sin dall'inizio appaiono dubbiosi alcuni elementi: i due fogli d'arresto compilati dai poliziotti che ammanettano Marcello, risultano essere contrastanti e la compagna agli atti deposita la sua testimonianza: dice di aver visto picchiare Lonzi e di essere riuscita a strappare di mano il manganello alle guardie. Portata anche la compagna di Marcello in questura, sarà in seguito arrestata, ma per altri motivi.

Nei mesi di reclusione che vanno dal 3 Marzo all' 11 Luglio, Maria non va a trovare Marcello in carcere per volontà di quest'ultimo che non vuole vederla piangere ma intrattiene uno scambio epistolare al termine del quale Marcello si convince ad incontrare la mamma. Caso vuole che Maria si rechi in carcere cinque giorni prima della morte di Marcello ma non le viene concesso di incontrare il figlio poiché, a detta delle guardie, impegnato in un colloquio interno con la sua compagna. Rivelazione che però non convince la signora Ciuffi che insospettita ipotizza un isolamento o una punizione. Dopo cinque giorni, arriva la triste notizia: Marcello viene trovato morto all'interno del carcere e il suo compagno di cella dichiara agli atti di non aver visto ne sentito nulla.

Primo elemento anomalo in questa storia è la comunicazione alla stessa Maria del decesso avvenuta il giorno seguente ma non per mano delle guardie carcerarie. "Ero appena tornata da lavoro quando alle 13.20, la zia di Marcello, sorella del papà, arriva a casa mia per dirmi della morte di Marcello" dice Maria al telefono e ancora " In tempi rapidissimi mi sono recata al carcere per vederlo ma nessuno mi ha fatta entrare. Dopo un'ora di attesa sotto il sole, un ispettore mi fa entrare chiedendomi il motivo di quella visita. Poi mi dice che mio figlio si trovava già al cimitero e stavano eseguendo su di lui l'autopsia". E' proprio su quelle ore che ora si sta cercando di indagare per scoprire la verità ma atroci dubbi sorgono spontanei: Come mai hanno svolto l'autopsia senza avvertire la mamma? Perché medico legale e scientifica sono stati chiamati di notte? Anche sull'ora esatta del decesso e sulla posizione della salma vi sono numerose incongruenze: secondo il referto del 118, i medici del carcere e il medico legale Alessandro Bassi Luciani che eseguì l'autopsia, la chiamata di soccorso sarebbe giunta alle 20,14 dell' 11 Luglio ma secondo Bellocco, medico legale chiamato dalla signora Ciuffi, e un medico del 118 il decesso sarebbe avvenuto prima delle 17 quando ancora splendeva il sole. Inoltre, per errore, un'ex detenuta dello stesso carcere, viene avvisata della morte del suo compagno nelle prime ore del pomeriggio. Si scoprirà soltanto in seguito che quella detenuta non era la compagna di Lonzi. L' ipotesi accreditata per questa morte è quella di infarto o di morte naturale.

Maria il 12 Luglio 2003 si reca al Cimitero dei Lupi ma non riesce a vedere il figlio che vedrà soltanto il giorno dopo nella bara.
Da subito, Maria dice di aver notato sul volto di Marcello degli evidenti segni che tutto lasciano pensare fuorché ad una morte naturale. Il polso sinistro dello stesso appare chiuso e dalla camicia bianca si intravedono macchie di sangue. Ed è proprio da lì che ha inizio il calvario di Maria, con quei dubbi che con il tempo si sono trasformati in certezze atroci che non la lasciano più serena.