Attentato in Iraq: 5 militari italiani feriti

Attentato esplosivo contro militari italiani in Iraq: cinque i feriti, di cui tre in gravi condizioni. Lo apprende l’ANSA da fonti della Difesa. L’attentato, riferisce lo Stato maggiore della Difesa, è avvenuto in mattina quando un Ied, un ordigno esplosivo rudimentale, è detonato al passaggio di un team misto di Forze speciali italiane in Iraq.

Il team stava svolgendo attività di addestramento (“mentoring and training”) in favore delle forze di sicurezza irachene impegnate nella lotta all’Isis. L’attentato è avvenuto intorno alle 11 locali, nella zona di Suleymania, nel Kurdistan iracheno. Ad essere coinvolti sono stati i commandos della task force presente in quell’area, che stava svolgendo un’attività di supporto ad una unità di forze speciali dei Peshmerga. I cinque feriti, sempre secondo quanto è stato possibile apprendere, sono tre incursori della Marina (appartenenti al Goi, il Gruppo operativo incursori) e due dell’Esercito (9/o Col Moschin).

I cinque militari coinvolti dall’esplosione sono stati subito soccorsi, evacuati con elicotteri USA facenti parte della coalizione e trasportati in un ospedale “Role 3” dove stanno ricevendo le cure del caso.

Tre dei cinque militari sono in condizioni gravi, ma non sarebbero in pericolo di vita. I tre militari sono tutti in prognosi riservata ed attualmente ricoverati in un ospedale militare a Baghdad. Dei tre il più grave ha riportato un’emorragia interna; un altro ha perso alcune dita di un piede e il terzo ha gravissime lesioni a entrambe le gambe, che sono state parzialmente amputate. Gli altri due militari coinvolti nell’esplosione, invece, hanno riportato solo micro fratture e lesioni minori.

Attentato con finalità di terrorismo e lesioni gravissime, reati per i quali procede la Procura di Roma che ha aperto un fascicolo di indagine in relazione al ferimento di 5 soldati italiani avvenuto oggi in Iraq. Le indagini sono state affidate dal pm Sergio Colaiocco ai carabinieri del Ros.

Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini sta seguendo “con attenzione e apprensione” gli sviluppi dell’attentato avvenuto in Iraq. Il ministro, subito messo al corrente della situazione dal capo di Stato maggiore della Difesa, ha immediatamente informato il Presidente della Repubblica Mattarella e il Presidente del Consiglio Conte. Anche il premier sta seguendo la vicenda.

“Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, appresa la notizia del gravissimo attentato contro il contingente militare italiano in Iraq, ha fatto pervenire al Ministro della Difesa, on. Lorenzo Guerini, e al capo di Stato Maggiore della Difesa, Gen. Enzo Vecciarelli, un messaggio di solidarietà per i militari rimasti feriti”.

“Sto seguendo con dolore e apprensione quel che è accaduto in Iraq ai nostri militari, coinvolti in un attentato. I nostri ragazzi erano impiegati in attività di formazione delle forze di sicurezza irachene impegnate nella lotta all’Isis. In questi casi il primo pensiero va ai soldati colpiti, alle loro famiglie e a tutti i nostri uomini e donne in uniforme che ogni giorno rischiano la vita per garantire la nostra sicurezza. Seguiamo con attenzione ogni sviluppo”. Lo scrive su Facebook il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.




Iraq, terremoto magnitudo 7.2 al confine con l’Iran: almeno 339 morti e 2.530 feriti

IRAQ – Sale a 339 morti e oltre 2.530 feriti il bilancio provvisorio del terremoto che ha colpito l’Iran occidentale. Nel Kurdistan iracheno, dove è stato registrato l’epicentro del sisma 7.2, il bilancio resta fermo a 7 morti e 321 feriti.

La cittadina più colpita è quella di Sarpol-e Zahab. Nella provincia iraniana di Kermanshah sono stati indetti tre giorni di lutto. Le autorità hanno disposto la chiusura di scuole e università nella provincia di Kermanshah, dove invece sono chiamati a presentarsi al lavoro tutti i dipendenti governativi.

“L’obiettivo dei responsabili ora è quello di accelerare gli aiuti e di soccorrere le persone rimaste intrappolate sotto le macerie”. Così la Guida suprema iraniana Seyyed Ali Khamenei, citato dall’Irna, in un messaggio al Paese. L’ayatollah ha chiesto a Esercito e Pasdaran di intervenire nelle aree colpite dal sisma. Il ministro dell’Interno, Abdolreza Rahmani Fazli, ha riferito che sono stati allestiti ospedali da campo e di temere per le aree rurali “dove si prevedono altre vittime”.




Allarme terrorismo, foreign fighter partito da Milano e latitante in Iraq

Redazione

Resta alta l'emergenza terrorismo. Un uomo, di origine marocchina, è stato individuato in Iraq dalla Procura di Milano e indagato per terrorismo internazionale per legami con l'Isis. Ora Ahmed Taskour – partito nel dicembre del 2014 per andare nel Paese mediorientale anche con la moglie marocchina e l'altra figlia di 15 anni – è latitante in Iraq e dovrà essere eseguita la misura cautelare a suo carico attraverso la procedura di estradizione. L'uomo è sospettato di essere un foreign fighter, un 'soldato' del sedicente Stato islamico, e risultava latitante per la giustizia italiana.

L'uomo è stato identificato a seguito delle indagini coordinate dal dipartimento antiterrorismo della Procura milanese (fino a poco settimane fa guidato da Maurizio Romanelli e ora da Alberto Nobili) e dal pm Enrico Pavone. A carico dell'uomo pendeva un'ordinanza di custodia cautelare in carcere per terrorismo internazionale. Tutta la famiglia, prima di partire per l'Iraq, risiedeva a Bresso, nel Milanese.

In un video del novembre del 2015, dopo gli attentati di Parigi, si vede il figlio di 10 anni minacciare di morte l'Occidente assieme al padre. Il filmato sarebbe stato girato in Iraq e nel video anche il figlio "inneggia al jihad" e augura "la morte all'Occidente e agli occidentali". Nel filmato, con tanto di logo e bandiere del sedicente Stato islamico, l'uomo e il figlio, nato nel 2005 in Italia, usano una serie di espressioni, oramai sentite tante volte, per minacciare gli occidentali come "arriveremo fino alle vostre case"




Iraq, al via offensiva per liberare Mosul dall'Isis

Redazione

IRAQ – Iniziato l'attacco per liberare Mosul dall'Isis da parte dell'esercito e delle forze antiterrorismo irachene, insieme alla milizia alleata dei peshmerga curdi e alle milizie sciite. Lo ha annunciato alla tv di stato il primo ministro iracheno Haidar al Abadi. La tv di stato irachena ha mostrato un breve comunicato scritto, poco dopo la mezzanotte, che ha annunciato l'avvio dell'offensiva militare largamente preannunciata per cacciare l'Isis dalla seconda citta' dell'Iraq. Il blitz per riconquistare Mosul è la più grande operazione militare in Iraq da quando le truppe statunitensi si sono ritirate nel 2011 e, se coronata da successo, il piu' duro colpo inferto finora all'Isis. Le forze curde dei Peshmerga hanno strappato all'Isis il controllo di sette villaggi nelle prime quattro ore dell'offensiva per riconquistare Mosul, la 'capitale' irachena dello Stato islamico. Lo riferisce la televisione panaraba Al Jazira.

I ribelli siriani appoggiati dalla Turchia hanno riconquistato la località di Dabiq, città in mano ai jihadisti dello Stato Islamico dal 2014, quando contava 3.000 abitanti. Un villaggio della Siria relativamente piccolo, non lontano dalla frontiera turca e di limitata importanza strategica ma dall'altissimo valore simbolico perché qui, secondo una profezia dell'Islam sunnita, i musulmani del califfato avrebbero trionfato sui cristiani in un epico "scontro finale" prima dell'Apocalisse. Simbolica al punto che nel 2014 i jihadisti hanno intitolato la loro rivista di propaganda in linqua inglese proprio 'Dabiq'. Un comandante dell'opposizione siriana, Saif Abu Bakr, ha riferito che i combattenti dell'Isis hanno opposto una resistenza "minima" per difendere la loro iconica roccaforte, situata nel nord della Siria ad alcune decine di chilometri da Aleppo. Quest'ultima città è peraltro anche oggi devastata da bombardamenti e combattimenti dopo il fallimento, ieri sera, delle trattative di Losanna tra i rappresentanti dei Paesi coinvolti a vario titolo nel conflitto siriano, Stati Uniti e Russia in prima fila.

Le forze dei Peshmerga curdi partecipano all'operazione per circondare Mosul, e secondo Al Jazira sarebbero arrivati a 7 chilometri dalla città. ma non vi entreranno, lasciando il compito alle sole forze governative di Baghdad per non fomentare tensioni. Lo ha detto Kifah Mahmud Karim, consigliere per i media di Massud Barzani, presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno. Karim ha precisato il compito di entrare a Mosul, in mano all'Isis, è affidato alla 16ma divisione dell'esercito e alla polizia federale. Sul terreno inoltre sarebbero impegnate forze speciali americane. L'Onu è "estremamente preoccupato" per la sorte degli 1,5 milioni di civili a Mosul e teme che "migliaia di loro potrebbero ritrovarsi sotto l'assedio" delle truppe governative o diventare "scudi umani"
nelle mani dell'Isis. Lo afferma in un comunicato il sottosegretario per gli affari umanitari, Stephen O'Brien, facendo appello "a tutte le parti perché rispettino i loro obblighi di proteggere i civili in base alla legge umanitaria internazionale".




IRAQ: L’ISIS AVANZA VERSO LA BASE MILITARE “ AL HABBANIA”

di Ch. Mo.

Baghdad- Continua senza sosta l’avanzata dei miliziani dell’Isis. Dopo aver conquistato la cittadina di Ramadi, nella provincia di Anbar, i combattenti avanzano verso est minacciando una base dell’esercito iracheno. Secondo testimonianze, sarebbero vicini alla base militare di Al Habbania dove si trovano i miliziani sciiti inviati da Baghdad per reagire.

La base militare di Al Habbania, a 30 km dalla città di Ramadi potrebbe essere l’obiettivo da raggiungere a breve per poter poi respingere la controffensiva sciita inviata da Baghdad. Intanto, una coalizione guidata dagli Stati Uniti contro l’Isis ha condotto 19 raid aerei vicino Ramadi nelle ultime 72 ore. Si tenta in questo modo di aumentare il supporto alla città di Ramadi per poter meglio garantire ordine e sicurezza. Anche dall’Iraq giungono aiuti: un esercito infatti sarebbe stato inviato alla base militare di Al Habbania per poter arginare l’avanzata dell’Isis.

Da altre fonti invece giunge voce di una coalizione tra esercito iracheno e forze sciite per la riconquista di Ramadi che potrebbe avvenire a giorni. Aumenta in tutto ciò il numero di profughi in fuga da Ramadi.
 




IRAQ: L'ESERCITO SI RIPRENDE TIKRIT DALLE GRINFIE DELL'ISIS

di Maurizio Costa

Tikrit (Iraq) L'esercito iracheno ha strappato la città di Tikrit dalle mani dell'autoproclamato califfato islamico dell'Isis. La città era stata conquistata dai miliziani a giugno, con l'obiettivo di espandere i territori controllati dallo Stato Islamico.

A riferire la notizia è stato il primo ministro dell'Iraq, Haider al-Abadi, che, durante un intervento alla televisione 'Iraqiya TV', ha dichiarato che l'operazione è andata a buon fine.

La città che ha dato i natali a Saddam Hussein adesso è nelle mani dell'esercito iracheno, che, grazie ai bombardamenti dei giorni scorsi da parte dei caccia statunitensi, è riuscito a togliere le bandiere nere dell'Isis per sostituirle con quelle dell'Iraq.

L'esercito, però, avanza lentamente all'interno della città, poiché i miliziani, prima di abbandonare Tikrit, hanno piazzato delle trappole: molti palazzi potrebbero esplodere perché riempiti di bombe che si innescano attraverso delle luci al led. Anche i cadaveri che riempiono le strade della città potrebbero contenere dell'esplosivo.

"Il successo dell'operazione di Tikrit potrebbe essere ripetuto in altri settori – ha dichiarato al-Abadi -. I risultati ottenuti suono buoni. Le perdite per l'esercito iracheno sono state bassissime – ha proseguito il primo ministro – e abbiamo cercato di proteggere tutti i civili".

L'autoproclamato Stato Islamico aveva cominciato ad abbandonare Tikrit anche grazie ad alcuni camuffamenti: alcuni miliziani hanno cercato di abbandonare la città travestiti da donna. I jihadisti hanno usufruito proprio della sharia, che non permette la cattura delle donne in zone di guerra.

L'operazione di Tikrit fa capire come il sedicente califfato dell'Isis possa soccombere davanti all'avanzata congiunta degli aerei americani e dell'esercito iracheno. La strada è ancora lunga, ma la frammentazione delle truppe dell'Isis può portare a dei buoni risultati per le truppe alleate.




IRAQ: ISIS INNALZA BANDIERE DEL CALIFFATO SULLE CHIESE

di Maurizio Costa

Ninive (Iraq) – Dopo aver distrutto il museo e alcuni templi di Mossul, i jihadisti dell'Isis hanno cominciato anche a depredare chiese e ad abbattersi su statue e icone cristiane. Seguendo la legge di non poter rappresentare le divinità in nessuna maniera, i miliziani hanno gettato statue della Madonna, bassorilievi e crocifissi per sfregiare i luoghi sacri cristiani. In una chiesa di Ninive, i jihadisti sono saliti sul campanile della struttura e hanno levato la croce che dominava sulla sommità, sostituendola con una bandiera dell'autoproclamato califfato islamico.

Il gesto ha seguito la distruzione del museo di Mossul e dei templi iracheni. L'Isis non accetta nessun'altra religione o idolatria, ma soprattutto non contempla la possibilità di rappresentare le divinità, anche se appartenenti al passato.

Le foto delle razzie sono state pubblicate dal Middle East Media Research Institute (Memri), che monitora l'attività dell'Isis soprattutto su Twitter. Steven Stalinsky, direttore del Memri, ha affermato che “l'Isis non si cura affatto di quello che sta compiendo, segue la sua ideologia e se la prende con chiese e minoranze. La sua campagna contro la cristianità – prosegue Stalinsky – prosegue ormai da tanto tempo”.

Uomini vestiti da donna – Dopo aver perso la città di Tikrit, lo Stato islamico sta mano mano ritirandosi da quella zone nell'Iraq del nord. Per sfuggire all'esercito iracheno, alcuni uomini del califfato si sono travestiti da donna, per scappare ai severi controlli delle guardie di stato. Le donne, seconda la Sharia, la legge islamica, non possono combattere e quindi non possono essere catturate e fatte prigioniere.

Isis in Libia – Secondo il presidente del parlamento libico di Tobruk, riconosciuto dalle autorità mondiali, “l'Isis e al-Qaida possono passare in Italia ed è un grande pericolo visto che molti terroristi sono in Libia”. Aqila Saleh, intervistato dall'Ansa, auspica un intervento dell'Italia per sconfiggere l'Isis nel nord Africa: “Siamo vicini, ci separano solamente 300 chilometri di mare. L'immigrazione clandestina in Italia è motivo di inquietudine anche per il popolo libico. L'Italia e la Libia sono unite da storici rapporti di amicizia”.

“L'Italia – secondo Saleh – deve levare l'embargo imposto all'esportazione di armi in Libia, perché deve sostenere l'esercito libico nell'addestramento del suo esercito per assicurare una lotta duratura contro l'Isis”.

Intanto, continua la fuga dei profughi dalla Siria, paese vessato dall'autoproclamato califfato. Sarebbero centinaia di migliaia le famiglie che sfuggono dal loro paese d'origine vista la guerra civile, che vede Assad combattere contro delle fazioni locali, e la minaccia dell'Isis.




ALMENO 60 GIORNALISTI SONO STATI UCCISI NEL 2014 IN ZONE DI GUERRA

di Maurizio Costa

 

Sono almeno 60 i giornalisti morti in territori di guerra nel 2014. Il dato è stato fornito dal Comitato per la Protezione dei Giornalisti. Un quarto di loro sono corrispondenti internazionali, ma quelli che rischiano di più sono i freelance che lavorano localmente, meno protetti e meno rinomati.
 
Rispetto all'anno precedente, il numero dei giornalisti morti in zone di guerra è diminuito di 70 unità, ma le cifre degli ultimi tre anni sono le più alte dal 1992, anno in cui il comitato ha iniziato le sue attività.
 
Tra tutti i conflitti che hanno caratterizzato quest'anno, il più pericoloso per la categoria dei giornalisti è stato quello in Siria, che ha causato ben 17 morti tra freelance e corrispondenti di guerra. Dall'inizio dei combattimenti, i giornalisti uccisi sono addirittura 79. In Siria sono avvenute le due uccisioni da parte dell'Isis di James Foley e Steven Sotloff, freelance decapitati brutalmente davanti alle telecamere dell'autoproclamato califfato islamico.
 
Anche il conflitto in Ucraina tra separatisti filorussi e governo statale ha causato 5 vittime tra i giornalisti. Molti di loro sono stati uccisi per sbaglio, ma il confine tra volontà e casualità è molto sottile durante una guerra.
 
I cinquanta giorni di guerra tra Israele e Palestina nella Striscia di Gaza hanno provocato la morte di 4 corrispondenti e di tre operatori dei media internazionali. Anche conflitti meno famosi, avvenuti in Paraguay e in Myanmar, hanno causato la morte di alcuni freelance.
 
Gli addetti della stampa, in zone di guerra, sono sempre provvisti di casacche che contraddistinguono i giornalisti dai civili, ma questo sembra non bastare per salvare la vita di alcune persone che stanno solamente svolgendo il loro lavoro. Senza contare che anche l'ebola ha causato la morte di tre giornalisti in Guinea.



ISIS: QUANTO GUADAGNANO GLI USA PER COMBATTERE IL CALIFFATO?

di Maurizio Costa

Da mesi ormai, gli Stati Uniti bombardano l’Iraq e la Siria per cercare di affievolire e debellare la minaccia dell’Isis. Tutto questo schieramento di armi e uomini ha un costo e secondo il quotidiano inglese “The Independent” le industrie delle armi statunitensi stanno percependo guadagni incredibili.

I prezzi delle azioni delle aziende che producono missili, droni e aerei che vengono dirottati poi in Medio Oriente, sono alle stelle. Vediamo qualche esempio.

Le azioni di Lockheed Martin, un’azienda che produce missili da guerra, sono in ascesa del 9,3%, mentre altri due colossi come Raytheon e General Dynamics sono in crescita rispettivamente del 3,8 e del 4,3 per cento.

Non ci sono solamente dati borsistici, ma anche introiti monetari veri e propri. La Raytheon ha ricevuto 251 milioni di dollari per rifornire le navi statunitensi di missili Tomahawk, che costano un milione e mezzo l’uno.

Le cifre sono impressionanti e inaccettabili per questo periodo di crisi mondiale e gli Usa potrebbero tranquillamente dirottare questi soldi in Africa per cercare di sconfiggere il virus Ebola, che ha già ucciso più di 4.500 persone.




IRAQ: STATO ISLAMICO ACCUSATO DI PULIZIA ETNICA, NUOVE PROVE RACCOLTE

A.P.

Iraq – Amnesty International asserisce di avere nuove prove che i militanti dello stato islamico stanno portando avanti "una ondata di pulizia etnica" contro le minoranze nel nord dell'Iraq.

 Il gruppo per i diritti umani ha detto che la regione è stata trasformata in "campi di sterminio intrisi di sangue".

Del resto L'ONU ha annunciato che presto avrebbe mandato una squadra in Iraq per indagare "atti di disumanità su scala inimmaginabile". 

IS e ribelli sunniti alleati hanno sequestrato ampie fasce di Iraq e Siria.

Migliaia di persone sono state uccise, la maggior parte dei quali civili, e più di un milione sono stati costretti ad abbandonare le loro case negli ultimi mesi.

Amnesty dice che ha raccolto prove che diverse uccisioni di massa hanno avuto luogo nella regione settentrionale di Sinjar nel mese di agosto. Due in particolare hanno avuto luogo quando i combattenti hanno fatto irruzione nei villaggi e uccise centinaia di persone il 3 agosto e il 15 agosto.

 "Gruppi di uomini e ragazzi, compresi i bambini di entrambi i villaggi sono stati sequestrati da militanti e portati trascinati via", ha detto il gruppo sede nel Regno Unito.

"IS sta svolgendo crimini spregevoli e ha trasformato le zone rurali di Sinjar in veri e propri  campi di sterminio intrisi di sangue in nome di una campagna brutale volta a cancellare ogni traccia dei non-arabi e musulmani non sunniti."

Lunedi ', il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha deciso di inviare una missione di soccorso per indagare sui crimini presumibilmente svolti dall’ IS.

Il Vice Commissario per i diritti umani Flavia Pansieri avvertito che IS (precedentemente noto come Iside) ha preso di mira le comunità cristiane, yazidi, turkmeni, Shabak, Kaka'i, Sabei e sciiti "attraverso una persecuzione brutale".

Nel frattempo, le milizie sciite irachene e le forze curde hanno continuato la loro avanzata contro IS, prendendo possesso della roccaforte di Suleiman Beg il Lunedi.

In precedenza, le forze congiunte avevano rotto due mesi di assedio da parte di combattenti si trova nella città settentrionale di Amerli. 




IRAQ: COS’È L’ISIL E PERCHÉ SI RISCHIA UN NUOVO CONFLITTO

di Maurizio Costa

Baghdad – Dieci persone sono morte in un attentato a Baghdad, mentre altre 8 vittime si contano nel quartiere di Karrada, colpevoli solamente di frequentare una moschea sciita.

I mandanti di questi ed altri atroci delitti sono i nuovi adepti dello "Stato Islamico", un’istituzione non riconosciuta fondata dal califfo Abu Bakr al-Baghdadi, che ha proclamato l’indipendenza dall'Iraq a gennaio. L’obiettivo di questo “Stato nello Stato” è quello di estendere il proprio dominio non solo in Iraq ma anche in Siria, Giordania, Israele, Palestina, Libano, Kuwait e Cipro.

Facendo ricorso alla jihad, che significa il “massimo sforzo”, azione che può portare anche ad una guerra santa, il califfo e i suoi discepoli vogliono distruggere e uccidere chiunque si metta sul proprio cammino di conquista.

Il 25 luglio, l’Isis distrugge la Moschea di Giona a Mosul, perché frequentata anche da cristiani. L’unico modo di salvarsi per i perseguitati è quello di abbandonare la zona oppure pagare una tassa ai terroristi.

La situazione è diventata talmente grave che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha deciso di bombardare le zone calde nel nord dell’Iraq per cercare di disperdere l’Isis. Non si esclude un intervento terrestre.

Intanto le atrocità non si sono fermate. L’ isil ha segregato sui Monti del Sinjar oltre 40mila Yazidi, una minoranza che si trovava d’intralcio nell’avanzata dei jihadisti nel nord dell’Iraq. Più di 20mila tra uomini, donne e bambini sono riusciti a scappare, ma il resto è ancora sotto mira dell’Isis. I jihadisti hanno perpetrato un vero e proprio massacro: più di 500 Yazidi sono stati uccisi e sepolti, alcuni mentre erano ancora in vita. Un crimine contro l’umanità inaccettabile. Inoltre, quasi 300 donne sono state rapite per essere ridotte in schiave, agli ordini dell’Isis.

Intanto, continuano i raid degli Usa, che, insieme all’Ue, hanno intenzione di rifornire di armi i Curdi per cercare di arginare l’emergenza procurata dall’Isis.