Le pensioni, l’Inps e le galline di Auschwitz

Si dice che gallina vecchia faccia buon brodo. In effetti, a tutti capita, almeno una volta all’anno, di trovare sui banchi del macellaio, o del supermercato, la ‘gallina’, piuttosto che il solito pollo a busto o parti di esso. Alle galline ovaiole si tira il collo quando non sono più in grado di produrre, e questo ricorda tanto Auschwitz, un lager in cui la vita umana non aveva alcun valore.

Si lasciavano morire gli internati, senza alcun intervento, – era uno dei tanti campi di sterminio, forse il più noto – e soltanto i più robusti sono sopravvissuti. Ora, non sappiamo a quale categoria associare i nostri pensionati. Certamente, come la galline ovaiole, quando non sono più in grado di produrre, gli viene ‘tirato il collo’, sono messi in rottamazione: quella effettiva, non come quella dell’Equitalia – ennesima truffa, soltanto una maggior dilazione che consente allo Stato di recuperare somme per lo più inesigibili.

 

I pensionati, per definizione, cambiano status sociale, escono dal contesto umano corrente, per entrare in una categoria ad esaurimento. Prima di questo, ognuno di loro era un individuo, e aveva una ben precisa denominazione: operaio metalmeccanico, rappresentante, muratore, scalpellino, commerciante e così via. Non tocchiamo le categorie dei professionisti, i quali, pur essendo ‘pensionati’ a tutti gli effetti, continuano a lavorare: anche se pensionati, sono privilegiati sotto il profilo economico, perché pur attendendo la pensione, che verrà loro erogata a compimento del’età prevista, hanno di che andare avanti, continuando l’attività abituale.

 

Lasciamo da parte i politici, che furbescamente si sono sfilati da tutte le categorie. Ora, calcolando l’erogazione della pensione secondo l’età media degli Italiani, si commette un grande errore, in malafede. Si calcola, infatti, che una parte dei pensionandi lascerà questo mondo di lacrime anzitempo, procurando ell’Ente preposto, l’INPS, un vantaggio. Che magari andrà a coprire lo sforamento del contadino sardo che vive fino a più di cent’anni. Ma chi muore anzitempo subisce un’ingiustizia, e con lui i beneficiari della reversibilità.

 

Le pensioni, e questo il governo dovrebbe metterselo bene in testa, per prima cosa non sono un reddito, ma il frutto di un accantonamento calcolato negli anni di lavoro, e quindi non andrebbero tassate, almeno al di sotto di una cifra di sopravvivenza, che oggi possiamo calcolare in 1000/1200 euro. È ridicolo e vessatorio dare al 60% dei pensionati italiani meno di mille euro al mese, per poi applicarvi l’IRPEF, senza tener conto del fatto che denaro in più andrebbe ad alimentare i consumi. Mentre poi, demagogicamente, si pretende, con fallimenti come il Jobs Act, o con l’elemosina di 80 euro, di far ripartire l’economia e l’occupazione.

 

L’altra considerazione è l’affidabilità delle statistiche: non c’è maggiore ingiustizia di un dato statistico, per cui ognuno di noi in Italia ha un reddito attorno ai 3000 euro al mese, o se uno mangia un pollo intero, ne hanno mangiato mezzo per uno, lui e chi digiuna. Questo è palesemente falso. Che poi, sempre secondo i dati ISTAT – da prendere con le pinze – il popolo italico abbia tesaurizzato-risparmiato-accantonato cifre importanti negli ultimi anni, più che falso è criminale.

 

Oggi del 60% dei pensionati nessuno, o quasi riesce ad arrivare a fine mese, oltre al fatto che parecchi di loro devono ancora aiutare i figli disoccupati. Consideriamo anche che l’esercito dei poveri assoluti – italiani – ingrossa sempre di più le sue file. E che ci sono pensionati minimi che fanno parte a tutti gli effetti della schiera degli ‘Homeless’, i senza casa, non riuscendo a far nulla, neanche ad aver un tetto sulla testa o un pasto caldo, se non alla Caritas. Questo è inumano, indegno di uno stato civile e che si professa democratico. Allora, seguendo i numeri e elucubrazioni di alcuni ministri, oggi bisogna andare in pensione sempre più tardi, seguendo l’ipotetico aumento della vita media, e guardando solo i numeri. Oppure bisogna calcolare che alcuni lavori sono più usuranti di altri, e quindi la gallina smette prima di fare le uova.

 

Fuor di metafora, è inumano calcolare la capacità lavorativa o l’aspettativa di vita con il pallottoliere. Dovremmo, o meglio si dovrebbe, da parte dei preposti alla nostra vita terrena, considerare il popolo italiano come una grande famiglia, con un reddito e una contabilità. La partita doppia si insegna alle commerciali, non c’è bisogno di una laurea: persino il salumiere illetterato ne ha una, altrimenti chiuderebbe dopo una settimana, con tutto il rispetto per i salumieri, che oggi, a fronte dei grandi spazi commerciali, hanno grosse difficoltà. Quindi da una parte le entrate, e dall’altra le uscite. Se in famiglia il reddito è insufficiente, si va a vedere di correggere il tiro. E se nel complesso, invece, sarebbe sufficiente, si va a vedere dove sono le sperequazioni. Se il denaro dell’INPS non è sufficiente, non si va – non si deve andare – a tagliare le pensioni, o ad aumentare l’età in cui esse verranno erogate: sarebbe comportarsi come i tedeschi ad Auschwitz, lasciare la natura fare il suo corso, e far sopravvivere soltanto i più forti.

 

Tanti si sono suicidati, con moglie e figli, perché senza più prospettive; oppure coppie di anziani che non ce la facevano più ad andare avanti. Galline ovaiole che non producono più, ma che non si vogliono tenere in vita perché troppo onerose. Non si può giocare con la vita degli esseri umani guardando soltanto i numeri. Questo sì, è inumano. Se il denaro dell’INPS – e bisogna guardare fino in fondo – non è sufficiente per restituire ai lavoratori di qualsiasi genere i loro legittimi e sacrosanti accantonamenti, che esso hanno effettuato obbligatoriamente per trenta o quarant’anni, bisogna mettere da parte la statistiche, e piuttosto si deve – ed è un dovere cristiano, più che sociale ed istituzionale – andare a tagliare gli sprechi, le plusvalenze, le sperequazioni, le spese non conformi, tutto ciò che non riguarda la previdenza, prima di tutto, e trasferirlo ad altro bilancio: esempio, la Cassa Integrazione. Viene da pensare che se i versamenti INPS fossero fatti a vantaggio di una pensione privata, dopo quarant’anni darebbero ben altra cifra. Poi bisogna guardare molto attentamente quali sono i tetti di spesa: se in famiglia il denaro è poco, si devono tagliare alcuni consumi. Le pensioni d’oro sono ingiuste, anche se giustificate dai versamenti, e non si capisce perché i sacrifici al limite della fame li debbano fare i pensionati da meno di mille euro al mese e non chi ne prende quindici o venti volte di più.

 

Un altro fattore da tener presente è la cifra complessiva versata: ci sono alcune pensioni che vengono erogate nonostante i beneficiari abbiano versato circa il 30% del dovuto. Oltre ai vantaggi dei politici, dei quali non mette conto di parlare. Per concludere: non possiamo continuare a sacrificare quella categoria che è considerata ad esaurimento, gli ‘anziani’, i ‘pensionati’, e quando i servizi del Tiggì ce ne parlano ci mostrano sempre dei vecchietti al sole sulle panchine, che aspettano solo l’estrema unzione, oppure che giocano a scopa nel bar. Non è così. Questa visione di una falsa realtà, in pectore giustifica tutte le riduzioni e i tagli che al governo verrà in mente di fare, al fine di preservare i privilegi della Casta e di coloro che della Casta ricevono la luce e i riflessi: che diamo a fare soldi a persone improduttive, magari in preda all’Alzheimer o a demenza senile, che non hanno altra prospettiva che quella di calare un asso di bastoni o un sette di denari? Se avessimo persone di coscienza a gestire queste situazioni, le cose andrebbero ben diversamente.

 

In Ungheria l’economia è ripartita soltanto diminuendo la pressione fiscale e aumentando le pensioni. Ma finchè in Italia continueremo ad aumentare le tasse, anche quelle occulte, per poterci poi vantare, come fanno Padoan, Renzi e tutto il Piddì, di avere abbassato l’imposizione fiscale – altra menzogna quella del milione di posti di lavoro, che nessuno ha visto, se non l’ISTAT – guardando solo quello che si incasserebbe di meno, e non l’effetto che ne avrebbe l’economia, la gente continuerà a pagare meno tasse, a evadere di più e a non versare i contributi previdenziali; come, ad esempio, fanno i cari migranti che per rimanere in Italia aprono un’impresa: altro che pagarci le pensioni! Oltre a quelli che la pensione la ricevono, pur essendo ritornati in Nordafrica da decenni. Il denaro dato in più ai pensionati sarebbe speso in consumi, e questo sarebbe un grande vantaggio per l’economia di tutto il paese. Quanto all’evasione fiscale, sarebbe molto facile eliminarla quasi del tutto, o almeno delle sacche ben precise, se si rendessero detraibili tutte le spese di un certo genere, ma immediatamente e totalmente, e non a pezzi e bocconi, in percentuale, e solo oltre una certa cifra.

 

Se le spese fossero detraibili, a tutti farebbe comodo avere le fatture di ogni spesa: le tasse le pagherebbero i beneficiari di quelle somme, e lo Stato recupererebbe grandi quantità di evasione. Questa è una soluzione molto semplice, l’uovo di Colombo, sistema americano, più volte prospettata ma mai attuata, non si sa se per miopia o per quella mania di voler sempre guardare a ciò che si perderebbe e non a ciò che si metterebbe in moto, caratteristica peculiare dei nostri burocrati che puzzano di polvere. Ma finchè si dovranno pagare le tasse anche su ciò che si spende, e l’IVA sarà una spesa inutile e improduttiva, nessuno si farà fatturare i lavori o quel che sia, chiedendo, anzi, in una mutua complicità antistato, uno sconto, perché ‘in nero’, e in contanti.

 

Allora, basta con le galline a cui tirare il collo, basta con i lager virtuali in cui i pensionati sono costretti a vivere dopo una vita di lavoro e di sacrifici. Basta con le pensioni d’oro, a cui va messo un tetto: certamente 5.000 euro al mese sono più che sufficienti a vivere molto bene, senza rinunciare anche alle proprie costose abitudini: non certo i 350 euro di cui Poletti assicura che possono garantire una vita dignitosa. Chi lavora tutta la vita, e versa all’INPS una parte considerevole del proprio guadagno, si aspetterebbe di poter fare, in vecchiaia, almeno in parte, ciò che non ha potuto fare durante il periodo attivo. Non si aspetta certo di essere messo in una Auschwitz virtuale, ma sostanziale, in attesa che qualcuno gli tiri il collo perché non fa più le uova.

 

Roberto Ragone




LATINA: TARGA AL MUSEO DI AUSCHWITZ

Redazione

Latina – È stata apposta alla presenza del Sindaco Giovanni Di Giorgi presso il Museo di Auschwitz (Polonia) una targa per ringraziare il Comune di Latina per aver contribuito a rafforzare il sistema di sicurezza a tutela del museo sorto al posto dell’ex campo di concentramento di Auschwitz. Nel corso degli ultimi due anni una rappresentanza del Comune di Latina, guidata dal sindaco Giovanni Di Giorgi, ha sempre partecipato ad Auschwitz alle celebrazioni per la liberazione del Campo di concentramento, il 27 gennaio 1945, data che è stata poi simbolicamente adottata come “Giornata della memoria”.

Nel corso di una visita al museo, il sindaco di Latina ha raccolto l’appello del direttore del museo stesso per ricevere contributi da destinare al miglioramento del servizio di sicurezza e videosorveglianza del sito, più volte in balìa di ladri e vandali fino al clamoroso furto della famigerata e storica scritta presente all’ingresso dell’ex campo di sterminio.

Il Comune di Latina ha quindi inviato il proprio contributo economico per la realizzazione dell’impianto al Museo di Auschwitz, che, per ringraziare la città di Latina, ha apposto una targa all’ingresso del Museo che recita:

“La città di Latina in segno di amicizia e in nome della pace tra i popoli, dona il proprio contributo per la sicurezza e il mantenimento del Museo di Auschwitz, simbolo di memoria”.

Il Sindaco si è detto onorato di rappresentare Latina, la prima città al mondo che ha donato al Museo di Auschwitz una infrastruttura necessaria alla sua sicurezza e alla sua memoria, un sistema che permetterà al museo di continuare nella sua importante missione, quella di non far dimenticare le atrocità consumate al suo interno.

«Il contributo donato dal Comune di Latina – ha affermato il Sindaco Giovanni Di Giorgi – sarà a futura memoria deve essere il simbolo affinché l’attuale museo, sito del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, teatro di orrori e tragedie che mai più dovranno ripetersi, rimanga anche negli anni a venire, così come ci è stato mostrato. Un museo a cielo aperto che serve sia a ricordare che ad insegnare, soprattutto ai più giovani, la cultura dell'accoglienza ed il rispetto delle diversità. Sono sicuro che tutti coloro che nel mondo visiteranno il Museo e vedranno la targa dedicata al nostro Comune, apprezzeranno il nostro gesto di far rimanere il Museo un luogo indelebile nella memoria di ogni visitatore. Auspico inoltre che altre città del mondo seguano l’esempio della città di Latina».

La cerimonia che si è svolta nell’ambito del meeting internazionale organizzato dalla città di Oswiecim (città che ospita l’ex campo di concentramento) con le città gemellate di tutto il mondo ha visto la presenza oltre del Sindaco Di Giorgi anche dei consiglieri comunali di Latina Nicoletta Zuliani, Fausto Furlanetto e Cesare Bruni.