STOP ALLA FUGA DI CERVELLI: INCENTIVI PER CHI TORNA IN ITALIA

di Christian Montagna

Una bella notizia finalmente giunge da questa Italia devastata dalle controversie politiche e dalla disperazione sociale. I giovani sempre più spesso in fuga dal bel paese, da oggi, potrebbero essere incentivati a tornare viste le riduzioni approvate dal Parlamento. Secondo una nuova norma del decreto fiscale dell'internazionalizzazione delle imprese, infatti, il reddito prodotto in Italia da lavoratori "con qualifiche elevate" che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato italiano potrà beneficiare per 5 anni di una riduzione del reddito imponibile del 30%.


Saranno dunque incoraggiati i “cervelloni” che hanno portato le proprie menti ingegnose negli altri paesi: dopo che il Cdm avrà introdotto la norma accogliendo l’indicazione del Parlamento, potranno accedere all’incentivo tutti coloro che nei cinque anni precedenti non siano stati residenti in Italia, che svolgano una attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano e che rivestano una qualifica per la quale sia richiesta una alta specializzazione e il titolo di laurea.


L’obiettivo del decreto. Il decreto legislativo intende rafforzare il ruolo che il fisco svolge a sostegno delle imprese che decidono di operare all'estero: ridurre i vincoli alle operazioni e creare un quadro normativo semplificato e più accessibile agli investitori. Ma soprattutto, visti i momenti di precarietà che sta attraversando il nostro paese, un esodo di massa sarebbe assolutamente da scongiurare. Giunto al penultimo step , il decreto una volta tornato in Parlamento, dovrà acquisire i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per diventare a tutti gli effetti definitivo.




CONCORSI PUBBLICI: OLTRE AL VOTO DI LAUREA ANCHE L'ATENEO DI PROVENIENZA AVRA' UN "PESO"

di Angelo Barraco
 
L’emendamento al ddl di riforma della Pubblica amministrazione, che è stato approvato in commissione Affari costituzionali alla Camera ha sollevato i malumori di molti poiché secondo la norma, nei concorsi pubblici si terrà conto non soltanto del voto di laurea ma anche dell’ateneo di provenienza. La norma è stata definita classista, discriminatoria e anticostituzionale e colui che l’ha firmata, ovvero il deputato Marco Meloni (Pd), dopo l’ok apre un riesame della proposta e ha spiegato che il suo intento era quello di togliere il voto minimo. Spiegando che La sua originaria proposta emendativa prevedeva semplicemente l'abolizione del voto minimo di laurea quale filtro per la partecipazione ai concorsi pubblici. Successivamente, nell'ambito di una riformulazione dell' emendamento presentata dal relatore del provvedimento d'intesa col governo, si è introdotto un criterio di delega rivolto a parametrare il voto minimo di laurea a due parametri, da precisare comunque in sede di decretazione delegata: uno, forse eccessivamente ampio e tale da definire una differenziazione tra atenei, relativo a 'fattori inerenti all'istituzione', e un altro, certamente più chiaro e condivisibile, relativo al voto medio di laurea di 'classi omogenee di studenti. 
 
Alberto Campailla, Portavoce Nazionale di Link Coordinamento Universitario, ha così commentato la norma: “Questa norma classista rappresenta un ulteriore attacco agli studenti e a quegli atenei, soprattutto del sud, già oggi fortemente penalizzati per via delle scarsissime risorse che ricevono dal Fondo di Finanziamento Ordinario” aggiungendo inoltre che “si tratta, di fatto, di un forte indebolimento del valore legale del titolo di studio, che si sta facendo passare in sordina, con un vero e proprio colpo di mano”. 
 
Marcello Pacifico, presidente dell’Anier ha commentato la norma dicendo che “Se questa norma diventa definitiva si violenteranno diversi principi costituzionalmente protetti, come la parità di accesso al pubblico impiego, il principio di uguaglianza e di ragionevolezza. Con il risultato che le università italiane, già in crisi di iscrizioni, diventeranno terreno per soli ricchi”. Ma non è l’unico a pensarla così, poiché anche il segretario della Flc-Cgil Mimmo Pantaleo si è espresso con pareri contrari alla norma dicendo che “iminuiranno ulteriormente le iscrizioni, soprattutto nel sud anche per l'assenza di una seria legge sul diritto allo studio. Siamo di fronte all'ennesima scelta classista del Governo a scapito dei figli delle persone che con grandi sacrifici mandano i propri figli alle università”. Il rettore di Roma Tre, Mario Panizza si è espresso con questi termini: “Propongono la brutta copia del modello americano. Considero una boutade la media del voto dei singoli atenei come indice di serietà”.