Les adieux, Letta lascia il Pd: “Al congresso non mi ripresento”

“Gli italiani hanno scelto la destra, è stata una scelta chiara”

Sarà “un congresso di profonda riflessione, sul concetto di un nuovo Pd – ha detto il segretario Dem – Enrico Letta, in conferenza stampa al Nazareno – che sia all’altezza di questa sfida epocale, di fronte a una destra che più destra non c’è mai stata.

Letta: “Giorno triste per l’Italia e per l’Europa”

“Gli italiani hanno scelto la destra, è stata una scelta chiara”, ha dichiarato Letta in apertura della conferenza stampa. “La tendenza emersa due settimane fa in Svezia viene confermata anche in Italia. E’ un giorno triste per l’Italia e per l’Europa. Ci aspettano giorni duri. Faremo una opposizione dura e intransigente”.

Se siamo arrivati al governo Meloni è per via del fatto che Giuseppe Conte ha fatto cadere Draghi“, ha aggiunto Letta. 

“Oggi il Pd, pur con un risultato insoddisfacente, è il secondo partito del Paese e il secondo gruppo parlamentare e la prima forza di opposizione”, ha affermato Letta, aggiungendo che “l’unico modo per battere questa destra era costruire un campo largo. Non è stato possibile non per nostra responsabilità”.

“Al congresso non mi ripresento”

“Nei prossimi giorni riuniremo gli organi del partito per accelerare il percorso che dovrà portarci al congresso”, ha detto Enrico Letta nel corso della conferenza stampa. “Congresso a cui non mi ripresenterò candidato“, ha annunciato. 

“Riprendere relazioni con M5s”

“Sarebbe l’ultimo regalo a questa destra se ci fossero opposizioni che vanno ognuna in ordine sparso. Io mi sento di dire che è molto importante che si riprendano le fila di relazioni che consentano di fare un’opposizione efficace e non che ognuno vada per conto suo. Nell’interesse del paese ci sarà bisogno di un’opposizione molto forte ed efficace”.

“Clima paese cambiato con guerra in Ucraina”

“All’elezione di Mattarella c’era un clima politico, poi la guerra ha completamente cambiato questo clima e i partiti di destra hanno tratto vantaggio da questo”, ha affermato Letta. “La guerra ha finito per avere una grande influenza e cambiare pagina ad un paese che fino a febbraio aveva un clima molto positivo, interrotto nella fase successiva con la guerra e con tutte le vicende che ne sono seguite”.




Divorzio Pd – M5S. Letta: “Rottura irreversibile”

Con la caduta di Draghi “credo che quello che si è compiuto sia stato un suicidio collettivo della politica italiana e credo che le nostre istituzioni, la nostra politica esca molto ammaccata”.

Lo ha detto il segretario del Pd, Enrico Letta, a Mezz’ora in più, su Rai tre.

“Non ho dubbi che all’ambasciata russa si sia festeggiato a caviale e che Putin abbia avuto la più grande soddisfazione dopo la fine di Johnson a Londra.

Questa è un vicenda non solo italiana, ma europea, pesante”, ha detto il segretario del Pd. La rottura dai 5 Stelle “in queste elezioni è irreversibile, lo abbiamo detto, lo avevo detto prima”, ha detto Letta. “Avevo detto a Conte se prendete una decisione di questo tipo questa sarà la conseguenza e siamo lineari con questa scelta”

BRUNETTA: ORA UN’UNIONE REPUBBLICANA – “Nulla abbiamo saputo, una decisione presa alle nostre spalle”. Così il ministro della P.a Renato Brunetta a Mezz’Ora in più a proposito della scelta di Forza Italia sul governo. “E’ stato un atto di irresponsabilità motivato da un opportunismo temporalistico”, ha detto, “Una valutazione di tipo opportunistico. Salvini vedeva deteriorare il suo consenso mese dopo mese, Forza Italia non si espandeva, Meloni cresceva. Hanno preferito non pagare il costo del governo ma farlo pagare agli italiani”.

“Un’Unione e un rassemblement repubblicano per tutti quelli che hanno sostenuto l’agenda Draghi”, con un programma comune che guardi all’Europa e al Pnrr, “un’Unione Repubblicana che salvi il Paese”, ha detto Brunetta. “C’e’ un progetto? Chiede Annunziata, “Ovviamente e ci stiamo lavorando”. Tra i nomi di questo rassemblement Annunziata cita Toti, Renzi, Calenda e Brunetta assente. “Tremonti?” chiede Annunziata: “sta dall’altra parte” dice Brunetta, ribadendo di sognare un’unione di Liberi e Forti che salvi il Paese.




Segreteria Pd, Letta: 48 ore per decidere

“Sono grato per la quantità di messaggi di incoraggiamento che sto ricevendo. Ho il Pd nel cuore e queste sollecitazioni toccano le corde più profonde.

Ma questa inattesa accelerazione mi prende davvero alla sprovvista; avrò bisogno di 48 ore per riflettere bene. E poi decidere”. Così Enrico Letta su twitter.

Continua, infatti, il pressing nel Pd per convicere l’ex premier ad accettare la candidatura a segretario. Chi lo ha sentito ha spiegato di essere sensibile alla situazione del Pd e di osservare con preoccupazione alla crisi del partito che ha contribuito a fondare. 

Intanto è confermata l’assemblea del Pd di domenica. “Abbiamo confermato – dice la presidente del partito valentina Cuppi –  l’Assemblea nazionale del Pd che si terrà nella giornata di domenica 14 marzo, a partire dalle 9.30, in modalità webinar da remoto per l’elezione del segretario nazionale del Pd. Nelle prossime ore convocheremo una riunione con i segretari regionali e delle città metropolitane e con i segretari provinciali del partito”. Nelle prossime ore sarà inviata la modifica dell’ordine del giorno che sarà: dimissioni del segretario nazionale, adempimenti conseguenti delle dimissioni.

 “Che si debba trovare un accordo, magari. Ci manca solo che si proroghi questa crisi, che agli occhi del paese sbigottisce e sbalordisce. Non faccio nomi” ma la figura di Enrico Letta, “per l’immagine che ha internazionale e nazionale, è di sicuro molto autorevole”. Così Stefano Bonaccini intervenendo a Cartabianca su Rai3, sull’ipotesi di Letta alla guida del Pd.




Rai, Berlusconi scivola su tre lettere. Ecco la strategia di Letta, Tajani e… Salvini

Sulla Rai cade Berlusconi e con lui quello che vi era di solido in Forza Italia. Mai come ora l’ex cavaliere si è ritrovato ad essere privato di tutte le sue influenze, soprattutto in campo televisivo.
Nell’aula al secondo piano di Palazzo S. Macuto la Commissione di Vigilanza ha espresso solo 22 voti favorevoli alla nomina a Presidente Rai di Marcello Foa, ex firma de Il Giornale presieduto dai Berlusconi; non garantendo il superamento della soglia dei 2/3. Presenti ma astenuti i 6 rappresentanti del PD, 2 LeU e 6 di Forza Italia.
É chiaro che sotto alla bocciatura di Marcello Foa si nasconde la strategia di Antonio Tajani e Gianni Letta ma anche il continum della politica di assorbimento del centrodestra da parte di Salvini.
Ieri in mattinata, Silvio Berlusconi riceve alla clinica San Raffaele, dove si trova per esami di “semplice routine”, il leader leghista che secondo alcune indiscrezione sarebbe riuscito a strappare un sì sull’approvazione di Marcello Foa. Ma alle 8 e 40 la commissione procede al voto senza gli esponenti di Forza Italia che forse hanno disobedito a Berlusconi, secondo anche quanto asserito dal vicepremier Luigi di Maio durante i lavori in commissione Affari Pubblici di Palazzo Madama:” se in queste ore la forza politica con cui abbiamo sottoscritto il contratto di governo mi dice che il leader di un’altra forza politica è d’accordo sul quel nome, ma i parlamentari esprimono un voto discorde dalla volontà del leader, credo che questo rappresenti per noi un’attenuante”.
Ma l’Ottuagenario ha evidentemente ceduto alle pressioni di Gianni Letta: un sì a Foa porterebbe Forza Italia a rimmeterci la faccia ma “ancora di più ce la rimetteresti tu Silvio” afferma Letta. Infatti è indicativo lo stato di salute politica di Berlusconi che non ne azzecca più una: cade su tre lettere, Foa, un nome non lontano dalla sua visione politica nel simpatizzare per Putin, nella visione dell’euro pro Savona
e nell’antipatizzare per il Presidente Mattarella. Ancor di più, secondo molti lettori de il Giornale che ieri hanno espresso le loro opinioni tramite alcuni commenti, questo inciampo comporta la fine di Forza Italia non solo perchè troppo vicino al Pd di Renzi ( che comincerà anche la sua trasmissione su un canale mediaset) ma anche perchè Berlusconi ha bocciato una personalità indipendente, allievo di Montanelli,
che ha lavorato fino al 2011 al Il Giornale. Considerando anche che, dopo la riforma sulla Rai di Matteo Renzi, i veri poteri sono riservati all’Ad, ora Salini in quota Tesoro, e non al Presidente.
Mentre Antonio Tajani Presidente dell’europarlamento è ad un passo dal compiere la tanto sperata e auspicata rottura tra Matteo e Silvio facendo avvicinare quest’ultimo a Renzi così da riproporsi in maniera positiva alla Merkel a Strasburgo. Tajani è arrivato, perciò, a minacciare l’ex cavaliere di dimettersi dalla vicepresidenza di Forza Italia.
Per Matteo Salvini (che si prepara ad assestare il colpo dalla nomina di Bernini su Romani il 23 marzo), invece, questa è l’occasione di lanciare l’opa agli ex (?) alleati forzisti che secondo lo stesso vice premier hanno già cominciato a bussare alla porta di via Bellerio. Per correre ai ripari Berlusconi in un’intervista cerca di chiarire come “il centrodestra non sia finito, ma il servizio pubblico non può essere espressione della sola maggioranza” e la riproposizione del nome di Marcello Foa fa sorgere problemi insormontabili giuridicamente, come sostiene anche Usigrai che propone il consigliere eletto dai dipendenti di Viale Mazzini Riccardo Laganà.
Stamane l’ufficio legale della Rai afferma che il “Cda è nel pieno delle sue funzione”, Marcello Foa può convocarlo come consigliere anziano e procedere alle nomine anche quelle dei Tg, l’unico vero obiettivo politico di Lega e M5S.

Gianpaolo Plini




RENZI E L'ABBRACCIO TRA BERSANI E LETTA

di Alberto De Marchis

Gelo glaciale per Matteo Renzi quando nell’emiciclo Bersani e Letta si sono lasciati andare ad un caloroso abbraccio. Bersani, è chiaro, non ha gradito il calcio nel sedere dato ad Enrico ma si è presentato per votare la fiducia e per dare una piccola grande lezione di morale a Renzi: La necessità di agire con umiltà. Certamente Renzi non è partito con questa volontà ma ha promesso faville e adesso dovrà farne a passo sostenuto. Letta si è presentato in aula soltanto per votare, accolto dal calore di molti ma si è guardato bene dal salutare il nuovo premier intento, come sempre, a guardare il cellulare.

L’ex presidente del consiglio è appena tornato da Londra dove vi ha soggiornato con la sua famiglia. Adesso deve riflettere bene sul da farsi. Giusto il tempo del voto e poi è andato via. E’ evidente che si sente piuttosto stretto e non a suo agio in un ambiente che diciamola come è andata, gli ha fatto le scarpe non appena ha potuto.
 




LETTA LASCIA: E' CRISI DI GOVERNO

Redazione

Letta lascia. Matteo Renzi chiede un nuovo governo, con un nuovo premier. La direzione del Partito democratico, con 136 voti a favore, 16 contrari e 2 astenuti, vota a favore. Ed Enrico Letta annuncia che venerdì salirà al Quirinale per rassegnare le dimissioni: "Ho già informato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano", dichiara. Termina dunque con l'inizio della crisi di governo il giorno più lungo del premier, entrato a Palazzo Chigi il 28 aprile del 2013. 

"Inizi a diventare grande solo quando smetti di fare solo le cose che ti piacciono. E' arrivato il momento di dire che tipo di proposta vogliamo fare al Paese. E' arrivato il momento di uscire dalla palude". Ha esordito così il segretario del Pd, Matteo Renzi, intervenendo alla Direzione nazionale del partito




RENZI, DIMMI CON CHI VAI E TI DIRO’ CHI SEI

di Emanuel Galea

Non mi riferisco certamente alle parole benevole di Wolfgang Monchau apparse sul Financial Times, descrivendo il Renzi quale, la miglior speranza per l’Italia. Il fatto che il leader del partito Democratico stia contestando l’apparato vecchio del paese non significa riuscire a saltare il guado della classe politica paludosa. Qualcuno vedrebbe nella sua baldanza una sorta di protezione della finanza internazionale. 

Già la situazione italiana è alquanto ingarbugliata e perciò preferisco non prestarmi a confonderla ulteriormente con ipotesi e supposizioni. Sempre sul Financial Times, però,  anche Bill Emott rafforza i sospetti di chi vede la finanza internazionale dietro “l’enfant prodige” quando scrive "Speriamo che Renzi diventi un Blair italiano", sottolinea come sia l'Italia sia l'Europa abbiano bisogno di politici che parlino il linguaggio della speranza e del liberalismo. Come partenza, da vero puro sangue della politica, l’ex Presidente della Provincia di Firenze, è partito a testa bassa, travolgendo chiunque si metteva nel suo percorso.

A certi questa è apparsa come arroganza, ad altri come intraprendenza. La gente vedeva in lui il castigatore della politica corrotta, dei collusi, degli affaristi.

Molti s’illudevano di poter vedere in lui “il politico” estraneo ai “giochi “ dei partiti. Ha stravinto le primarie e attirato su di se tutti i rancori del vecchio apparato ex comunista. Gente estranea mille miglia dalla filosofia di quel partito erano pronti, qualora si presentasse l’occasione di votarlo. Matteo faceva la parte di quello che si identifica per “uno dei nostri”. Faccia da buono, il sorriso sempre impresso sul viso e la battuta pronta. Non perde mai la parola. Ecco! La parola non la perde, l’ha sempre pronta, ma si è dimostrato, ahimè, anziché uno dei nostri, uno dei tanti. Le luci della ribalta l’hanno accecato. Pur di non piegarsi è venuto ai patti con l’alleato sbagliato. Le aspettative della gente per una legge elettorale degna di questo nome, una riforma che li restituirebbe il voto, la scelta del proprio candidato, si è infranta in quell’’incontro fatidico con il nuovo alleato. Si è lasciato fuori il “porcellum” ma il sistema con il quale lo vorrebbe sostituirlo non ci sarà mai un appellativo per descriverlo. Gli schiaffi in viso si sentono maggiormente quando provengono da mani amiche. La gente pensava, a torto, che il “ragazzo di Firenze” non aveva niente a che spartire con i vecchi politicanti. Errore. Renzi ha scelto. Tra gli interessi della gente e quelli dei partiti, ha scelto gli ultimi per accontentare il nuovo alleato. Non vogliamo sapere altro. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. La preoccupazione è che se non subentrano cose nuove, non si sa quale sarebbe il prossimo danno. Attenti a quei due.




RENZI A LETTA: PRESTO CH’E’ TARDI

di Emanuel Galea

Chi l’italicum brandisce di porcellum perisce. Lo abbiamo scritto dai primi istanti che il sindaco di Firenze, fresco dall’incontro con il redivivo di Arcore, lo aveva annunciato alla stampa. Non ci volevano i “Sartori” per convincerci che la proposta di Renzi non fosse altro che un’ennesima bischerata. Siamo stati fra i primi a criticarlo. Lo abbiamo soprannominato “italicum acetum”. . . Secondo il commediografo romano, Tito Maccio Plauto, morto nell’anno 184 a.C., con questo appellativo sono conosciute le commedie ironiche, tipicamente italiane. Fra queste troviamo la commedia del sosia, quella della caricatura e quella della beffa. Appunto, riteniamo, e non siamo i soli, che il coniglio tirato fuori dal cilindro di Renzi non sia altro che una beffa, una bischerata. Ventinove illustri costituzionalisti e giuristi d’Italia, fra i quali spiccano i nomi di Stefano Rodotà, Besostri, Barberis e Azzarita , hanno firmato e pubblicato, sulla stampa, un appello: “L’italicum peggio del porcellum, fermatevi”.  Intanto l’iter va avanti. Il testo arriverà alla Camera mercoledì. Il caos regna sovrano. Una cosa emerge chiara da tutto il dibattito in corso.  Al centro di ogni discussione ci sta l’interesse dei partiti – cosa conviene al cittadino non viene considerato minimamente.

Renato Brunetta, esponente berlusconiano, sparge benzina infiammante: “Penso che alla fine ci sarà un accordo ampio o si cade già domani sera” Il Presidente Grasso, che di solito non brilla d’iniziative coraggiose, propone : "Aumento della soglia per accedere al premio di maggioranza". Verdini chiude la porta alla Boschi : “L’italicum rimane così”.Intanto scoppia il caso Di Girolamo. “Alfano mi ha lasciato sola”. Possibile ritorno a Forza Italia dopo questa delusione? Ora l’esecutivo rischia di cappottarsi per queste disavventure .
Sembra piacere a tutti l’uninominale. Stranezze della sorte, nessuno lo vuole adottare.

Renzi non si arretra di un unghia e fa muro sulle preferenze: “Sono fuori nell’accordo votato”. La minoranza PD dà battaglia. A questo punto esce chiara l’anomalia di tutto questo dibattito. Renzi insiste che le preferenze sono fuori “nell’accordo votato”. Votato dove?  Votato da chi? Se non vado errato il sindaco, si riferisce alle primarie PD.  Domandiamo, sempre che sia lecito, ma da quando in qua tutta l’Italia s’identifica con il PD? Nel ragionamento del “fiorentino” qualcosa non è chiara.  A complicare ulteriormente la già intrecciata  faccenda, ci si mette la magistratura. Arriva l’annuncio della procura di Milano inerente all’avvio d’indagine nei confronti di Silvio Berlusconi : Le acque si agitano sempre di più. Il giorno dopo l’arrivo dell’annuncio della procura di Milano, il Presidente Giorgio Napolitano, intervistato da Virus invia un monito ad approvare al più presto le riforme istituzionali. Alla voce autoritaria del Presidente  fa eco quella di Matteo Renzi : “O si chiude” o si perde l’ultimo treno.  Dai Letta, dai !  Presto  ch’è tardi.
 




CORSA AD OSTACOLI PER LETTA, PROSSIMA TAPPA: IL FINANZIAMENTO PUBBLICO AI PARTITI

Normal 0 14 false false false MicrosoftInternetExplorer4

/* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name:"Tabella normale"; mso-tstyle-rowband-size:0; mso-tstyle-colband-size:0; mso-style-noshow:yes; mso-style-parent:""; mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt; mso-para-margin:0cm; mso-para-margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:10.0pt; mso-ansi-language:#0400; mso-fareast-language:#0400; mso-bidi-language:#0400;}

Emanuel Galea

Da quando ha assunto l'incarico di guidare questo governo di larghe intese Enrico Letta si è reso conto che la sua non sarà una passeggiata. Dall'inizio si è dimostrata per quello che è, una corsa ad ostacoli. Determinato e con le idee chiare ha subito messo in allerta i lobbisti e ogni sua dichiarazione d'intenti è da questi guardata con sospetto, pronti ad affossarla ogniqualvolta minacci interferenze con i loro interessi. Per fortuna il nuovo Presidente si sta dimostrando sicuro di se stesso e libero dai soliti compromessi.

La tappa dell'abolizione delle province è stata superata, salvo imprevisti, ed entro sei mesi, dice lui, il provvedimento dovrà giungere in porto.

La prossima corsa ad ostacoli sarà la più dura perché tocca la carne viva degli apparati dei partiti. Per Letta questa sarà la prova del fuoco. Se vince questa battaglia, lo potremmo considerare il nuovo Caesar dopo Romolo Augusto , l'ultimo imperatore romano d'Occidente. L'abolizione del finanziamento è la madre di tutte le battaglie. Ci hanno provato i Radicali con un referendum 20 anni fa. E' stato un plebiscito ma, come si sa, l'apparato partitico ce l'ha messa tutta riuscendo a scippare quella volontà popolare e la democrazia non ha potuto far altro che soccombere. Questa volta i tempi sembrano più maturi e, per adoperare un eufemismo, un lucignolo di speranza si intravede in fondo al viale in questa nottata senza luna. 

Il 31 maggio 2013 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge per la progressiva abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.

Fra l'altro il ddl prevede la sostituzione del finanziamento pubblico dei partiti con un sistema basato sulla contribuzione volontaria da parte dei privati, il due per mille da sottoscrivere in sede di dichiarazione dei redditi annuale, fissando naturalmente, alcune norme per i partiti, per poter usufruire di questa contribuzione.

A reggere la fila di coloro che, con denti ed unghie lottano per il mantenimento del finanziamento ai partiti è Ugo Sposetti del Pd. Al tg La7, intervistato dichiara: «Il due per mille, così come vogliono cambiare il finanziamento va bene se sono tutti gioiellieri, se viene dai pensionati della Cgil gli arriva poco… e finiamo per fare un sostegno a un partito ricco e uno a un partito povero: non funziona così la democrazia».

Il ragionamento di Sposetti, persona intelligentissima e di tutti quelli che come lui ragionano, non regge, oserei dire che lo trovo patetico. Forse sarebbe ora di finirla con questo discorso del partito ricco e quello povero. Quale sarebbe il partito povero, quello che ha immobili per milioni di euro? Quello che ha investimenti? Come mai ogni volta che ci sta una scissione si presenta sempre il problema del patrimonio, dei beni mobili ed immobili da dividere? E' falso dire che la politica costa. Costano gli apparati dei partiti che raramente fanno “politica” intesa come iniziativa per il bene della collettività.

La gente condivide l'iniziativa di Enrico Letta, a tutti quelli che fanno “politica” lo Stato, anziché elargire denaro dovrebbe offrire servizi. Sale gratuite per le riunioni, spazi sulle tv pubbliche, stampa manifesti gratuiti, un numero di telefonate a tariffa agevolata, rappresentanza ed ospitalità controllata e pagata dall'economato dello stato ed altri servizi. In poche parole, risparmiare al partito “il fastidio di maneggiare denaro”. Se diamo un'occhiata ai compensi di ogni deputato; ci accorgiamo che una delle voci della busta paga rappresenta un tot per i contatti con l'elettorato. Ai signori sposetti dei partiti “poveri”di destra e sinistra che ci vogliono convincere che il finanziamento pubblico serve per fare funzionare la democrazia consigliamo loro di liquidare i loro vari immobili ed il ricavato sommato ad altri eventuali investimenti ed utilizzarlo per fare “politica” al servizio della comunità. L'art.49 della Costituzione non contempla possedimenti ed investimenti ma semplicemente che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. La politica nazionale si determina con le giuste iniziative e sembra che Enrico Letta è determinato a seguire questo corso.