LUIGI BONAVENTURA: LA FAMIGLIA DEL PENTITO SI SENTE ABBANDONATA DALLO STATO

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La redazione del giornale l’ ”Osservatore d’Italia” qualche mese fa si era occupato del caso del sig. Luigi Bonaventura, ex-‘ndranghetista, pentito e collaboratore di giustizia, sotto protezione da diversi anni insieme alla sua famiglia. Luigi ha attivamente collaborato contro la criminalità mafiosa del sua città, Crotone e in tutta Italia. Al di là dei giudizi che ognuno di noi può dare di fronte alla realtà chiamata mafia, è innegabile che la scelta collaborativa della famiglia Bonaventura abbia determinato un aiuto reale per “acchiappare” chi si muoveva liberamente nel territorio italiano per fare affari con il malaffare e trarre benefici illeciti anche dai politici e amministratori corrotti.
Ora, in questo momento così delicato per l’Italia, e in particolare per i fatti che i magistrati hanno “sviscerato” non solo nella città eterna con “Mafia Capitale”, ma praticamente in tutta Italia , è importante capire chi ha fatto questa scelta collaborativa, rischiando la propria vita e dei suoi familiari. Bonaventura si sente solo, abbandonato da chi dovrebbe sostenere la sua protezione e soprattutto il suo percorso di protezione sta avendo dei risvolti drammatici. La moglie del pentito ha raccolto le sue paure in una lettera che ci ha pregato di pubblicare integralmente, affinché i media mettano in risalto la grave situazione che stanno attraversando.
Ci dice che il suo passato sarà sempre intaccato dalla sua storia di ex-mafioso e pentito, ma ne è uscito fuori e desidera continuare nella legalità. Non merita di essere lasciato solo. Si è sradicato dal tessuto sociale di provenienza Bonaventura, ora chiede solo un aiuto alle autorità competenti, affinché quanto ricostruito finora con la giustizia italiana non venga disperso in rivoli burocratici che affossino il “lavoro” prezioso svolto in questo lungo periodo.

Lettera della moglie Paola Emmolo
“Caro programma di protezione, caro Stato non si possono lasciare 2 bambini , 2 anziani genitori e altre 4 loro famigliari in mezzo ad una strada, in grave pericolo, senza opportuni documenti e senza un centesimo in tasca. Nessuna persona per qualsiasi sia il suo crimine meriterebbe ciò figuriamoci chi come mio marito che non ha commesso in questi 8 anni di programma, nessun reato penale, civile o stradale. Ha dato, sta dando, stiamo dando l’anima per la giustizia Italiana per la società civil. Mio marito è un dissociato e collaboratore volontario, ha collaborato e collabora senza che avesse un solo giorno di condanna con mezze procure antimafia d’Italia, ha dato un apporto collaborativo elevatissimo, ha fatto arrestare o condannare oltre 150’ndranghetisti, ha portato nel crotonese una vera inversione di marcia, a suo conto ci sono solo sentenze di alta attendibilità, si impegna nel sociale a suo danno e pericolo senza mai risparmiarsi. O tutto ciò non volete riconoscerglielo ? Ha rifiutato (a buon ragione come più volte vi ha esposto) dei trasferimenti in altra località? Ma poi alla fine ha accettato e aveva ragione lui avete reiterato tutto, mettendoci di nuovo in grave pericolo e disaggio. Non si può lasciare un importante collaboratore e i suoi famigliari per mesi e mesi sprovvisti di opportuni documenti di copertura, non si può mettere lo stesso con dei pentiti, alcuni falsi e dei ndranghetisti della stessa zona nella stessa area come avete fatto a Termoli e poi fare la stessa cosa nella nuova località. O forse si può fare…? Prima di collocarci in questa nuova sede non sarebbe stato opportuno chiedere alla polizia del luogo se questa area era compatibile con noi? Vi avrebbero detto come si può tranquillamente dimostrare di no e che questa area non era sicura per noi. Dovevate procedere di nuovo con trasferimento in altra località per ovvie ragioni di sicurezza ma questo sarebbe stato un ammissione di colpe e quindi avete preferito scaricarci in mezzo una strada, questa è la verità. Non si deve trovare (come è accaduto a Termoli) un micidiale arsenale di ndrangheta a 200 metri da casa nostra e in un magazzino riconducibile al caposcorta del collaboratore di giustizia e tante altre gravissime cose. O forse si può? Delle PRESUNTE interviste non “autorizzate” che contestate a mio marito durante un contratto che era oramai scaduto e che aveva chiaramente esposto più volte tramite i suo legali di non volerlo più prorogare, non possono comportare una punizione cosi severa a danno della mia famiglia. Questa non e’una grave ingiustizia, un grave atto di inciviltà e di mancanza di buon senso ? Il contratto era scaduto è scaduto da quasi tre anni, come voi stesso sottolineate nella delibera. SCADUTO CAPITE….?E non c’ era nemmeno un tacito consenso per poterlo nonostante tutto considerarlo ugualmente attivo. Si poteva risolvere e chiarire il tutto in modo riservato ? Mio marito lo ha fatto più volte ricordate voi del servizio centrale di protezione ? Ma se poi non mantenete le promesse come tranquillamente si può dimostrare che colpa ne abbiamo noi ? Bastava solo proteggerci come si deve, come prevede il programma o dare alla mia famiglia quella misera liquidazione che mio marito aveva richiesto più volte, salutarci e finirla qua, tanto lui a prescindere da ogni cosa continuerà ogni volta che gli verrà richiesto a collaborare con la magistratura Italiana. E questo l’inserimento socio lavorativo che il programma di protezione alla base di tutto garantisce ? Lasciandoci da soli a macello in mezzo ad una strada….? E’ questo il messaggio che si vuol fare passare a chi ha intenzione di collaborare, di denunciare ?Dopo 8 anni è cessato il pericolo per la mia famiglia ? Se accade qualcosa ve ne prendete la responsabilità ?la storia di Lea Garofalo non ha insegnato niente? Quante risate si farà la ndrangheta per tutto ciò? Se non dico il vero su tutto denunciatemi ,ma altrimenti non lasciate soli i miei bambini, la mia famiglia, noi non meritiamo tutto questo .”




LUIGI BONAVENTURA: DALLA 'NDRANGHETA CROTONESE PASSA DALLA PARTE DELLA GIUSTIZIA

di Simonetta D’Onofrio

La mafia è un fenomeno complesso, le cui dinamiche si sono trasformate nel tempo. Le associazioni criminali hanno modificato il loro modo di operare, e hanno esteso il loro bacino d’influenza, tanto da non poter più identificare la singola organizzazione con la regione di appartenenza. Il raggio d’azione di mafia, ’ndrangheta o della camorra ha raggiunto e superato le regioni dell’Italia settentrionale, arrivando a colpire con azioni clamorose anche all’estero.
Ma non si può circoscrivere il pensiero sulle mafie solamente alle azioni malavitose, non dobbiamo limitarci a pensare il mafioso come appare in film come “Il Padrino”, o nella serie “La Piovra”. Oggi la mafia ha esteso il suo controllo nelle operazioni finanziarie, nella politica e negli ambienti societari che sembrano apparentemente meno legati al modus operandi degli “uomini d’onore”.

Anche il pentitismo ha dovuto evolversi, perché la società è cambiata rispetto ai tempi di Tommaso Buscetta, che tra i primi, negli anni Ottanta, ha svelato al giudice Falcone molte attività delle famiglie della “cupola”. Oggi i mass-media hanno azzerato le distanze, hanno creato una piazza virtuale su cui anche chi vuole far comprendere i motivi di una scelta certamente difficile, perché ritenuta infamante da quanti fino al giorno prima erano più vicini al pentito, cerca di far sentire la propria “voce”.
È questo il caso di Luigi Bonaventura, una volta esponente di spicco di una delle famiglie più note della ‘ndrangheta crotonese, che ha deciso di tagliare i ponti col passato, dissociandosi da una rete di amicizie, parentele e legami appartenenti alla ‘ndrangheta.
A suo favore è stata lanciata in Rete una petizione https://www.change.org/p/protezione-per-il-collaboratore-di-giustizia-luigi-bonaventura, che ha raccolto in poco tempo oltre 18.000 firme, adesioni a testimonianza del ruolo importante che ha avuto per la lotta alla mafia. Bonaventura ha deciso definitivamente di “cambiare vita” e con le sue confessioni e dichiarazioni ha permesso alle Procure d’Italia di stanare diversi intrecci presenti all’interno di una piaga come la mafia.
Con la raccolta delle firme si vuole sensibilizzare la società civile, la politica e le figure decisionali di questo Paese che un pentito e collaboratore di giustizia attivo deve avere alcune garanzie fondamentali per l’incolumità della sua vita. Infatti, per un pentito di primo piano come Bonaventura ci sono delle accortezze che dovrebbero essere sostenute e garantite in qualsiasi momento, perché è sempre suscettibile ad attacchi e vendette trasversali. Proprio per questo abbiamo intervistato il collaboratore di Giustizia, Luigi Bonaventura, per raccontarci la sua storia di pentito.

Com’è nata la petizione? Perché questa decisione?

La petizione è nata per dare voci a quanti sono nella mia stessa condizione e che non hanno trovato o avuto la possibilità di esternare i propri problemi, anche gestionali, che purtroppo subentrano durante un programma di protezione. Un’evoluzione che, passo dopo passo, si è trasformata, un'idea verso la ricerca di un cambiamento politico che può avvenire anche tramite una domanda semplice rivolta alla comunità digitale.
Anche in quest’ambito, purtroppo c’è il rovescio della medaglia, se così si può dire. Infatti, sono diverse le personalità e le peculiarità che intervengono all’interno di un programma di protezione. Anche in un’organizzazione criminale, troviamo i rubagalline, quelle stesse persone che all’interno della malavita, lavorando con la mafia e che con gli affari sporchi fatti con loro non avrebbero mai raggiunto uno” stato di benessere”, come quello che oggi lo Stato gli riconosce, con i diritti di legge, anche per la famiglia. Non è una cosa marginale questa differenza. Anche tra i pentiti ci sono quelli che giocano in serie A, in B e nelle divisioni regionali…C’è una bella differenza se un pentito aveva avuto nel suo passato un ruolo primario nell’’ndrangheta. Purtroppo, in questo caso raccoglie gente che ha fatto arrestare solo ladri di gallina, non c’è un giusto rapporto di equiparazione. La società questo lo deve capire…Oltretutto si va avanti su questa strada, anche se per combattere veramente la lotta alla mafia.
Diciamolo chiaramente, ancora oggi ci sono ancora tante, forse troppe che non vogliono estirpare la mafia. Non sono solo i mafiosi e i collusi a farla rimanere attiva. La mafia, come la intendo io, è una società per azioni, “La mafia S.p.A.”. Ognuno ci naviga dentro, in quest’azienda, grande e redditizia e, secondo delle azioni che si posseggono, c i si arricchisce abbastanza.

Quindi la mafia non si sconfiggerà mai? E’ solo un’utopia?

Non disco questo. Le parole di Falcone bisogna ripeterle sempre, in ogni momento. Lui lo diceva chiaramente: “ogni fenomeno umano è destinato a nascere e a morire”. L’utopia, poi, come parola la considero deleteria, penso che ogni volta che si pronunci non si desideri intenzionalmente far nulla. Per la specie umana nulla è impossibile, quindi anche la mafia può essere sconfitta. Siamo arrivati oggi, nel 2014 a un punto di non ritorno, paradossalmente se stiamo così ora, è ancora per questo motivo. Per sconfiggerla in Italia si dovrebbe raggiungere un picco massimo, considerare un’emergenza esponenziale, allora sì che qualcuno sarà costretto veramente a intervenire.


Parlare di mafia circoscritta al sud è ormai una definizione anacronistica. Tutte le mafie sono così diffuse nel territorio italiano?

In linea di massima sì, non si tratta di un fenomeno di questi ultimi anni. Se vogliamo fare una distinzione, possiamo considerare solo “Cosa nostra” diversa dalle altre, di tipo federalista, presente nella Sicilia occidentale…
Oggi la politica, in particolare, si stupisce se si afferma che la mafia nel Nord sia molto fluida, ma sono quarant’anni che esiste là, non è un anno, sono tanti anni che è radicata nel Settentrione. Anzi si è internazionalizzata. Come non ricordare la strage di Duisburg, quelli che venivano dalla faida di S. Luca. La strage di Ferragosto in Germania avvenuta il 15 agosto 2007, è un fatto unico, non solo perché è avvenuto davanti a un ristorante italiano “Da Bruno”, ma è stato un atto che di legittimazione della ‘ndrangheta europea. Anche se c’è stata una risposta mediatica da parte dei media, anche allora alcuni apparati deviati preferirono ridimensionare l’accaduto.
 

Ritorniamo alla petizione in suo favore. In questo momento in Italia c’è tanta crisi, il lavoro che non c’è, le famiglie indebitate, le aziende che chiudono giornalmente. Una piaga diffusa. Che senso ha mobilitarsi a favore di un pentito?

La gente si dovrebbe mobilitare per quello in cui crede realmente, ognuno deve lottare per il proprio settore. Io non chiedo soldi, aumento di stipendio, cose in più. Proteggere un ex-mafioso, significa anche agire sull’economia, un “valore aggiunto” al sistema paese. Intervenire direttamente in alcuni campi “comprometterebbe” positivamente il sistema-paese. Io attualmente prendo dallo Stato circa 1.500 euro al mese, ma sono tutti giustificati questi soldi. Consideri che collaboro con undici Procure in tutta Italia e una straniera, compresa la Direzione Antimafia. Ripeto non sto attaccando lo Stato. Forse per qualcuno non sono motivati, per quello che ho fatto in passato, ma adesso ho intrapreso un altro cammino. Collaborare per sconfiggere la mafia significa anche attenuare il livello di crisi che stiamo vivendo, se poi vogliamo entrare nel merito della mia storia personale, sono un collaboratore volontario; se per qualcuno siamo troppo onerosi al Paese, allora non vi servite dei collaboratori di giustizia.
 

Le 18.000 mila firme stanno a significare che c’è qualcosa che non va nel sistema in generale, il punto da scardinare è l’apparato che circonda lo Stato. Una parte della politica collusa, uomini a essa legati come Cosentino, Dell’Utri, Scaiola, non vogliono che la mafia sia debellata. Ci chiediamo il perché?

Questa petizione serve anche a questo, cioè andare contro questa parte oscura che tutt’oggi “lavora” in Italia.
Anche sotto l’aspetto organizzativo, i programmi di protezione sono da rivedere. Mi spiego meglio. Appena sono entrato nel programma, mi hanno trasferito a Termoli, vicino ad altri appartenenti alla Sacra Corona Unita e ho trovato anche alcuni miei compaesani crotonesi. Poi stavo a due passi dalla camorra. Questa è la situazione, io sono costretto a certe restrizioni e sarebbe meglio osservarle bene queste cose. Se mi chiede se ero felice quando ero mafioso, come posso risponderle? Sono nato in una famiglia mafiosa e ne sono uscito, sono felice di essere così. L’ho fatto soprattutto per i miei figli e non me ne pento.
 

I figli cosa ne pensano?

I miei due figli, due suoceri, una moglie, due cognati tutti sotto protezione. Ho spezzato una catena, sono orgogliosi di ciò, anche se il loro destino è segnato dal passato così particolare che ha avuto il loro papà. Quando si nasce sotto mamma ‘ndrangheta, ci si affilia, vivi in un ambiente così blindato che non puoi andare da un’altra parte. Dove vai quando nella tua famiglia sei figlio di un ‘ndranghetista. I miei figli appartengono a questa nuova vita, una stella differente, non importa se oggi anche gli altri che mi sono vicino non mi credono. Io ho lottato per nuovi valori.
Cos’è un valore importante per la mafia? Ad esempio l’onore è avere prestigio tra la gente, nelle processioni religiose ci ferma qualche volta sotto la casa del mafioso importante di turno.
Sì, accade anche questo. Non tutta la chiesa è così, una parte, però legittima la mafia, o meglio l’atteggiamento mafioso, una parte della chiesa ripeto. Le posso dire che una parte della Chiesa non andrà mai a prendere il caffè a casa di un pentito.

Perché?

Loro, i mafiosi fanno benevolenza, danno le offerte, somme di denaro consistenti per far camminare la macchina religiosa. Apparentemente vanno anche da un mafioso che ha tre gradi di giudizio, solo perché devono redimire le anime del peccato. Anche nel mio paese molti mi avevano detto di non collaborare. Non importa se non sono più venuti a casa mia e se non verranno più, la mia coscienza mi dice che sto facendo la cosa giusta.