Dopo cinque anni di processi, la Cassazione ribalta tutto: Non è Mafia Capitale

Proprio così, dopo 5 lunghi anni di processo è arrivata la sentenza che ha tolto la parola “mafia” e ha ridimensionato la situazione.

Alessia Marini, la moglie di Massimo Carminati, “il nero”, scoppia in lacrime e poi dice di aver fatto la scelta giusta e cioè di abbandonare il suo legale di famiglia Bruno Naso per l’avvocato Alessandro Diddi: “Ho fatto la scelta giusta, mi riporto mio marito a casa”.

La Cassazione ha dichiarato esclusa l’associazione mafiosa nel processo “Mondo di mezzo”, ribattezzato Mafia capitale, dopo la sentenza d’appello che aveva invece riconosciuto l’articolo 416 bis. Cadono anche molte delle accuse contestate a Salvatore Buzzi e Massimo Carminati. La sesta sezione penale aveva al vaglio la posizione di 32 imputati, di cui 17 condannati dalla Corte d’Appello di Roma, lo scorso anno, a vario titolo per mafia (per associazione a delinquere di stampo mafioso, o con l’aggravante mafiosa o, ancora, per concorso esterno). L’accusa, mossa dalla procura di Roma, ruotava attorno alla costituzione di una “nuova” mafia, con propaggini nel mondo degli appalti della Capitale. Mercoledì scorso la procura generale della Cassazione aveva chiesto la sostanziale convalida della sentenza d’appello.

Ci sarà un nuovo processo d’appello per ricalcolare le pene per Salvatore Buzzi, Massimo Carminati e i principali imputati del processo al Mondo di mezzo dopo che la Cassazione ha dichiarato esclusa l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, riqualificata dalla Suprema Corte in associazione a delinquere ‘semplice’. Tra gli imputati per i quali dovrà essere ricalcolata la pena ci sono Luca Gramazio, ex capogruppo Pdl alla Regione Lazio, e Franco Panzironi, ex ad dell’Ama. Inoltre, per quanto riguarda Buzzi, la Cassazione lo ha assolto da due delle accuse contestategli, di turbativa d’asta e corruzione, mentre per Carminati cade anche un’accusa di intestazione fittizia di beni. In conseguenza della riqualificazione del reato di associazione mafiosa in associazione a delinquere semplice, la Cassazione ha pure annullato alcuni risarcimenti nei confronti delle parti civili, tra cui associazioni antimafia.

“Non trovo giustificate le esultanze di qualcuno – ha commentato il procuratore generale della Capitale, Giovanni Salvi – visto che la Suprema Corte ha riconosciuto l’esistenza di associazioni, nei termini affermati dalla sentenza di primo grado, che aveva irrogato pene non modeste: due associazioni a delinquere che erano state capaci di infiltrare in profondità la macchina amministrativa e politica di Roma”. “Siamo in presenza di una sentenza molto complessa e per un commento più approfondito occorrerà leggere con attenzione il dispositivo e le motivazioni. Va detto che si ritorna all’esito di primo grado in cui non fu riconosciuta l’associazione di stampo mafioso, un elemento senza dubbio importante”.

“Buzzi su mia indicazione – lo ha detto l’avvocato difensore Alessandro Diddi – aveva ammesso alcune delle contestazioni. A Roma c’era un sistema marcio e corrotto e la sentenza di primo grado l’ha riconosciuto. La procura ha provato a sostenere la mafia. La Cassazione ha detto quello che avevamo sostenuto fin dall’inizio”.

“La Cassazione – ha detto il difensore di Massimo Carminati, l’avvocato Cesare Placanica – ha ritenuto la sentenza di appello giuridicamente insostenibile”.

“Ma vi pare possibile – ha detto il difensore di Riccardo Brugia e Matteo Calvio nonché ex difensore di Massimo Carminati, l’avvocato Giosuè Naso – che la mafia sia stata riconosciuta a Roma in questi ultimi 7 anni, cioè da quando c’era Pignatone, e prima tutti i procuratori della Repubblica e le forze di polizia non si erano mai resi conto dell’esistenza della mafia? La mafia è una cosa molto seria, molto grave, che paralizza un territorio, l’economia di un territorio, la libertà da un punto di vista politico, sociale, economico. A Roma c’è invece una cultura mafiosa, che è una cosa completamente diversa dall’associazione di stampo mafioso, cultura mafiosa”, anche nelle istituzioni. “Questo è stato un processetto, cioè un processo nel quale si è voluto enfatizzare, gonfiare, esagerare, dopare una realtà criminosa di margine per fare un processo nel quale si riconoscesse la mafiosità”, ha concluso il legale.

“Questa sentenza – commenta la sindaca di Roma, Virginia Raggi – conferma comunque il sodalizio criminale. È stata scritta una pagina molto buia della storia di questa città. Lavoriamo insieme ai romani per risorgere dalle macerie che ci hanno lasciato, seguendo un percorso di legalità e diritti. Una cosa voglio dire ai cittadini onesti: andiamo avanti a testa alta”.

“La Corte di Cassazione – scrive il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra – smentisce l’impianto della sentenza della Corte d’appello di Roma: Buzzi e Carminati nella capitale non avevano costituito un sodalizio di stampo mafioso che, mediante l’intimidazione solo paventata e la leva della corruzione, aveva in pugno tanti uffici dell’amministrazione comunale capitolina, ottenendo appalti ed affidamenti in maniera del tutto illecita. A Roma non c’era mafia. Secondo la Cassazione. Le sentenze si rispettano. Ma le perplessità, i dubbi, le ambiguità permangono tutte”.




MAFIA CAPITALE 2: GRAMAZIO RESTA IN CARCERE, CORATTI AI DOMICILIARI

dI M.L.S.
Roma
– Una pietra sopra, almeno per ora, alla bocca del vulcano dell’inchiesta su “Mafia Capitale”, che ha impegnato il Tribunale del Riesame di Roma nel convalidare la seconda tranche dell’inchiesta. Rigettate, dunque, le richieste di revoca degli arresti, rafforzate, invece, le ipotesi investigative e la tesi che vedrebbe la presunta organizzazione capeggiata da Massimo Carminati, come un’associazione di stampo mafioso.

Dietro le sbarre. Restano, dunque, dietro le sbarre di una cella, l’ex capogruppo Pdl a Via della Pisana e attuale consigliere regionale Luca Gramazio, ritenuto esponente del clan. A fargli compagnia, Nadia Cerrito, il “braccio imprenditoriale” del sodalizio, segretaria e stretta collaboratrice di Salvatore Buzzi.

Domiciliari. La misura cautelare in carcere si è trasformata in arresti domiciliari per Mirko Coratti, ex presidente dell’Assemblea capitolina e per Francesco Ferrara, de “La Cascina”, insieme a Claudio Bolla e Michele Nacamulli, uno dei collaboratori di Buzzi. Confermata la misura detentiva casalinga, invece, per Andrea Tassone, ex presidente del X Municipio (Ostia), Mario Cola, ex dipendente del Comune di Roma Capitale, Fabio Stefoni, ex sindaco di Castelnuovo di Porto.

Indagati a piede libero. Rimangono indagati ma in libertà: Pierina Chiaravalle, Emilio Gammuto, e Angelo Marinelli. Provvedimento meno pesante, invece, per Marco Bruera, Stefano Venditti e Gaetano Altamura.

Volti noti. Le linee dell’inchiesta escono da questa seconda tranche praticamente immutate, come d’altronde la posizione di Gramazio, consigliere comunale ed esponente, secondo il collegio, dell’organizzazione mafiosa. Per i magistrati, infatti, Luca Gramazio:”Prima consigliere al Comune di Roma poi Consigliere regionale del Lazio”, avrebbe messo :“Al servizio dell’organizzazione le sue qualità istituzionali”, svolgendo la sedicente funzione di: “ Collegamento tra l’organizzazione la politica e le istituzioni” ed elaborando:“Insieme a Fabrizio Testa, Buzzi e Massimo Carminati, le strategie di penetrazione della Pubblica amministrazione”. I pm Paolo Ielo, Luca Tescaroli e Giuseppe Cascini non hanno dubbi, Gramazio sarebbe intervenuto: ”Direttamente e indirettamente nei diversi settore della Pubblica amministrazione di interesse dell’associazione”.
Mirco Coratti, ex presidente dell’Assemblea capitolina, sarebbe stato invece al soldi di Buzzi. Secondo la procura, avrebbe ricevuto 100mila euro, con la promessa di altri 150mila nel caso in cui si fosse “attivato” in merito alla richiesta, avanzata da Salvatore Buzzi, di sbloccare un pagamento di 3 milioni di euro sul sociale.
Altra “stella” del firmamento capitolino e figura chiave negli affari illeciti di “Mafia Capitale” sarebbe stata Tiziano Menolascina, della coop La Cascina. Il Menolascina, si sarebbe servito di Luca Odevaine, ex componente del tavolo tecnico dell’immigrazione per il ministero dell’interno, in modo tale da stringere illeciti accordi per l’assegnazione dell’appalto di Mineo.




MAFIA CAPITALE 2: CODACONS ALL'ATTACCO DI NICOLA ZINGARETTI E DI IGNAZIO MARINO

di Cinzia Marchegiani

Roma – Arriva la denuncia del Codacons nei confronti di Nicola Zingaretti e Ignazio Marino proprio sui rapporti tessuti con Salvatore Buzzi: “Il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha detto che se è vero che ha incontrato una volta Buzzi, ciò è avvenuto perché lui incontra centinaia di migliaia di persone per migliaia di questioni. – Commentano dal Codacons – Anche il sindaco Marino – proseguono – dice che i suoi assessori coinvolti non toccano il suo governo. “Come mai allora Zingaretti, dopo decine di richieste del presidente del Codacons fatte per iscritto, non ha mai voluto incontrarlo per affrontare un gravissimo problema di mancanza di fondi nel Lazio relativo alla cura e assistenza ai bambini disabili e per spiegare come mai ad alcune cooperative veniva concesso di essere accreditate e ad altre no? Come mai per i bambini sulla carrozzella non ha mai trovato il tempo di incontrare un presidente della maggiore associazione di cittadini italiana?”

IL CASO DEL PIANO DEL RECUPERO DEL PARCO MONTE MARIO
Il Codacons domanda come sia stato possibile che dopo un formale ricorso al Tar del Lazio del Codacons non ci si è accorti che un funzionario del Consiglio Regionale aveva fatto deliberare che il piano di recupero denominato “Porta del parco di Monte Mario” non si poteva più fare, facendo approvare la delibera 55 del 2008 che approvava il piano della Riserva del Parco di Monte Mario (adottato insieme all’Ente regionale Roma Natura?) Un’ironia neanche troppo velata nel comunicato del Codacons emerge e rimanda al mittente una serie di quesiti: “Per caso quei funzionari di Roma Natura, componenti del Consiglio Direttivo dell’Ente – Ivano Novelli, Fadda Amedeo, Belvisi Mirella, Blasevich Federico, Cavinato Gianpaolo, Malenotti Piero, Neri Fabio, Pietrosanti Paolo, Samperi Massimo e il Direttore pro tempore Vito Consoli – che hanno adottato il Piano della Riserva di Monte Mario, sono ancora in servizio?”

IL GIALLO DELLA REVOCA DEL DEMANIO E L’ARRESTO DI MARCELLO VISCA
Il Codacons non ci sta e chiede anche come mai l’arch. Mirella Giovine – Direttore del Dipartimento Patrimonio Sviluppo e Valorizzazione di Roma Capitale – ha scritto al Codacons con Nota datata 22 gennaio 2015, che il progetto di recupero del parco di Monte Mario non si poteva più realizzare, rifiutando di dare attuazione al piano di interventi approvato con la delibera consiliare del 2004: “Nessuno si era accorto che il demanio aveva revocato il suo assenso alla Regione e al Comune – dichiarano dal Codacons – dando in concessione la stessa area che può rendere milioni di euro al mese solo per i parcheggi alla società flora Energy srl –  per 18000 euro? E nessuno di loro pensa di revocare quelle delibere – continua e precisa il Codacons – dopo che in data 30 ottobre 2014, il componente del comitato di gestione dell’agenzia del demanio Marcello Visca è stato arrestato con l’accusa di aver influenzato la Direzione Regionale dell’Agenzia, in quanto avrebbe confezionato ad arte il bando per l’aggiudicazione della gara pubblica per la concessione dell’area intorno a Piazzale Clodio?”

Intanto la stessa associazione dei consumatori e dei cittadini chiede al Tar di annullare quella concessione e imporre al sindaco Ignazio Marino ed al presidente Nicola Zingaretti di attuare il piano di interventi di riqualificazione deliberato nel 2004 entro 30 giorni.




DANIELE LEODORI AMMETTE I RAPPORTI CON SALVATORE BUZZI

di Cinzia Marchegiani

Roma – Se mafia Capitale seconda edizione sta facendo pressing sui rapporti tra i politici e amministratori con Buzzi, Carminati e Monge il re del CUP e degli abiti usati, rimane evidente come le inchieste giornalistiche e tabella di giornali rappresentino uno strumento per comprendere gli atteggiamenti di taluni politici messi sotto i riflettori di un’indagine giudiziaria.

E il caso del Presidente del Consiglio della Regione Lazio Daniele Leodori emerge con tutte le sue singolari sfaccettature impresse negli tabella di giornale che come atti documentali consegnano alla comunità, ma volendo anche alla Magistratura vigile, repentini cambi di versione in merito a conoscenze e rapporti con i registi de “il Mondo di mezzo”.

Nell'ambito dell'inchiesta de l’Osservatore d’Italia su Mafia Capitale veniva pubblicato il 10 giugno 2015 l'articolo ZAGAROLO E MAFIA CAPITALE 2: QUEL FILO "ROBUSTO" TRA SALVATORE BUZZI, MARIO MONGE E DANIELE LEODORI  dove si evidenziava lo strano caso del Presidente del Consiglio regionale del Lazio Daniele Leodori.

Daniele Leodori era finito nell’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari, dott.ssa Flavia Costantini del Tribunale di Roma dove veniva trascritto il suo nome assieme a quello del senatore Pd Bruno Astorre nelle intercettazioni telefoniche che indicavano i presunti legami tra l'attuale Daniele Leodori e Salvatore Buzzi ma soprattutto con Mario Monge, quest'ultimo presidente della Sol.Co definito il re del business dei migranti e dei cassonetti gialli, arrestato pochi giorni fa, che, nella trascrizione sembra invece conoscere molto bene il presidente del Consiglio Regionale del Lazio. Monge tra l’altro era arrivato fino a Zagarolo per allargare il proprio business con il riciclo degli abiti usati.

L'articolo a firma di Alessandro Rosa, fotografava quindi situazioni e atteggiamenti meritevoli di chiarimenti da parte del presidente Daniele Leodori che sui vari giornali, raccontava di sporgere querela nei confronti di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati perché lui non li conosceva, mentre quando era vice sindaco di Zagarolo, arrivava Salvatore Buzzi con la sua cooperativa 29 giugno per gestire la raccolta dei rifiuti del centro storico del Comune.

Ma sono proprio gli tabella di giornale a scattare un’istantanea interessante nei confronti delle affermazioni e azioni di Daniele Leodori:

1) Il 7 Dicembre 2014 sul Corriere della Sera “Mafia Capitale, Buzzi si vantava: abbiamo 11 consiglieri comunali”: Daniele Leodori (Pd) sporge querela nei confronti di Buzzi e Carminati, si legge: Non c’è solo il Campidoglio, naturalmente. Anzi, nel commentare le regionali, Carminati fa cenno al fatto che 'oltre al Gramazio il sodalizio avrebbe vantato anche la conoscenza del “più votato” dello schieramento di sinistra'. Sarebbe Daniele Leodori (Pd), presidente del consiglio regionale che smentisce: "Non conosco né Carminati, né Buzzi. Ho già sporto querela".
2) Il 10 Giugno 2015 l’inchiesta de l’Osservatore d’Italia: “ZAGAROLO E MAFIA CAPITALE 2: QUEL FILO "ROBUSTO" TRA SALVATORE BUZZI, MARIO MONGE E DANIELE LEODORI” fa emergere come era alquanto improbabile che Daniele Leodori non conoscesse Salvatore Buzzi, infatti nel 1996 Daniele Leodori era vicesindaco di Zagarolo e proprio in quell’anno Salvatore Buzzi gestiva la raccolta rifiuti del centro storico della cittadina, trascinando tra l’altro una chiacchierata gestione tra la Coop 29 Giugno e la Italo Australiana, quest’ultima, si legge nei giornali, era stata estromessa dalla gestione rifiuti nel centro storico.
3) L’11 Giugno 2015, il Messaggero, dopo appena un giorno dall'articolo de L'Osservatore d'Italia:
“MAFIA CAPITALE, IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE DANIELE LEODORI: "MAI OCCUPATO DI APPALTI CUP” Qui Daniele Leodori intervistato risponde: “Quelle tre persone che parlano di me, nell'intercettazione su Mafia Capitale, non le conosco. Ripeto: non le conosco".
D: Daniele Leodori, presidente del consiglio regionale e uomo forte del Pd in provincia, è indicato da alcuni collaboratori di Buzzi – Guarany e Cardarelli – come una sponda per l'appalto del Cup. Un'accusa molto grave.
R: "Gravissima. Non ho idea perché facciano il mio nome. Io non mi sono occupato mai di quella gara, di questo sono certo".
D:Però conosceva Buzzi. Ci sono state alcune telefonate tra lei e il grande capo della 29 giugno.
R:"Ho conosciuto Buzzi nel 1996, quando a Zagarolo la sua coop si occupava per il Comune della raccolta porta a porta. Divenni vicesindaco dopo che era già stato dato l'incarico, nel 2000 venni eletto sindaco e dopo un anno non rinnovai l'appalto, affidai il servizio a Gaia, un consorzio pubblico. La 29 Giugno uscì da Zagarolo".
D:Dal 2001 non vi siete più sentiti?
"No, mai, fino a settembre 2014 quando abbiamo avuto un contatto telefonico. Mi chiede un incontro, io gli dico che se capita in Consiglio posso riceverlo ma non in una determinata fascia oraria, quando non ci sono. Lui viene alla Pisana proprio in quella fascia oraria e non mi trova. Segue un'altra telefonata: lui riceve una chiamata dalla Pisana, mi telefona e mi chiede se è un mio collaboratore, io dico che è una persona che lavora in Consiglio e la cosa finisce lì".

IL CASO DANIELE LEODORI NON FACILITA IL LAVORO DELLA MAGISTRATURA

E ora il caso del presidente del Consiglio regionale del Lazio Daniele Leodori emerge con tutti gli ossimori che la Magistratura terrà con tutta probabilità in considerazione:
Il 7 dicembre 2014 Daniele Leodori dichiara ad un giornale – per difendersi dagli attacchi ndr. –  che ha sporto querela perché non conosce né Salvatore Buzzi né Massimo Carminati. Messo sotto pressione anche dalle varie inchieste giornalistiche ritratta il tutto e smentisce se stesso, dichiarando addirittura che nel settembre 2014, quindi tre mesi prima della sua querela annunciata a mezzo stampa a Buzzi e Carminati, afferma di aver sentito telefonicamente Salvatore Buzzi e di avergli dato appuntamento alla Pisana, che a sempre a detta di Daniele Leodori non si consumerà mai.

Spiace che con Mafia Capitale, le smentite arrivino solo quando i politici vengono messi con le spalle al muro, poiché quando c’è un’indagine della Magistratura, dovrebbe essere un obbligo e un dovere etico degli stessi politici, indagati o meno, di raccontare le proprie vicende, affinché i Pm possano avere un quadro ben preciso delle dinamiche avvenute nelle stanze del potere amministrativo, invece gli stessi inquirenti sembrano dover lavorare "contro corrente".

Per ora il lettore osserva chiedendosi, quante cosa Mafia Capitale ancora nasconde? Possibile che non ci sia collaborazione tra politica e Magistratura?




CIAMPINO E MAFIA CAPITALE 2: LEROY MERLIN, IL CAMPO ROM, IL PD E… LA SEGRETERIA DI IGNAZIO MARINO


A Ciampino, Buzzi aveva intenzione di mettere le mani sul progetto del colosso francese che voleva costruire un campo nomadi spendendo 11,5 milioni di euro in cambio di una concessione edilizia.

 

di Maurizio Costa

Ciampino (RM) – I lunghi tentacoli di Mafia Capitale e delle cooperative di Salvatore Buzzi sono arrivati anche nei campi nomadi, un pozzo di denaro pubblico dal quale ricavare guadagni attraverso bandi e affidamenti. Il campo nomadi in zona La Barbuta a Ciampino sarebbe da tempo entrato nel mirino di Buzzi, che avrebbe contattato anche Leroy Merlin per un progetto da realizzare in collaborazione con il comune di Roma.

Il caso – Leroy Merlin, il colosso del fai-da-te francese, avrebbe voluto far partire un progetto da 11 milioni e mezzo di euro per smantellare il campo nomadi attuale in zona La Barbuta e costruirne un altro nei pressi dell'aeroporto di Ciampino. La zona così liberata sarebbe entrata in possesso della catena francese, che avrebbe acquisito ad uso commerciale la zona dell'attuale campo per 99 anni.

Buzzi – Il braccio destro di Carminati ci aveva visto lungo e voleva entrare in questo progetto milionario: “Ho visto una cosa enorme, sono stato a un incontro con Leroy Merlin”, così raccontava Buzzi a Carlo Guarany il 17 settembre 2014. “10 milioni sul sociale, sui nomadi o sugli immigrati o sugli asili nido o su quel cazzo che vuoi tu. Sono disposti a fare un'associazione temporanea di imprese. Leroy Merlin, costruttori e noi, che gestiremmo la quota dei 10 milioni”.

L'associazione temporanea di imprese era già pronta. Insieme a Leroy Merlin, nel progetto sarebbe entrata l'impresa edile Stradaioli Srl e la cooperativa sociale Capodarco, indagata, attraverso il presidente Maurizio Marotta, nel filone di Mafia Capitale. Il tutto sarebbe stato fatto senza alcuna bando di assegnazione.

L'intercettazione con la segreteria Marino
– Buzzi, odorando profumo di soldi, invia la sua proposta di collaborazione al progetto a Lionello Cosentino, segretario del Partito Democratico romano. A questo punto, Silvia Decina, segretaria di Ignazio Marino, chiama Salvatore Buzzi: “Ti volevo dire che Lionello mi ha dato la documentazione per Ignazio sulla Leroy Merlin. Adesso Ignazio l’ha vista e sta facendo convocare una riunione di staff”. Buzzi: “Gli è piaciuta al Sindaco?”.
Decina: “Moltissimo. Però ha chiesto che la seguissimo noi qui direttamente dal Gabinetto, perché se inizia a passare per tutti gli assessorati non ne usciamo vivi con questo”.

Decina non conoscerebbe Buzzi perché durante la telefonata sarebbero state fatte lunghe presentazioni. Secondo il Campidoglio, la telefonata sarebbe del tutto irrilevante. Inoltre, Buzzi e Carminati volevano raggirare anche la multinazionale francese: "Tu apri un finto cantiere – dice Carminati a Buzzi -. Poi, una volta che te portano via tutto, gli dici: "Mo io qui che faccio? Non posso lavora'. Quindi, dammi un altro posto"". In poche parole, aprire un finto cantiere per poi spostarsi in una zona migliore.

Ricordiamo che L'Osservatore d'Italia già da tempo ha seguito il problema del campo nomadi a La Barbuta, prima di Mafia Capitale. Il nostro stesso giornale aveva pubblicato dei dati incredibili: secondo i documenti del comune di Roma, Salvatore Buzzi, attraverso la gestione della bonifica fognaria del campo nomadi attuale, ha guadagnato ben 30mila euro. L'affidamento del lavoro fu fatto senza bando ma con delibera dirigenziale.




MAFIA CAPITALE 2: FRATELLI D’ITALIA PUNTA IL DITO SU IGNAZIO MARINO E ANGELINO ALFANO

di Cinzia Marchegiani

Roma –Al governo Rampelli presenta l'Interrogazione sulle iniziative volte a garantire il rispetto da parte delle amministrazioni locali delle vigenti normative in materia di appalti relativi al sistema di gestione dell'accoglienza e dell'assistenza degli emigranti". In base all’accesso agli atti, chiesto da Fratelli d’Italia, è stato scoperto che il sindaco Ignazio Marino, al contrario di ciò che afferma, ha svolto soltanto 1% di gare pubbliche su 221 milioni di spesa sociale. E mentre le risorse per i servizi ai disabili sono diminuite del 30%, quelle per i servizi agli immigrati sono aumentate del 600%. Il ministro Alfano ha autorizzato la deroga per l’arrivo di 3000 immigrati a Roma, rispetto ai 250 stabiliti dal suo stesso dicastero. E quella deroga andava in perfetta coincidenza con le richieste fatte dal principale imputato di Mafia Capitale: Luca Odevaine. Grazie a lui, e al ministro Alfano, le periferie di Roma sono state letteralmente invase da immigrati aumentando le tensioni sociali in aree già fortemente a rischio, come Tor Sapienza. Questa curiosa coincidenza dimostra una responsabilità politica oggettiva del ministro Alfano e del sindaco Marino. L’unica strada d’uscita al commissariamento della Capitale d’Italia per mafia sono le dimissioni immediate.
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ZAGAROLO E MAFIA CAPITALE 2: QUEL FILO "ROBUSTO" TRA SALVATORE BUZZI, MARIO MONGE E DANIELE LEODORI

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di Alessandro Rosa
Zagarolo (RM) – Se Mafia Capitale sta passando al setaccio legami indissolubili tra amministratori, politici e i “re” delle cooperative sociali che hanno foraggiato partiti, consiglieri e assessori, giorno per giorno, ora si sta facendo luce sui rapporti di corruzione, criminalità e gestione del patrimonio pubblico.
Zagarolo, comune alle porte di Roma è stato il primo ad essere stato nominato da Salvatore Buzzi, oggi accusato di mafia, con 174 appalti in dieci anni, ha incassato un tesoretto finito nelle casse delle cooperative a lui riconducibili di ben 34 milioni di euro, grazie alla galassia di appalti minuziosamente tessuti nel cuore di Roma, ma non solo. Studiando le carte delle intercettazioni e determine della Provincia di Roma, oltre quelle dello stesso Comune di Zagarolo emerge come i rapporti tra Salvatore Buzzi, Mario Monge e Daniele Leodori siano legati da un filo robusto come l’acciaio.

INTERCETTAZIONI EMERSE NELL’ORDINANZA DI APPLICAZIONE DI MISURE CAUTELARI
Nell’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari, dott.ssa Flavia Costantini del Tribunale di Roma vengono trascritte le intercettazioni che fanno emergere i legami tra l'attuale Presidente del Consiglio regionale del Lazio Daniele Leodori e Salvatore Buzzi ma soprattutto con Mario Monge, quest'ultimo presidente della Sol.Co definito il re del business dei migranti e dei cassonetti gialli, arrestato pochi giorni fa, che sembra invece conoscere molto bene il presidente del Consiglio ewgionale del Lazio.
Monge aveva avuto l’idea di allacciare affari a Zagarolo proprio sui cassonetti gialli, dove avrebbe fatto riciclare i rifiuti tessili in un impianto localizzato a Valle Martella, di cui noi de l’Osservatore d’Italia per primi avevamo trovato il documento inedito.

Nell’ordinanza di applicazione di misure cautelari si legge:

I fatti del 9 maggio Il venerdì 9 maggio, a Piazza Tuscolo, – nel quartiere Appio Latino della capitale Ndr. – avveniva un incontro tra Buzzi, Gramazio e soggetti non individuati nelle loro generalità. Poco dopo l’incontro, Buzzi chiamava Caldarelli per un appuntamento relativo al CUP (fissato al bar Shangrillà, di lì a poco; incontro che avveniva e al quale partecipavano oltre a Buzzi, Carminati, Testa, i quali poco dopo venivano raggiunti da Gramazio e dallo stesso Caldarelli).
Alle13,23, veniva intercettato un dialogo in via Pomona 63, nel corso del quale Buzzi informava Guarany, Bolla, Bugitti e Garrone che avrebbero partecipato alla “gara” della Regione Lazio

Legenda:
CC Claudio Caladrelli
CG Carlo Guarany

CC: è D’Amato potrebbe esser.. bravo…
CG: (inc)
CC: no no D’Amato.. allora è D’Amato dai.. allora è D’Amato.. mo bisogna capì se gli hanno dato un’azienda.. capito?…se gli hanno dato un’azienda loro..
CG:invece Monge c’ha detto che Astorre (fonetico) pure se sta a muove Leodori (Daniele Leodori , ndr) l’ha chiamato…
CC: (inc) saputo un cazzo..
CG: che sarebbe contro Marotta, tutta la banda Astorre.. Leodori.. quindi, nel caso se dovessimo decide de anda’ con SOLCO, ce potremmo aggregà co… oppure quell’altra strada sarebbe quella de anda’ all’opposizione.. sceglie una strada all’opposizione..
CC: all’opposizione devi far fare l’interrogazione.. ste cose..
CG: no bhè..li fai chiama’..(inc)

CC: si e certo ma te da. .è.. la parte nostra..ehh..certo..
CG: ma dobbiamo sceglie la strada politica pure.. capito.. la strada politica son 2..o dentro il PD, che sarebbe questa de Leodori..
CC: il problema che lì c’è un lotto che è l’NTA (fonetico) che se lo vuole mantene… S: che è?
CC: è un’altra società che sta.. sta dentro la ASL.. sta già dentro…già sta dentro
CG: c’ha lo Spallanzani, me pare che c’ha?
CC: si…e praticamente il primo lotto.. il primo andrebbe all’NTA.. questo qui…e lui dice però dice queste qui lui la vorrebbe far annullare perché dice

CG: si
CC: mo andrà.. andrà accorpato con la E in futuro…dice dice e allora (inc) dice sta questione qua.. poi non son garantiti i posti di lavoro.. non son garantiti…

LA COOP 29 GIUGNO SUBENTRA NELLA GESTIONE DEI RIFIUTI DEL CENTRO DI ZAGAROLO NEL 1996 CON MOLTE OMBRE
"Nel 1996 cominciammo con i rifiuti e non abbiamo più smesso – ricorda Buzzi alla moglie Alessandra Garrone, il 17 novembre 2013 – cominciammo il 29 giugno… pensa… a Palombara e Zagarolo insieme, poi nel 1999 viene Formula Sociale, nel 2003 Eriches.. aah, i barboni li abbiamo incominciati a fà nel 2000". Un successo che il compagno Buzzi, sintetizza così: "Da due… a cinquantasei. De che stamo a parlà ? ". Due i milioni di euro che fatturava nel 1996, diventati 56 milioni nel 2013.
Ed è vero. La coop 29 giugno di Salvatore Buzzi gestiva la raccolta dei rifiuti al centro storico di Zagarolo. Ma su queste procedure si erano sollevate importanti contestazioni finite anche nel consiglio comunale del 23 dicembre 1997 poiché era stata tolta alla ditta “Italo Australiana” la gestione dei rifiuti invece assegnata alla Coop 29 Giugno. Ricordiamo che nel 1995 il sindaco eletto era Sandro Vallerotonda, tra i consiglieri di Centro Sinistra ritroviamo anche l’attuale sindaco eletto alle elezioni del 31 maggio 2015, Lorenzo Piazzai, mentre Daniele Leodori nel 1996 diventa vicesindaco e sarà in carica fino al 2000 quando poi le nuove elezioni lo incoroneranno sindaco per due mandati consecutivi.
In quel consiglio di fine dicembre 1997, si legge, Il Sindaco Vallerotonda convoca a fine consiglio i capi gruppo su richiesta avanzata della ditta Italo Americana (estromessa dalla raccolta rifiuti del centro storico) che chiedeva gli arretrati ed adeguamenti del vecchio contratto, che per l’azienda ammontavano a 1.300 milioni e poi scesi per magia a 200 milioni. Qui i Capi Gruppo decisero che la Italo Australiana andava liquidata in una sola volta in via definitiva. Ma il dubbio che emerse poi, anche messo nero su bianco nei giornali di allora, che il nuovo appalto commissionato sia alla ditta Italo Autraliana (che continuava la raccolta rifiuti forence, cioè fuori il centro storico) e la Coop 29 Giugno solo il centro storico, non aveva prodotto alcun vantaggio se non pagare quanto prima un servizio che diventava meno efficiente e senza le innovazioni della raccolta differenziata.

DANIELE LEODORI SPORGEVA QUERELA DICENDO DI NON CONOSCERE SALVATORE BUZZI

In data 7 dicembre 2014 sul Corriere della sera si leggeva: “Non c’è solo il Campidoglio, naturalmente. Anzi, nel commentare le regionali, Carminati fa cenno al fatto che «oltre al Gramazio il sodalizio avrebbe vantato anche la conoscenza del “più votato” dello schieramento di sinistra». Sarebbe Daniele Leodori (Pd), presidente del consiglio regionale che smentisce: «Non conosco né Carminati, né Buzzi. Ho già sporto querela»

Insomma Daniele Leodori con forza affermava di non conoscere Salvatore Buzzi, ma lo stesso era il primo gestore dei rifiuti proprio a Zagarolo quando era vice Sindaco, e che tra l’altro aveva sollevato un vespaio proprio con la sostituzione della Italo Australiana, infatti le due ditte spartendosi la location dei rifiuti non avrebbero né migliorato il costo per la collettività e a quanto pare, dalle affermazioni sui giornali, diminuendo invero servizi al cittadino.

MARIO MONGE DELLA SOL.CO, RE DEL BUSINNES DEI MIGRANTI, DEI CASSONENTTI GIALLI,  DEL SERVIZIO CUP
Mario Monge è stato arrestato assieme ad altri 43 personaggi in seguito all’ordinanza del 29 maggio 2015, dove si chiedeva ad ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria che gli indagati dovevano essere catturati ed immediatamente condotti in un istituto di custodia per rimanervi a disposizione dell’autorità giudiziaria, applicando la misura cautelare degli arresti domiciliari presso il luogo di loro residenza o in domicilio indicato al momento dell’esecuzione e ritenuto idoneo.
Gramazio, Scozzafava, Carminati, Buzzi, Caldarelli, Gammuto, Guarany, Monge, Testa, Bugitti, Di Ninno, Garrone, Nacamulli indagati per reato di cui agli artt. 326, 353 c.p. 7 D. L. 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella L. 12 luglio 1991, n. 203 perché, nelle qualità indicate, in concorso tra loro, previo concerto tra Testa, Buzzi, Carminati e Gramazio, i quali elaboravano il progetto di partecipazione alla gara, assumevano le determinazioni generali in ordine alla turbativa e utilizzavano il ruolo di Gramazio, espressione dell’opposizione in Consiglio Regionale per rivendicare, nel quadro di un accordo lottizzatorio, una quota dell’appalto con l’accordo di Monge che metteva a disposizione lo strumento della cooperativa Sol. Co. con l’accordo di Caldarelli, Gammuto, Guarany, Di Ninno, Garrone, Bugitti e Nacamulli i quali partecipavano anche a riunioni intese a incidere sul regolare andamento della gara, in concorso con altri mediante intese, collusioni e accordi fraudolenti tra i partecipanti alla gara e con Angelo Scozzafava, pubblico ufficiale componente la commissione di aggiudicazione- il quale, anche violando il segreto d’ufficio al fine di garantire benefici economici, comunicava a Buzzi e a Testa lo sviluppo delle decisioni della commissione medesima, le offerte degli altri concorrenti e ogni altra notizia utile al raggiungimento dello scopo -, finalizzati a ottenere per RTI Sol.Co. l’aggiudicazione di uno dei lotti in concorso, turbavano la gara comunitaria centralizzata a procedura aperta finalizzata all’acquisizione del servizio CUP occorrente alle Aziende Sanitarie della Regione Lazio” per un importo di “91.443.027,75 EUR senza IVA, indetta dalla Regione Lazio – Direzione Regionale Centrale Acquisti, con l’aggravante per Gramazio, Scozzafava, Carminati, Buzzi, Caldarelli, Gammuto, Guarany, Testa, Bugitti, Di Ninno, Garrone, Nacamulli di aver agito al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso facente capo a Buzzi e Carminati.


MARIO MONGE TESSE IL BUSINESS DEGLI ABITI USATI A ZAGAROLO
Durante le indagini, noi de L'Osservatore d'Italia avevamo fatto diverse visure camerali e siamo entrati in possesso di un documento, a nostro dire, importante che porta Mario Monge e il suo business dei rifiuti fino a Zagarolo, precisamente nella zona di Valle Martella.
Ricordiamo che il rappresentante legale della Sol.co avrebbe gestito tra i vari business anche quello degli abiti usati. Sempre in una nostra inchiesta – spiegava il collega Maurizio Costa – si svelò che la cooperativa New Horizons, facente parte sempre della Sol.Co., ha gestito per anni i cassonetti gialli per la raccolta degli abiti usati, avendo tra le mani un business milionario. In quel caso, uscì la notizia che gli abiti usati, invece che essere donati ai poveri, sarebbero stati venduti all'estero o ad aziende italiane.
Mario Monge, è riuscito a trasformare il business dei cassonetti giallo con quello del trattamento dei rifiuti tessili e presenta all’ufficio SUAP della Comunità Montana dei Castelli Romani e Prenestini una istanza di Autorizzazione Unica Ambientale per l’inizio attività di recupero di rifiuti non pericolosi per l’impianto sito in Via Prenestina Nuova Km 3,500 località Valle Martella. Qui la Provincia di Roma, – oggi Città Metropolitana – con la Determinazione dirigenziale firmata dal Direttore del Dipartimento Ing Claudio Vesselli, prendendo atto che la Sol.co era iscritta al n.680 nel registro delle imprese che hanno effettuato comunicazione di inizio attività per il recupero della materia dei rifiuti non pericolosi, autorizzava la Sol.co alle operazioni di recupero nell’impianto per un quantitativo complessivo di rifiuti di 1500 tonnellate annue.
La costruzione dell’impianto invece era stata autorizzata ai sensi del Dlgs 152/06 del Servizio Tutela Aria e Energia del dipartimento Provincia di Roma.

SALVATORE BUZZI, MARIO MONGE E DANIELE LEODORI TRA INTERCETTAZIONI E ATTI AMMINISTRATIVI AL VAGLIO DELLA MAGISTRATURA
Sarà l'Autorità giudiziaria a capire le sfumature, le verità ed i legami che collegano anche Zagarolo con il “Mondo di Mezzo”. Le intercettazioni fanno emergere come Monge conoscesse il senatore Pd Bruno Astorre e il presidente del Consiglio regionale del Lazio Daniele Leodori.

La Coop 29 Giugno nello smaltimento dei rifiuti non è solo è citata nelle intercettazioni dello stesso Buzzi, ma sta agli atti dell’amministrazione di Zagarolo, che tra l’altro lascia dietro di sé una storia controversa mai approfondita. Gli amministratori locali di allora avevano tutte le possibilità di conoscere chi nel proprio paese gestiva la raccolta dei rifiuti. E ora il re del business dei migranti e dei panni usati aveva intercettato, grazie alla determinazione dirigenziale firmata dal Direttore del Dipartimento Ing Claudio Vesselli della ormai ex Provincia di Roma, nel gennaio 2014 un impianto dove portare tutti gli abiti che fruttavano con i cassonetti gialli.
 




MAFIA CAPITALE, BUFERA IN REGIONE LAZIO: SI DIMETTE IL PRESIDENTE DEL GRUPPO PD MARCO VINCENZI

Redazione

Roma – "In merito a notizie che mi riguardano pubblicate questa mattina dagli organi di stampa, smentisco di aver presentato in Consiglio regionale emendamenti per finanziare il comune di Roma o i suoi municipi. Non corrispondono nel modo più assoluto a verità e sono destituite di fondamento, quindi, le affermazioni di Salvatore Buzzi su un mio presunto interessamento per far ricevere al municipio di Ostia 600mila euro o qualsiasi altra cifra". Lo dichiara Marco Vincenzi, presidente del gruppo del Partito Democratico alla Regione Lazio in una nota in cui annuncia le dimissioni da capogruppo. "Di conseguenza, e lo sottolineo per evitare qualsiasi fraintendimento, non possono essere stati approvati in Consiglio regionale emendamenti del sottoscritto per elargire fondi ad Ostia – sottolinea – agli altri municipi della Capitale o al comune di Roma. Ho visto due volte Salvatore Buzzi su sua sollecitazione – continua Vincenzi – e nel corso degli incontri mi aveva chiesto di intercedere per far ottenere fondi ad Ostia. Una richiesta alla quale non ho dato alcun seguito». «D'altra parte, anche il Ros dei carabinieri – prosegue – non ha trovato alcun riscontro alle affermazioni, false, di Salvatore Buzzi come è facile evincere dalle conclusioni dell'informativa dei militari dell'Arma che hanno scritto – cito testualmente – 'Allo stato delle attuali conoscenze investigative, e dal contesto delle telefonate/dialoghi intercettati, non si è in grado di indicare se …. i 600mila euro da ottenere con l'aiuto di Marco Vincenzi siano stati finanziati da parte della Regione Laziò. I carabinieri si limitano solo ad una presunzione che, lo ripeto ancora una volta, non ha alcun riscontro nella realtà dei fatti". "Per questo continuo ad essere sereno ed avere piena fiducia e rispetto nell'attività della Magistratura. Mi riservo infine di tutelare nelle sedi competenti – continua Vincenzi – la mia immagine e onorabilità, oltre che quella della Regione Lazio, da notizie palesemente false su emendamenti per favorire gli affari illeciti di mafia capitale che non ho mai presentato, come purtroppo è già accaduto leggendo questa mattina alcuni organi di stampa». «Sottolineo – conclude Vincenzi – che non ho ricevuto alcun avviso di garanzia e ribadisco di essere assolutamente estraneo da qualsiasi responsabilità. Nell'interesse del gruppo Pd alla Regione, dell'Amministrazione regionale e del Partito Democratico, rassegno le dimissioni da capogruppo ringraziando i colleghi consiglieri per la fiducia che mi hanno accordato"
 




MAFIA CAPITALE, APPALTI TRUCCATI PER L'AULA GIULIO CESARE: 6 ARRESTI

Redazione

Mafia Capitale 2 – Questa mattina il Comando Unità Speciali della Guardia di Finanza di Roma ha eseguito un'operazione di polizia giudiziaria disposta dalla Procura della Repubblica capitolina nel settore degli appalti pubblici e di contrasto alle frodi fiscali. In tale ambito, è stata eseguita un'ordinanza di custodia cautelare personale emessa dal Gip di Roma nei confronti di 6 soggetti – (tutti in stato di arresto, eccezion fatta per un soggetto recentemente deceduto), tra i quali un alto dirigente in servizio alla Sovrintendenza dei beni culturali di Roma Capitale che avrebbe favorito l'imprenditore romano Amore Fabrizio nell'iter procedurale per l'aggiudicazione di gare pubbliche. Tra le gare "truccate" scoperte dalla Finanza, vi è quella relativa al restauro dell'aula Giulio Cesare del palazzo Senatorio, aula ove si riunisce il consiglio comunale della Capitale, che è stata affidata a trattativa privata al citato imprenditore, risultato coinvolto anche nell'inchiesta "mafia capitale".

Le indagini. Dagli accertamenti eseguiti è emerso come l'imprenditore arrestato fosse più che sicuro dell'aggiudicazione della gara, avendo stipulato contratti ed effettuato pagamenti in acconto ai subappaltatori alcuni giorni prima dell'apertura delle buste contenenti le offerte. In sostanza, il pactum sceleris ha fatto sì che fossero invitate alla procedura di gara esclusivamente società riconducibili allo stesso soggetto economico. La rete di conoscenze che l'imprenditore vanta all'interno degli uffici di Roma Capitale è risultata alquanto estesa e ramificata poiché lo stesso, tramite sue società, controllate da società lussemburghesi, ha concesso in locazione al comune due strutture residenziali in zona Ardeatina per la gestione delle emergenze abitative della Capitale. Il comune di Roma, sottolineano gli investigatori, ha pagato per diversi anni canoni di locazione particolarmente elevati, pari a circa 2.250 euro al mese, per ogni mini appartamento. Nel corso delle indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Roma si è anche accertato che alcune unità immobiliari, anziché essere destinate alle emergenze abitative, così come previsto nel contratto di locazione, sono state utilizzate dall'imprenditore per fini propri. Le indagini hanno consentito di ricostruire una imponente evasione fiscale, per oltre 11 milioni di euro, attuata dall'imprenditore e dai suoi collaboratori, attraverso un gruppo di società residenti, controllate da imprese estere con sede in Lussemburgo. A seguito dell'esecuzione di intercettazioni telefoniche e di numerose perquisizioni locali nei confronti di imprese, studi legali e commercialisti, nonché presso abitazioni di persone fisiche sono stati acquisiti molteplici elementi di prova in ordine alla riconducibilità in termini di proprietà e gestione delle società residenti ed estere in capo all'imprenditore arrestato. I reati contestati sono quelli dell'associazione a delinquere, truffa aggravata e continuata in danno del comune di Roma, falso, turbativa d'asta, emissione e utilizzo di fatture false, indebite compensazioni d'imposta, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte con l'aggravante del reato transnazionale, commesso in Roma, Lussemburgo e altrove. Allo stato delle indagini sono stati denunciati all'Autorità Giudiziaria 20 soggetti, nonché, in riferimento al reato di truffa per la percezione di indebiti canoni di locazione, sono state segnalate 3 società per la responsabilità amministrativa dipendente da reato




MAFIA CAPITALE 2: ALTRA TEGOLA SUL CINEMA AQUILA, TRA ARRESTATI E INDAGATI I CONTI TORNANO

 

Il presidente del consorzio Sol.Co., Mario Monge, ha vinto il bando per l'assegnazione del Nuovo Cinema Aquila, bene espropriato alla mafia. Adesso Monge è ai domiciliari, l'ex Direttore del XIX Dipartimento di Roma, che concesse il cinema al Sol.Co., è indagata nel filone di Mafia Capitale e il comune di Roma ha revocato la gestione del bene al consorzio di Monge.

 

di Maurizio Costa

Roma – Continua l'inchiesta de L'Osservatore d'Italia sul Nuovo Cinema Aquila, bene espropriato alla mafia e concesso dal comune di Roma al consorzio Sol.Co. Di Mario Monge. Mirella Di Giovine, ex Direttore del XIX Dipartimento di Roma, che concesse la gestione del cinema al Sol.Co., è indagata nell'inchiesta di Mafia Capitale.

Di Giovine promosse direttamente la stesura del bando di affidamento del Cinema Aquila nel 2004. Poi, quando il Sol.Co. vinse il bando, dopo essere ricorso al Tar, Di Giovine consegnò direttamente l'immobile a Mario Monge, arrestato dal Ros con l'inchiesta di Mafia Capitale.

Il 20 maggio 2008, Di Giovine firma un documento da consegnare alla prefettura, nel quale si legge che la ristrutturazione del cinema è completata e che “si sta procedendo alla consegna formale del Nuovo Cinema Aquila con Atto di Convenzione a favore della Cooperativa Sol.Co.”.

La consegna arriva tre giorni dopo, con la convenzione numero 8862. L'atto è firmato direttamente da Mirella Di Giovine, “la quale agisce in nome e per conto dell'Ente che rappresenta (il Dipartimento XIX n.d.r.)”, e Mario Monge, rappresentante del Sol.Co.

Mario Monge è agli arresti domiciliari perché sarebbe entrato in affari con Salvatore Buzzi per quel che riguarda un appalto per la gestione dei Cup “finalizzato all'acquisizione del servizio CUP occorrente alle Aziende Sanitarie della Regione Lazio per un importo di 91.443.027,75 euro”.

Inoltre, il Nuovo Cinema Aquila è stato espropriato dalla gestione del Sol.Co., che è andato contro le regole del bando di assegnazione subappaltando il bene alla cooperativa sociale “N.C.A.”.

La nostra inchiesta è andata a fondo è ha scoperchiato un business che avrebbe fatto girare centinaia di migliaia di euro.




MAFIA CAPITALE, IL GIP: "ECCO COME ODEVAINE EVITAVA L'ANTIRICICLAGGIO"

Redazione
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La vicenda Mafia Capitale è talmente ingarbugliata che man mano che vengono svolte indagini, il puzzle è sempre più comprensibile. E’ una vicenda che coinvolge politica, criminalità e finanza e le novità sono sempre dietro l’angolo e spesso anche sconvolgenti, come il coinvolgimento di Alemanno all’interno della vicenda.  Aveva affari in Venezuela Luca Odevaine, componente del Tavolo di Coordinamento Nazionale sui flussi migratori non programmati almeno fino all’ottobre del 2014. In Sudamerica stava cercando di avviare una serie di iniziative imprenditoriali che portava avanti anche grazie ai soldi, provento di corruzione, che intascava dai dirigenti del gruppo “La Cascina”. Per il gip Flavia Costantini, che ha respinto una nuova misura cautelare per lui, considerato che è detenuto da dicembre a Torino e che resterà in carcere altro tempo ancora figurando tra gli imputati del giudizio immediato, e’ indicativa una conversazione del 27 marzo 2014 tra Odevaine e il suo uomo di fiducia: il primo, raccomandando “assoluta riservatezza”, dice all’altro di aver ricevuto denaro in contante, “parte del quale gli consegnava dandogli istruzioni per effettuare versamenti frazionati per importi inferiori ai 5 mila euro” e spiegandogli come evitare che l’istituto bancario facesse la segnalazione in base alla legge sull’antiriciclaggio. Odevaine: “M’hanno dato dei soldi… che devo versare in Venezuela… però me li hanno dati ieri sera per cui stamattina sò andato in banca qua al Monte dei Paschi … e non posso versarli tutti perché sennò mi fanno la segnalazione all’antiriciclaggio… più di 5mila euro per ogni versamento ti segnalano subito… ora per evitare la segnalazione io ho versato 4500 euro a Monte dei Paschi stamattina più altri 4mila e 5 li versiamo domani… poi se tu fai la stessa cosa adesso li’ alla Banca Popolare di Vicenza 4 e 5 oggi, 4 e 5 domani, sono 9 9…18 mi sa che bisognerà fare poi la settimana prossima un altro paio di versamenti, io te li lascio a casa…. le buste gia’ divise con 4 mila e 5 e la settimana prossima li vai a versare… mi sa che complessivamente m’hanno dato circa 30mila euro da versare…”. Gli investigatori dei Ros hanno documentato almeno cinque episodi che con certezza evidenziano “l’effettiva consegna delle somme di denaro” che Odevaine ha pattuito con i dirigenti del gruppo La Cascina. “Le indagini – sottolinea il gip – hanno consentito di individuare gli investimenti di Odevaine all’estero in piena corrispondenza con quanto icasticamente osservato da Salvatore Buzzi che in una conversazione, intercettata nei suoi uffici il 28 marzo del 2014, chiede ai suoi collaboratori: ‘No scusa ma se Odevaine c’ha tutta sta roba, scusa, perché se tu sei stipendiato dal Comune e pigli 3mila euro al mese come fai ad averci un impero in Venezuela? Scusa ma c’ha mezzo Venezuela! come se l’è fatto? col risparmio dello stipendio?'”.. E del resto è lo stesso Odevaine, in un dialogo del 24 ottobre 2014, intercettato, con il commercialista Stefano Bravo a spiegare il nesso “tra le retribuzioni concordate e ricevute dal gruppo La Cascina e il suo ruolo all’interno del Tavolo di Coordinamenti: “… chiaramente stando a questo Tavolo nazionale… avendo questa relazione continua con il Ministero… sono in grado un po’ di orientare i flussi che arrivano da giu’ anche perche’ spesso passano per Mineo e poi da Mineo vengono smistati in giro per l’Italia per cui un po’ a Roma e un po’ nel resto d’Italia”.