Mafia nigeriana, in manette 16 persone

La Polizia di Stato ha eseguito numerose ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Tribunale di Torino, su delega della Procura della Repubblica di Torino, nei confronti di un gruppo di cittadini nigeriani sospettati di appartenere al sodalizio criminale di stampo mafioso denominato “EIYE”.

I provvedimenti restrittivi sono stati disposti all’esito di lunghe e complesse indagini e hanno riguardato complessivamente 16 persone, delle quali 11 sono state rintracciate sul territorio nazionale.

Per la realizzazione della fase esecutiva, sono stati impiegati complessivamente oltre 100 uomini della Polizia di Stato, con l’utilizzo di Reparti di rinforzo del controllo del territorio. Oltre alla Squadra Mobile di Torino, l’attività ha coinvolto anche gli omologhi uffici delle Questure di Cuneo, Varese, Bergamo e Livorno.

Secondo l’ipotesi d’accusa i provvedimenti cautelari riguarderebbero personaggi sospettati di rappresentare il vertice del livello nazionale dell’organigramma, direttamente incaricato delle nuove affiliazioni e della gestione dello spaccio di sostanze stupefacenti nelle varie piazze cittadine.

Le indagini hanno consentito la raccolta di rilevanti indizi in grado di suffragare l’ipotesi dell’esistenza e dell’incidenza sul territorio del capoluogo piemontese del cult degli EIYE, grazie alle evidenze emerse sia dalle intercettazioni che dalle testimonianze di alcune persone, appartenenti alla comunità nigeriana di Torino.

Tali acquisizioni sarebbero idonee a dimostrare, secondo l’ipotesi d’accusa, come l’organizzazione indagata venga percepita dalla comunità di riferimento come connotata da un carattere “mafioso” che, maturato nello Stato di origine, risulterebbe ormai noto ai nigeriani anche al di fuori della loro terra, i quali ben ne conoscono le peculiarità e il modus operandi in patria, che rendono i membri notoriamente pericolosi e violenti, tendenti a imporre con la forza la propria volontà.

Le attività investigative, avviate nel marzo del 2019, si sono sviluppate attraverso attività tecniche di intercettazione, nonché articolati e dinamici servizi di diretta osservazione e pedinamento sul territorio, e hanno consentito di individuare coloro che, secondo l’ipotesi accusatoria, rappresenterebbero i vertici nazionali del cult, in costante e diretto contatto con i leader operanti in Nigeria.

Le indagini hanno permesso altresì di ricostruire nel dettaglio la struttura del sodalizio criminale che, secondo gli elementi raccolti, appare caratterizzato da un’organizzazione gerarchica piramidale, che si qualificherebbe per la presenza di un organismo operante a livello nazionale e di numerose articolazioni locali, attive in singole città italiane. La struttura nazionale risulterebbe dotata di un’organizzazione verticistica che vede al proprio apice un “World Ibaka”, detentore del potere esecutivo, il quale godrebbe, sempre in ipotesi di accusa di prestigio internazionale ed è in contatto con l’organismo madre in Nigeria. Risulterebbe suddivisa in sezioni provinciali o locali chiamate “Zone”, ma loro volta guidati da un “Zona Head”.

L’attività tecnica ha documentato, come già emerso in precedenti investigazioni ed attestato in sentenze definitive emesse a carico di analoghe consorterie nigeriane, l’esistenza di una struttura organizzativa, connotata da un insieme di regole di condotta, violenti riti di affiliazione, l’uso di un linguaggio esclusivo tra i membri (finalizzato a rendere meno permeabile il contenuto dei dialoghi e a rafforzare il senso di appartenenza tra i sodali), la divisione in ruoli e cariche corrispondenti a precise funzioni, l’intimidazione ed il ricorso alla violenza fisica in caso di trasgressione delle norme comportamentali proprie dell’ organizzazione.

La solidità della struttura è risultata chiaramente un elemento distintivo della consorteria criminale investigata, che avrebbe posto solide radici in numerose regioni d’Italia.

Come tutte le confraternite nigeriane, vi sono elementi per ritenere che gli EIYE abbiano i loro segni distintivi: come simbolo un uccello, talvolta raffigurato mentre stringe tra gli artigli un teschio umano, mentre il colore abitualmente indossato è il blu.

Secondo l’ipotesi d’accusa, sono stati raccolti significativi indizi di colpevolezza a carico dei sodali: in base alle risultanze dell’indagine, il Tribunale di Torino ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere a carico di sedici persone, contestando, oltre al reato di associazione per delinquere di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.), i delitti di rapina, estorsione, lesioni e reati in materia di stupefacenti.

Vi sono gravi indizi per ritenere che l’organizzazione investigata presenti tutti i caratteri di un’associazione di tipo mafioso, poiché connotata, anzitutto, da una precisa struttura gerarchica con ruoli e cariche ufficiali, a cui corrispondono compiti ben precisi. Le affiliazioni, secondo quanto ricostruito dalle indagini svolte, risultano caratterizzate da atti violenti e rigidi rituali, che si traducono in un serio e concreto pericolo per la stessa vita degli aspiranti affiliati, che vengono sottoposti ad azioni brutali, all’esito delle quali manifestano l’accettazione del codice comportamentale dell’associazione e la loro fedeltà indiscussa. Altrettanto spietate, secondo l’ipotesi di accusa risulterebbero le conseguenze previste in caso di violazione delle regole dell’organizzazione, che si traducono in sanzioni corporali talmente efferate da sfociare talora in tentativi di omicidio. Gli elementi raccolti evidenziano inoltre come la violenza appare essere lo strumento di comunicazione privilegiato per affermare la forza dell’organizzazione sul territorio e creare lo stato di soggezione necessario per accrescere il proprio potere. Altro elemento che risulta dalle indagini è la capacità dell’organizzazione di autofinanziarsi, mediante il contributo dei sodali, strumentale anche al mantenimento economico degli affiliati detenuti, come tipico pure delle consorterie mafiose italiane.

Sulla piazza torinese, gli elementi indiziari raccolti indicherebbero che il cult EIYE controllava e gestiva il commercio su strada di sostanze stupefacenti in alcune aree individuate; in particolare, corso Vigevano e piazza Baldissera, e più genericamente la zona della stazione ferroviaria di “Dora”.




Palermo, mafia nigeriana: in manette 4 appartenenti ai “Black Axe”

PALERMO – Nelle prime ore di oggi, la locale Autorità giudiziaria ha delegato  la Polizia di Stato all’esecuzione di un’ordinanza cautelare in carcere  a carico di 4 soggetti di nazionalità nigeriana ritenuti responsabili, a vario titolo, dei delitti di tratta di persone, riduzione in schiavitù, sequestro di persona, sfruttamento della prostituzione nonché favoreggiamento all’immigrazione clandestina, reati aggravati perché commessi da persone appartenenti all’associazione nigeriana di tipo mafioso (secret cult) denominato “ Black Axe.

L’operazione della Polizia, nata dalle indagini condotte dalla Squadra Mobile di Palermo- “Sezione Criminalità Straniera e Prostituzione”- coordinate dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia, scaturiva dalla denuncia resa da una ragazza nigeriana,  accompagnata da un pastore pentecostale della medesima nazionalità , a cui la vittima si era rivolta per  sottrarsi ai suoi aguzzini.

La denunciante riferiva di violenze subite nel suo paese d’origine ad opera di persone appartenenti ad un’organizzazione “cultista”, nonché delle modalità con cui era riuscita a fare ingresso clandestino in Italia, per poi essere destinata alla prostituzione.

Emergeva che la vittima veniva segregata nel suo paese d’origine da un gruppo di uomini appartenenti al secret cult denominato “Black Axe”, riuscendo a liberarsi grazie all’intercessione di un connazionale, dietro suo impegno a recarsi in Italia come  “schiava” di quel gruppo.

Per tale motivo veniva sottoposta a rito voodoo durante il quale prometteva di restituire 15.000,00 Euro, somma necessaria per raggiungere illegalmente il territorio nazionale. 

Giunta a Palermo, approfittando del suo stato di soggezione e sotto la minaccia di morte e violenze, veniva costretta alla prostituzione ed i proventi dell’attività di meretricio consegnati per la restituzione del debito.  

La donna riusciva a sottrarsi ai suoi aguzzini, rivolgendosi al pastore cheper la propria “opera di aiuto” riceveva minacce di morte.

L’indagine, avvalsasi anche di attività tecnica, consentiva di confermare le dichiarazioni rese dalla donna e di acquisire importanti elementi in ordine ai reati contestati agli odierni arrestati, oltre che la loro appartenenza al secret cult “ Black Axe”.

All’esecuzione del provvedimento ha collaborato anche personale della Squadra Mobile di Taranto, in quanto tre dei destinatari del provvedimento restrittivo risultano attualmente dimoranti nella cittadina pugliese.

Giova precisare che gli odierni destinatari di misura restrittiva sono, allo stato, indiziati in merito ai reati contestati e che la loro posizione sarà definitiva solo dopo l’emissione di una, eventuale, sentenza passata in giudicato, in ossequio al principio costituzionale della presunzione di innocenza.




Palermo, mafia nigeriana: neutralizzata cellula dedita al traffico di stupefacenti. Ai vertici due soggetti che beneficiavano del reddito di cittadinanza

PALERMO – La Polizia di Stato di Palermo ha arrestato 13 persone in prevalenza cittadini extracomunitari di nazionalità nigeriana, neutralizzando una delle principali roccaforti del traffico di sostanze stupefacenti del capoluogo siciliano.

Le indagini dei poliziotti della squadra mobile consentivano di delineare l’esistenza di un’associazione a delinquere di tipo gerarchico e piramidale.

Al vertice si ponevano due soggetti di nazionalità nigeriana, con precedenti specifici in materia di stupefacenti, regolarmente presenti sul territorio nazionale, tanto da beneficiare anche del “reddito di cittadinanza”, che erano coadiuvati da altri 5 connazionali e supportati da un cittadino italiano.

In particolare uno degli arrestati,ossia Capo, era l’intellettuale del gruppo, colui che si occupava del reperimento degli strumenti propedeutici alla conservazione del sodalizio criminoso nei momenti di fibrillazione, quali l’individuazione dei legali per le difese dei partecipi che fossero stati tratti in arresto, nonché si poneva quale trat-d’union con gli altri membri di vertice, mentre c’era chi intratteneva l’asse fornitore-acquirente-spacciatore di grossi quantitativi di sostanze stupefacenti, con l’ausilio di diversi soggetti in qualità di corrieri ed ovulatori.

Altri membri del gruppo venivano individuati nel gestore di un proprio business illegale che si affidava alla struttura ed ai mezzi dell’associazione per garantirsi la disponibilità di sostanza stupefacente da rivendere, anche qualora fosse sprovvisto della liquidità economica necessaria, nonché dei canali di approvvigionamento propri di quest’ultima; in chi intratteneva i rapporti con gli “ ovulatori” oltre che essere preposto alla conversazione di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente; in  chi era incaricato alla custodia presso la propria abitazione della droga e dei profitti della sua rivendita, oltre a fungere da corriere . Infine vi erano  i  pusher delegati alla vendita al minuto ai tossicodipendenti.

La compagine si avvaleva altresì dell’opera di un italiano con compiti logistici, fungendo da autista del gruppo disponibile ad accompagnare i membri del vertice nei luoghi utili alla cura del loro business.

 Le indagini si avviavano  a fine Aprile 2020 e venivano svolte sia con metodi d’investigazione tradizionale, quali osservazione, pedinamenti, sia avvalendosi d’intercettazione telefoniche ed ambientali , supportate da video-riprese che consentivano di documentare un traffico di droga del tipo “cocaina” ed “eroina” che giungeva a Palermo prevalentemente  dalla provincia di Napoli, per poi essere smistata , oltre che sulla locale piazza di spaccio, anche nei comuni di Marsala, Mazara del Vallo, Castelvetrano e Licata.

Il sodalizio criminoso era punto di rifornimento di una ramificata rete di spaccio locale e extra-provinciale anche per la “concorrenzialità” dei prezzi praticati nonché per la possibilità di far giungere importanti quantitativi di sostanza stupefacente,  nonostante le misure restrittive sugli spostamenti previste dalle norme volte al contrasto della diffusione del Covid-19.

Per il trasporto, infatti, il gruppo si avvaleva di corrieri, la gran parte dei quali viaggiavano a bordo di pullman di linea o tramite treno, i quali nascondevano la sostanza stupefacente in confezioni di bagnoschiuma precedentemente svuotate, fra gli indumenti, all’interno di parti intime o ingerite, previo confezionamento in ovuli, anche 50 alla volta.

A loro volta i pusher occultavano le dosi in bocca per consegnarle ai clienti, che raggiungevano tramite mezzi elettrici o biciclette in punti d’incontro concentrati prevalentemente nel centro storico, in particolare fra le vie del quartiere rionale di “Ballarò” e della Stazione centrale – via Oreto.

Per ordinare o trasportare i quantitativi di sostanza stupefacente era stato coniato un vero e proprio glossario, con l’utilizzo di parole “in codice”.

Nel corso dell’operazione, denominata appunto “Sister White”, a riprova della florida attività di distribuzione, venivano tratti in arresto 5 soggetti italiani e 4 soggetti extra-comunitari, con sequestro di circa 1,500 Kg di cocaina e 500,00 gr di eroina, oltre a 9.000,00 Euro in contanti .

La droga sequestrata, tutta di purissima qualità, aveva un valore all’ingrosso di circa 100.000,00 Euro che sulle piazze di spaccio avrebbe reso sino a 300.000,00 Euro a seconda della percentuale di sostanza con cui sarebbe stata tagliata.

Gli arresti sono stati eseguiti in varie parti del Sud Italia, da Palermo sino a Castel Volturno (NA), con l’ausilio di personale delle Squadre Mobili di Napoli e Trapani.




Trento, mafia nigeriana e traffico di droga: 27 arresti

All´alba di questa mattina è stata disarticolata dalla Polizia di Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica di Trento – Direzione Distrettuale Antimafia, un´organizzazione criminale, di matrice nigeriana, dedita al traffico di sostanze stupefacenti a Trento ed in Provincia.
Sono state eseguite 27 misure cautelari in carcere a carico di altrettanti soggetti di nazionalità nigeriana da parte della Squadra Mobile di Trento, coordinata dal Servizio Centrale Operativo ed in collaborazione con le Squadre Mobili di Verona e Vicenza, i Reparti Prevenzione Crimine, le Unità Cinofile ed un elicottero del Reparto Volo Stato della Polizia di Stato, specializzato nelle riprese video dall’alto, per impedire che qualcuno potesse sfuggire all’esecuzione dei provvedimenti.
L´operazione denominata “sommo poeta” perché il punto di raduno dell´organizzazione a Trento è stato individuato nella piazza principale antistante lo scalo ferroviario del Capoluogo trentino, dedicata proprio all´illustre poeta fiorentino Dante Alighieri, ha preso avvio nei primi giorni di quest´anno, allorché la Squadra Mobile del Capoluogo trentino ha effettuato un arresto in flagranza di un cittadino nigeriano proprio in piazza Dante.

Le successive attività d´indagine, delegate dall´Autorità giudiziaria di Trento, hanno permesso di accertare che non si trattasse di uno spacciatore isolato, privo di collegamenti con altri pusher stranieri, sempre nigeriani, intenti a vendere droga al dettaglio nelle strade del centro storico di Trento. Ma di una vera e propria organizzazione che aveva messo in piedi un sistema estremamente remunerativo di vendita la dettaglio di sostanza stupefacente, in grado di far incassare alla compagine criminale anche 5000/6000 euro al giorno.
Pertanto, d´intesa con l´Autorità giudiziaria di Trento, sono state avviate dalla Polizia di Stato una serie di attività investigative che hanno previsto l´impiego di pattuglie impegnate nel contrasto alla criminalità diffusa, rappresentata dalla vendita al dettaglio di droga, principalmente, marjuana ed eroina, con molteplici arresti in flagranza nel corso delle indagini, 24, ed il sequestro di sostanza stupefacente per un totale di più di 2000 dosi. Allo stesso modo, per risalire alla struttura dell´intera organizzazione sono state promosse attività investigative specifiche da parte della Squadra Mobile di Trento, delegata dalla Procura della Repubblica dello stesso capoluogo, tali da riuscire a disvelare la composizione dell´organizzazione capeggiata da soggetti nigeriani conosciuti con i nomi in codice di “Iron Boss” “Bobo”, “Ken ed “Ukua”, diminutivo di Samuel in dialetto nigeriano, tutti residenti a Verona.
Perché un´altra caratteristica della compagine disarticolata questa mattina è stato proprio essere radicata al di fuori della piazza di spaccio prescelta, la città di Trento. Ogni mattina, da Ala (TN), Verona e Vicenza, gli spacciatori, opportunamente riforniti di droga, precedentemente presa a Verona e Vicenza, ed istruiti dai capi dell´organizzazione attraverso una fitta messaggistica tramite servizi di instant messaging, sono stati visti salire sui treni regionali lungo la tratta ferroviaria che collega il capoluogo alla città scaligera e giungere a Trento, per poi sparpagliarsi lungo le vie della città e riprendere l´ultimo treno disponibile per ritornare verso i luoghi di dimora.




Mafia Nigeriana, la Squadra Mobile di Teramo fa scattare l’operazione “The Travelers”

TERAMO – La Polizia di Stato di Teramo sta eseguendo una vasta operazione nei confronti cittadini di nazionalità nigeriana per i reati di associazione a delinquere finalizzata alla commissione dell’illecita intermediazione finanziaria, autoriciclaggio e riciclaggio trasnazionale, nonché per il reato di tratta di esseri umani.

L’attività investigativa degli uomini della squadra mobile, con l’ausilio del Reparto Prevenzione Crimine “Abruzzo” di Pescara e delle Squadre Mobili di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di L’Aquila, ha accertato l’esistenza di un’associazione a delinquere, con basi operative nelle province di Teramo, Ascoli Piceno, Fermo e Macerata, composta tutta da cittadini nigeriani dedita al riciclaggio ed all’autoriciclaggio verso la Nigeria, attraverso viaggi in aereo, di ingenti somme di denaro, abilmente occultate all’interno dei bagagli al seguito, provenienti dallo sfruttamento sessuale delle predette giovani donne nigeriane e da ulteriori attività illecite.

MAFIA NIGERIANA: L’APPROFONDIMENTO DI OFFICINA STAMPA

Le
indagini hanno permesso di accertare  un sistema capillarmente diffuso su tutto
il territorio nazionale che costituisce un meccanismo strutturato e
transazionale di raccolta del risparmio o di riciclaggio ed autoriciclaggio
attraverso il  meccanismo dell’hawala .




Mafia nigeriana, tra le più pericolose organizzazioni criminali presenti in Italia [terza puntata]: l’uso della violenza prima regola dei clan

Nelle puntate precedenti abbiamo visto quelle che sono le origini della mafia nigeriana e descritto le varie organizzazioni (clan), che la compongono.

Proseguiamo dunque questo viaggio, in quella che oggi rappresenta una delle prime strutture criminali in Italia, dopo quelle autoctone.

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Il video servizio trasmesso a Officina Stampa del 24/10/2019

Le modalità di azione della mafia nigeriana, i collegamenti transnazionali e il vincolo omertoso che caratterizza gli associati e il timore infuso nelle vittime hanno peraltro fatto luce, nel tempo, su un agire sotto molti versi simile alle metodiche mafiose.

Tutti i gruppi che ne fanno parte sono, infatti, organizzati in maniera verticistica al cui interno ognuno riveste il proprio ruolo.

L’accesso al gruppo, gestito e disciplinato dai vertici, prevede un vero e proprio rito di affiliazione e l’obbligo alla partecipazione (mediante il pagamento di una sorta di “tassa di iscrizione”), al finanziamento della confraternita chiamata a provvedere, come tutte le organizzazioni criminali di spessore, al sostentamento delle famiglie degli affiliati detenuti, secondo un vincolo di assistenza previdenziale.

Costituiscono un fattore di coesione molto elevato le ritualità magiche e fideistiche, che, unite al vincolo etnico e alla forte influenza nella gestione da parte delle lobby in madrepatria, produce una forma di assoggettamento psicologico molto forte.

È sempre presente il ricorso alla violenza per assicurare la tenuta associativa, strumentale allo scoraggiamento di eventuali spinte centrifughe di coloro che ricercassero posizioni autonomiste o che non volessero più far parte dell’organizzazione.

L’uso della violenza fisica è la principale forma di punizione per le violazioni delle regole interne: non a caso un ruolo importante viene rivestito nel cult EIYE, dalle figure dell’EAGLE (“aquila”, capo dei picchiatori), nei BLACK AXE, dai BUTCHERS o SLUGGERS.

La violenza è generalmente indirizzata verso connazionali – di solito donne costrette all’esercizio della prostituzione e uomini restii a farsi affiliare o adepti inottemperanti alle regole interne – che difficilmente ricorrono alla giustizia, anche perché quasi mai riescono a percepirsi come vittime di reato.

Tra le organizzazioni criminali nigeriane operanti in Italia è emerso, negli anni, un violento contrasto tra gruppi più strutturati, operanti all’interno di sistemi impermeabili e autoreferenziali, rispetto ad altri improntati su modelli di tipo banditesco, rendendo talvolta di difficile interpretazione anche taluni episodi di violenza registrati nelle strade delle nostre città.
Ovviamente esiste un legame tra il fenomeno migratorio irregolare, la tratta di persone e lo sfruttamento sessuale.

In tale ambito l’organizzazione criminale controlla l’attività delittuosa in tutte le sue fasi, dal reclutamento fino all’invio delle donne nei Paesi al di fuori del territorio africano e alla messa su strada. Un processo criminale attuato attraverso modalità e fasi ben precise.




Mafia nigeriana, tra le più pericolose organizzazioni criminali presenti in Italia [seconda puntata]: la degenerazione delle confraternite in organizzazioni criminali

Proseguiamo il viaggio sulla mafia nigeriana dopo aver visto, nel corso della puntata precedente, quelle che sono le radici, che si affondano nella religione Voodoo tutt’oggi ancora diffusissima tra le popolazioni di quel tratto di costa africana che si affaccia sul Golfo di Guinea, meglio noto con il nome di “Costa degli Schiavi”.

Tradizioni, usanze e riti, in particolar modo legati al Voodoo, presi a prestito dalle varie organizzazioni criminali nigeriane per iniziare i nuovi adepti.

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Il video servizio trasmesso a Officina Stampa del 10/1’/2019

Organizzazioni la cui origine va ricercata in quella che rappresenta una vera e propria degenerazione delle confraternite (cults), che fin dagli anni 50 erano state fondate, sul modello di quelle americane, nelle università della regione del Delta del fiume Niger il cui scopo iniziale era quello di diffondere messaggi di pace e di rispetto, condannando qualsiasi azione e forma di razzismo e di apartheid. Ma in tempi molto brevi queste confraternite si sono trasformate in veri e propri clan criminali che si sono espansi anche al di fuori dei confini delle stesse Università.

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Da sinistra: Fabrizio Mignacca (Psicologo-psicoterapeuta), Federica Nobilio (Fratelli d’Italia) e Marco Valerio Verni (Avvocato e zio di Pamela Mastropietro) ospiti nella trasmissione Officina Stampa del 10/10/2019 per commentare il fenomeno della mafia nigeriana

La prima confraternita censita fu quella che prese il nome di PYRATES, poi a seguito di scissioni nacquero i SEA DOGS e i BUCCANEERS che a loro volta diedero vita al NEO BLACK MOVIMENT OF AFRICA trasformatosi a sua volta in BLACK AXE CONFRATERNITY. E poi a seguito di altre scissioni prese origine la EIYE CONFRATERNITY. E in questo microcosmo di confraternite ricordiamo anche la SUPREME VIKINGS CONFRATERNITY fondata nel 1984 da un ex-membro della confraternita dei BUCCANEERS.

Con il passare del tempo le confraternite uscirono dal mondo universitario acquisendo sempre maggior forza e potere imponendo le proprie regole anche con l’uso della violenza, riuscendo, in breve tempo, anche ad infiltrare il mondo economico, politico e sociale del Paese.

Acquisita ormai una vera e propria connotazione criminale, le varie confraternite hanno dimostrato sin da subito la capacità di fare affari con altre consorterie al di fuori della Nigeria, espandendosi all’estero, in quasi tutti i Paesi europei, in Italia, nel Nord e nel Sud America, in Giappone e in Sud Africa.

La criminalità nigeriana si è dunque sviluppata al di fuori dei propri confini, sfruttando i flussi migratori. La documentazione giudiziaria ed informativa degli ultimi anni evidenzia gli ampi margini di operatività dei
sodalizi nigeriani attivi in Italia, dal traffico internazionale e lo spaccio al minuto di sostanze stupefacenti alle estorsioni soprattutto in danno di cittadini africani gestori di attività commerciali, all’induzione ed allo sfruttamento della prostituzione, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, alla falsificazione di documenti, alla contraffazione monetaria, alla tratta di esseri umani e riduzione in schiavitù, alle truffe e frodi informatiche, ai reati contro la persona e contro il patrimonio.




Mafia nigeriana, tra le più pericolose organizzazioni criminali presenti in Italia [prima puntata]: la “Costa degli Schiavi” e la religione Voodoo

Un quadro inquietante sulla mafia nigeriana presente nel nostro paese quello che emerge dall’ultimo rapporto stilato dalla Direzione Investigativa Antimafia riferito al 2 semestre 2018. Una relazione alla quale la DIA ha dedicato ben 34 pagine in cui viene effettuato un dettagliatissimo focus su quella che rappresenta un’organizzazione criminale in forte espansione, ormai da anni, sul nostro territorio. Iniziamo quindi un viaggio sulla mafia nigeriana partendo da quelle che sono le radici che si affondano nella religione, nelle tradizioni, nelle usanze e nei riti che fanno parte delle popolazioni di quel tratto di costa africana che si affaccia sul Golfo di Guinea, che per antica memoria conserva ancora oggi il nome di “costa degli schiavi”. Un’area che ha visto svilupparsi nel corso di alcuni secoli una delle religioni più strutturate e complesse di tutto il continente africano: la religione Vudù tutt’oggi ancora diffusissima.

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IL VIDEO SERVIZIO TRASMESSO A OFFICINA STAMPA DEL 26/09/2019

Ma cos’è esattamente il Vudù? A spiegarlo è padre Bruno Gilli missionario comboniano laureato in etnologia, una delle massime autorità per quanto riguarda lo studio e la conoscenza di questa religione e che ha svolto per diversi decenni attività di evangelizzazione in Togo presso la popolazione Ouatchis.

I vudù si nutrono di sangue e quindi il sacrificio di animali è un elemento costante in tutti i riti e in tutte le cerimonie in cui si voglia sollecitare un intervento diretto del Vudù o placare la sua collera.

Tra gli Ouatchis i sacrifici vengono compiuti normalmente in determinati luoghi adibiti al culto Vudù e quindi sacri dove a nessun estraneo è permesso l’accesso se prima non ha ottenuto in un’apposita udienza l’autorizzazione del capo villaggio a cui nessuno può opporsi nemmeno lo stesso ministro del culto con tutta la sua autorità.

L’aspetto che più caratterizza questa religione è rappresentato dal lungo e complesso procedimento di iniziazione che gli adepti devono seguire all’interno di appositi recinti sacri o conventi prima di poter essere considerati Vudussi cioè persone sacre a tutti gli effetti.

Drappi bianchi o bianchi e rossi segnalano sempre questi luoghi sacri dove per la durata di circa tre anni un gruppo di fedeli, sotto la guida di un ministro del culto, si sottopone ad un austero regime di vita. Solo attraverso il distacco dal mondo esterno la stretta osservanza delle rigide norme comportamentali e l’apprendimento della lingua sacra è possibile entrare in intima comunione con la divinità. I tre anni di iniziazione si concludono poi con la funzione del tudedè o della soppressione degli interdetti. Con questo rito gli iniziati vengono sciolti dai divieti imposti loro durante il periodo del convento e possono nuovamente parlare la lingua profana, quindi vengono reintegrati nella società come individui sacri portatori di nuovi valori etici.

Durante queste pratiche vudù si può assistere a scene dove gli iniziati perdono il controllo delle loro azioni, a significare che il vudù è entrato nel loro corpo impossessandosene, con la conseguenza che da questo momento non sono più padroni di loro stessi in quanto le azioni sono controllate dal vudù che li possiede. E lo stato di possessione non gli fa temere ne’ il pericolo ne’ il dolore. Durante queste cerimonie si possono vedere questi nuovi vuduni salire sul tetto di una capanna e iniziare a ferirsi con il machete o con un oggetto tagliente senza mostrare il minimo segno di dolore.

In questo clima di esaltazione, dietro la simbologia ingenua e primitiva di queste ritualità, si percepisce il profondo misticismo dell’anima africana. Resta comunque un aspetto oscuro e controverso di questa religione ovvero l’ipotesi inquietante dei sacrifici di umani.

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Da sinistra: Luca Andreassi (PD), Marco Valerio Verni (Avvocato espero in mafia nigeriana), Roberto Cuccioletta (FDI) ospiti di Chiara Rai (Giornalista) nella puntata di Officina Stampa del 26/09/2019 hanno parlato dei fenomeni legati a questa organizzazione criminale



Mafia nigeriana, a Palermo gli uomini della Squadra Mobile disarticolano l’organizzazione criminale “Eye”

E´ in corso dalle prime luci dell´alba una vasta operazione della Polizia di Stato contro la mafia nigeriana, volta alla disarticolazione di un sodalizio criminale di matrice cultista, denominato “Eiye” ramificato su tutto il territorio nazionale.

Diversi i fermi emessi dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo nei confronti di altrettanti cittadini nigeriani accusati di far parte della predetta associazione a delinquere di stampo mafioso, come dimostrato dalle indagini svolte dalla Squadra Mobile di Palermo coordinata dalla locale Procura della Repubblica, che si sono avvalse di attività tecniche, dichiarazioni di collaboratori e dichiarazioni testimoniali.

L´attività investigativa della Squadra Mobile ha preso spunto dalla denuncia di una ragazza nigeriana vittima di tratta e di sfruttamento della prostituzione, che ha fornito agli agenti significativi elementi in ordine all´appartenenza agli Eiye del suo sfruttatore.

E´ stata quindi individuata la casa di prostituzione all´interno del quartiere storico di Ballarò ed avviata una capillare attività investigativa che ha consentito di ricostruire l´organigramma dell´associazione a livello locale, fino a giungere all´identificazione dei suoi vertici.

Nel corso delle indagini sono stati documentati numerosi episodi violenti riconducibili all´associazione e alla sua capacità di imporsi sul territorio, nonché diverse attività delittuose connesse allo spaccio di stupefacenti e alla prostituzione, principalmente localizzate nel quartiere Ballarò di Palermo.

Numerose anche le riunioni tra i sodali documentate nel corso delle indagini, tra cui in particolare una relativa al “battesimo di un nuovo Bird”, con la captazione dell´intero rito da parte degli investigatori.
Nel corso delle indagini è emerso, inoltre, come gli stessi membri cercassero di mascherare l´associazione a delinquere “Eiye”, costituendone una regolare denominata “Aviary”.




Guerra civile, mafia nigeriana, sbarchi senza controllo… povera Italia!

In Italia è in corso una guerra civile, ma nessuno lo dice. La scintilla che ha dato fuoco alle polveri è scoccata nel momento in cui Salvini e Di Maio hanno trovato un accordo per mettere insieme una coalizione di governo, la cui guida hanno affidato – con scelta esemplarmente saggia e azzeccata – al professor Giuseppe Conte, che si sta rivelando uomo di grande saggezza, capacità ed equilibrio, al di sopra di tutti i politici che si sono succeduti durante i quattro governi non eletti – ma calati dall’alto da un compiacente Napolitano – che hanno in maniera fallimentare guidato allo sfascio le sorti della nostra bella Italia. O a dir così s’è tacciati – horribile dictu! – di populismo, o peggio di sovranismo? Una volta l’accusa che la gente con il pugno alzato, quella di ‘Bella ciao’ – che critica tanto il trascorso e mai più ripetibile ventennio, Deo gratias – che invece adotta gli stessi sistemi ‘squadristici’, era di ‘qualunquismo’, quel movimento che nelle vene probabilmente voleva essere pro cittadini: cioè senza destra o sinistra, ma solo ‘dell’uomo qualunque’, quello che oggi ci rimette regolarmente le penne.

Sempre più chiaro che l’Italia è spaccata in due

Da una parte, con la bava alla bocca, la sinistra o presunta tale – tacciata di destrismo da Di Battista: in effetti si sta diventando politicamente strabici, anche per chi soltanto voglia capirci qualcosa – e dall’altra i due vicepresidenti del Consiglio; i quali, proprio perché la loro visione non è sinottica, alla fine trovano, nel nome dei cinque anni di legislatura e della realizzazione del programma, sempre un accordo. Il che è segno di equilibrio nonostante tutto. Infatti ‘in medio stat virtus’, se vogliamo dirla con i nostri progenitori. Fatto sta che più passa il tempo, e più l’assedio al forte Apache si fa violento, portato non da una parte sola, ma da attacchi concentrici. Landini, per dirne una, il quale, giunto finalmente dove la sua ambizione lo aveva diretto da lustri, non ha perso occasione per vestirsi da capopopolo, giusto per coagulare, sotto lo sguardo compiaciuto della Camusso, gli scontenti che non mancano mai in nessuna categoria. Berlusconi, che, a sentir lui, recita novene per pregare che questo governo cada, magari abbattuto a forza di preghiere e di intenzioni velleitarie. Salvo poi, durante uno dei tanti convegni, a giocarsi la faccia raccontando le sue prodezze sessuali. Pare infatti che abbia narrato – ma quelle che si narrano sono le favole – che “Una volta ne facevo sei o sette, ma sto invecchiando perché adesso dopo la terza mi addormento”. Una favola non creata per bambini, ma in ogni caso decisamente di cattivo gusto, da umorismo che neanche in seconda media. Facendoci ricordare che questo personaggio ha collezionato le più grosse grezze in campo internazionale che l’Italia possa annoverare. E facendoci capire chiaramente quale potrebbe essere il suo contributo alla gestione della cosa pubblica, olgettine permettendo. Seguono in fila per tre con il resto di due: Martina, Minniti, Migliore, Romano, perfino il presidente della regione Campania De Luca, su di una tv privata. E per carità cristiana risparmiamo tutte le signore del PD, ospiti a turno di trasmissioni ‘eversive’ come Agorà, al mattino su Rai Tre, tralasciando per brevità tutti quelli che, a turno, si affacciano a quel palcoscenico mediatico per avere centoventi secondi di visibilità. Dimenticavamo – non per poca memoria, ma perché la loro presenza sulla scena politica è, nonostante a loro sia dedicato altrettanta attenzione quanto ad un partito vero, del tutto insignificante – LEU, Liberi (da che?) e Uguali (a che cosa?), il partito di “+ Europa”, con l’abortista storica e recidiva Bonino, amica di Soros, sempre in evidenza. Gli attacchi sono condotti con menzogne demagogiche, che il grosso pubblico, in altre faccende affaccendato, cioè il quotidiano, non ha tempo e modo di verificare. Né ci dovrebbe essere, nelle intenzioni del ‘nemico’, il tempo di constatare gli effetti positivi, o negativi tanto sbandierati, delle misure adottate per portare finalmente l’Italia fuori della grossa zampa recessiva conseguente all’austerità voluta dai ‘poteri forti’, e imposta dall’Europa e dalla Merkel alla nostra nazione, come, con effetti disastrosi, alla Grecia. Particolari ‘attenzioni’ ricevono i ministri come Savona, accusati di voler portare l’Italia fuori dalla UE. Delle intenzioni europee abbiamo avuto un campione nella recente storia, quando Giuseppe Conte è andato a discutere con Moscovici e Co. Il messaggio era chiaro: se volete sopravvivere, dovete adeguarvi al passo. Mentre chi non si adegua al passo è Macron, che è libero di sforare fino al 3,50% e oltre, se capita. Ma, come ha detto Junker, “La France c’est la France.” Il che non significa nulla, ma fa capire tutto, essendo Macron proveniente da Goldman Sachs… Il parafulmine, comunque, di tutte le attenzioni, è Matteo Salvini, dipinto velatamente da Mattarella, come ‘il male assoluto’. Soprattutto oggi, giorno della memoria delle atrocità naziste nei campi di sterminio, durante le cui manifestazioni si vuol fare intendere che l’Italia ha preso una deriva fascista e che ciò che è accaduto dal 1938 in poi potrebbe ripetersi – anzi certamente si ripeterà. Fomentando quella politica della paura che la sinistra imputa all’attuale governo. Il quale governo, è bene ricordarlo, – perché qualcuno se ne dimentica – è stato democraticamente eletto dai cittadini, con regolari consultazioni; e tutti quelli che lo vogliono abbattere non hanno alcun rispetto per il popolo costituzionalmente sovrano che lo ha eletto. La fola in circolazione, a proposito delle promesse non mantenute, è, appunto, una fola, una favola, una bugia. Nessuno ha la bacchetta magica – e il governo Renzi ce lo ha dimostrato, a proposito di favole – e per realizzare qualsiasi riforma ci vuol tempo. Non è un anno che questo governo si è insediato, e chi lo contesta su certe basi ha due possibili denominazioni: poco intelligente – per usare un eufemismo – o in malafede. Ma noi sappiamo che certe persone sono malignamente intelligenti e calcolatrici, e che, anzi, scommettono sulla poca intelligenza degli elettori: ma noi speriamo che l’Italiano vero – quello di Toto Cutugno, fiero di esserlo – apra gli occhi, andando al di là della disinformazione televisiva. Insomma, in questi giorni l’attacco frontale più minaccioso è a proposito della nave Sea Watch al largo della Sicilia con 47 migranti a bordo. Molti dei quali sarebbero – ma controllare l’esatta età e nazionalità di queste persone è sempre un’alea – minorenni ‘non accompagnati’. Ora, chiunque ascolti questa definizione si figura bambini di dieci/dodici anni piangenti e con il moccio al naso, tristi perché separati dalla mamma, e affamati. Bene, non è così. I ‘minorenni non accompagnati’ sono giovanotti di diciassette anni, quindi minorenni solo per poco ancora, e solo per legge, assimilabili ad un qualunque maggiorenne – visto che in quei climi caldi si matura più in fretta. Mandati dalla famiglia che ha raccolto i 3000 dollari necessari al passaggio in barcone – quindi con certe capacità economiche – che vengono alla ventura in Europa, o in Italia, dove sono accolti e muniti di carta di credito prepagata dell’UNHCR, oltre che di una diaria che altro che il reddito di cittadinanza! Posto che chi li ha finanziati sia stata la famiglia. Con l’ombra di Soros sullo sfondo. Vi siete chiesti mai chi finanzia le navi ‘umanitarie’ che scorrazzano per il Mediterraneo come pattini in spiaggia? Noi sappiamo, ad esempio, che un peschereccio di famiglia, per affrontare una giornata di pesca spende circa 600 euro solo di carburante – cifra probabilmente non più attuale. Ogni giorno quindi di navigazione dalle coste libiche – entro le cinquanta miglia – fino ad un porto italiano, possiamo ipotizzare che costi attorno ai mille euro, o giù di lì. Aggiungiamo le provviste di cibo, di acqua e quant’altro è necessario – oltre la paga – ad una navigazione ‘da corsa’, e ci rendiamo conto che dietro la Sea Watch e le sue compagne ci sono capitali importanti, che hanno interesse a che nel Mediterraneo ci sia sempre qualcuno che possa ‘salvare’ i naufraghi prodotti artificialmente da trafficanti che mettono in acqua non più barconi fatiscenti – le riserve sono finite – ma gommoni a scadenza, cioè che si sfasceranno dopo qualche ora, e che, pur avendo un motore – insufficiente a raggiungere una qualsiasi costa europea, – non hanno carburante di riserva. Non sono quindi salvataggi, quelli delle navi cosiddette ‘umanitarie’, ma passaggi organizzati per raggiungere le coste europee: cioè, esattamente ciò per cui i passeggeri hanno pagato. Nessuno vuole ancora morti in mare: quelli fanno comodo soltanto ai trafficanti e a chi li foraggia, in modo da costringere chiunque a trasbordare i passeggeri di turno su di una nave, o su di una motovedetta della nostra Marina Militare. Da questo, a voler morti in mare, ce ne corre. È sacrosanto soccorrere chi in mare è in difficoltà, meno lo è mettere in mare imbarcazioni fatte apposta per sgonfiarsi dopo poco. Né è obbligatorio accogliere chi questo viaggio ha voluto intraprendere, dopo averlo ‘salvato’. I centri di raccolta libici li conosciamo: fanno parte del gioco, e non dobbiamo meravigliarci se i migranti che arrivano da noi hanno segni fisici che fanno pensare a torture. Né dobbiamo dar seguito all’accordo che Matteo Renzi aveva fatto con l’UE, per cui, a fronte di uno sforamento che gli consentì la mancetta elettorale di 80 euro – prontamente ritirata – promise lo sbarco di tutti i migranti in porti italiani. Alla fine, chi è che foraggia le navi ONG? È mai possibile che, sic stantibus rebus, le stesse navi non abbiano contatti e connivenza con gli scafisti – i quali, a quanto pare trasportano anche merce clandestina, come armi e droga? E chi è dietro a tutte queste operazioni? Pare che le navi ONG siano finanziate dalle fondazioni di George Soros, almeno da una, denominata ‘Open’ – come una di quelle di Renzi. Allora, senza essere complottisti, ma realisti, ci rendiamo conto di chi vuole mettere in imbarazzo il governo e il popolo italiani, con una specie di invasione africana. Dalla quale abbiamo ricevuto un bel regalo, come la mafia nigeriana – come se già non ne avessimo abbastanza di quelle autoctone: mafia, camorra ‘ndrangheta, Sacra Corona Unita, e, poco conosciuta, La Rosa. A cui possiamo aggiungere la Yakuza – mafia giapponese – e la Triade, quella cinese. Passati i bei tempi in cui ogni atto criminoso si poteva attribuire al Marsigliesi, oggi evocarli vuol dire fare del romanticismo. Pare, da una intervista mascherata, che in barcone arrivino anche ‘chirurghi nigeriani’, che si occuperebbero di espiantare organi – fegato, reni, cuore ai malcapitati, anche spariti dopo essere giunti col gommone – e di magari reimpiantarli ai clienti che quell’organo hanno prenotato, cinquemila euro per un rene. Sembra fantascienza. Di certo c’è che la nuova mafia, quella nigeriana, è la più spietata,e che fa commercio di organi, smembrando poi i cadaveri e disperdendone i pezzi. Il che spiegherebbe l’omicidio di Pamela Mastropietro, uccisa e ritrovata in due valige lasciate in campagna, al cui cadavere pare che mancassero degli organi, come riferito da chi ha eseguito l’autopsia. Omicidio per cui è stato arrestato il nigeriano Innocent Osegale, il quale si difende dicendo che la ragazza è morta per droga e che lui ha soltanto voluto evitare d’essere incolpato. Ma purtroppo per lui, il cadavere di Pamela è stato smembrato da chi sapeva come fare, non da un dilettante. Si può ipotizzare l’intervento di una seconda o terza persona che si è occupata di espiantare gli organi con mano esperta, sezionare il cadavere e metterlo in due valigie. Così la storia non è più fantascienza, ma diventa sempre più realistica, e la premeditazione la volontarietà dell’omicidio appaiono in tutta la loro evidenza. Concludendo: i veri razzisti sono quelli che accusano di razzismo Salvini e chi lo sostiene: è una mossa fatta ad arte per suscitare odio contro chi è al governo. Pretendere di sapere e di selezionare chi deve entrare in casa nostra è un diritto. È un dovere proteggere i nostri confini e i nostri cittadini contro un’immigrazione selvaggia e incontrollata. Non è un dovere accogliere chiunque in maniera irregolare e senza alcun controllo. Non tutti quelli che arrivano hanno diritto di rimanere in Italia, secondo la Convenzione di Ginevra del 1951 (rifugiati politici o perseguitati per qualsiasi motivo), protezione sussidiaria (quando si teme che la persona, in caso di rientro in patria, possa essere in pericolo di vita), protezione umanitaria (quando la persona, pur non rientrando nelle categorie precedenti, viene giudicato soggetto a rischio per motivi di carattere umanitario). Vanno quindi respinti, secondo i trattati internazionali i cosiddetti ‘migranti economici’, a cui ignobilmente si vogliono assimilare i nostri emigranti che dall’800 in poi hanno affollato le navi per gli USA. Ben altra era la selezione, ben altre le condizioni, ben altre le accoglienze e i respingimenti. E a volte poteva accadere che le famiglie fossero separate, qualcuno che poteva rimanere in America, e qualcun altro che doveva tornare in patria.

Roberto Ragone