Trapani, duro colpo alla mafia: arrestati 11 fiancheggiatori del boss Messina Denaro

 

di Paolino Canzoneri


TRAPANI – Alle prime luci dell'alba la Squadra Mobile di Trapani, Palermo, Mazara del Vallo e Castelvetrano hanno messo a segno un importante blitz con 11 misure cautelari e ponendo sotto sequestro tre imprese gestite da persone vicine al clan di Matteo Messina Danaro. L'operazione dal nome "Ermes 2" ha visto il massiccio impiego di una settantina di agenti coadiuvati dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano. Inferto un colpo durissimo al clan del superlatitante grazie alle indagini che hanno fatto luce sugli accordi tesi allo spartimento degli appalti tra il clan di Mazara del Vallo retto da Vito Gondola e il clan di Castelvetrano sotto il controllo di Matteo Messina Danaro. Gli arresti sono stati disposti dal GIP del Tribunale di Palermo a seguito della richiesta accolta della Procura Antimafia che ne ha coordinato l'inchiesta. Le imprese poste sotto sequestro erano dirette da alcuni prestanome sorretti dalle famiglie mafiose dell'area di Trapani. Cosa nostra quindi era in grado di infiltrarsi in progetti di rilievo come la ristrutturazione dell'Ospedale e i lavori del parco eolico di Mazara del Vallo. Questo secondo smacco al clan del superlatitante si va ad aggiungere al precedente altrettanto importante e duro avvenuto a distanza di pochi giorni il 13 dicembre in cui venne arrestato l'imprenditore Rosario Firenze accusato di pilotare appalti pubblici della provincia trapanese. Le misure cautelari disposti in 4 arresti e 7 obblighi di dimora hanno coinvolto: gli imprenditori Carlo e Giuseppe Loretta; Paola Bonomo; Andrea Alessandrino; Angelo Castelli; il giornalista Filippo Siragusa (obbligo di dimora); Epifanio Agate (figlio di Mariano Agate, defunto boss di Mazara); Francesco Mangiarcina, Rachele Francaviglia, Nataliya Ostashko, Nicolò Passalacqua. Notificati avvisi di garanzia per Vita Anna Pellegrino,  Filippo Frazzetta e  Maria Grazia Vassallo. In tarda mattinata si è tenuta la conferenza stampa nella Questura di Trapani per rendere noti dettagli e contenuti dell'indagine.
 



Palermo, colpo alla mafia: sequestrati beni per 2 mln di euro ai boss dell'Acquasanta Graziano

di Paolino Canzoneri


PALERMO – I Finanzieri del nucleo speciale di Polizia valutaria questa mattina hanno sequestrato beni dal valore di oltre 2 milioni di euro appartenenti a due costruttori mafiosi del capoluogo siciliano Francesco e Vincenzo Graziano, boss del quartiere Acquasanta.
 
L'ordine è partito dal GIP Fabrizio La Cascia a seguito di indagini della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Al reciclaggio e trasferimento fraudolento dei beni  sembra abbiano collaborato dei complici fra cui l'avvocato Nicolò Riccobene, il direttore di una agenzia dell'ex Banca di Roma Massimo Sarzana e il notaio Gaetano Giampino. Disposta dal Giudice per le indagini preliminari il divieto di dimora nella provincia palermitana per i due costruttori mentre per il notaio sono scattati gli arresti domiciliari con l'accusa di associazione mafiosa con la conseguente interdizione e il divieto di esercizio della professione. Per l'avvocato Riccobene oramai 72enne il GIP ha disposto la sospensione temporanea dall'albo professionale con l'accusa di favoreggiamento.

Ad inchiodare l'avvocato Riccobene, abbastanza noto a Palermo, alcune intercettazioni che avrebbero rivelato la sua collaborazione quale "messaggero" del boss Graziano e sembra che il suo ruolo si sia spinto pure nel recuperare somme di danaro reciclate per conto del clan. Dalle indagini sembra emergere che i due fratelli Graziano abbiano immesso nel circuito legale degli immobili acquistati grazie a solvibilità proveniente dall'associazione mafiosa. Un giro di cessioni di beni attraverso compravendite tra amici, parentela e prestanome con la complicità compiacente del direttore di banca che opportunamente avrebbe concesso i mutui necessari per estinguere i pagamenti. Gli inquirenti hanno potuto cosi esaminare tutto il carteggio relativo ai contratti bancari scoprendo che dal luglio del 2007 fino al marzo del 2008 l'istituto bancario aveva concesso l'erogazione di 14 operazioni finanziarie del valore circa di 250mila euro cadauna consentendo alla famiglia mafiosa dei Graziano di poter disporre di un credito da capogiro di circa 3milioni e 310mila euro giustificato nella documentazione fiscale da redditi inesistenti atti a simulare regolari acquisti di immobili nuovi nell'apparenza ma già a disposizione della famiglia.  



Permesso della mafia per lo sbarco in Sicilia: è polemica tra Pif e Mangiameli

 

di Paolino Canzoneri

 

PALERMO – Il regista Pierfrancesco Di Liberto in arte Pif in queste ore è al centro di una polemica a distanza con lo storico siciliano Rosario Mangiameli. Polemiche pacate ma consistenti che riguardano il film attualmente in proiezione nelle sale cinema d'Italia "In guerra per amore" che racconta la storia d'amore di una coppia durante la seconda guerra mondiale e più precisamente durante le fasi dell'operazione "Husky" cioè l'occupazione delle truppe alleate americane, inglesi e canadesi che sbarcarono in Sicilia e da li avviarono la grande operazione bellica per arretrare e sconfiggere l'occupazione tedesca e nazista nel resto d'Italia. Era il 10 luglio del 1943 e i 180 mila soldati portarono a termine uno sbarco di dimensioni mastodontiche che la storia ricordi. Già nella primavera del 1943, dopo una guerra durata già 4 anni la gran parte degli sforzi bellici erano stati impiegati dall'esercito russo che da sola aveva subito oltre il 95% di tutte le perdite delle potenze alleate massacrando 4,5 milioni di soldati tedeschi mentre gli americani e gli inglesi avevano ucciso appena 500mila. Necessitava quindi una operazione di rallestramento repentino che con un colpo massiccio e da un fronte diverso e inatteso avrebbe sopreso i tedeschi e, chiusi in una morsa, sarebbero stati costretti ad una resa e ad un ripiegamento. L'assalto nel corno della Sicilia meridionale lungo circa 170km fu attuato cosi come pianificato ed è proprio in questo momento che negli anni si sparse la voce che l'approdo a terra delle navi sia stato concordato e permesso dalla mafia locale che in un certo senso ne benedì e ne consentì lo sbarco. Tesi che divide gli storici dando vita ad una leggenda siciliana priva di riscontri dettagliati e provati ma che in se cova non poche possibilità che sia stato un fatto realmente accaduto. Nel film di Pif si assiste ad una paziente attesa delle imbarcazioni d'assalto americane e ad un uomo con tanto di coppola che in barca dalla costa siciliana raggiunge gli alleati per comunicare il consenso e il permesso di attraccare per avviare lo sbarco. Secondo il parere dello storico Raosario Mangiameli si tratta proprio di una colorita leggenda siciliana con scarse probabilità di veridicità per via della enorme flotta e potenza d'assalto che certamente non avrebbe neanche considerato minimamente l'ipotesi di uno "sta bene" da chicchessia e per quanto la mafia si fosse estesa a macchia d'olio, appare un po ardito credegli fino in fondo nonostante altri storici ne abbiamo avallato la veridicità. Senza dubbio ci sono i tratti di una colorita metafora messa in scena per aggiungere ad una storia di per se romanzata, ulteriori spunti e arricchimento di quelle tinte dal sorriso amaro e dalla perenne condizione di subordinanza che il popolo siciliano ha dovuto subire da sempre.




Mafia: minacce di morte per il senatore Mario Michele Giarrusso

 

di Vincenzo Giardino

 

Minacce di morte per il senatore M5s Mario Michele Giarrusso membro della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere . Questo quanto accaduto nella notte tra sabato e domenica scorsi, dove da un profilo, del noto social Facebook, riconducibile a un certo Mario Pardo, sono state inviate le intimidazioni. "Domenica mattina, mi sono recato negli uffici dell'Autorità giudiziaria competente – ha fatto sapere Giarrusso – ed ho proceduto a denunciare quanto accaduto, come avevo fatto il giorno prima per le minacce giunte dal profilo fb a nome Giuseppe Ruscica.


Secondo Giarrusso le minacce sarebbero da ricondurre all'azione politica portata avanti dal M5s.
"Se qualcuno pensa che tutto questo possa intimidirmi – ha aggiunto Giarrusso – oppure farmi desistere dalla mia azione politica, sta commettendo un grave, gravissimo errore. Ho accettato la candidatura a portavoce nel Movimento 5 Stelle – ha proseguito – ben consapevole che non sarebbe stata una passeggiata e che il mio notorio impegno antimafia mi avrebbe portato a confronti durissimi. Nel Movimento ho trovato tante persone coraggiose e determinate, insieme alle quali stiamo portando avanti una battaglia senza quartiere contro la mafia e la corruzione che sono il vero cancro del nostro bellissimo paese. La mia non è una battaglia personale, ma è l'impegno di tutto il movimento e di tutte le persone straordinarie che ne fanno parte. Persone coraggiose e determinate che in questi giorni non hanno mancato di farmi sentire tutto il loro affetto e la loro solidarietà. Il Movimento non verrà fermato da minacce ed intimidazioni. – ha concluso Giarrusso – Il Movimento 5 Stelle vincerà e sconfiggerà la mafia". Probabilmente, ora, attraverso le indagini si arriverà a identificare il mittente reale di queste minacce che dovrà risponderne di fronte all'Autorità Giudiziaria.




Mafia, confiscato a Palermo il "tesoro" dell'imprenditore edile Calcedonio Di Giovanni

Redazione

PALERMO – Oltre 400 unità abitative per un valore complessivo superiore ai cento milioni di euro sono state confiscate dalla Dia di Palermo all'imprenditore edile, con interessi nel settore turistico alberghiero, Calcedonio Di Giovanni. Il provvedimento è del Tribunale di Trapani su proposta del direttore della Dia Nunzio Antonio Ferla. Secondo l'accusa, Di Giovanni, pur non risultando formalmente affiliato, sarebbe stato "contiguo" a Cosa Nostra, in particolare alla 'famiglia' Agate di Mazara del Vallo. Nel patrimonio confiscato, oltre a società con sedi a San Marino e Londra, c'è anche il noto villaggio turistico "Kartibubbo" di Campobello di Mazara, che avrebbe ospitato mafiosi latitanti. L'imprenditore, attraverso meccanismi fraudolenti, avrebbe avuto accesso a cospicui finanziamenti pubblici nazionali e comunitari coinvolgendo nei propri progetti anche interessi della mafia di Castelvetrano. Avrebbe evaso il fisco per oltre 60milioni di euro. A Di Giovanni sono stati imposti tre anni di sorveglianza speciale.




MAFIA, LUMIA (PD): "MAGISTRATO AGGREDITO E LA MAFIA AL MERCATO DI VITTORIA. GOVERNO INTERVENGA

Red. Cronaca

Palermo – Un magistrato aggredito, la mafia in uno dei mercati ortofrutticoli fra i più importanti d’Italia, continue minacce di morte ad un giornalista, Paolo Borrometi, e tutti i nomi dei mafiosi locali che inquinano la filiera dell’ortofrutta da Vittoria sino a Milano, passando per Fondi.
 

Sono le principali questioni sottoposte dal senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione parlamentare antimafia, con un’interrogazione al ministro dell'Interno Angelino Alfano.

“Vittoria – si legge nell’atto di sindacato ispettivo –, in provincia di Ragusa, rappresenta da tempo un'emergenza per la recrudescenza criminale e mafiosa che la riguarda ed è salita alla ribalta nazionale grazie alle inchieste giornalistiche del giornalista Paolo Borrometi, che ha permesso di mettere in evidenza come dal mercato vittoriese, uno fra i più importanti d’Italia, vengano immessi nella filiera nazionale frutta e verdura, che poi arrivano sulle tavole degli italiani, tramite il "triangolo dell'ortofrutta", Milano, Fondi e Vittoria”.

Dopo avere fatto i nomi e i cognomi dei mafiosi Lumia riferisce "che, recentemente, un magistrato in forze alla Procura di Ragusa è stato fatto oggetto di un'aggressione, verosimilmente legata alla propria attività di contrasto all'illegalità del territorio vittoriese e, complessivamente, ragusano".
Nell’interrogazione, oltre al mercato, si parla di droga, estorsioni ed armi, fino al “business lucrosissimo della plastica” che sta costituendo una vera e propria bomba ambientale “a due passi dallo splendido mare ibleo, reso famoso dalla fiction "Il Commissario Montalbano".

L’interrogazione si conclude con diverse istanze al ministro degli Interni, fra le quali quelle per “rafforzare il controllo del territorio da parte delle forze di Polizia; sostenere la verifica del legale andamento del mercato ortofrutticolo; colpire il meccanismo di riciclaggio con una meticolosa prevenzione nei confronti delle attività finanziarie e bancarie e dei flussi mafiosi che dalle altre province siciliane confluiscono nel ragusano; supportare e tutelare dalle continue e gravissime minacce di morte il giornalista Paolo Borrometi, tutelare il magistrato aggredito della Procura di Ragusa”.
 




AGRIGENTO, MAFIA: SGOMINATA RETE DI MATTEO MESSINA DENARO

Redazione
 
Agrigento – Un’osperazione dei Carabinieri del Ros e del comando provinciale di Agrigento ha portato all’arresto di sette persone per associazione mafiosa accusate. L’operazione ha portato in carcere i presunti fiancheggiare del superboss Matteo Messina Denaro ed è stata denominata Triokola, nome antico di Caltabellotta, luogo da cui ha avuto origine l’inchiesta. A finire in manette sono stati Giuseppe Genova, su cui pende l’accusa di essere il capo della famiglia mafiosa di Burgio (Ag), Andrea e Salvatore La Puma, rispettivamente padre e figlio, Vincenzo Buscemi, Gaspare Ciaccio, Massimo Tarantino, Luigi Alberto La Scala. Gli arresti sono stati eseguiti tra Sambuca di Sicilia e Burgio. Gli inquirenti ritengono che i fiancheggiatori avrebbero “bonificato” le campagne della zona per consentire gli incontri tra i mafiosi con il presunto boss Leo Sutera, arrestato in un primo momento e poi rimesso in libertà, gli investigatori lo ritengono vicino a Matteo Messina Denaro. 



LA MAFIA IMPONEVA IL SUO CALCESTRUZZO, ARRESTATO IMPRENDITORE ANTI-RACKET

A.B.
 
Trapani – Era  uno dei promotori dell’antiracket ad Alcamo, nel 2006 aveva denunciato alcuni esattori del pizzo e per questo gesto di coraggio era diventato il simbolo della lotta alla mafia nella terra di Matteo Messina Denaro. Ma le indagini degli inquirenti hanno appurato che l’imprenditore Vincenzo Artale, 64 anni –membro dell’antiracket e antiusura di Alcamo-  imprenditore, responsabile di una società nel settore del calcestruzzo faceva affari con i boss. Dalle indagini è emerso che l’imprenditore era favorito dalla cosca poiché gli avrebbe garantito posizione nel mercato. I committenti dei lavori privati o le ditte appaltatrici venivano costretti a rifornirsi di cemento da lui, poiché si era aggiudicato tutte le forniture in zona. L’operazione è stata denominata “Cemento dl Golfo” e sono finiti in manette: Mariano Saracino di 69 anni (capo della famiglia mafiosa di Castellamare del Golfo), Vito Turriciano di 70 anni, Vito Badalucco di 59 anni e Vincenzo Artale di 64 anni. Sono accusati a vario titolo di associazione a delinquere di tipo mafioso, danneggiamento aggravato, estorsione aggravata, fittizia intestazione aggravata, frode nelle pubbliche forniture e furto. L’inchiesta che ha portato ai suddetti arresti ha avuto il suo inizio nel 2013 e ha permesso di scoprire la struttura mafiosa di Castellammare, nella provincia di Trapani. Le attività investigative sono partite a seguito di attentati ad imprenditori. Gli accertamenti hanno ricondotto quegli attentati alla famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo, a cui vertice c’è Saracino. Da lì è emersa l’intricata vicenda del calcestruzzo e l’imposizione in merito all’acquisto. Tale contesto era collegato a Vincenzo Artale, imprenditore e membro dell’Antiracket e antiusura. Nell’operazione è stata sequestrata l’azienda “SP Carburanti s.r.l.” considerata intestata a prestanome ma riconducibile alla famiglia mafiosa di Castellamare. Per l’ennesima volta l’antimafia varca il confine.  



MAFIA, COLPITO IL CLAN LAUDANI, 109 MISURE CAUTELARI

di Andrea Li Causi
 
Catania – I Carabinieri di Catania hanno eseguito una maxioperazione antimafia denominata “Vicerè”,  coordinata dalla Direzione distrettuale Antimafia (Dda) della Procura distrettuale di Catania. Sono state disposte misure cautelari per 109 indagati, appartenenti allo storico clan dei Laudani. Il lavoro degli inquirenti è esteso anche fuori dai confini italiani. I reati contestati a vario titolo sono: associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, estorsione, spaccio e traffico di stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi. Le delicatissime indagini hanno appurato che all’interno della cosca, tre donne avevano un ruolo molto importante. L’accusa sostiene che le donne, tratte in arresto, sono state in grado di dirigere l’attività criminale della cosca, seguendo le direttive dettate dai vertici, si sarebbero occupate anche dell’aspetto economico, ovvero della gestione della cassa comune e del sostentamento delle famiglie dei carcerati. Ma da chi è costituito il clan Laudani? I Laudani sono temuti nel catanese per le loro ramificazioni e il loro agire nel mondo della criminalità, sono noti come “Mussi di ficurinia” ovvero labbra di fico d’india, hanno mantenuto una propria autonomia nel mondo della criminalità e di Cosa Nostra Catanese. Anche se nei sanguinosi anni 80/90 hanno stretto alleanze con la stessa e con la ‘Ndrangheta. I militari hanno individuato sia i capi che i gregari e hanno appurato che il clan esercitava estorsioni ai danni di commercianti e imprenditori. Le vittime però non hanno fornito un contributo concreto alle indagini, poiché soggiogate dalle continue pressioni coercitive hanno negato di pagare il Pizzo, hanno raccontato solamente di episodi storici in cui veniva pagato il pizzo, ma non hanno fornito elementi concreti per l’individuazione di soggetti specifici. 



MAFIA: ALTRI GUAI IN VISTA PER IL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA SICILIA

di Enzo Basso
Ad aprire le danze è stata la Procura di Caltanissetta. Ma altri guai al capo di Confindustria Sicilia Antonello Montante potrebbero presto arrivare dalla Procura di Catania. Qui, al fascicolo già aperto sul conto dell’imprenditore nisseno, si sono aggiunte le esplosive dichiarazioni di Nico Marino, ex assessore regionale all’Energia del governo Crocetta, che ha polemicamente rassegnato le dimissioni ed è tornato ad indossare la toga di magistrato alla Corte di appello a Roma.

Le pressioni di D’Alia al centro dell’indagine “gli affari in corso” con la Regione del presidente di Unioncamere Sicilia, balzato agli onori della cronaca per il rating di legalità di Confindustria, che investe direttamente il governo Crocetta, del quale Montante è stato il principale sponsor.
Il senatore Gianpiero D’Alia, che ha sempre rivendicato il ruolo di “padrino” per avere pressato su Casini perché si desse il via libera alla candidatura alla Presidenza della Regione dell’ex sindaco di Gela, in un momento in cui il governo Crocetta vacillava, ne ha preso le distanze con una imperdonabile gaffes
politica: “Crocetta? Mi è stato segnalato dal presidente di Confindustra Montante e da Bernava della Cisl…”.

Parole che ora pesano come pietre E investono un governo che della legalità ha fatto il suo tratto di svolazzante marketing sui media. Dal governo Lombardo in poi, l’assessorato alle Attività Produttive, è stato appannaggio di Confindustria, quasi fosse un partito della legalità, con Marco Venturi prima e Linda Vancheri poi.

Oggi le situazioni sono ribaltate Marco Venturi, secondo le indagini della Procura di Caltanissetta, che lo ha sentito a verbale, è uno dei principali accusatori di Montante e dei suoi metodi di gestione del potere associativo, non solo ad Assindustria.
Una crisi che investe anche i rapporti dello stesso Montante con il vicepresidente nazionale di Confindustria, Ivan Lo Bello, già al Banco di Sicilia, ora nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica, il cuore degli affari di Stato.

Un terremoto silenzioso, imbarazzante, che zittisce tutti i politici A tuonare sono solo i Grillini. Chiedono subito le dimissioni di Montante da tutte le cariche operative, come fa il vicepresidente nazionale dell’Antimafia, Claudio Fava.

Poi solo imbarazzati silenzi. Di Crocetta, che ha continuato a incontrare l’imprenditore e si limita a dire “speriamo si chiarisca tutto”, e di Beppe Lumia, per anni l’alfiere dell’esperienza di legalità che si è visto prima condannare l’ex presidente Raffaele Lombardo e ora si trova al centro di una più che imbarazzante danza di vorticose indagini dove non si capisce, come cantava Giorgio Gaber, “dov’è la destra e dov’è la sinistra”, dove sta la mafia e dove sta l’antimafia. Proprio in compagnia di Lumia, ha raccontato il magistrato Nico Marino ai suoi colleghi etnei, in una imbarazzante riunione all’hotel Excelsior di Catania, Montante avanzò pressioni sul tema dei rifiuti e delle discariche, lì dove ha interessi manifesti il vicepresidente regionale dell’associazione Giuseppe Catanzaro, gestore della discarica di Siculiana, entrato in rotta di collisione con il magistrato assessore per una serie di ispezioni disposte dalla Regione nelle discariche siciliane, a Mazzarrà Sant’Andrea, alla Oikos di Motta Sant’Anastasia e in quella dell’Agrigentino.

Arriva il commissario Se i primi due impianti sono poi stati chiusi per ordine della magistratura, quello di Catanzaro ha superato indenne le ispezioni e continua a lavorare a tamburo battente nell’emergenza continua della Sicilia che va avanti con una ordinanza al mese. Sempre alla ricerca di un “piano b” che non arriva, compresoil trasferimento
all’estero dei rifiuti.

Un fatto che preoccupa molto il governo nazionale
, che ha deciso un nuovo “commissariamento” dell’Isola. Nel nuovo piano nazionale sono previsti due inceneritori, uno dei quali a San Filippo del Mela nella centrale Edipower acquisita al 100% dalla A2a nel’ambito del riordino della ex Edison. Decisione presa senza consultare il presidente della Regione Siciliana che continua a dichiararsi contro e a chiedere un piano più articolato con sei mini inceneritori.

La partita rifiuti Ma la nascita di due maxiinceneritori, ridisegna ora il mercato dell’emergenza-rifiuti: con la Sicilia ancora fanalino di coda nella raccolta differenziata e l’Unione Europea sempre pronta ad infliggere continue sanzioni per i ritardi decennali ad affrontare la problematica. Si è passati dall’emergenza degli Ato, alla vertenza di undicimila dipendenti da ricollocare non si sa più come con la riforma degli Aro.

Un disastro gestionale che come una miccia accesa si sposa a una indagine esplosiva, quella che riguarda Montante e la ragnatela diffusa dei suoi interessi. Una serie di affari che toccano nel cuore il governo Crocetta. Dai trasporti pubblici, dove Montante, titolare di una partecipazione nella Jonica Trasporti, società che fa capo all’Ast regionale, ha presentato una richiesta di risarcimento da 1, 2 milioni di euro al governo Crocetta per la mancata capitalizzazione della società, per arrivare alle scelte pilotate all’Irsap, l’ente chiamato a liquidare le ex Asi, le aree industriali, e alle Camere di Commercio. Proprio su questo fronte si sta giocando in Sicilia una cruciale partita per il controllo della Sac, la società che gestisce l’aeroporto internazionale di Fontanarossa, che sta per approdare in Borsa: Irsap e Camere di Commercio di Catania, Siracusa e Ragusa, oggi riunite sotto un unico ombrello nella Sicilia Orientale, hanno di fatto il controllo della maggioranza del capitale.

Secondo le stime dell’Imi, l’advisor che sta accompagnando a Piazza Affari la Sac, la quotazione porterà in dote allo scalo internazionale etneo una capitalizzazione di seicento milioni di euro. Affari, insomma, all’ombra del distintivo della lotta alla mafia, che hanno portato Franco La Torre, figlio del deputato Pci trucidato nel 1982 dalla mafia, ad avanzare sospetti sulla gestione di “Libera” e di alcuni esponenti dell’antimafia. Circostanze in qualche modo confermate ora dall’indagine della magistratura, che ha decimato la sezione misure di prevenzione di Palermo, guidata da Silvana Saguto e che investono direttamente anche l’Agenzia per i beni confiscati alla Mafia, della quale Antonello Montante era consigliere nazionale, carica dalla quale si è dimesso.

Un pasticcio istituzionale senza precedenti, dagli imprevedibili sviluppi giudiziari. Confindustria nazionale, dopo avere difeso d’ufficio con le dichiarazioni del presidente Giorgio Squinzi l’operato di Antonello Montante, alla luce delle nuove investigazioni ordinate in tutta Italia si mostra ora più cauta. Confindustria nazionale dovrebbe presto andare al voto per il rinnovo delle cariche elettive e a contendersi la corsa dovrebbero essere Giorgio Squinzi e Alberto Bombassei. In Sicilia, invece, il delfino di Montante, Giuseppe Catanzaro, potrebbe vedersela con Gianfelice Rocca, imprenditore sanitario dell’Humanitas.

Confindustria Sicilia è ora in una fase di stallo:
se a Siracusa, patria di Ivan Lo Bello, è stato silurato il direttore reo di avere solo trasformato un contratto co.co.co a tempo indeterminato, ed è stato inviato da Messina il commissario Ivo Blandina, a Messina ora bisogna sostituire Alfredo Schipani, un tempo re delle manutenzioni elettriche al Comune di Messina, la cui gestione è il caso di dire è “andata in corto circuito”. In Sicilia l’associazione industriale si appresta a cambiare “governance” trasformandosi in semplice entità territoriale, sotto un unico ombrello regionale.

Come ai tempi di Mimì La Cavera, il precursore della regione imprenditrice.
Che si è ora trasformata nella regione dei commissari, in bilico sulla revoca.

Come alla Camera di Commercio di Messina. Dove il commissario Francesco de Francesco è stato revocato dall'assessore Maria Lo Bello senza essere sostituto. Perché quello di Crocetta è il governo dei commissari, dalle Province, all’Irsap, all’Esa, a chi più ne ha più ne metta, ora sempre più commissariato
dall’alto, dal duo Faraone-Renzi, in bilico sul più odioso dei sospetti: il concorso esterno. Non alla Rivoluzione. Ma a certi affari “montanti”, definiti dalla procura di Caltanissetta “opachi”.




MAFIA: TOTÒ RIINA IN OSPEDALE SI LAMENTA PER L'ASSENZA DEL PANETTONE, MA NON DEPONE COME TESTE PER LA STRAGE DI VIA D'AMELIO

di Angelo Barraco
 
Parma – Il giorno di Natale il sanguinario Boss di Cosa Nostra Totò Riina, ormai 80enne, si trova ricoverato presso l’ospedale di Parma in seguito ad una crisi respiratoria. Ma le sue condizioni non sono così gravi da ridurlo inerme e privo di forze in un letto d’ospedale. Totò “U curtu” dal lettino vuole sapere cosa mangerà e soprattutto vuole il panettone. Ma il panettone non arriva e il Boss non sembra l’abbia presa molto bene. “U Curtu” sperava forse di essere servito e riverito come lo era in latitanza, quando con uno schiocco di dita tutto si materializzava sotto le sue mani, dalle cose più semplici alle cose più grosse. Da un semplice panettone alla vita di un essere umano. Il boss si è lamentato per l’assenza del panettone, inoltre non ha ricevuto nessun trattamento particolare rispetto agli altri ma si è dovuto accontentare del semplice pranzo natalizio, sicuramente non saranno osteriche e Champagne a cui era abituato molti anni prima. Bisogna ricordare inoltre che Riina era stato ricoverato in gravi condizioni il 15 dicembre scorso. Il suo ritorno in cella è avvenuto prima di capodanno poiché le sue condizioni sono migliorate. Un altro superboss che allo stato attuale si trova in carcere è Bernardo Provenzano “Binnu”, ricoverato presso l’ospedale San Paolo di Milano in una camera di sicurezza e la sua salute è a rischio, meno quella di Riina che ancora parla, racconta e da come si è potuto evincere dalle intercettazioni in carcere detta ordini, sentenze di morte e parla di stragi. E’ proprio in merito alla Strage di Via D’Amelio c’è una novità, nel processo in corso davanti alla corte d’assise di Caltanissetta il boss non deporrà. Riina è citato come teste. A comunicare che non deporrà è il suo legale che precisa inoltre che il superboss soffrirebbe di gravi problemi neurologici e non riuscirebbe nemmeno a scrivere. L’avvocato ha puntualizzato inoltre che Riina si vuole avvalere della facoltà di non rispondere poiché imputato di reato connesso. I Pm hanno rinunciato all’esame di Totò Riina.