Redazione
Roma – Arrestato Massimo Carminati considerato l’anima nera della criminalità romana più spietata e ramificata. Sembrava un'operazione impossibile fino a quando oggi i Ros gli hanno messo le manette ai polsi con l’accusa di associazione mafiosa.
"Lo abbiamo bloccato, lo abbiamo bloccato". Così uno dei militari che hanno partecipato all'operazione di cattura di Massimo Carminati, comunica alla centrale operativa via radio, confermando l'arresto. "Scendi, scendi da questa c… di macchina". Grida un carabiniere del Ros urla a Massimo Carminati nel momento della cattura ripresa in un video. "Signora vada fuori, ferma la macchina", dice un altro militare rivolgendosi anche ad una donna che era in auto con Carminati.
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Massimo Carminati nasce nell'ambiente dell'estremismo di destra come amico e compagno di scuola di Valerio Fioravanti, al quale si lega in modo forte, e di Franco Anselmi. In breve diviene un personaggio carismatico di uno dei gruppi fondanti dei Nar: quello cosiddetto dell'Eur. Pur partecipando solo marginalmente a scontri, sparatorie ed episodi della miniguerra che ha insanguinato la capitale intorno al 1977 fra estremisti di destra e di sinistra, Carminati gode di grandissimo prestigio. Probabilmente perché è la persona dell'ambiente di destra maggiormente legata già allora alla malavita romana, alla nascente Banda della Magliana.
Valerio Fioravanti, che lo considera come "uno che non voleva porsi limiti nella sua vita spericolata, pronto a sequestrare, uccidere, rapinare, partecipare a giri di droga, scommesse, usura" ritiene quindi, il suo profilo criminale, adatto per un percorso di lotta armata che i suoi NAR intendono seguire, tanto da coinvolgerlo in molte azioni criminose, oltre che utilizzarlo come intermediario con la malavita romana, grazie alle diverse conoscenze che nel corso degli anni Carminati aveva accumulato, alla sua dimestichezza con gli ordigni esplosivi e alla disponibilità di materiale esplodente che poteva vantare in quegli anni.
Il 27 novembre 1979 partecipa, assieme a esponenti dei NAR e di Avanguardia Nazionale come Valerio Fioravanti, Domenico Magnetta, Peppe Dimitri e Alessandro Alibrandi, alla rapina ai danni della filiale della Chase Manhattan Bank di piazzale Marconi all'EUR. Successivamente parte del bottino, consistente in traveller cheque, verrà riciclato da Carminati e Alibrandi i quali lo affidarono nelle mani di Franco Giuseppucci, boss della Banda della Magliana che, nell'organizzare l'operazione di ripulitura, venne poi arrestato con l'accusa di ricettazione, nel gennaio del 1980.
Sempre nel 1979, Carminati assieme ad altri militanti neri, si attivò per la liberazione di Paolo Aleandri, un giovane neofascista orbitante nella galassia dei Nar a cui Franco Giuseppucci, boss della Banda della Magliana, aveva affidato in custodia un borsone pieno di armi mai riconsegnate che, utilizzate da vari esponenti della destra eversiva, erano andate disperse. Aleandri, più volte sollecitato, non era più stato in grado di restituirle ed era stato quindi rapito, il 1º agosto, dagli uomini della Magliana. A quel punto Carminati e altri militanti si attivarono rimediando altre armi (due mitra MAB modificati e due bombe a mano) in sostituzione delle originali andate perdute e dopo 31 giorni di prigionia, Aleandri venne liberato.
Quei due mitra modificati entrarono poi far parte dell'arsenale che la banda della Magliana nascose nei sotterranei del Ministero della Sanità e uno dei due venne addirittura riconosciuto, dal pentito Maurizio Abbatino, tra quelli rinvenuti sul treno Taranto-Milano, nel tentativo di depistaggio legato alla strage alla stazione ferroviaria di Bologna del 2 agosto 1980.
Il 13 gennaio 1981, infatti, in una valigetta rinvenuta su quel treno, contenente un fucile da caccia, due biglietti aerei a nome di due estremisti di destra, del materiale esplosivo T4 dello stesso tipo utilizzato per la strage di Bologna venne rinvenuto anche un mitra Mab proveniente dal deposito/arsenale della banda all'interno del Ministero della Sanità. Analizzando proprio quell'arma, gli inquirenti poterono risalire ai legami tra la Banda e la destra eversiva dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Per questa vicenda, il 9 giugno 2000, nel processo di primo grado, Carminati venne condannato a 9 anni di reclusione assieme al generale del Sismi Pietro Musumeci, al colonnello dei carabinieri Giuseppe Belmonte, al colonnello del Sismi Federigo Mannucci Benincasa e a Licio Gelli. Dell'episodio vennero infine ritenuti responsabili, con sentenza definitiva, i soli Musumeci e Belmonte, mentre Carminati verrà poi assolto in appello.
Secondo alcuni pentiti Carminati effettuò, per conto della Magliana, anche un altro omicidio affidato ai NAR, quello cioè del giornalista Mino Pecorelli, direttore del settimanale Osservatorio Politico O.P., iscritto alla loggia P2 e uomo vicino ai servizi segreti. Pecorelli fu assassinato con tre colpi di pistola calibro 7,65 a Roma, la sera del 20 marzo 1979 e secondo Antonio Mancini, pentito della Magliana interrogato l'11 marzo 1994: "fu Massimo Carminati a sparare assieme ad Angiolino il biondo (Michelangelo La Barbera, ndr). Il delitto era servito alla Banda per favorire la crescita del gruppo, favorendo entrature negli ambienti giudiziari, finanziari romani, ossia negli ambienti che detenevano il potere."
Dopo tre gradi di giudizio, però, nell’ottobre del 2003, la Corte di cassazione emanò però una sentenza di assoluzione "per non avere commesso il fatto" sia per i mandanti che per gli esecutori materiali dell'omicidio (Carminati e La Barbera), valutando le testimonianze dei pentiti come non attendibili e lasciando il caso (ancora oggi) irrisolto.
Massimo Carminati venne arrestato il 20 aprile 1981 quando, colpito da mandato di cattura per le azioni con i Nar, venne catturato nel tentativo di fuggire all’estero in compagnia dei due avanguardisti Domenico Magnetta e Alfredo Graniti. Arrivati nei pressi del valico del Gaggiolo (in provincia di Varese) e con l'intento di espatriare clandestinamente in Svizzera, i tre sono bloccati dalla polizia che li aspettava alla frontiera (probabilmente grazie ad una soffiata di Cristiano Fioravanti, fresco di pentimento) e che apre il fuoco su di loro, convinti che nell’auto ci fossero i capi superstiti dei Nar: Francesca Mambro, Giorgio Vale e Gilberto Cavallini. Mentre gli altri due se la cavano illesi, Carminati verrà ferito gravemente e perderà poi l'occhio sinistro e l'uso di una gamba.
Il 28 maggio 1982 viene rinviato a giudizio insieme ad altri 55 neofascisti del gruppo dei NAR a cui, il gruppo il giudice istruttore, contesta diversi capi di imputazione che vanno dalla strage alla rapina, all'omicidio, alla violazione della legge sulle armi, al danneggiamento doloso. Ad agosto di quell'anno viene però scarcerato per motivi di salute ma tornerà ben presto in carcere, il 6 ottobre, con altri 21 militanti neofascisti accusati di banda armata e associazione sovversiva.
I legami con la Banda della Magliana
Dopo gli anni della militanza politica e, successivamente, della commistione fra eversione politica e malavita comune, preferendo alla lotta ideologica obbiettivi legati all'utilità economica, Carminati finì per convogliare tutti i suoi sforzi nella criminalità organizzata che, in quella seconda metà degli anni settanta era contraddistinta, nella capitale, da una pressoché totale egemonia da parte della Banda della Magliana.
Già nel 1977, soprattutto frequentando il bar Subrizi in via Fermi o più spesso il bar di via Avicenna, nella zona di Ponte Marconi e ritrovo dei criminali della Banda della Magliana, Carminati entra in contatto con i boss Franco Giuseppucci e Danilo Abbruciati che, grazie anche alla sua fama di duro e per la sua spregiudicatezza ed il coraggio dimostrato nelle azioni, lo prendono sotto la loro ala protettiva sia per coinvolgerlo nelle proprie attività illecite che per la possibilità di ricercare un terreno comune di reciproco beneficio e di scambio di favori. Inizialmente alla base di questa cooperazione vi furono alcune attività di reinvestimento di proventi provenienti da rapine di autofinanziamento che gli estremisti effettuarono con Fioravanti e soci, in modo da poterli investire in altre operazioni illecite quali l'usura o lo spaccio di droga.
Franco Giuseppucci era un accanito scommettitore e, per tale sua passione, frequentatore di ippodromi, sale corse e bische, ambienti nei quali non disdegnava di prestare soldi "a strozzo", dietro interessi aggirantisi attorno al 20-25 per cento mensili. Il denaro che riceveva dal Carminati, consentiva ai due di ripartire tra loro il provento degli interessi: al Carminati veniva corrisposta una "stecca" del 10-15 per cento. Dal momento che il denaro riciclato in tal modo veniva conteggiato sulla base di lire 10 milioni per volta, il Carminati, per ogni dieci milioni di lire veniva a percepire mensilmente dal Giuseppucci, da un milione ad un milione e mezzo di lire, fermo restando che Franco Giuseppucci garantiva la restituzione del capitale. Sempre Franco Giuseppucci aveva messo il Carminati in contatto con Santino Duci, titolare di una gioielleria in via dei Colli Portuensi, il quale ricettava i preziosi provento di rapine ad altre gioiellerie ed orefici, liquidando al Carminati il contante che questi, col metodo sopra specificato, riciclava e reinvestiva mediante lo stesso Giuseppucci.
Per contro, Carminati e gli altri, si adoperarono in azioni di recupero crediti, danneggiamenti e di vero e proprio killeraggio, nei confronti di alcuni personaggi entrati in conflitto con gli affari della Magliana.
I contatti avvennero in epoca precedente alla morte di Franco Anselmi. Successivamente essi furono mantenuti dal gruppo che faceva capo ad Alessandro Alibrandi, Massimo Carminati e Claudio Bracci (…) e ricordo, in particolare, che quelli della Magliana davano indicazione dei luoghi e persone da rapinare anche al fine di dare il corrispettivo di attività delittuose compiute per loro conto dagli stessi giovani di destra. Ricordo infatti che Alibrandi e gli altri due avevano la funzione di recuperare i crediti di quelli della Magliana e di eliminare alcune persone poco gradite. Tali persone da eliminare gravitavano nell'ambiente delle scommesse clandestine di cavalli: in particolare il Carminati mi disse, presumibilmente intorno al febbraio '81, di aver ucciso due persone: una di queste era stata "cementata" mentre l'altra era stata uccisa in una sala corse
Secondo le rivelazioni del pentito Walter Sordi, ad esempio, nell'aprile del 1980 Carminati, Alibrandi e Claudio Bracci uccisero con tre colpi di pistola calibro 7,65 il tabaccaio romano Teodoro Pugliese, omicidio ordinato dalla Banda perché d'intralcio nel traffico di stupefacenti gestito da Giuseppucci.
A uccidere Teodoro Pugliese sono stati Alessandro Alibrandi, Massimo Carminati e Claudio Bracci. Me l'ha raccontato proprio Alessandro, secondo il quale il delitto fu commesso per conto di Franco Giuseppucci, uno della banda della Magliana che era in stretti rapporti d'affari con loro, in particolare con Carminati. Entrarono in due, Alibrandi e Carminati, vestiti con degli impermeabili chiari, trovarono Pugliese e un'altra persona. Uno dei due chiese un pacchetto di sigarette, il tabaccaio si girò e loro spararono tre colpi di pistola, Alessandro mi ha detto che l'hanno colpito alla testa e al cuore. Poi sono saliti a bordo di una macchina, e durante la fuga hanno avuto un incidente, ma sono riusciti ad arrivare ugualmente al punto in cui si doveva fare il cambio auto. So che la pistola usata era una Colt Detective.
Con il passare del tempo, poi, Carminati verrà affiliato definitivamente al gruppo criminale della Magliana e, durante questo periodo ottenne addirittura il controllo congiunto, per conto dei NAR, del deposito di armi della Banda nascosto negli scantinati del Ministero della Sanità, in Via Liszt, all'EUR e rinvenuto poi, dalla polizia nel corso di una perquisizione, il 25 novembre del 1981.
A Massimo Carminati venne consentito, in un secondo momento, di accedere liberamente al Ministero. La decisione di consentire l'accesso con maggiore libertà al Carminati, venne presa da me, nell'ottica di uno scambio di favori tra la banda e il suo gruppo. Le armi custodite nel deposito della Sanità appartenevano a tutte le componenti della banda, rispondeva pertanto unicamente a esigenze di sicurezza limitare alle persone che ho indicato il libero accesso al Ministero, anche per non creare dei problemi ulteriori all'Alesse.
I processi e le condanne
Il lungo curriculum criminale di Carminati maturato all'ombra dei NAR e della Banda della Magliana, anche in virtù della sua figura di anello di congiunzione tra la criminalità romana ed i gruppi eversivi di estrema destra, fu oggetto di diversi processi nei confronti dell'estremista nero, alcuni dei quali riguardanti i misteri più controversi della Repubblica Italiana e da cui, Carminati, uscì praticamente quasi sempre indenne.
Successe nel caso del procedimento per l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli o in quello per il tentativo di depistaggio legato alla strage alla stazione ferroviaria di Bologna in cui, in entrambi i casi, venne assolto per non aver commesso il fatto.
Stessa sorte nel processo per l'omicidio di Fausto e Iaio (Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci), i due militanti di sinistra assassinati a Milano, la sera del 18 marzo 1978, con 8 colpi di pistola. Con Carminati vennero indagati altri due neofascisti romani, Claudio Bracci e Mario Corsi per i quali, il 6 dicembre 2000, il Giudice delle Udienze preliminari del Tribunale di Milano, Clementina Forleo decretò l'archiviazione del procedimento a loro carico mettendo così la parola fine a un’inchiesta durata 22 anni e indirizzata, sin dall'inizio, negli ambienti dell'estremismo neofascista ma che, come recitano le conclusioni di quel documento: "pur in presenza dei significativi elementi indiziari a carico della destra eversiva ed in particolari degli attuali indagati, appare evidente allo stato la non superabilità in giudizio del limite appunto indiziario di questi elementi, e ciò soprattutto per la natura del reato delle pur rilevanti dichiarazioni."
Nel processo che, invece, vide alla sbarra l'intera Banda della Magliana, iniziato a Roma, il 3 ottobre del 1995 e in cui 69 appartenenti al clan furono chiamati a rispondere a reati quali traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni, riciclaggio, omicidio, rapina e soprattutto associazione a delinquere di stampo mafioso[22], il pubblico ministero Andrea De Gasperis chiese, per Carminati, una pena pari a 25 anni di carcere.[23] Istruito grazie alle rivelazioni del pentito Maurizio Abbatino che, la mattina del 16 aprile 1993, portarono in carcere boss, seconde linee e fiancheggiatori dell'organizzazione capitolina, nella maxi-operazione di polizia denominata "Colosseo", dopo due gradi di giudizio, il 27 febbraio 1998, Carminati venne condannato a 10 anni di reclusione.
Sviluppi recenti
Carminati è attualmente indagato per il furto al caveau della Banca di Roma interno al Palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio, a Roma, avvenuto il 17 luglio del 1999 e compiuto da una banda composta da circa 23 persone, compresi i complici interni, che trafugarono da 147 cassette di sicurezza di "proprietà" di dipendenti del palazzo, oltre a 50 miliardi di lire, anche documenti riservati che sarebbero serviti per ricattare alcuni magistrati.
Nel maggio del 2012 Carminati è di nuovo tornato alla ribalta delle cronache nell'ambito dell'inchiesta sul calcioscommesse per il quale vennero indagati e arrestati alcuni calciatori italiani.[27] Il suo nome è emerso nel corso delle indagini su Giuseppe Sculli, centrocampista del Genoa e nipote del boss Giuseppe Morabito, detto u tiradrittu e legato alla criminalità organizzata calabrese.
Il 2 dicembre 2014 viene arrestato insieme ad altre 36 persone con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso nell'ambito dell'inchiesta Mondo di Mezzo della procura di Roma riguardante le infiltrazioni della sua organizzazione mafiosa nel tessuto imprenditoriale, politico ed istituzionale della città, attraverso un sistema corruttivo finalizzato ad ottenere l’assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici dal Comune e dalle aziende municipalizzate, con interessi anche nella gestione dei centri di accoglienza degli immigrati e nel finanziamento di cene e campagne elettorali (tra cui quella dell'ex sindaco Gianni Alemanno che figura tra gli indagati).