“Laggiù tra il ferro – storie di vita, storie di reclusi”: attesissimo il nuovo libro dell’avvocato Nicodemo Gentile

“Laggiù tra il ferro – storie di vita, storie di reclusi”: questo il titolo del nuovo attesissimo libro dell’avvocato Nicodemo Gentile, l’illustre cassazionista natio di Cirò che da anni si occupa prevalentemente di diritto penale, disponibile dal prossimo 23 novembre in tutte le librerie

 

Nicodemo Gentile è ormai conosciutissimo per essersi occupato di vicende di rilevanza nazionale come il caso di Melania Rea o il delitto dell’Olgiata dove è stato legale degli imputati mentre come parte civile è stato difensore per l’omicidio della piccola Sarah Scazzi, per i fidanzati di Pordenone, Teresa e Trifone, per Guerrina Piscaglia e per Roberta Ragusa.  Quest’ultimi processi tutt’ora in corso. Nicodemo Gentile rappresenta un punto di riferimento per molte associazioni che da anni, si impegnano quotidianamente nel sociale.

 

Il carcere è un argomento di cui si parla tanto, spesso anche troppo e invita gli individui a molteplici riflessioni sulla vita che si svolge dietro le grate a seguito di una condanna. L’Avvocato Nicodemo non ha scritto “Laggiù tra il ferro – storie di vita, storie di reclusi” a scopo di lucro o per ottenere visibilità, ma lo ha fatto per pura passione, mettendo in calce le esperienze che lo hanno coinvolto direttamente o tramite colleghi, operatori di settore, cercando di descrivere quelle polaroid che la sua mente ha archiviato nel tempo, attraverso un percorso umano e professionale lungo e intenso. Un racconto fatto con la piena consapevolezza che quelle pareti bianche in cui si respira la sofferenza di una reclusione, quelle grate arrugginite e piene di dolore, quegli odori, quelle lacrime, quei rumori e quei giorni interminabili nell’attesa di una libertà possano essere descritti soltanto da chi li ha vissuti direttamente. L’Avvocato  ha deciso di raccontare questo aspetto così intimo e delicato  attraverso gli scritti che negli anni ha custodito e catturato, tramite i lunghi colloqui, le sensazioni e il malessere di chi vive quotidianamente il carcere. Massimo Picozzi, noto psichiatra e criminologo, ha scritto la prefazione del libro “ogni istituto penitenziario è un microcosmo con i suoi riti, le sue gerarchie. Non puoi conoscerlo, e non puoi conoscere chi lo abita, se non entrandoci , passandoci del tempo. Con l’umiltà di ascoltare e l’intelligenza di sospendere i giudizi. Questo è riuscito a fare Nicodemo Gentile, e questo racconta nelle pagine del suo libro. Un libro speciale, perché è un libro vero”. Non vengono raccontate le vicende processuali, sicuramente già note, e neppure viene avvalorata una tesi piuttosto che un’atra; il libro racconta il sistema carcerario e il suo funzionamento, le condizioni dei detenuti, come si svolgono le loro giornate, come impiegano le ore e soprattutto quali sono le emozioni ed i sentimenti che travolgono la loro anima in un micro mondo fatto di incertezze e anime desiderose di tornare a casa, anime e corpi che gridano la loro innocenza, affiancate spesso da spietati killer senza scrupoli. Un viaggio materiale e introspettivo dove i ciceroni saranno di volta in volta i suoi assistiti, da Salvatore Parolisi, condannato per l’omicidio della moglie Melania Rea a Manuel Winston Reyes, condannato per l’omicidio della Contessa dell’Olgiata; da Angela Birkiukova, condannata per l’omicidio del marito a Carmelo Musimeci, ex ergastolano. Nei diciannove capitoli del libro si parla inoltre di suicidio, custodia cautelare, permessi premio, 41 bis, ergastolo, ergastolo ostativo, malattia mentale, dei reclusi senza famiglia, di sovraffollamento carcerario, di Dio, con l’importante testimonianza del cappellano di Perugia che da oltre 25 anni si occupa delle detenute del carcere di Capanne, delle vittime dei reati, dei loro familiari e di misure alternative alla detenzione.

 

Abbiamo intervistato l’avvocato Nicodemo Gentile, che in merito all’imminente uscita editoriale ha detto:
“In questo libro c’è l’uomo e il professionista: l’uomo contiene il giovane Avvocato, lo studente, contiene l’Avvocato maturo che si ritrova di colpo a contatto con il dolore perché il carcere è un’esperienza umanamente molto difficile; il professionista che vive con una lente d’ingrandimento particolare. Ho bisogno di parlarne perché del carcere se ne deve parlare. Lo faccio io ma lo faccio fare soprattutto a chi, purtroppo, il carcere lo vive in prima persona perché, per colpa o senza colpa, si ritrova dentro a vivere un percorso più o meno lungo di detenzione. Attraverso vissuti di vita, con questo libro, si cerca di parlare di suicidio, di 41bis, di ergastolo, di parlare di una sfida che va vissuta e combattuta. Non a caso Papa Francesco va spesso nei penitenziari, non a caso l’ex Presidente della Repubblica Napolitano ha parlato in più occasioni di carcere, ha stimolato ad una riflessione moderna ed evoluta sul carcere e misure alternative alla detenzione. Si parla di primi permessi, di un carcere che funziona, di un carcere che rieduca; dentro ci sono i contributi di Carmelo Musumeci, ex ergastolano entrato in carcere che aveva la quinta elementare e adesso ha tre lauree e scrive libri sul carcere. Si parla anche di vittime di chi è in carcere e si parla di un carcere che funziona attraverso la rieducazione, attraverso i primi permessi, attraverso meccanismi che consentono poi al detenuto di poter essere qualcosa e una persona nuova”

 

Lei ha raccolto le testimonianze, a livello umano e non prettamente giuridico, legate a casi di cronaca ben noti come il delitto Scazzi, Rea, Ragusa, Olgiata, Piscaglia e Pordenone: com’è stato unire esperienze così differenti?
“Il percorso è estremamente difficile e doloroso perché quando si abbassano i riflettori, ti ritrovi uomini che per la legge sono assassini ma ti rendi conto che hanno gli stessi occhi, gli stessi visi puliti di chi invece vive la sua vita ordinaria e ti rendi conto di come il percorso umano di questi soggetti sia conflittuale, di grande solitudine perché poi con il tempo la loro vita è una metamorfosi dal punto di vista sociale e familiare, man mano si perdono pezzi e spesso e volentieri l’Avvocato è l’unico soggetto che per un tratto di strada più o meno lungo sta li insieme a loro a sopportarne il peso umano, oltre a quello giuridico e processuale di questo percorso estremamente sfuggente. Spesso e volentieri si tratta di soggetti che vengono allontanati dai figli, dalle figlie, che hanno divieti di incontro, anche di natura epistolare, quindi è evidente che l’Avvocato rappresenta la finestra sul mondo, non solo l’aspetto tecnico quindi ma anche l’amico e la persona sulla quale poggiare la testa e sfogarsi. Spesso e volentieri anche i singoli istituti sono tra loro diversi, ciò che è possibile in un istituto spesso non è possibile in altri. In alcune carceri è più facile studiare, in altri no; ho avuto contatti con gente che ha vissuto il 41Bis, che si tratta comunque di un regime carcerario particolare e unico dove anche avere un particolare cibo cotto può essere una grande affermazione, una grande battaglia vinta. Ci sono situazioni dove anche avere un po’ di aria fresca oppure avere una persona con la quale discutere può essere un momento di felicità. Ci si domanda se questo tipo di terapia è la terapia giusta per questi soggetti, il problema del carcere è che ancora oggi la cosiddetta istituzione totale, il percorso dove a soggetti con malattie diverse si somministra sempre la stessa cura. Il carcere è una istituzione che rende tutti uguali persone che non lo sono. Io ho cercato di descrivere questo mondo e la cosa che a me piace dire è che innanzitutto io non sono portatore di nessuna verità e di nessun concetto rivoluzionario sul carcere, racconto la mia esperienza attraverso chi la vive, dico le cose che ci sono, le cose che funzionano e le cose che non funzionano, le riforme inattuate, i buoni propositi rimasti solo propositi, ma tutto viene fatto, così come dice Massimo Picozzi nella sua prefazione, sospendendo giudizi e con l’umiltà di ascoltare. Quando si entra nel carcere bisogna sospendere ogni tipo di giudizio e bisogna avere l’umiltà di ascoltare”.

 

Ha dedicato il libro al suo Papà…
“E’ legato a mio padre perché se io sono Avvocato è grazie a lui e se io scrivo di carcere è perché lui mi ha sicuramente trasmesso l’assoluta forza nello stare vicino a chi ha bisogno, stare vicino nonostante le difficoltà. Una seconda chance la si deve a tutti. L’ho dedicato a mio padre perché mi ha insegnato ad essere onesto. Il libro è dedicato anche ad Enzo Fragalà, un penalista che io non ho conosciuto ma che ha sacrificato sull’altare dell’onestà la propria vita e a tutti i penalisti che pur di affermare la propria onestà hanno sacrificato la loro vita”.

 

Angelo Barraco




Omicidio Rea: in esclusiva l'intervista a Michele, fratello di Melania

di Angelo Barraco
 
Ascoli – “Pronto? C'è un corpo davanti al chiosco della pineta di Ripe“, così inizia il mistero legato alla morte di Melania Rea, una donna di 29 anni che scompare misteriosamente il 18 aprile del 2011 alle ore 15 in zona Colle San Marco ad Ascoli Piceno, luogo in cui si era recata con il marito Salvatore Parolisi, un militare che prestava servizio presso il 235esimo Reggimento Piceno, a prendere qualche ora d’aria con la loro bambina, un amore alla quale la donna non avrebbe mai detto addio. La donna si sarebbe allontanata per usufruire della toilette di uno chalet della zona e poi sarebbe scomparsa. Appena venti minuti dopo il marito ha chiamato le forze dell’ordine facendo avviare prontamente le ricerche con le unità cinofile a seguito. Un cane ha tracciato in un primo momento un sentiero e una delle prime ipotesi avvalorate dagli inquirenti era quella dell’allontanamento volontario poiché vi era una strada dove avrebbe potuto ricevere un passaggio da qualcuno verso zone limitrofe. Il 20 aprile di quell’anno, intorno alle 14.30-15.00, una telefonata anonima comunica la presenza del corpo a Ripe di Civitella, a 18 chilometri da Colle San Marco, in località Casermette.
 
Il referto autoptico parla chiaro, la donna è stata uccisa brutalmente con trentacinque coltellate che hanno interessato principalmente le zone del collo e del tronco. Non sono emersi segni di violenza sessuale e di strangolamento. Sul corpo della donna vi era inoltre conficcata una siringa ma che non ha determinato il decesso. Il delitto è stato collocato in un arco temporale che va dalle 24 del 18 aprile alle 3 del giorno dopo ed è stato compiuto in un luogo diverso rispetto al luogo in cui si trovava il cadavere.
 
Sin da subito l’attenzione è stata concentrata sul telefonista anonimo che ha segnalato e in quei giorni concitati di aprile del 2011 la Procura di Ascoli Piceno ha lanciato il primo appello sollecitando l’uomo a farsi avanti con gli inquirenti senza temere nulla, con il fine ultimo di poter fornire eventuali dettagli utili in merito a quanto ha visto quel giorno.
 
Salvatore Parolisi intanto racconta la sua versione dei fatti a “Chi l’ha visto?”, ricostruendo minuziosamente quanto accaduto il 18 aprile, evidenziando quali sono stati gli spostamenti fatti dalla moglie con la piccola Vittoria, parlando inoltre di quelle zone in cui si era recato con Melania e dove è stata rinvenuta priva di vita sottolineando: “ci ho fatto delle 'continuative', addestramento militare, con le tende montate per la notte”.
 
Dai tabulati emerge che Parolisi chiama la moglie un’ora dopo che la moglie si allontana dal suo raggio visivo in direzione toilette. Lui ha spiegato ai microfoni di “Chi l’ha visto?” che: “Lì per lì non è che sia partito preoccupato, non sono andato nel panico, ho continuato a giocare con la bambina”. L’uomo ha riferito inoltre che dopo 10 minuti dal loro arrivo e lui giocava con la bimba, la moglie si è allontanata. Alcuni testimoni raccontano di un episodio risalente al pomeriggio del 18 aprile, quando due soldatesse sarebbero state viste medesima zona e una di esse era particolarmente agitata. Altri testimoni parlano di strani movimenti di auto nel pomeriggio del 18 aprile.
 
Il 21 giugno è una data decisiva poiché Salvatore Parolisi viene iscritto nel registro degli indagati e gli elementi a suo carico sono diversi, uno tra tutti riguarda il fatto che nessuno ha visto ne lui ne la moglie nei tempi da lui indicati, nemmeno i ragazzi che si trovavano a Colle San Marco in quel preciso momento. I familiari di Melania urlano a gran voce la verità in merito a quanto accaduto e chiedono a Parolisi di dire cosa è realmente successo poiché non credono che quel giorno l’ex Caporal Maggiore e Melania Rea fossero a Colle San Marco poiché nessuno li ha visti.
 
Il 19 luglio scattano le manette per Parolisi con l’accusa di omicidio volontario poiché il Gip di Ascoli accoglie la richiesta della Procura. All’ex Caporal maggiore vengono contestati i reati di omicidio volontario pluriaggravato dal vincolo di parentela e crudeltà, vilipendio di cadavere in eventuale concordato con altri. L’esito autoptico è stato decisivo poiché ha stabilito che la donna è stata uccisa nello stesso lasso di tempo in cui marito ha dichiarato di trovarsi a Colle San Marco con la figlia. Emergono intanto delle conversazioni telefoniche tra Parolisi e la sua amante e lui riferisce a codesta che Melania si è allontanata volontariamente a causa della loro relazione ma era sicuro che sarebbe tornata entro pochi minuti. L’amante di Salvatore Parolisi ha raccontato anche un episodio: “Venerdì 16 ottobre, quanto è nata Vittoria, lui sarebbe dovuto venire da me a Roma, ma mi raccontò di aver saputo della nascita della figlia per aver visto le chiamate, presumo, da parte dei familiari sul proprio cellulare fatte durante la notte e quindi doveva scendere a Napoli”. Parolisi inoltre riferisce all’amante, nel corso di conversazioni postume alla scomparsa di Melania, che avrebbe fatto scomparire il telefono che usavano entrambi perché temeva una perquisizione. La donna si era chiesta come mai una così drastica scelta poiché Melania risultava semplicemente scomparsa. Per l’ex Caporal Maggiore viene chiesto il rito abbreviato, intanto gli viene tolta la potestà genitoriale. La condanna all’ergastolo arriva il 26 ottobre del 2012 con le sanzioni accessorie. Recentemente Salvatore Parolisi è stato degradato da caporal maggiore dell’Esercito. La Corte di Appello di Perugia ha accolto la richiesta della Procura generale in merito all’applicazione della pena accessoria prevista dalla sentenza definitiva di condanna per l’omicidio della moglie Melania Rea, per il quale l’uomo  sta scontando 20 anni di reclusione. E’ stato inoltre trasferito dal carcere militare di Santa Maria Capua Vetere a quello di Bollate e si apprende inoltre che consequenzialmente al provvedimento perderà lo status di militare e verrà interdetto dai pubblici uffici. Salvatore Parolisi aveva annunciato che il 3 ottobre avrebbe presenziato in Tribunale dei minori a Napoli per un’udienza che riguardava un’istanza attraverso il quale chiedeva di poter vedere la figlia Vittoria. 
 
Noi de L’Osservatore D’Italia abbiamo già approfondito la vicenda legata alla degradazione di Salvatore Parolisi attraverso le parole dell’Avvocato Mauro Gionni, legale della famiglia Rea e le parole dell’Avvocato Antonio Cozza, legale di Salvatore Parolisi. In questa nostra ultima intervista abbiamo parlato invece con Michele Rea, fratello di Melania Rea. 

– Salvatore Parolisi è stato degradato dal suo ruolo. Come avete accolto questa notizia?
Noi siamo soddisfatti perché comunque abbiamo fatto una lettera al Ministro della Giustizia nella quale comunque volevamo capire il perché questo assassino facesse ancora parte dell’Esercito. Quindi la risposta è arrivata e siamo soddisfatti perché non dimentichiamoci che comunque lui si è macchiato di questo delitto, essendo un assassino che nulla aveva a che fare con un reato militare non poteva né stare in un carcere militare di conseguenza né vestire una divisa la quale non ha fatto onore perché sicuramente non faceva bene a tutti gli altri militari che tutti i giorni sono sparsi in ogni parte del mondo, non ha mai onorato questa divisa ed è giusto che gli è stata tolta. 

– Che opinione ha in merito alla pena inflitta a Parolisi?
Purtroppo per questi delitti così la pena non è mai troppa, forse solo l’ergastolo poteva essere una pena giusta. Purtroppo non so in che modo i Giudici della Corte di Cassazione decisero che non c’era la crudeltà in questo delitto quindi ad oggi mi chiedo ancora che crudeltà ci deve essere nell’uccidere una persona, una donna. Già il fatto di ucciderla che è già crudele, quindi è una cosa che non andrà giù quindi diciamo che siamo soddisfatti a metà.
 
– Parolisi ha professato la sua innocenza. Quanto ha influito questa esposizione ai fini della condanna?
Ha saputo nascondere bene le bugie che poi sono venute fuori e tutto quello che poi, dalle indagini che ci sono state, non poteva essere altro che lui quindi è una cosa che comunque ti lascia l’amaro in bocca perché questa persona è stata accolta nella nostra famiglia come una persona diversa rispetto a quella che poi si è rivelata quindi sono cose che non ti danno segnali, un po’ di amaro c’è.
 
– La bambina come vive questa situazione?
La bambina questa situazione diciamo che la sta vivendo bene perché comunque noi ci siamo attivati con psicologi e quant’altro quindi la stanno seguendo. Vittoria è una bambina sveglia, è una bambina che sta crescendo e sta crescendo in una famiglia con dei valori, sicuramente dobbiamo dire “grazie a Parolisi” poiché adesso non ha una madre e un padre, è stato lui a togliere entrambi i genitori a sua figlia quindi diciamo che Vittoria sta crescendo bene e noi ce la mettiamo tutta per non farle mancare niente e per darle dei sani principi e sani valori. Purtroppo sa un po’ di quello che è successo e quindi noi andiamo avanti così e si cresce con la consapevolezza di quello che purtroppo è stato.  



Salvatore Parolisi degradato da caporal maggiore: intervista all'avvocato della famiglia di Melania Rea

di Angelo Barraco
 
PERUGIA – Salvatore Parolisi è stato degradato da caporal maggiore dell’Esercito. La Corte di Appello di Perugia ha accolto la richiesta della Procura generale in merito all’applicazione della pena accessoria prevista dalla sentenza definitiva di condanna per l’omicidio della moglie Melania Rea, per il quale l’uomo  sta scontando 20 anni di reclusione. E’ stato inoltre trasferito dal carcere militare di Santa Maria Capua Vetere a quello di Bollate e si apprende inoltre che consequenzialmente al provvedimento perderà lo status di militare e verrà interdetto dai pubblici uffici. Salvatore Parolisi aveva annunciato che il 3 ottobre avrebbe presenziato in Tribunale dei minori a Napoli per un’udienza che riguardava un’istanza attraverso il quale chiedeva di poter vedere la figlia Vittoria. Una vicenda giudiziaria complessa quella di Salvatore Parolisi poiché la divisa da lui indossata con orgoglio e che rappresentava il nostro paese, la nostra sicurezza e la nostra patria, si è sporcata dell’indelebile sangue di una giovane vita spezzata per sempre, il sangue di Melania Rea. Moglie dell’ex caporalmaggiore, di 29 anni scomparsa misteriosamente il 18 aprile del 2011 e rinvenuta cadavere in data 20 aprile dello stesso anno nel boschetto delle Casermette di Ripe di Civitella del Tronto, a seguito di una telefonata anonima intorno alle 14.40/15.00 che informa le forze dell’ordine della presenza del corpo della donna. Un corpo martoriato da ferite da arma da taglio e una siringa  infilzata per fare emergere uno scenario legato al mondo della droga e una probabile rapina finita male. In realtà la donna è stata aggredita alle spalle e colpita con 35 coltellate. Le manette ai polsi del marito si chiusero il 19 luglio del 2011. La Cassazione ha respinto un nuovo ricorso della difesa per la concessione delle attenuanti generiche ed è stata confermata la condanna a 20 anni per l’ex caporalmaggiore. I giudici hanno stabilito che la donna è stata uccisa in un impeto d’ira ed è stata escluso l’aggravante della crudeltà. Era stata chiesta una pena di 30 anni, il 27 maggio scorso il collegio di Perugia ha ridotto la condanna a 20 anni senza riconoscere le attenuanti generiche. 
 
Noi de L’Osservatore D’Italia abbiamo intervistato in esclusiva l’Avvocato Mauro Gionni, legale della famiglia Rea che ha parlato con noi delle ultime novità che riguardano Salvatore Parolisi.
 
-E’ stato avviato su Parolisi un provvedimento che lo porterà alla perdita del suo status di militare: come avete reagito a questa notizia?
Noi abbiamo scritto al Ministro per provocare questa cosa. Diciamo che era inconcepibile che lui mantenesse uno stato in qualità di condannato con una detenzione diversa da quella dei cittadini normali quindi abbiamo sollecitato questa cosa.
 
– Come reputate la pena inflitta a Parolisi?
Noi ritenevamo che l’aggravante della crudeltà ci fosse, la Cassazione ha ritenuto di no e questo sposta ovviamente il reato nei termini di pena in cui sono stati inflitti non tanto per il fatto delle coltellate ovviamente per le quali effettivamente ci vuole la finalità al di là dell’omicidio ma la crudeltà determinata dalla consapevolezza in capo alla madre della presenza sul luogo della figlia quindi anche la crudeltà di ordine morale non solo fisica. Però la Cassazione così ha deciso. 
 
– La famiglia Rea come vive questa situazione?
Questo dovreste chiederlo a loro, cioè non saprei rispondere a questa domanda, nel senso che non so perché io sto qui ad Ascoli. Hanno la bambina a casa, hanno questa impegnativa che richiede un impegno costante sotto mille punti di vista insomma non è facile.
 
– Parolisi si è sempre professato innocente, ha sempre detto di essere innocente. Come reputa questa sua esposizione mediatica?
Sono scelte di posizioni che non ci riguardano, che non mi riguardano. Ciò che ha scelto di fare lo ha scelto quando lo ha fatto, anche mi pare prima dell’intervento degli avvocati, quindi insomma è un problema odierno difficile da affrontare con due parole d’intervista l’esposizione mediatica dei procedimenti penali e dei delitti. Sicuramente quelle cose che ha dichiarate sono state utilizzate.
 
– Quindi hanno avuto un peso…
Bhè certo, le dichiarazioni che gli imputati rendono anche al di fuori del processo prima sono tutte utilizzabili. Non è che vengono costretti, sono escluse che dichiarazioni che l’imputato rende se poi diventa imputato davanti ai Carabinieri, davanti alla Polizia Giudiziaria cioè in luoghi nei quali ci può essere l’idea che qualcuno possa indurlo a dire cose che non vuole, ma la regola non vale per chi va in televisione spontaneamente e va a raccontare una modalità di un fatto senza che qualcuno lo abbia costretto ad andarci. Quindi in questo caso per esempio sono state utilizzate le sue dichiarazioni, le sue ricostruzioni, anche quelle fatte nelle varie sedi televisive e nelle varie sedi giornalistiche.




VITA DA RECLUSI… IN COSTA SMERALDA

di Mario Vito Torosantucci
La Sardegna, d’estate, è uno dei punti d’osservatorio della vita sociale,più veritieri d’Italia. Chi ha la fortuna di potersi trovare sulla costa smeralda nel periodo estivo, può rendersi conto personalmente, del livello e del paragone, fra le varie differenze sociali. Veder sfilare barche di varia grandezza, yacht e megayacht, come su un’autostrada, ci si chiede, quanti soldi vengono spesi, per il piacere e divertimento. Con il costo giornaliero di una barca grande, si potrebbero salvare innumerevoli bambini del terzo mondo. E’ d’uso usare l’espressione “ Vita da cani “ in senso ironico, intendendo dire con tale frase, una vita difficile e di sottomissione. Queste persone, proprietarie delle suddette barche, invece, conducono una vita veramente da cani, i quali, oggigiorno vengono trattati e rispettati, più delle stesse persone. La riflessione principale, per quanto riguarda i ricchi italiani, è poter capire da dove provengono tutti quei soldi, se sono tutti regolari e legali, e se pagano veramente le tasse. Come tutte le cose però, c’è sempre il rovescio della medaglia. La vita dorata dei ricchi, comporta un limite alla propria libertà, poiché sono costretti ad avere sempre delle guardie del corpo, per tutelare la propria incolumità. Invidiati, beffeggiati, insultati, ma oggetto dei sogni della maggior parte della gente. Un magnate russo, ha comprato uno yacht di trenta metri per la moglie, perché deve recarsi a mangiare a circa dieci minuti dalla sua villa. Il lato positivo, è la possibilità di lavoro, che hanno avuto le cinque persone, che ci lavorano a bordo. Poi, ci sono i ricchi semplici in incognito, che pur svolgendo dei lavori cosiddetti umili, possono permettersi una vita agiata e dispendiosa, ovviamente lontano dalle proprie città. Infatti, fra i  proprietari di yacht abbastanza grandi, tempo fa mi sembra di aver riconosciuto su di essi, fruttivendoli ed altre persone che lavoravano nei mercati. Tornando ai personaggi importanti, ci si rende conto, che la vita per loro è, sì dorata, ma eternamente controllata e priva di qualsiasi libertà e privacy. Non possono fare una passeggiata tra la gente, come un qualsiasi mortale, perché non possono mimetizzarsi, permettersi di camminare soli tranquillamente,e magari, fare compere nei negozi, con la calma di un turista normale. Poverini questi signori, che per loro sicurezza, sono costretti spesso a viaggiare in elicottero, che prudentemente hanno sullo yacht, essere quasi costantemente incollati ai vari telefonini, per la moltitudine di rapporti di lavoro, riducendo così, il tempo a disposizione per ritemprarsi, rilassarsi, e recuperare le forze per affrontare di nuovo il mondo intero. Comunque, per essere prudenti e previdenti, per affrontare un qualsiasi pericolo per la salute, hanno pensato bene, di procurarsi e comprare yacht, con due o tre sale operatorie. Certo, queste persone, non devono essere invidiate, perché alcune importanti, in caso di pericolo, saranno costrette a fuggire, con un piccolo sottomarino nella pancia dello yacht. Da riflettere! quanta tensione, devono subire questi poveri ricchi, e questa forse è la ragione per cui, qualche volta sbranano avversari, in senso affaristico, esattamente come fa un cane di grossa taglia, quando e non tanto raramente, aggredisce qualcuno. Quindi, l’analogia fra le due vite è ormai chiara. I ricchi, fanno una vita da cani, e la maggior parte dei cani, fanno una vita da ricchi. Un’ osservazione più specifica… un’episodio capitatomi poco tempo fa; Una signora, innervosita da due bambini, si arrabbia a tal punto da dare uno schiaffo ad uno di loro inveendo contro gli altri, semplicemente per aver fatto cadere un gelato, poi, accortasi che il suo cane aveva fatto un bisogno, lo apostrofa: Poverino! Non ti senti bene? Vieni da mamma…vieni da mamma tua che ti cura. A quel punto, pur sbagliando, non ho potuto fare a meno di dire : Signora, non me lo sarei mai aspettato, che lei,avesse certi gusti sessuali. Non riferisco ovviamente, come sono stato aggredito verbalmente. Quei cani fortunati, potranno andare con quei ricchi ostinatamente fortunati, nelle spiagge più esclusive, malgrado i divieti, che i comuni del luogo impongono, mentre, agli altri sfortunati della gente comune, non resta che essere presi a calci, se solo si azzardano, ad andare in quei luoghi, dove i privilegiati, sono costretti a fare una vita da reclusi.




OMICIDIO MELANIA REA: SCONTO DI PENA PER PAROLISI

di Christian Montagna

Perugia- Il verdetto è arrivato: la Cassazione ha deciso uno sconto di pena da 30 a 20 anni per Salvatore Parolisi elimando la premeditazione e l'aggravante della crudeltà. Grande l'amarezza per i familiari di Melania che ammettono di aver subito un grande torto dalla giustizia.

Questa mattina, davanti alla Corte d’Assise di Perugia, è cominciata l’udienza per il processo a Salvatore Parolisi, in carcere con l’accusa dell’omicidio della moglie Melania Rea avvenuto il 18 Aprile 2011.Il corpo ritrovato nel boschetto delle Casermette e martoriato con 35 coltellate è stato a lungo oggetto d’indagine. A presiedere la Corte d'Assise d'appello di Perugia Maria Rita Belardi. A latere Massimo Ricciarelli. Il sostituto procuratore generale è Giancarlo Costagliola, lo stesso che si occupò del processo per l'omicidio di Meredith Kercher. L’udienza a porte chiuse è stata definita tecnica per l’argomento in discussione all’ordine del giorno: la Corte infatti, al termine, dovrà decidere se disporre un nuovo processo per ridurre la pena ed eliminare l’aggravante della crudeltà. Lo scorso 10 febbraio, la Suprema Corte, pur riconoscendolo colpevole, aveva proposto la riapertura di un nuovo processo che oggi è stata validata.

IN AULA: OMICIDIO PREMEDITATO O ESPLOSIONE D’IRA?
In aula sono presenti i legali Walter Biscotti e Nicodemo Gentile di Parolisi che al momento è recluso a Teramo e non presenzia all’udienza. Da parte di Melania invece ci sono il fratello, il papà e il legale di parte civile, Mauro Gionni. Grande è la tensione per quella che potrebbe diventare una sentenza “amara”. Seppure la prima sentenza, in cento pagine, abbia riconosciuto Parolisi come unico responsabile del delitto maturato in una “esplosione di ira ricollegabile a un litigio tra i due coniugi”, si lavora ora per far eventualmente annullare la premeditazione. Il tutto è avvenuto in una giornata normale; i coniugi si sono trovati occasionalmente sul luogo del delitto e nulla era stato preventivamente organizzato.

LE SENTENZE DI 1° E 2° GRADO
Condannato in primo grado all'ergastolo con l'aggiunta della pena accessoria dell'isolamento diurno, Parolisi non mostra segni di pentimento. Tenta di depistare le indagini fino all'ultimo momento. Sembra utilizzare la sua bambina per apparire un padre premuroso che mai avrebbe potuto uccidere e perde la patria potestà . Nel settembre 2013, anche la sentenza di secondo grado emessa dalla Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila lo condanna a 30 anni. Di seguito, i legali presentano un ricorso che oggi è stato accettato dalla Corte di Cassazione.

I FATTI
E' il 18 Aprile 2011 quando di Carmela Melania Rea, di anni 29, si perdono le tracce sul Colle San Marco di Ascoli Piceno. Insieme al marito Salvatore Parolisi e alla loro bambina di diciotto mesi, sono andati a trascorrere qualche ora all'aria aperta. Secondo la ricostruzione del marito, Melania si allontana per andare al bagno dello chalet ma nessuno però la rivedrà mai tornare. Passano circa venti minuti ma Salvatore spaventato chiama i soccorsi e dà l'allarme. Subito la notizia viene diffusa in tutta la nazione, cominciano le ricerche sui territori circostanti. Si cerca e si spera di trovare un corpo ancora in vita. Il marito disperato concede numerose interviste televisive sperando al più presto di poter riabbracciare la propria amata. Una nazione che si mobilita per questa terribile scomparsa; forze dell'ordine scandagliano distese di terreno immense, ma di Melania ancora nulla.

IL RITROVAMENTO DEL CORPO
E' il 20 Aprile, due giorni dopo la scomparsa, quando una telefonata anonima intorno alle 14.40/15.00 avverte le forze dell'ordine di polizia da una cabina telefonica pubblica del centro di Teramo che non sarà mai rintracciata della presenza del corpo di Melania. A 18 km di distanza dal luogo della sparizione, in un bosco di Ripe di Civitella viene ritrovato il corpo di Melania. Ferite di arma da taglio e una siringa conficcata sul suo corpo: elementi che cercano di depistare le indagini facendo pensare ad una rapina finita male ad opera di un tossico in astinenza. Il medico Adriano Tagliabracci che effettua l'autopsia non rileva segni di strangolamento né violenza sessuale e attribuisce la causa della morte alle 35 coltellate che sono state inflitte sul suo corpo. Vicino al corpo, viene ritrovato il cellulare con la batteria scarica e un'altra sim card.

LE INDAGINI
A brancolare nel buio sono gli investigatori che cercano di trovare il colpevole. Salvatore continua a mostrarsi disperato e shoccato per quanto accaduto. Inizialmente non iscritto nel registro degli indagati, il 29 giugno, a più di due mesi dall'omicidio, gli notificano un avviso di garanzia. L'ultima persona ad aver visto Melania Rea in vita potrebbe dunque essere il suo assassino. Ma perché Salvatore avrebbe dovuto uccidere sua moglie? Si indaga nella vita privata di Salvatore, sul posto di lavoro e si cerca di ricostruire il rapporto fra i due coniugi a suon di testimonianze di amiche e conoscenti che con Melania avevano un buon rapporto. Salvatore però continua a professarsi innocente. Nessun testimone però può confermare o smentire il suo racconto. Il 19 Luglio 2011, l'inchiesta passa a Teramo per competenza territoriale e il 2 Agosto il gip conferma il fermo del caporal maggiore. Si indaga sulla vita privata di Salvatore; spuntano altre donne, transessuali e una vita non proprio serena. Melania era venuta a conoscenza di un tradimento? Potrebbe essere questo il motivo dell'omicidio? Domande queste che si pongono gli inquirenti a cui però mai nessuno potrà più rispondere.

L'ACCUSA
Secondo gli inquirenti, il tutto si è consumato in pochi minuti. Nella pineta in cui è stato ritrovato il corpo, Salvatore avrebbe provato a baciare la moglie per tentare un approccio sessuale. In seguito al rifiuto, si sarebbe scatenata la furia omicida. Nella motivazione della sentenza però compaiono anche altri elementi tra cui la relazione extraconiugale che Parolisi aveva con la soldatessa Ludovica Perrone. Viene però subito esclusa la possibilità che quest'ultimo elemento possa avere a che fare con l'omicidio. Si analizza dunque il rapporto tra i coniugi: Melania una donna troppo forte che induce il suo uomo in una situazione di sottomissione? Parolisi trova in un Ludovica un conforto alle umiliazioni subite quotidianamente dalla sua donna? Le dichiarazioni delle amiche di Melania la descrivono come frustrata e triste, soprattutto dopo la scoperta dei tradimenti del marito. Secondo il pm, le continue menzogne del Parolisi anche in tv sarebbero una confessione velata dell'omicidio. Una mole di menzogne che insieme costituiscono una confessione.
 




MELANIA REA: PAROLISI UCCISE LA MOGLIE CON 35 COLTELLATE… IN UN IMPETO D'IRA!

di Alberto De Marchis

Difficile credere che un uomo che infierisce sul corpo di sua moglie con 35 coltellate e la lasci agonizzante morire nel bosco e poi insceni tutta una farsa intorno al delitto da lui perpetrato possa aver agito d'impulso. Uccidendo con così tanta violenza perché preso da un momento d'ira. Proprio così, si tratta di una "esplosione di ira ricollegabile a un litigio tra i due coniugi". Questa la ricostruzione che la prima sezione penale fa dell'omicidio di Melania Rea, riconoscendone come unico responsabile il marito della vittima, Salvatore Parolisi. Le ragioni fondanti del litigio, aggiunge la Suprema Corte nelle motivazioni della sentenza con cui, il 10 febbraio scorso, confermò la responsabilità dell'imputato pur disponendo un nuovo processo per rideterminare al ribasso la pena a 30 anni inflittagli in appello, "si apprezzano nella conclamata infedelta' coniugale" di Parolisi. Il "fatto delittuoso", sottolineano i supremi giudici, "si inserisce nel contesto di una giornata 'apparentemente normale', i due coniugi erano attesi di li' a poco a casa di amici", la figlia "era con loro" e "non e' risultato alcun particolare contatto, nella fascia oraria immediatamente precedente, con ulteriori soggetti o terzi tale da far ipotizzare ulteriori e anomali appuntamenti". La ricostruzione operata dagli inquirenti "colloca" Parolisi "sul luogo del delitto" e "costruisce il delitto stesso in termini di 'occasionalità" ossia legato al "dolo d'impeto" e non alla "premeditazione", che non è mai stata ipotizzata".

"La mera reiterazione dei colpi", anche se "consistente", non puo' essere ritenuta "fonte di aggravamento di pena", in relazione all'aggravante dell'aver agito con crudeltà. Lo rileva la prima sezione penale della Cassazione, spiegando perché, il 10 febbraio scorso, pur riconoscendo la responsabilità dell'ex caporalmaggiore dell'Esercito Salvatore Parolisi nell'omicidio della moglie Melania Rea, ha disposto un nuovo processo per rideterminare al ribasso la pena a 30 anni inflittagli in appello, eliminando la contestata aggravante della crudeltà.




MELANIA REA: LA CASSAZIONE CHIEDE DI ABBASSARE LA PENA DI PAROLISI

di Angelo Barraco

Salvatore Parolisi, condannato per aver ucciso a coltellate la moglie Melania Rea e condannato in appello a 30 anni, secondo la Cassazione non c’è l’aggravante della crudeltà quindi sarà ora la Corte d’Assise di Perugia a determinare la riduzione della pena dell’ex caporal maggiore condannato a 30 di reclusione per aver ucciso con 35 coltellate la moglie, Melania Rea, il 18 aprile 2011. La difesa di Parolisi, rappresentata dall’Avvocato Walter Biscotti, è soddisfatta e dice: “siamo soddisfatti, la condanna a 30 anni non esiste più”.

Il difensore della parte civile, della famiglia Rea commenta così dopo il verdetto della Cassazione: “La Cassazione ci ha dato ragione, Parolisi è stato riconosciuto colpevole, volevamo che fosse individuato definitivamente l'assassino di Melania e l'assassino ora c'è. La quantità della pena non ci interessa”. Queste invece le prime parole dichiarate la Michele Rea, fratello di Melania Rea, dopo la sentenza della Cassazione: “Non c'è da essere contenti questa sera, ma è stata però acclarata una cosa importante: è stato Salvatore ad aver trucidato Melania e ad aver reso orfana Vittoria”.
 




MELANIA REA: L'ACCUSA CHIEDE 30 ANNI DI CARCERE PER SALVATORE PAROLISI

di Angelo Barraco

Roma – “Trent’anni di carcere a Salvatore Parolisi”, ecco la richiesta dell’accusa. La condanna era stata confermata in primo e in secondo grado di giudizio, il pm Maria Giuseppina Fodaroni ha richiesto la condanna, ai giudici della prima sezione penale della Corte di Cassazione. Parolisi è l’unico indagato per l’omicidio della moglie Melania Rea, rinvenuta cadavere presso il boschetto delle Casermette, a Ripe di Civitella del Tronto, in provincia di Teramo, nell’aprile del 2011. Il ritrovamento è avvenuto grazie ad una telefonata anonima di cui oggi non si conosce ancora la provenienza e furono lanciati numerosi appelli al telefoniste affinché si facesse avanti con gli inquirenti per spiegare molte cose e ciò che vide quel giorno. Le condotte dell'imputato all'epoca del fatto, secondo il pg, non fanno che "essere espressive del suo coinvolgimento": prima "ha solo un'ora dall'allontanamento della moglie – ha sottolineato il magistrato – afferma 'me l'hanno ammazzata', poi, man mano che la donna non si trova, Parolisi si calma. Parolisi farà di tutto, nei giorni successivi al delitto, nell’adoperarsi al depistare le indagini, farà di tutto per evitare che i colleghi esperti facciano ricerche in quella zona quando il cadavere viene ritrovato. Valenza indiziaria "significativa", per il sostituto pg, ha anche "il fallimento dell'alibi dell'imputato" e il vilipendio di cadavere, sul quale vennero incise una svastica e una gabbia, e' stata "un'operazione di depistaggio che solo il responsabile del delitto poteva fare". Fodaroni, infine, ha ritenuto corretto anche il riconoscimento delle aggravanti della crudelta' e della minorata difesa. La sentenza potrebbe arrivare oggi, in serata.




MELANIA REA: IL 10 FEBBRAIO E' IL GIORNO DEL GIUDIZIO PER SALVATORE PAROLISI

di Chiara Rai

Salvatore Parolisi, ex caporal maggiore condannato in appello a 30 anni per aver ucciso la moglie di 29 anni Melania Rea con 35 coltellate il 18 aprile 2011, non vede la figlioletta da 4 anni. Esattamente da luglio 2011 quando la piccola aveva appena 18 mesi e la cui tutela venne affidata alla madre di Melania Rea.

La doppia attesa. Il 10 febbraio, il tribunale per i minorenni di Napoli si pronuncera' sulla richiesta presentata dall'avvocato di Parolisi, Federica Benguardato, di far incontrare la bimba con il papa'. E sempre il 10 febbraio la Suprema Corte di Cassazione si pronuncerà sul futuro dell'uomo.


La relazione del Ctu.
Parolisi era venuto a conoscenza tardivamente della relazione del ctu nominato dal tribunale "dalla cui relazione emergeva chiaramente come fosse opportuno che la bimba incontrasse il padre", spiega l'avvocato Benguardato. "La bimba quando parlava al telefono con il padre Salvatore stringeva forte la cornetta del telefono". La relazione del perito venne depositata nel 2012 ma Parolisi ne venne a conoscenza solo nel 2013. Dunque, l'ex caporalmaggiore attende una doppia decisione dei giudici: quella del tribunale dei minori e quella della Cassazione.
 

Quei segni che non sono di Parolisi. I segni lasciati sulle gambe della povera Melania qualificati dalla perizia come "striature a linee parallele da sovrapposizione" "con alta probabilità non sono riconducibili alla cerniera del giacchetto indossato dalla stessa – sostiene uno dei due legali difensore di Parolisi, Nicodemo Gentile. Lo rileva la prima consulenza effettuata al riguardo dall’ingegner Reale – il solo ad aver effettuato le misurazioni tecniche – che ha escluso che i segni da contatto sulla cute di Melania corrispondano, contrariamente a quanto rilevato nella sentenza di appello, alla zip dell’indumento della donna. Tali segni, che, da subito, anche gli investigatori hanno interpretato quali tracce probabilmente lasciate dalla manica della maglia o del maglioncino imbrattato di sangue dell’offender, rappresentano la firma dell’assassino (che per la difesa non è il marito di Melania) poichè Parolisi, come risulta da più elementi, testimoniali e di fatto, non ha mai cambiato gli indumenti, in quanto, nel pomeriggio del 18 aprile 2011, è uscito da casa in maniche corte e pantaloncini e così è rimasto fino alla sera. Siamo di fronte ad un ulteriore indizio di innocenza – prosegue l’avvocato Gentile – poiché questo dato tecnico rafforza ancora l’evidenza di una scena criminis che straripa di segni e tracce che non appartengono a Salvatore Parolisi, ma a soggetti che, ad oggi, rimangono ignoti". Questo ulteriore elemento (dopo quello per cui l’impronta di scarpa isolata alla base del chiosco situato alle Casermette di Civitella del Tronto (Teramo) nei pressi del quale venne ritrovato il corpo senza vita di Melania, corrisponde ad un numero non superiore al 40 mentre Parolisi calza il 43) supererebbe i rilievi dellaCorte di secondo grado, aprendo a scenari diversi. La difesa ha chiesto alla Corte di Cassazione di annullare la sentenza appello anche sotto questo profilo.

La vicenda. E' il 18 Aprile 2011 quando di Carmela Melania Rea, di anni 29, si perdono le tracce sul Colle San Marco di Ascoli Piceno. Insieme al marito Salvatore Parolisi e alla loro bambina di diciotto mesi, sono andati a trascorrere qualche ora all'aria aperta. Secondo la ricostruzione del marito, Melania si allontana per andare al bagno dello chalet ma nessuno però la rivedrà mai tornare. Passano circa venti minuti ma Salvatore spaventato chiama i soccorsi e dà l'allarme. Subito la notizia viene diffusa in tutta la nazione, cominciano le ricerche sui territori circostanti. Si cerca e si spera di trovare un corpo ancora in vita. Il marito disperato concede numerose interviste televisive sperando al più presto di poter riabbracciare la propria amata. Una nazione che si mobilita per questa terribile scomparsa; forze dell'ordine scandagliano distese di terreno immense, ma di Melania ancora nulla.


Il ritrovamento del corpo.
E' il 20 Aprile, due giorni dopo la scomparsa, quando una telefonata anonima intorno alle 14.40/15.00 avverte le forze dell'ordine di polizia da una cabina telefonica pubblica del centro di Teramo che non sarà mai rintracciata della presenza del corpo di Melania. A 18 km di distanza dal luogo della sparizione, in un bosco di Ripe di Civitella viene ritrovato il corpo di Melania. Ferite di arma da taglio e una siringa conficcata sul suo corpo: elementi che cercano di depistare le indagini facendo pensare ad una rapina finita male ad opera di un tossico in astinenza. Il medico Adriano Tagliabracci che effettua l'autopsia non rileva segni di strangolamento né violenza sessuale e attribuisce la causa della morte alle 35 coltellate che sono state inflitte sul suo corpo. Vicino al corpo, viene ritrovato il cellulare con la batteria scarica e un'altra sim card.




MELANIA REA: I SEGNI SULLE GAMBE DI MELANIA NON SAREBBERO RICONDUCIBILI A PAROLISI

Redazione

Teramo – E se Salvatore Parolisi non fosse coinvolto nell'omicidio della moglie. Questo dubbio comincia ad affiorare con ancora più decisione in quanto gli indizi che avrebbe dovuto incastrare Parolisi, in realtà mancano. Dopo l’impronta di scarpa, un’altra traccia potrebbe scagionare Salvatore Parolisi, accusato del delitto della moglie Melania Rea. I segni lasciati sulle gambe della povera Melania qualificati dalla perizia come "striature a linee parallele da sovrapposizione" "con alta probabilità non sono riconducibili alla cerniera del giacchetto indossato dalla stessa – sostiene uno dei due legali difensore di Parolisi, Nicodemo Gentile. Lo rileva la prima consulenza effettuata al riguardo dall’ingegner Reale – il solo ad aver effettuato le misurazioni tecniche – che ha escluso che i segni da contatto sulla cute di Melania corrispondano, contrariamente a quanto rilevato nella sentenza di appello, alla zip dell’indumento della donna.  Tali segni, che, da subito, anche gli investigatori hanno interpretato quali tracce probabilmente lasciate dalla manica della maglia o del maglioncino imbrattato di sangue dell’offender, rappresentano la firma dell’assassino (che per la difesa non è il marito di Melania) poichè Parolisi, come risulta da più elementi, testimoniali e di fatto, non ha mai cambiato gli indumenti, in quanto, nel pomeriggio del 18 aprile 2011, è uscito da casa in maniche corte e pantaloncini e così è rimasto fino alla sera. Siamo di fronte ad un ulteriore indizio di innocenza – prosegue l’avvocato Gentile – poiché questo dato tecnico rafforza ancora l’evidenza di una scena criminis che straripa di segni e tracce che non appartengono a Salvatore Parolisi, ma a soggetti che, ad oggi, rimangono ignoti". Questo ulteriore elemento (dopo quello per cui l’impronta di scarpa isolata alla base del chiosco situato alle Casermette di Civitella del Tronto (Teramo) nei pressi del quale venne ritrovato il corpo senza vita di Melania uccisa con 35 coltellate, corrisponde ad un numero non superiore al 40 mentre Parolisi calza il 43) supererebbe i rilievi dellaCorte di secondo grado, aprendo a scenari diversi. La difesa ha chiesto alla Corte di Cassazione di annullare la sentenza appello anche sotto questo profilo. Parolisi in Appello è stato condannato a 30 anni per il delitto di Ripe di Civitella mentre in primo grado dal gup di Teramo venne condannato all’ergastolo. Il 10 febbraio la Suprema Corte si pronuncerà.E staremo a vedere quali altri scenari si potrebbero aprire.




MELANIA REA: SALVATORE PAROLISI E QUELL'IMPRONTA CHE NON GLI APPARTIENE

di Angelo Barraco

L’Aquila – C’è una nuova perizia che potrebbe riaprire il caso di Melania Rea e della sua tragica e misteriosa scomparsa. Salvatore Parolisi, marito della donna ed ex caporale è stato condannato in appello a 30 anni per aver ucciso la moglie con 35 coltellate il 18 aprile 2011. Ma potrebbe esserci un elemento che potrebbe scagionarlo, come riferiscono i suoi legali. Nei pressi del chiosco di Casermette di Civitella del Tronto (Teramo), vicino al cadavere, fu trovata ed isolata l’impronta di una scarpa insanguinata. La Corte d’Appello de L’Aquila ha ritenuto di non dover dare troppa importanza a tale impronta in quanto risulta impossibile risalire al modello di scarpe indossato da Parolisi il giorno del delitto.

La perizia si sta concentrando sull’analisi del reperto. Si tratterebbe di un’impronta non superiore al numero 40. Parolisi calza la 43 e secondo tale dettaglio l’esclusione di Parolisi sarebbe ovvia.
Parolisi continua a ribadire che quell’impronte non è la sua, quell’impronte, tra l’altro, non è riconducibile a calzature indossate da Melania, né da altri soggetti che successivamente hanno transitato sulla scena del delitto.
Vi Terremo aggiornati su eventuali approfondimenti.