Puttane, mignotte, cafoni, burini e… onorevoli: state calmi, niente panico. State sereni, sereni!

Tempora mutantur, nos et mutamur in illis” ovvero il tempo cambia e l’uomo cambia con esso. Processo inarrestabile che va avanti dai primi inizi della terra. La vita scorre ed il tempo pure. Cambia l’uomo. Cambiano le cose, le persone, le usanze e muta il senso ed il significato del linguaggio. Quello che ieri ci scandalizzava oggi non scandalizza più. Lo stesso concetto della moralità ha perso lustro, ha smarrito il suo senso. Vittima di questa metamorfosi sono i vocaboli: puttana, mignotta, cafone, burino e non solo. Termini che qualche tempo fa, non offendevano nessuno oggi sono oggetto di dibattiti e concitate discussioni.

Cos’è mai un nome? Niente e tutto. E’ accaduto proprio questi giorni un incidente spiacevole. Dei politici hanno apostrofato la classe giornalistica con degli appellativi che oggi suonano forti ed irreverenti mentre etimologicamente sono i sostantivi più innocenti che esistono nel vocabolario. Ciò detto, sia ben inteso, non per questo si vuole venire, in alcun modo, in difesa di chi ha pronunciato quelle locuzioni. Solo per portare sul loro giusto binario quelle parole di cui al titolo di questo piccolo saggio.

La puttana:

Studi approfonditi, pur ammettendo la correlazione stretta del vocabolo puttana con putto, greco pai, paidos, avvicinano la parola alla mitologia Hindù. In molta letteratura indiana e scritture Hindù, si narra il mito di Pūtanā, considerata la nutrice di Krishna, che mentre lo allattava , in cuore suo covava di sopprimerlo con il latte avvelenato. Demone malvagio. Da questi scritti infine Pùtanā viene effettivamente descritta come un demone, tanto, si scopre, essendosi ella concessa allo stesso Krishna
Altri studi vedono tracce nel latino puteus, significato originale inteso come una cavità naturale. Vedi i pozzi dove i romani seppellivano i morti. Da qui poi il significato di grembo ipogeo ed il passo al grembo materno è stato successivo. Spiegazioni intriganti che nulla dunque hanno a che fare con il tono spregevole che il vocabolo “puttana” è venuto oggi ad assumere nell’italiano popolare.

Nel dialetto siciliano “buttana” oppure “bottana” non lascia alcun dubbio. Non è certo parente di antiche vestali e in tutta l’isola venire indicate con tale appellativo non è un complimento. Eppure anche in questi casi il tempo è riuscito a fare scempio di una parola innocente.

Si è da tempo saputo, per lo meno così raccontavano i nostri avi, che “puttana” ha tutta un’altra storia. non oserei dire nobile, ma decorosa lo si può dire tranquillamente. Si racconta che in tempi passati le nobili donzelle che tenevano tanto alla loro estetica, non allattassero personalmente i loro neonati. In paese c’erano donne, matrone che di mestiere allattavano i bambini degli altri. A queste donne allattatrici si rivolgevano anche coloro a cui per una ragione o l’altra spariva il latte. Tutti portavano “il putto” dalla donna che allattava “il putto”. Con il tempo il mestiere/l’attività hanno passato il nome al prestatore d’opera. Così da forno a fornaio, da salume a salumiere, pasticcino a pasticciere e, nel caso nostro specifico, da putto a puttana, cioè la donna che allattava il putto. Ma era così semplice? Bastava dirlo. Bastava poco che ci voleva…

La Mignotta:

Della mignotta è stato scritto peste e corna. Sono stati scomodati professori e tanti ricercatori hanno passato ore intere sfogliando documenti sulle tracce della mignotta, intendendo il vocabolo, naturalmente.

Ci sta chi fa derivare l’origine del vocabolo dal francese “mignoter”, carezzare. Altri la vogliono più parente di “mignon”, favorita. A parere di tanti, queste due definizioni, se mai, hanno seguito il moderno senso della locuzione, comportamenti tipici di queste mestieranti.
L’interpretazione giusta, a detta di tanti, sarebbe molto più logica e semplice. Sempre in altri tempi, le ragazze madri, anziche fare come alcuni che oggi usano abbandonare il neonato nei bidoni dell’immondizia, queste ragazze di allora depositavano il neonato o nella ruota girevole delle suore di clausura oppure li lasciavano nei portoni della chiesa o del convento. Il trovatello allora si portava per la registrazione all’anagrafe. L’impiegato del Registro, in mancanza dei dati genitoriali del bambino, anziché scrivere in pieno matris ignotae, abbreviava il tutto scrivendo m.ignotae, ergo mignota. Anche in questo caso la semplicità è sbalorditiva. Ai tempi nostri, con l’utero in affitto, quell’impiegato del Registro avrebbe scritto, anziché padre ignoto, pa.ignoto che con l’uso sarebbe diventato pagnotto. Un nome è un presagio, un nome è un destino, non per il “pagnotto” bensì per il bambino.

Il Cafone e il burino:

Per il “cafone “ e per il “burino” la sorte non è stata tanto diversa. L’usura del tempo ha calpestato anche il loro decoroso vocabolo e ha fatto di loro un dileggio, uno scherno. Oggi, apostrofando questi vocaboli in faccia ad una persona , senza dubbio alcuno, lo si indica come una persona dai modi incivili e rozzi. Chiamare una persona “burino” oggi, sarebbe indicare quella persona come di basso intelletto e bassi istinti oppure dalle maniere scurrili. Tutto ciò a prescindere dallo status sociale del soggetto.
Molti appassionati si dedicano a ricercare l’origine di questi vocabili. Talpe degli archivi scomodano documenti e reperti antichi, tradizioni e cenni storici. A qualcuno piacerebbe credere che cafone deriva da Cafo, un centurione che combatté al servizio di Cesare .Ugualmente si vuole fare derivare il termine “burino” dal latino “Buris,-is”, manico dell’aratro. Il ricercatore basa la sua supposizione in riferimento ai braccianti, ingaggiati come lavoratori stagionali nell’Agro Romano. Questa’etimologia secondo molti sarebbe la più plausibile. Spiegazioni suggestive.
Se dobbiamo però dare credito, poi, a quello che ci raccontavano i nostri avi dobbiamo dire che il vocabolo burino trova la sua etimologia in quei contadini che scendevano nella capitale vendendo i loro prodotti, formaggi e burro, appunto i venditori di burro ossia i burini.
Per quanto concerne il “cafone” i nostri avi davano un’altra spiegazione. Secondo questi il vocabolo troverebbe la sua origine, appunto negli stessi contadini che scendevano nella capitale, con funi a tracollo per legare le bestie. Altri collegavano il vocabolo alla fune che faceva da cintura per reggere i pantaloni del contadino.

Niente in tutto questo piccolo saggio è dogma.

Un fatto però è certo. Il tempo scorre e scorrendo cambia cose, persone, usanze e muta il senso ed il significato del linguaggio. Chi osa escludere che in un non molto lontano domani, apostrofando una persona come “un onorevole” non possa suscitare sdegno ed irrisione?

Emanuel Galea