VINCENZO VERZENI, IL VAMPIRO DI BERGAMO, IL PRIMO SERIAL KILLER DELLA STORIA ITALIANA. L’UOMO CHE VISSE DUE VOLTE

di Cinzia Marchegiani

I gialli di storie maledette di delitti efferati, spesso rimangono solo storie incompiute, legate tra loro dall’acollessoluta mancanza di prove, piste e soprattutto il movente capaci di ipotizzare o di tracciare l’identikit degli autori criminali che rimangono cristallizzati nel mistero e nel tempo. L'espressione "serial killer", in italiano tradotto semplicemente in "assassino seriale", venne usata a partire dagli anni settanta del Novecento,decennio in cui giunsero sotto i riflettori della cronaca, negli Stati Uniti, i primi casi eclatanti, di Ted Bundy, David Berkowit, Dean Corll e Juan Vallejo Corono. La definizione, usata la prima volta dal profiler Robert Ressele, viene assegnata a chi compie due o più omicidi distribuiti in un arco relativamente lungo di tempo, intervallati da periodi di inattività, durante i quali il serial killer conduce una vita sostanzialmente normale.

Lo Strangolatore di donne o meglio definito il "Vampiro di Bergamo", Vincenzo Verzeni è il primo serial killer certificato dalla storia Italiana. La sua inquietante figura fu studiata dal dottor Cesare Lombroso, medico antropologo, nonché criminologo e giurista italiano, a cui viene riconosciuto il merito di aver tentato un primo approccio sistematico allo studio della criminalità, infatti ad alcune delle sue ricerche si ispirarono Sigmund Freud e Carl Gustav Jung. Oggi la sua teoria della psicoanalisi è considerata psicoscientifica dalla scienza moderna la quale ha dimostrato che anche se l’ambiente e i geni influiscono sull’aspetto fisico, quest’ultimo non influenza il comportamento, il quale è determinato solo dalle esperienze cognitive dell’individuo.
Verzeni è il primo giallo italiano documentato e risale nell’anno 1870. Il Serial Killer di due donne è nato a Bottanuco, in provincia di Bergamo nel 1849 in una famiglia di contadini. La sua infanzia sarà segnata dalle condizioni economiche disagiate della famiglia, il padre viene ricordato come un alcolizzato e violento, mentre la madre sofferente di epilessia. All’età di 18 anni comincia a manifestare i primi segni di aggressività, nei confronti della cugina Marianna che aggredisce nel sonno tentando di morderla al collo, la vittima fortunatamente riuscì a fuggire spaventata dalle sue urla. Due anni dopo una contadina, nota come Barbara Bravi, viene aggredita da uno sconosciuto che fugge appena la donna oppone resistenza. La Bravi al momento non fu in grado di identificare l'aggressore ma anni dopo, in seguito all'arresto di Verzeni per due omicidi, la stessa Bravi non escluderà che potesse trattarsi di lui. In quello stesso anno, 1969, altre due aggressioni segneranno quel periodo di sospetti e paure. Verzeni, nell’aggressione a Margehrita Esposito, verrà ferito al volto e successivamente identificato dalla polizia, senza però esserci a suo carico provvedimenti penali.

Lo “Squartatore di donne” così sarà ricordato Verzeni dagli abitanti di Bottanuco. Il suo primo omicidio, compiuto a soli 21 anni, risale all’8 dicembre 1870. La quattordicenne Giovanna Motta, scomparsa nel nulla, mentre si stava recando nel vicino comune di Suisio per visitare alcuni parenti, fu ritrovata morta solo quattro giorni più tardi,il suo cadavere era completamente mutilato: il collo mostrava segni di morsi, le interiora e gli organi genitali sono stati asportati e la carne di un polpaccio è stata strappata. Alcuni spilloni trovati accanto al cadavere fecero ipotizzare che Verzeni (riconosciuto autore del delitto solo tre anni più tardi) praticò il piquerismo,forma di sadomasochismo che ricerca il piacere pugnalando e tagliuzzando un corpo con oggetti affilati, le zone più frequentemente oggetto di questa parafilia sono i genitali, le natiche ed i seni, durante o dopo le sevizie. Il 10 aprile 1871 Maria Galli, una contadina fu importunata dallo stesso Verzeni che lo segnala alla polizia, mentre ad agosto dello stesso anno Angela Previtali sarà la prima vittima a denunciarlo alla polizia, rapita e trattenuta dal Verzeni per alcune ore in una zona disabitata e successivamente liberata dall’uomo per compassione, che aveva cercato di morderla al collo.
Il secondo omicidio viene realizzato nel 1872, Elisabetta Pagnoncelli fu trovata mutilata come la precedente vittima. L’arresto del Vampiro di Bergamo avverrà nel 1873, la sua perizia psichiatrica verrà commissionata al dottor Cesare Lombroso, che lo definirà "un sadico sessuale, vampiro, divoratore di carne umana" e in base alla conformazione del suo cranio e dal suo volto, mandibole e zigomi pronunciati, occhi piccoli, la sua teoria (secondo cui l'origine del comportamento criminale era insita nelle caratteristiche anatomiche del criminale, oggi destituita da ogni fondamento scientifico), diagnosticava gravi forme di cretinismo e necrofilia. In seguito all’arresto avvenuto nel 1873, durante il processo lo stesso Verzeni descrisse i suoi omicidi: «Io ho veramente ucciso quelle donne e ho tentato di strangolare quelle altre, perché provavo in quell'atto un immenso piacere. Le graffiature che si trovarono sulle cosce non erano prodotte con le unghie ma con i denti, perché io, dopo strozzata la morsi e ne succhiai il sangue che era colato, con cui godei moltissimo». Il destino volle che pur essendo giudicato colpevole, scampò dalla condanna a morte grazie al voto contrario di un giurato e gli fu comminato l’ergastolo nel manicomio criminale della Pia Casa della Senavra di Milano oltre ai lavori forzati a vita. Vincenzo Verzeni viene solo da poco ricordato come fu l’uomo che visse due volte. Infatti il mistero del primo killer seriale italiano tinge di giallo la data della sua morte che fu oggetto d’indagine.

Gli infermieri del manicomio criminale di Milano dichiararono che fu trovato morto il 13 aprile 1874, solo dopo un anno della sua detenzione, impiccato nella sua cella, ma i produttori televisivi Mirko Cocco e Michele Pinna, che si occuparono del caso per un servizio televisivo regionale nel 2010, riaprirono il caso. Recandosi a Bottanuco scoprirono che non esisteva più il numero civico presso il quale abitava il Verzeni e all'anagrafe esisteva la copia dell'atto di morte, il nr. 87 che certifica la morte di Vincenzo Verzeni in Bottanuco per cause naturali alle ore 15,35 del 31 dicembre 1918 e non nel 1874. Verzeni sarebbe sopravvissuto al tentativo di suicidio e sarebbe stato trasferito nel carcere di Civitavecchia, lo stesso articolo pubblicato sull'Eco di Bergamo il 3 dicembre 1902 conferma la versione dei due reporter: «La popolazione di Bottanuco è terrorizzata al pensiero che Vincenzo Verzeni, lo squartatore di donne, ha quasi ormai finito l'espiazione della pena, che dall'ergastolo, fu convertita in 30 anni di reclusione. Il lugubre ricordo delle gesta sanguinose del Verzeni è ancora vivo in Bottanuco e nei paesi circostanti.»
L’atto di morte, con il numero 87 del Comune di Bottanuco, certifica che Verzeni morì nel paese natale il 31 dicembre 1918, all’età di 69 anni, per cause naturali.
Il giallo nel giallo, il Vampiro di Bergamo che visse due volte rimane il primo testimone del serial killer italiano, che con la documentazione agli atti segna la nascita della criminologia nel nostro paese.
Al Museo di Arte Criminologica di Roberto Paparella ad Olevano Lomellina nell’esposizione permanente dedicata all’Arte Criminale (raccolta cominciata per gioco più di vent’anni fa divenuta col passare degli anni sempre più seria, varia e numerosa, arricchendosi di pezzi d’arte dello stesso studioso del crimine di Muggiò, che per passione è anche restauratore), vi è anche la mummia di Vincenzo Verzeni, dove in tanti oggetti autentici si mischiano i falsi d’autore. Qui il Vampiro di Bergamo viene ricordato per la sua efferatezza dei delitti e la sua aberrante sete di sangue.