Puigdemont e Renzi, oltre la sottile linea rossa: qualcuno salvi i due soldati Ryan

Dalla collezione Barrack-Room Ballads, e precisamente dal poema Tommy di Rudyard Kipling, è stato tratto il film “La sottile linea rossa”. Il poema di Kipling che a sua volta è basato sull’azione dei soldati britannici nel 1854 durante la guerra di Crimea, chiamata “The Thin Red Line (Battaglia di Balaclava)”. Nel poema, Kipling descrive i soldati come “Una sottile linea rossa di eroi”.

Ci si domanda, Puigdemont e Renzi che c’entrano nella battaglia della Balaclava?

In quella di Balaclava non c’entrano nulla, ma nelle rispettive battaglie da loro ingaggiate, rappresentano ambedue “Una sottile linea rossa di eroi”, e si può aggiungere, votati alla morte sociale.
Nella figura del soldato Witt di Rudyard Kipling, che in prima battuta diserta e si rifugia fra gli indigeni melanesiani per poi, riemergendo, sacrificarsi per i propri compagni instillando così più di un dubbio al suo diretto superiore. Nella vicenda catalana traspare in dissolvenza la figura di Puigdemont che fuggendo in Belgio pur dichiarandosi battuto cerca di animare i sui compagni seminando così qualche scompiglio nella Corte Suprema madrilena. Si intravede, nello scontro durante la guerra di Crimea tra il colonnello Tall e il capitano Staros, una curiosa analogia con i fatti nostrani. Tall rifiuta di mandare i suoi uomini in una missione suicida e per questo verrà sollevato dall’incarico e sostituito dal tenente Band.

In dissolvenza si può vedere il “colonnello” Matteo Renzi che rifiutando di andare in soccorso alla formazione di un governo per il paese viene sostituito dal reggente Martina che a sua volta ignora gli accorati richiami alle responsabilità da parte del “capitano” Mattarella.

Sempre avendo come sfondo la guerra di Crimea, nell’atteggiamento del soldato Bell, che non sopporta la forzata lontananza dalla moglie, dalla quale alla fine verrà lasciato tramite una lettera che gli annuncia il divorzio, si può facilmente immaginare “il soldato” Berlusconi che non concependo altre soluzioni che un’ ennesimo “Nazareno” alla fine rischia di venire fagocitato da Salvini, che poi non si sa bene se è peggio o meglio del divorzio breve. In un messaggio al deputato Toni Comin, intercettato dalle telecamere della tv privata spagnola Telecinco, si riporta che Charles Puigdemont ha confidato al collega, l’amareggiato sfogo: “Penso ti sia chiaro che è finita. I nostri ci hanno scaricato. Perlomeno me”. In quello sfogo vi erano racchiusi la sconfitta, la delusione e l’amarezza di essere stati scaricati dagli stessi compagni.

Intanto regnando l’incertezza e attendendo l’imprevisto, membri del governo decaduto di Puigdemont cercano altre sistemazioni.

La ministra dell’educazione, professoressa Clara Ponsati, il 10 di questo mese ha lasciato il Belgio, dopo quattro mesi e mezzo di soggiorno, partendo per la Scozia essendo stata assunta all’ University di St Andrews. Quando Puigdemont si confidava con Comin, lamentando che i suoi lo avevano scaricato, non diceva niente di inverosimile. Di fatti, la vicepremier spagnola Soraya de Saenz Santamaria, a gennaio scorso aveva avanzato una proposta al presidente del parlamento catalano, Roger Torrent, di avviare un nuovo giro di colloqui con le forze politiche e presentare il nome di un nuovo candidato alla presidenza della Catalogna, alternativo a Charles Puigdemont.. Proprio in quell’occasione la Soraya si riporta d’aver accennato ad alcuni esponenti del partito di Torrent : “È giunto il momento di assumere pubblicamente quello che si è detto molte volte in privato”. Tutti hanno capito che si riferiva ad un possibile sacrificio di Puigdemont. Il defenestrato presidente catalano è ormai costretto ad evitare i confini catalani, ma non si dà per vinto e continua a scrivere che: “Il piano della Moncloa trionfa”. Strana coincidenza. Matteo Renzi, disconosciuto da molti dei suoi ed accomiatandosi “provvisoriamente” dalla scena pubblica ha chiuso: “La ruota gira, la rivincita verrà …”.

Il 31 gennaio, twittando, Puigdemont aveva scritto:

“Sono umano, ci sono momenti in cui anch’io dubito. Ma sono anche il Presidente, e non mi nasconderò o mi tirerò indietro per rispetto, gratitudine e impegno con i cittadini e il paese. Andiamo avanti!” Ma guarda un po’ Nel messaggio affidato da Renzi alla sua Enews, poco prima della direzione, alla quale il dimissionario segretario dem ha deciso di non partecipare: “Io non mollo. Mi dimetto da segretario del Pd com’è giusto fare dopo una sconfitta. Ma non molliamo, non lasceremo mai il futuro agli altri”. Altra classe, altra forma, stesso messaggio. Qualcuno salvi i due soldati Ryan.

Emanuel Galea

 




Catalogna, arrestati 8 ministri: in migliaia scendono in piazza

CATALOGNA – Migliaia di persone sono scese in piazza in tutte le città catalane alla 19 all’appello delle organizzazioni della società civile indipendentista per denunciare l’arresto ordinato oggi dalla giudice spagnola Carmen Lamela di otto membri del Govern di Carles Puigdemont, fra cui il vicepresidente Oriol Junqueras, leader del primo partito catalano, Erc. Concentrazioni sono in corso in particolare a Barcellona, Girona, Badalona, Tarragona, Lleida.  La giudice ha ordinato che gli otto ministri  siano separati e detenuti in cinque prigioni diverse. Il vicepresidente Oriol Junqueras e il ministro Joaquim Forn saranno trasferiti nel carcere di Estremera, Jordi Turull e Raul Romeva a Valdemoro, Josep Rull a Navalcarnero e Carlesd Mundò a Aranjuez. Dolors Bassa e Meritxell Borras saranno detenute nel carcere per donne di Alcalà.

Tutti i leader indipendentisti hanno lanciato appelli perché la popolazione catalana mantenga la calma. Lo stesso appello è stato lanciato, “nell’indignazione”, dalle segretarie di Erc e Pdecat, Marta Pascal e Marta Rovira. Gli avvocati degli otto detenuti hanno detto che anche da parte loro, prima di essere portati via, nei furgoni cellulari sono venuti appelli “alla tranquillità”.

In un comunicato diffuso ieri sera a Bruxelles, scrive la stampa belga, l’ex presidente Carles Puigdemont, in Belgio insieme ad altri quattro suoi ministri, ha ribadito che non tornerà in Spagna denunciando “un processo politico” nei suoi confronti. I giudici spagnoli potrebbero quindi spiccare un mandato di arresto europeo.




Catalogna: Puigdemont dichiara l’indipendenza e poi la sospende per favorire il dialogo con Madrid

All’indomani del discorso al parlamento di Barcellona del presidente catalano Puigdemont, che ha dichiarato l’indipendenza ma l’ha sospesa per favorire il dialogo con Madrid, è il momento delle contromosse del governo centrale. Il premier spagnolo Mariano Rajoy terrà una conferenza stampa alla fine dei lavori del consiglio dei ministri straordinario; dovrebbe parlare verso mezzogiorno. Nel pomeriggio riferirà al Congresso dei deputati. Sul tavolo c’è fra l’altro la possibilità di applicare l’art.155 della costituzione che consentirebbe la sospensione dell’autonomia catalana. ‘Andremo avanti lo stesso‘, dice il portavoce del governo catalano.

Art. 155 e 116 su tavolo di Rajoy – Due articoli della costituzione spagnola, il 155 che consentirebbe di sospendere l’autonomia catalana, e il 116, che permette di istituire lo ‘stato di eccezione’ in una parte del territorio dello stato, possono essere usati dal premier Mariano Rajoy se opta per la mano dura con la regione ribelle. Per l’applicazione del 155 ci vuole il via libera del senato, dove il Pp di Rajoy ha la maggioranza assoluta, per il 116 è necessario quello del Congresso, dove Rajoy è minoritario.

La Catalogna ieri si è dichiarata indipendente. Per un minuto. Alle 19.41 il presidente Carles Puigdemont ha proclamato la Repubblica catalana. Alle 19.42 ha sospeso la secessione, per tentare “una tappa di dialogo” con Madrid. Ma in serata c’è stato anche tempo per la firma della dichiarazione da parte delle massime cariche della Catalogna e dai rappresentanti della maggioranza di governo. Un gesto simbolico, visto che, come ha detto anche un portavoce della Cup, l’ala più oltranzista del fronte indipendentista, la dichiarazione firmata “non è ancora valida”. Immediata la reazione di Madrid. Prima con fonti che hanno definito “inammissibile una dichiarazione implicita di indipendenza e poi una sua sospensione esplicita”.”Il governo – hanno aggiunto – non cederà a ricatti”. Poi con la vice di Rajoy, Soraya Saenz de Santamaria, che ha detto che oggi “Puidgemont ha esposto la Catalogna al grado massimo di incertezza”. “Non si può accettare una legge che non esiste o dare validità ad un referendum mai avvenuto”. Domani mattina alle 9 è stato convocata una riunione d’emergenza del governo, ha aggiunto. E questa sera Rajoy ha visto i principali leader politici di Madrid, tra cui il capo dei socialisti Pedro Sanchez. Alla dichiarazione si è arrivati dopo ore di trattative ad alta tensione con le varie componenti del fronte indipendentista. Sommerso dagli appelli da tutto il mondo perché evitasse un gesto “irreparabile”, il leader catalano alla fine ha optato per la ‘formula slovena’. Così aveva fatto Lubiana al momento della separazione da Belgrado: aveva dichiarato l’indipendenza, ma l’aveva sospesa per sei mesi, per arrivare a un divorzio negoziato con Belgrado. Una grandissima incertezza su quanto avrebbe detto incombeva su Barcellona da due giorni. I suoi ministri da domenica hanno tenuto le bocche cucite. La legge catalana del referendum prevedeva una dichiarazione di indipendenza entro due giorni dalla proclamazione dei risultati, in caso di vittoria del ‘sì’ al referendum del primo ottobre. Mille giornalisti di tutto il mondo hanno invaso il parlamento per seguire il suo storico discorso, trasmesso in diretta planetaria. Un discorso iniziato con un’ora di ritardo. Sessanta minuti nei quali ci sono state frenetiche trattative con la Cup, l’ala sinistra del fronte indipendentista, ostile all’indipendenza sospesa. E, sembra, telefonate con una personalità europea impegnata in un’opera di mediazione. Si è parlato di Jean Claude Juncker e del Consiglio d’Europa. Che hanno smentito. C’è stato invece poco prima dell’intervento di Puigdemont un appello del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, che ha chiesto al leader catalano di evitare l’irreparabile. Probabilmente ha avuto effetto. Il cammino già percorso dal governo secessionista catalano è impressionante. Ha potuto tenere il referendum nonostante la repressione di Madrid, ha reso la causa catalana popolare nel mondo, grazie anche allo shock delle immagini delle cariche della polizia spagnola contro la folla ai seggi. Ma sul cammino della vera indipendenza, il difficile inizia ora. Perché la Catalogna possa diventare davvero una Repubblica in grado di reggersi sulle sue gambe, un accordo con Madrid sembra necessario. Come avevano capito i dirigenti sloveni. Puigdemont oggi ha teso ancora una volta la mano a Madrid. “Non abbiamo nulla contro la Spagna e contro gli spagnoli. Anzi, vogliamo capirci meglio. Non siamo delinquenti, pazzi o golpisti, siamo gente normale che vuole poter votare”, ha detto in spagnolo. Il ‘president’ ha ricordato l’infelice vicenda dello ‘statuto catalano’ del 2006, ratificato dal popolo della Catalogna e poi bocciato nel 2010 dalla Corte costituzionale spagnola, “i cui giudici sono eletti dai due grandi partiti” di Madrid, Pp e Psoe. Così la Catalogna, ha accusato, è stata “umiliata”. Da allora sono iniziate le marce oceaniche per l’indipendenza a Barcellona, e la corsa al referendum. La sospensione della dichiarazione di indipendenza deve permettere uno spazio di dialogo, ha auspicato Puigdemont. L’obiettivo è arrivare a un compromesso con Madrid. Non sarà facile. Rajoy ha preannunciato durissime misure se Puigdemont avesse dichiarato l’indipendenza. Senza escludere l’utilizzo dell’articolo 155, che consentirebbe di destituirlo e di sospendere l’autonomia catalana. Puigdemont rischia anche l’arresto per “ribellione”. Ma su Rajoy sono puntati ora gli occhi di tutto il mondo. Che difficilmente accetterebbe nuove immagini di violenza in Catalogna. “L’Italia ritiene inaccettabile la dichiarazione unilaterale di indipendenza e rigetta ogni escalation. Esprimiamo la nostra fiducia nella capacità del governo spagnolo di tutelare l’ordine e la legalità costituzionali e, di conseguenza, di garantire il rispetto dei diritti di tutti i cittadini”, è la posizione di Roma espressa in serata dal ministro degli Esteri Angelino Alfano.