Giulio Regeni, inizia il processo agli 007 egiziani: palazzo Chigi parte civile

Si apre il processo a carico dei quattro 007 egiziani accusati del sequestro e dell’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore italiano morto in Egitto nel febbraio del 2016. Nella prima udienza, davanti alla terza Corte d’Assise, verrà subito affrontato il nodo dell’assenza in aula degli imputati: il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif.

I giudici dovranno valutare, così come già fatto dal gup nell’ambito dell’udienza preliminare, se la sottrazione degli imputati dal procedimento è stata volontaria. In tal senso il processo potrà andare avanti con i quattro in contumacia, altrimenti i giudici potrebbero chiedere una sospensione del procedimento. Il gup, su questo punto, aveva affermato nel decidere per il rinvio a giudizio che “la copertura mediatica capillare e straordinaria ha fatto assurgere la notizia della pendenza del processo a fatto notorio”. Nella lista testi presentata dai genitori di Giulio, Paola e Claudio, anche i presidenti del consiglio che si sono succeduti in Italia dal 2016, oltre che ministri degli Esteri e i sottosegretari con la delega ai servizi segreti, così come anticipato da alcuni quotidiani. Nei confronti degli imputati la Procura di Roma contesta i reati di sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti di un imputato i pm contestano anche il concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato.

La presidenza del Consiglio ha deciso di costituirsi parte civile nel processo sull’omicidio di Giulio Regeni.

“Si svolgerà la prima udienza in Corte di Assise sul sequestro, la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni. Se ci voltiamo indietro negli anni, e pensiamo alla fatica enorme che ci è voluta per arrivare fin qui, per ricostruire una trama nonostante depistaggi e resistenze di ogni tipo da parte dell’Egitto, comprendiamo quanto importante e carica di significato sia la giornata di oggi. Voglio inviare un abbraccio a Paola Deffendi e Claudio Regeni, per la loro tenacia e la loro umanità. Restiamo tutti uniti, istituzioni e comunità, per la ricerca di questa verità”. Lo afferma il presidente della Camera Roberto Fico.

Ieri alla vigilia dell’apertura del processo sulla tortura a morte di Giulio Regeni in Egitto prosegue il sostanziale silenzio sul caso osservato dai media egiziani fin dal giugno scorso, quando ci fu la trasmissione all’Italia delle inchieste del Cairo, incluso l’esito negativo di una rogatoria in Kenya. Lo stesso rinvio a giudizio, segnalato dal sito di opposizione Mada Masr e dall’anglofono Egypt Independent, aveva avuto poco risalto. Maggiore evidenza, anche sul sito del principale quotidiano egiziano, Al Ahram, era stata data invece alla chiusura delle indagini da parte egiziana annunciata dalla Procura generale del Cairo il 30 dicembre: la tesi cui erano giunti gli inquirenti era che Regeni fu soltanto monitorato, e non rapito e tantomeno ucciso, dai servizi segreti egiziani.




Omicidio Regeni, il Pm di Roma: su Giulio una “ragnatela egiziana” già prima del rapimento

“Intorno a Giulio Regeni è stata stretta una ragnatela dalla National security egiziana già dall’ottobre prima del rapimento e omicidio. Una ragnatela in cui gli apparati si sono serviti delle persone più vicine a Giulio al Cairo tra cui il suo coinquilino avvocato, il sindacalista degli ambulanti e Noura Whaby, la sua amica che lo aiutava nelle traduzioni”. Lo afferma il pm Sergio Colaiocco ascoltato, assieme al procuratore Michele Prestipino, davanti alla commissione di inchiesta sulla morte di Regeni.( “Una ragnatela – aggiunge Colaiocco – che si è stretta sempre di più è in cui Giulio è finito al centro”.
“La Procura – ha aggiunto Prestipino – continuerà con determinazione a compiere tutte le attività per continuare ad acquisire elementi di prova per accertare quanto accaduto”, il quale ha sottolineato che “grande è stata l’azione portata avanti dalla famiglia che ha costantemente esercitato un’attività finalizzata alla ricerca della verità”.




Caso Regeni: sospesi i rapporti con il Parlamento egiziano:

“La situazione non è mai stata così negativa, l’ultima rogatoria non ha avuto risposta, non ci sono contatti tra le procure. Abbiamo chiesto il richiamo dell’ambasciatore italiano in Egitto”. Lo afferma Alessandra Ballerini, legale della famiglia Regeni, dopo l’incontro a Montecitorio con il premier Giuseppe Conte e il presidente della Camera Roberto Fico, durato oltre un’ora.

“La Camera conferma la sospensione dei rapporti con il Parlamento egiziano, non ci sono le condizioni. L’Egitto deve rispondere a ciò che l’Italia ha chiesto, a ciò che hanno chiesto la procura e il ministero di Grazia e Giustizia”. Lo afferma il presidente della Camera Roberto Fico al termine dell’incontro con il premier Giuseppe Conte e la famiglia Regeni, accompagnata dal legale Alessandra Ballerini. “La cosa che mi sento di affermare è l’attenzione di tutte le istituzioni al caso”, sottolinea.




Caso Giulio Regeni, la Procura di Roma pronta alla svolta decisiva

Sono i sospettati del sequestro e dell’omicidio di Giulio Regeni. Sono gli uomini che hanno messo in atto il depistaggio per complicare la ricerca della verità su quanto avvenuto tra il 25 gennaio e il 4 febbraio del 2016 al Cairo. Ne sono convinti gli inquirenti della Procura di Roma che è pronta a dare una svolta decisiva all’indagine sul ricercatore italiano procedendo con le prime iscrizioni nel registro degli indagati.

Un atto che verrà formalizzato nei prossimi giorni e che riguarderà poliziotti e appartenenti al servizio segreto civile egiziano, che erano stati nei mesi scorsi identificati dagli uomini del Ros e Sco.
Il lavoro degli investigatori italiani era finito in una informativa poi consegnata alle autorità egiziane nell’incontro svolto nel dicembre dello scorso anno. La volontà di imprimere un colpo di accelerazione al fascicolo aperto quasi tre anni fa a piazzale Clodio è stata comunicata al Cairo dalla delegazione di inquirenti, guidata dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco, nel corso del decimo vertice con gli omologhi nordafricani.

Un atto che rappresenta un passaggio formale e necessario in base al nostro tipo di ordinamento, a differenza di quello in vigore in Egitto.
Uno scatto in avanti che però, spiega chi indaga, non avrà ripercussioni sull’attività congiunta svolta in questi anni tra le due autorità giudiziarie e che durerà anche nei prossimi mesi. Nel corso dell’incontro bilaterale è stato riaffermata la determinazione ad individuare i colpevoli del sequestro, tortura e omicidio del 28enne. La delegazione italiana ha depositato gli esiti degli approfondimenti investigativi svolti sulle attività condotte da Regeni nell’ambito del dottorato di ricerca.

Dal canto loro la squadra investigativa egiziana ha presentato gli esiti degli accertamenti tecnici condotti sulle registrazioni video delle telecamere del circuito di videosorveglianza della metropolitana del Cairo del 25 gennaio 2016, e in particolare ha riferito in ordine alle ragioni delle mancate registrazioni rilevate quella sera.

In particolare, su questo punto, gli inquirenti egiziani hanno sostenuto che secondo i loro tecnici i buchi riscontrati nel ‘girato’ sono dovuti ad una sovrascrittura. Resta il fatto che dall’analisi dei video non è stato possibile individuare alcuna immagine di Regeni. I filmati analizzati rappresentano il 5% del totale ripreso il 25 gennaio 2016 dalle telecamere posizionate all’interno della metropolitana del Cairo (il restante 95% non è risultato utilizzabile). Il lavoro ha riguardato i video di tutta la linea 2 della metro e non soltanto quelli presenti nelle stazioni El Bohoth e Dokki nell’orario compreso tra le 19 e le 21.




Regeni: nei video ci sono dei buchi temporali. Nuove indagini

Molto strano che nei video acquisiti dagli inquirenti vi siano addirittura dei buchi temporali dove non si vede nulla. Anzi dove non si vede Giulio Regeni. “Gli accertamenti compiuti dalla Procura di Roma e dalla Procura generale d’Egitto hanno permesso di verificare l’assenza, tra quanto si è riusciti a recuperare, di video o immagini relative a Giulio Regeni all’interno o in prossimità di stazioni della metro del Cairo”. Lo si legge in una nota dei due uffici giudiziari secondo cui “dall’esame delle registrazioni acquisite è emerso che vi sono diversi ‘buchi’ temporali in cui non vi sono né video né immagini” pertanto “sono necessarie ulteriori indagini tecniche per accertarne le cause”.

I filmati analizzati rappresentano il 5% del totale ripreso il 25 gennaio 2016 delle telecamere posizionate all’interno della metropolitana del Cairo.

Il lavoro ha riguardato i video di tutta la linea 2 della metro e non soltanto quelli presenti nelle stazioni El Bohoth e Dokki (in quest’ultima fu agganciato per l’ultima volta il cellulare di Regeni) nell’orario compreso tra le 19 e le 21. Per gli inquirenti non è emerso “nessun materiale di interesse investigativo”.




Regeni, Gabrielli furioso: “Dal pm Zucca accuse infamanti”

“Arditi parallelismi e infamanti accuse che qualificano soltanto chi li proferisce”. Così il capo della Polizia Franco Gabrielli ha commentato le parole del sostituto procuratore della corte d’appello di Genova Enrico Zucca che, durante un dibattito sulla morte di Giulio Regeni, ha sostenuto che i “nostri torturatori sono al vertice della polizia”. “In nome di chi ha dato il sangue, di chi ha dato la vita – ha aggiunto ad un’iniziativa ad Agrigento in ricordo di Beppe Montana, il capo della Catturandi di Palermo ucciso dalla mafia nel 1985 – chiediamo rispetto”.

“La rimozione del funzionario condannato è un obbligo convenzionale, non una scelta politica, e queste cose le ho dette e scritte anche in passato. Il Governo deve spiegare perché ha tenuto ai vertici operativi dei condannati. Fa parte dell’esecuzione di una sentenza”. È il commento del sostituto procuratore generale di Genova, Enrico Zucca, sulle polemiche sollevate dopo il suo intervento a un convegno sul caso Regeni nell’ambito della tutela degli italiani all’estero.
“È normale e doveroso, quando succedono queste cose, che Csm e ministero si accertino sui fatti”, ha spiegato Zucca. L’organo di autogoverno della magistratura ha deciso di avviare accertamenti preliminari sulle frasi riportate dalla stampa.

Quella del pm di Genova Zucca “è stata una dichiarazione impegnativa con qualche parola inappropriata”. Lo ha detto il vice presidente del Csm Giovanni Legnini, che in apertura del plenum ha anche espresso “stima e fiducia ai vertici delle forze di polizia”.

Il procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio, ha avviato accertamenti preliminari sul sostituto procuratore generale di Genova, Enrico Zucca. In particolare, il pg acquisirà tutti gli elementi conoscitivi sulle dichiarazioni rese ieri dal magistrato sui casi giudiziari del G8 di Genova e sulla morte di Regeni, riportate dalla stampa.

L’apertura di una pratica sul pm di Genova Enrico Zucca è stata chiesta al Csm dal presidente della prima commissione Antonio Leone per valutare se vi siano “profili di incompatibilità”, cioè se il magistrato vada trasferito d’ufficio. Il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini ha detto che sottoporrà la questione al prossimo comitato di presidenza e ha definito doveroso l’intervento del Csm.

In merito alla vicenda che riguarda il procuratore generale di Genova, Enrico Zucca, e alla sue dichiarazioni sul G8 di Genova e sui vertici della polizia, il ministero della Giustizia acquisirà – a quanto si apprende – l’integrale della registrazione video del convegno nel corso del quale il magistrato ha pronunciato le affermazioni contestate, per valutarne e contestualizzarne contenuto; e inoltre, come da prassi, una relazione dettagliata sulla vicenda attraverso il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Genova. Le acquisizioni avverranno da parte dell’ispettorato del ministero. Gli accertamenti avviati sono preliminari rispetto alla possibile apertura di un’azione disciplinare.




Caso Regeni, rivelazione choc: gli Usa passarono a Renzi le prove

 

Redazione

 

USA – Gli Stati Uniti dell'amministrazione Obama acquisirono prove che Giulio Regeni era stato rapito, torturato e ucciso dai servizi di sicurezza egiziani e avvertirono il governo Renzi. Lo rivela il New York Times. "Abbiamo trovato prove incontrovertibili sulla responsabilità di funzionari egiziani", ha detto una fonte dell'amministrazione Obama al New York Times, secondo cui gli Stati Uniti "passarono la raccomandazione al governo Renzi".

In merito alla inchiesta del New York Times, dedicata oggi alla morte di Giulio Regeni, fonti di Palazzo Chigi sottolineano come nei contatti tra amministrazione USA e governo italiano avvenuti nei mesi successivi all'omicidio di Regeni non furono mai trasmessi elementi di fatto, come ricorda tra l'altro lo stesso giornalista del New York Times, né tantomeno 'prove esplosive'. Si sottolinea,altresì, proseguono le stesse fonti, che la collaborazione con la Procura di Roma in tutto questi mesi è stata piena e completa.

Su raccomandazione del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca – spiega ancora il New York Times in una lunga ricostruzione della vicenda – gli Stati Uniti hanno passato questa conclusione al governo Renzi. ''Non era chiaro chi avesse dato l'ordine di rapire e, presumibilmente, di ucciderlo'', ha detto un'altra fonte. Ma quello che gli americani sapevano per certo – e che hanno condiviso con gli italiani – era che la leadership egiziana era totalmente consapevole delle circostante della morte di Regeni, si legge ancora sul Nyt. "Non avevamo dubbi che questa faccenda era conosciuta ai massimi livelli", ha spiegato una terza fonte dell'amministrazione Obama: "Non so se avessero la responsabilità ma sapevano".

"Sempre più lutto!": lo scrive la mamma di Giulio Regeni, Paola Deffendi, in un post sul proprio profilo Facebook nel quale pubblica le foto della bandiera italiana listata a lutto esposta dal giorno della morte del giovane sul Municipio di Fiumicello (Udine), dove vive la famiglia Regeni. La stessa foto, da oggi, è utilizzata da Paola Deffendi come immagine del proprio profilo Fb. Nel post, in un'altra foto, insieme alla stessa bandiera, si vede un pezzo del manifesto di colore giallo "Verità per Giulio Regeni".

Il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, ha deciso di far tornare al Cairo l'ambasciatore Giampaolo Cantini. Il premier Paolo Gentiloni ha incaricato il diplomatico di "contribuire alla azione per la ricerca della verità sull'assassinio di Giulio Regeni". Una notizia, quella del ritorno in Egitto dell'ambasciatore italiano, che non ha però trovato d'accordo la famiglia Regeni che si è detta "indignata per le modalità, la tempistica ed il contenuto della decisione del Governo italiano.

La decisione di rimandare ora, nell'obnubilamento di Ferragosto, l'ambasciatore in Egitto ha il sapore di una resa confezionata ad arte". Ha espresso perplessità anche Amnesty International che ha parlato di rinuncia da parte del governo "all'unico strumento di pressione per ottenere verità nel caso di Giulio Regeni di cui l'Italia finora disponeva". Una svolta nelle nelle indagini viene comunque registrata in una nota congiunta firmata dal procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone e il procuratore generale della Repubblica Araba D'Egitto Nabil Ahmed Sadek. Quest'ultimo nel corso di un colloquio telefonico con il capo dei pm capitolini ha inoltre spiegato che, come già annunciato nel maggio scorso, è stata affidata ad una società esterna l'attività di recupero dei video della metropolitana. Una attività che prenderà il via a settembre con una riunione tra l'azienda e la procura egiziana, alla quale sono stati invitati anche gli inquirenti italiani. Nel corso della telefonata è stato anche concordato un nuovo incontro tra i due uffici, che sarà organizzato dopo la riunione di settembre. "Entrambe le parti – è detto in una nota congiunta – hanno assicurato che le attività investigative e la collaborazione continueranno fino a quando non sarà raggiunta la verità in ordine a tutte le circostanze che hanno portato al sequestro, alle torture e alla morte di Regeni". Gli sviluppi nella "cooperazione tra gli organi inquirenti", hanno portato il governo ad inviare, quindi, l'ambasciatore Cantini nella capitale egiziana, dopo che – l'8 aprile 2016 – l'allora Capo Missione Maurizio Massari venne richiamato a Roma per consultazioni. "L'impegno del Governo italiano – afferma in una nota il ministro Alfano – rimane quello di fare chiarezza sulla tragica scomparsa di Giulio". "Solo quando avremo la verità sul perché e chi ha ucciso Giulio, quando ci verranno consegnati, vivi, i suoi torturatori e tutti i loro complici – la replica stizzita della famiglia Regeni -, solo allora l'ambasciatore potrà tornare al Cairo senza calpestare la nostra dignità".




REGENI: GENTILONI CONTRO IL CAIRO: "DALL'EGITTO RISPOSTE INSODDISFACENTI"

di Angelo Barraco
 
Roma – Sulla morte di Giulio Regeni ci sono poche certezze e molti dubbi. La mancanza di collaborazione tra Egitto e Italia non ha certamente facilitato la ricerca della verità. In merito a questo fattore si è espresso il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni nel corso di un’intervista a Voci del Mattino su Radio Rai dicendo “Per noi il ritorno alla normalità delle relazioni (con l'Egitto) dipende da una collaborazione seria” e ha aggiunto “Purtroppo la nostra pressione, la nostra ricerca di verità non ha avuto risposte soddisfacenti. Il che vuol dire una cosa semplicissima e cioé che se qualcuno immaginava che il trascorrere del tempo avrebbe un po' diminuito l'attenzione dell'Italia e un po' costretto tutti a rassegnarci a un ritorno alla normalità della relazioni, per noi il ritorno alla normalità delle relazioni dipende da una collaborazione seria” precisando inoltre che “una cosa molto importante nelle relazioni tra paesi, nelle relazioni diplomatiche, cioé che noi abbiamo richiamato a Roma il nostro ambasciatore al Cairo… e questo è un gesto molto forte nei rapporti tra Stati” e ha concluso “E continuiamo ad esercitare, non solo attraverso quel gesto del richiamo dell'ambasciatore ma in tante forme anche una pressione diplomatica perché si arrivi alla verità. Sappiamo che non sarà facile”. Certamente l’esternazione fatta dalla presentatrice televisiva nonché ex attrice egiziana, Rania Yassen mentre stava annuncianto l’apertura di un’inchiesta nei confronti dell’agenzia Reuters, in merito alla vicenda Regeni, ha destato parecchio scalpore poiché la presentatrice ha detto “Che andasse al diavolo!” e ha definito le pressioni internazionali per la mancanza di chiarezza “un complotto”. Ma le sue esternazioni non si sono di certo fermate qui poiché ha detto che Giulio “non è certo l’unico al mondo” (riferendosi alla morte). La presentatrice ha voluto precisare anche che secondo lei “tutto questo interesse per il caso Regeni a livello internazionale, come nel Regno Unito e negli Stati Uniti, rappresenta una sola cosa: siamo davanti ad un complotto. Come se Regeni fosse il primo caso di omicidio in tutto il mondo” aggiunge che vi sono tanti egiziani spariti al mondo, anche in Italia, USA. “Anche noi abbiamo un giovane egiziano sparito in Italia”. Inoltre ha definito le teorie in merito al delitto come “una provocazione”, aggiungendo anche che il giovane “potrebbe anche appartenere ai servizi segreti”. Il canale “Al Hadath al Youm” è stato lanciato due giorni dopo il ritrovamento del corpo di Regeni.



REGENI, COLPO DI SCENA DE IL CAIRO: "IMPORTANTI NOVITÀ SUL CASO. ITALIA ALLENTI PRESSIONI POLITICHE"

Redazione

"Il portavoce del ministero degli Esteri egiziani, Ahmed Abou Zeid, ha affermato che c'è stato un importante sviluppo negli ultimi due giorni" sul dossier di Giulio Regeni: lo scrive il sito del quotidiano egiziano Al Watan senza fornire dettagli su questo "sviluppo" investigativo ma precisando che il portavoce ha parlato ieri a una tv.

Parlando dell'imprecisato "importante sviluppo nell'omicidio dello studente italiano Giulio Regeni", il portavoce del ministero degli Esteri egiziano "ha chiesto alla parte italiana di allentare le pressioni politiche sul caso".

Il portavoce ha indicato "che i contatti con la parte italiana continuano per svelare le circostanze della sua morte", ha scritto ancora il giornale sintetizzando fuori di virgolette un intervento telefonico del portavoce alla tv "Al-Hayat". "Abou Zeid ha aggiunto che è necessario vuotare questo dossier delle influenze politiche e lasciarlo agli apparati di sicurezza competenti", riferisce ancora il sito.




TENSIONI ITALIA-EGITTO SU CASO REGENI, GENTILONI: "PRESTO NUOVE MISURE"

di Angelo Barraco
 
Roma – E’ rientrato in Italia Maurizio Massari, l’ambasciatore italiano, che è stato richiamato dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni per consultazioni in merito alla morte di Giulio Regeni e alle indagini. Giunto in Italia non ha rilasciato alcuna dichiarazione. Paolo Gentiloni, in merito al richiamo per le consultazioni di Massari in seguito alle indagini che hanno portato al nulla di fatto ha detto “Non c'è da parte nostra una rinuncia a chiedere che venga assicurata la verità, come è doveroso che sia. C'è la decisione, visto che il livello di collaborazione si è rivelato insufficiente, di prendere delle misure che diano questo segnale di insoddisfazione in modo proporzionato e senza scatenare guerre mondiali. Nei prossimi giorni valuteremo le misure da prendere”. Dal fronte egiziano arrivano invece dei segnali diretti contro l’Italia. Nel corso di una trasmissione televisiva in una tv privata, il portavoce del ministro degli Esteri egiziano Ahmed Abou Zeid è intervenuto telefonicamente, asserendo che in Italia “alcuni dossier, come il caso Regeni, vengono sfruttati per questioni interne”. Ha aggiunto inoltre che “Le indagini investigative nel mondo si fanno molto spesso basandosi sui tabulati, sulle intercettazioni. Se non ci fosse il traffico di celle telefoniche, buona parte delle indagini che si fanno anche nei Paesi più attaccati alla privacy non si farebbero. Io rispetto gli argomenti dei governi con cui abbiamo a che fare però bisogna giudicare con buon senso, e il buon senso dice che nelle indagini si usano questi strumenti. Dalle Alpi alle Piramidi”. Gentiloni ha fatto inoltre sapere che il richiamo dell’ambasciatore Massari è stato soltanto il primo passo e nei prossimi giorni saranno prese nuove misure. Il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry si è detto irritato “per l'orientamento politico che l'Italia comincia a prendere nel trattare il dossier”. Per Il Cairo, la convocazione di Massari si contrasta con la collaborazione auspicata. Gentiloni dal canto suo precisa “Ricordo sempre gli aggettivi che ho usato in Parlamento e cioè che adotteremo misure immediate e proporzionali. Questo ci siamo impegnati a fare e questo faremo”. 
 
Tale rientro è dovuto al Vertice tra Italia ed Egitto che si è tenuto pochi giorni fa sul caso Regeni. Il vertice durato due giorni è da ritenersi un totale fallimento, poiché le risposte che l’Italia e la famiglia Regeni aspettavano da tanto tempo non sono arrivate. Ciò che è pervenuto all’Italia in merito alla terribile morte del ricercatore è un dossier di circa trenta pagine, ma tali documenti erano stati consegnati un mese fa. All’interno delle 30 pagine non vi era una spiegazione plausibile in merito al ritrovamento dei documenti. Matteo Renzi e Gentiloni, a seguito del’incontro, chiedono verità in merito alla vicenda Regeni e il Premier sottolinea su Twitter “Dopo esito incontri magistrati a Roma, Italia ha deciso formalmente di richiamare per consultazioni l'ambasciatore #veritàpergiulioregeni”. I genitori di Giulio hanno riferito “siamo certi che le nostre istituzioni e tutti coloro che stanno combattendo al nostro fianco questa battaglia di giustizia, non si fermeranno”. Il Procuratore Giuseppe Pignatore ha elencato in una nota le richieste che non hanno trovato risposta, ma con tale nota non ha chiuso la porta. Nella nota si parla della “Collaborazione” mediante “scambio di atti d’indagine” e la “determinazione” dei paesi “nell'individuare e assicurare alla giustizia i responsabili di quanto accaduto, chiunque essi siano”. La vicenda prosegue con il tiro alla fune, da un lato l’Italia che chiede i documenti sulla vicenda e dall’altro lato l’Egitto che prende tempo. Tornando ai documenti e alla riunione Italia-Egitto, gli italiani avevano portato una mezza dozzina di traduttori in modo tale da accelerare i tempi e mettersi prontamente a lavoro sui documenti in arabo. Ma il dossier non era corposo e voluminoso come si prospettava e come si vociferava. Una fonte racconta “Altro che duemila pagine Non c'è stato neanche bisogno di utilizzare tutti i traduttori poiché abbiamo avuto a disposizione pochissime carte, molte delle quali, tra l'altro, già le conoscevamo”. La Procura di Roma ha spiegato che “Sono stati consegnati i tabulati telefonici delle utenze egiziane in uso a due amici italiani di Giulio Regeni presenti a Il Cairo nel gennaio scorso, la relazione di sopralluogo, con allegate foto del ritrovamento del corpo di Giulio Regeni, una nota ove si riferisce che gli organizzatori della riunione sindacale tenuta a Il Cairo l'11 dicembre 2015, cui ha partecipato Giulio Regeni, hanno comunicato che non sono state effettuate registrazioni video ufficiali dell'incontro”. Gli inquirenti italiani non hanno ricevuto nemmeno le registrazioni delle videocamere di sorveglianza fatte a Dokki, la zone in cui Giulio è sparito, non hanno ricevuto il verbale completo dell’autopsia e nemmeno i tabulati delle persone che avevano indicato gli investigatori italiani e che erano vicine al ricercatore. Nessuna testimonianza è giunta agli italiani, nemmeno quella dell’autista che ha rinvenuto il cadavere e nemmeno quelle dei vicini. Manca soprattutto un elemento fondamentale che avrebbe potuto far luce su molti aspetti di questa torbida storia, mancano i tabulati telefonici che agganciano la cella di Dokki. Pignatone scrive “In relazione alla richiesta del traffico di celle presentata ancora una volta dalla Procura di Roma l'autorità giudiziaria egiziana ha comunicato che consegnerà i risultati al termine dei loro accertamenti, che sono ancora in corso. La procura ha insistito insistito perché la consegna avvenga in tempi brevissimi sottolineando l'importanza di tale accertamento da compiersi con le attrezzatura all'avanguardia disponibili in Italia”. Tramite quei dati si può risalire all’autore materiale del delitto. Un altro punto su cui il mistero persiste, riguarda i documenti. Una vicenda tutta da chiarire poiché risulta che “non vi sono elementi del coinvolgimento diretto della banda criminale nelle torture e nella morte” di Giulio Regeni.



REGENI: VERTICE ITALIA-EGITTO, UN FALLIMENTO

di Angelo Barraco

Roma – Concluso il vertice tra Italia ed Egitto sul caso Regeni, rientrano al Cairo i magistrati e i responsabili della sicurezza egiziana che hanno preso parte alla riunione ma non hanno rilasciato dichiarazioni in merito alla missione. Lo riferiscono fonti aeroportuali del Cairo. Il vertice durato due giorni è da ritenersi un totale fallimento, poiché le risposte che l’Italia e la famiglia Regeni aspettavano da tanto tempo non sono arrivate. Ciò che è pervenuto all’Italia in merito alla terribile morte del ricercatore è un dossier di circa trenta pagine, ma tali documenti erano stati consegnati un mese fa. All’interno delle 30 pagine non vi era una spiegazione plausibile in merito al ritrovamento dei documenti. Matteo Renzi e Gentiloni, a seguito del’incontro, chiedono verità in merito alla vicenda Regeni e il Premier sottolinea su Twitter “Dopo esito incontri magistrati a Roma, Italia ha deciso formalmente di richiamare per consultazioni l'ambasciatore #veritàpergiulioregeni”. I genitori di Giulio hanno riferito “siamo certi che le nostre istituzioni e tutti coloro che stanno combattendo al nostro fianco questa battaglia di giustizia, non si fermeranno”. Il Procuratore Giuseppe Pignatore ha elencato in una nota le richieste che non hanno trovato risposta, ma con tale nota non ha chiuso la porta. Nella nota si parla della “Collaborazione” mediante “scambio di atti d’indagine” e la “determinazione” dei paesi “nell'individuare e assicurare alla giustizia i responsabili di quanto accaduto, chiunque essi siano”. La vicenda prosegue con il tiro alla fune, da un lato l’Italia che chiede i documenti sulla vicenda e dall’altro lato l’Egitto che prende tempo. Tornando ai documenti e alla riunione Italia-Egitto, gli italiani avevano portato una mezza dozzina di traduttori in modo tale da accelerare i tempi e mettersi prontamente a lavoro sui documenti in arabo. Ma il dossier non era corposo e voluminoso come si prospettava e come si vociferava. Una fonte racconta “Altro che duemila pagine Non c'è stato neanche bisogno di utilizzare tutti i traduttori poiché abbiamo avuto a disposizione pochissime carte, molte delle quali, tra l'altro, già le conoscevamo”. La Procura di Roma ha spiegato che “Sono stati consegnati i tabulati telefonici delle utenze egiziane in uso a due amici italiani di Giulio Regeni presenti a Il Cairo nel gennaio scorso, la relazione di sopralluogo, con allegate foto del ritrovamento del corpo di Giulio Regeni, una nota ove si riferisce che gli organizzatori della riunione sindacale tenuta a Il Cairo l'11 dicembre 2015, cui ha partecipato Giulio Regeni, hanno comunicato che non sono state effettuate registrazioni video ufficiali dell'incontro”. Gli inquirenti italiani non hanno ricevuto nemmeno le registrazioni delle videocamere di sorveglianza fatte a Dokki, la zone in cui Giulio è sparito, non hanno ricevuto il verbale completo dell’autopsia e nemmeno i tabulati delle persone che avevano indicato gli investigatori italiani e che erano vicine al ricercatore. Nessuna testimonianza è giunta agli italiani, nemmeno quella dell’autista che ha rinvenuto il cadavere e nemmeno quelle dei vicini. Manca soprattutto un elemento fondamentale che avrebbe potuto far luce su molti aspetti di questa torbida storia, mancano i tabulati telefonici che agganciano la cella di Dokki. Pignatone scrive “In relazione alla richiesta del traffico di celle presentata ancora una volta dalla Procura di Roma l'autorità giudiziaria egiziana ha comunicato che consegnerà i risultati al termine dei loro accertamenti, che sono ancora in corso. La procura ha insistito insistito perché la consegna avvenga in tempi brevissimi sottolineando l'importanza di tale accertamento da compiersi con le attrezzatura all'avanguardia disponibili in Italia”. Tramite quei dati si può risalire all’autore materiale del delitto. Un altro punto su cui il mistero persiste, riguarda i documenti. Una vicenda tutta da chiarire poiché risulta che “non vi sono elementi del coinvolgimento diretto della banda criminale nelle torture e nella morte” di Giulio Regeni.