FALCOGNANA, DISCARICA: IL SACCHETTO DOVE LO METTO?

Maurizio Aversa

Roma – Le moderne società occidentali producono in eccesso merci. Molte di queste merci invece che avere una propria vita di riproposizione dell’oggetto, viene, con tempi diversi, destinata a diventare rifiuto. Col passare del tempo, il produrre merci, che si accumulano o sotto forma di merci-beni o sotto forma di rifiuti, sta portando al collasso questo tipo di impostazione. E’ una delle contraddizioni delle società capitalistiche-individualiste-consumistiche.

Ma se ne può uscire. Ad esempio, gli organismi preposti, la programmazione nazionale in materia; le regioni per l’organizzazione a vasta scala; i comuni per il funzionamento quotidiano; possono attuare politiche virtuose. Così le pratiche, gli indirizzi politici di gestione, di una parte del rifiuto, intercettato prima che divenga rifiuto è già una risposta concreta. Infatti la politica del riuso, sia esso organizzato socialmente quasi a costo zero, sia esso organizzato come mercato parallelo (mercato dell’usato), fa in modo che la montagna dei rifiuti si abbassi notevolmente. Il riuso è un comportamento individuale ma dagli enormi effetti sociali, ambientali e culturali. Per questo non può essere “solo” previsto: ma sostenuto, organizzato, stimolato da politiche attive nazionali, regionali e comunali. Chi non lo fa, anche occupandosi seriamente delle politiche dei rifiuti, sicuramente fa un grosso errore. In modo analogo, una grande parte del rifiuto, una volta divenuta tale, non è indistintamente omologabile come una materia inerte non più utile a nulla.

Di solo ingombro per la società. Al contrario, percentuali sempre più alte, grazie a tecniche di raccolta e trattamento dei rifiuti consente di far emergere dai rifiuti materie prime da re immettere nei cicli produttivi dei beni. Lo si fa coi metalli; con gli olii; con il legno; con la plastica; con il vetro; con la carta e così via. Per ottenere questi risultati è sufficiente scegliere, grazie ad una programmazione nazionale, ad una organizzazione regionale e ad un intervento quotidiano dei comuni di attivare la raccolta differenziata, la più dettagliata possibile. Ovviamente, quando non si parla più solo di rifiuti in generale, ma includendo particolarmente il rifiuto proveniente dalle abitazioni e dalle attività cittadine quotidiane (dalla raccolta delle foglie, alla risulta delle attività di ristorazione ecc.) una fetta della famigerata montagna dei rifiuti appartiene al “rifiuto umido”.

Questo va trattato in modo particolare, può a sua volta essere oggetto di riconversione della materia e può, a seconda dello stadio di perfezione di organizzazione della attività capillare dalla raccolta fino alla tecnologia a disposizione del trattamento, avere comunque una parte ancora da smaltire. Che sarà, naturalmente infinitamente, quantitativamente più piccola rispetto al dato di partenza. Quindi, per essere concreti, nella prospettazione della situazione attuale, in Italia c’è un indirizzo, che sempre più prende piede – anche se non sostenuto in modo evidente con pressanti campagne di comunicazione – di agire sulle politiche dei rifiuti, intanto privilegiando la scelta del riuso e del riciclo. Quindi, come nel Lazio, e come è stato già per la Provincia di Roma, si è scelto un indirizzo di sostegno attivo, con interventi a favore, con aiuti, per l’attivazione della massima capillarità della raccolta differenziata. Questa per essere tale ed efficace, come sopra ricordato, deve basarsi sulla raccolta porta a porta. I comuni che attivano queste politiche, questa scelta organizzativa, non solo fanno bene nell’immediato, ma contribuiscono, collaborano, tendenzialmente affinchè si giunga nel tempo al Rifiuto Zero. Cioè, questo tipo di organizzazione, se bene attivata, organizzata, gestita, è la strada maestra per giungere all’obiettivo del Rifiuto Zero. Se non ci si attiva, e chi ha scelto di non attivarsi in tal senso, per quante parole possa utilizzare, ha scelto di “produrre rifiuti”! Quindi come si vede, i comportamenti individuali, che sono semplici e possibili – come accendere e spengere un interruttore della lampadina – uniti ad una buona scelta amministrativa, portano a sicuro successo.

Con vantaggi per l’ambiente, per la salute, per qualità del vivere quotidiano, per le casse pubbliche e quelle delle famiglie. A livello storico, questa percezione, questa consapevolezza, e la certezza che fosse possibile maturare un differente approccio al problema rifiuto è stato lento ma non si è mai arrestato. Si stanno evolvendo sempre più sistemi e tecnologie (con relativo dibattito annesso) che vogliono utilizzare il rifiuto come risorsa agricola, o come fonte energetica e così via. Alla base di qualsiasi di queste scelte “finali” c’è la considerazione di due punti fermi: per portare l’organizzazione della raccolta (inclusa la raccolta porta a porta) ad un buon livello, ad una efficacia vera di tutto quanto abbiamo prima prospettato, ci vuole un tempo medio, sicuramente più di un anno.

Più di un anno dal momento della scelta e dalla partenza organizzativa, non da oggi che viene qui esposto il problema. Ora, senza fare solo polemica politica, è evidente che il tempo perso (letteralmente: tempo non utilizzato) come ha fatto il Comune di Marino nel non organizzare una raccolta porta a porta da almeno otto anni (cioè da quando una stessa amministrazione, Palozzi sindaco e la destra al governo) ha messo nelle peggiori condizioni la cittadinanza e il comune di Marino. Ad esempio, invece sia Ariccia che Ciampino, grazie a queste politiche sono alla differenziata con percentuali vicina al 70%. Quindi, sicuramente qui a Marino, d’ora in avanti, occorrerà fare esattamente l’opposto di quanto sostenuto dalle precedenti amministrazioni. Anzi, si potrebbe perfino ipotizzare che la destra smentisca se stessa e i precedenti otto anni di errori, imboccando adesso la via del porta a porta: i cittadini se ne avvantaggerebbero. Ma non sappiamo se sarà così feroce con se stessa e generosa coi cittadini: per ora ha scelto la via facile. Urlare in piazza, perfino col vicesindaco con la fascia tricolore contro l’utilizzo della Discarica della Falcognana. La vicenda della discarica sulla via Ardeatina nasce da alcuni fatti positivi che non si possono sottacere. In primo luogo, se non ci fosse stata la scelta di chiudere definitivamente Malagrotta non si sarebbe posto neppure il problema. Almeno non come viene percepito oggi. Ma nessuno, nessun cittadino di buon senso, nessun amministratore responsabile direbbe oggi di prolungare l’attività della megadiscarica più grande d’europa. La Giunta regionale, il Presidente Zingaretti, che va valutato non solo per le parole che adduce a indicazione del programma futuro, ma soprattutto per la realizzazione delle politiche innovative del porta a porta in Provincia di Roma, ha motivato che il piano della gestione dei rifiuti per la chiusura definitiva di Malagrotta prevede: il trasferimento della gran parte della raccolta dei rifiuti di città presso conferimenti fuori regione ( e l’Ama ha reso noto che sono state già assegnate due gestioni per due mesi rinnovabili per altri due); ed una piccola parte presso una discarica provvisoria, nel caso individuata a Falcognana. Noi riteniamo che ci sia stato un errore di condivisione delle conoscenze di fatti oggettivi (tecnici e scientifici) nella gestione che ha condotto alla scelta di Falcognana. Riteniamo che l’elemento di controllo democratico, per l’evidente percezione di disagio e preoccupazione, andava sollecitato e favorito quando è stato richiesto. C’è stata una preoccupazione “difensivista” della attuazione del progetto generale e della scelta particolare che ha creato malumore. Questo non è giusto. Perché i cittadini se coinvolti, non è detto che non possano giungere alle stesse conclusioni delle scelte di programmazione del piano.

Ora che la scelta è compiuta e che un po’ della fiducia è stata rovinata, lo spazio percorribile resta la pratica della trasparenza totale sulla gestione della discarica. Così come la certezza, grazie alla presenza di step verificabili (immaginiamo ne esistano) della data da concretizzare per la provvisorietà. Del resto il composito movimento, caratterizzato da varie parole d’ordine: dal semplice no alla discarica, fino alla richiesta di obiettivi di alternative totali alle politiche dei rifiuti per giungere alla scelta del Rifiuto Zero; proprio perché spinto a non mostrare fiducia per l’assenza di partecipazione alla conoscenza e alle scelte finali, non è stato in grado di attivare canali vertenziali tali da porre due (o più) soggetti sociali e politici a confrontarsi sull’insieme di scelte e tempi e controllo democratico. Scegliere di farlo ora è un recupero di credibilità possibile e di un riconoscimento di diritto democratico esercitato dal basso. Noi riteniamo che sia Zingaretti e la giunta regionale, che il movimento dei comitati debbano esercitare un confronto diretto dove riconoscere il ruolo di controllore al movimento. Indipendentemente dai controlli istituzionali già esistenti; indipendentemente dal ruolo orizzontale che vorranno svolgere le istituzioni locali come i Comuni e le Circoscrizioni in questa vicenda. Chi si tira indietro da ciò è come se tradisse lo spirito di innovazione delle politiche a Rifiuto Zero che giungono dopo il porta a porta da attuare;  ed è come se tradisse la richiesta di partecipazione e di conoscenza diretta venuta dalle migliaia di cittadini che stanno lottando e che si sono impegnati.