“Scrivo nell’aria che vivo”: l’aria che tira a Roma (spesso un’ariaccia) nella raccolta di poesie di Roberto Ciavarro

Un’intervista con il poeta Roberto Ciavarro per parlare di poesia e romanità.

Ciavarro ha presentato il suo ultimo libro “Scrivo nell’aria che vivo” una raccolta di poesie dove il poeta narra della Roma vissuta tutti i giorni e dell’aria che tira in città, un’aria che a volte, come si sente dire spesso è un’ariaccia.

CLICCARE SULLA FOTO PER GUARDARE LA VIDEO INTERVISTA

L’intervista al poeta romanesco Roberto Ciavarro trasmessa il 9/1/2020 a Officina Stampa



Il poeta romano Roberto Ciavarro conquista il premio Lucio Cancellieri

Premio Speciale Lucio Cancellieri apoeta Roberto Ciavarro con la poesia ‘La rivoluzione’ assegnato nell’ambito del IX° Concorso Letterario “Città di Cologna Spiaggia” Sezione Dialetto.

Ciavarro, romano di nascita, è da sempre impegnato nel mantenere viva la cultura dialettale di Roma. Romano di nascita, scrive in un dialetto piu’ vicino ai giorni nostri, prendendo spunto come dice lui “piu’ da Trilussa che dal Belli entrambi grandissimi poeti ed artisti”. Ha scritto, nel tempo, un centinaio di sonetti che presto saranno raccolti e presentati in un libro.

VIDEO DA OFFICINA STAMPA DEL 11/10/2018

‘La rivoluzione’

Mò ce vorebbe ‘na rivoluzione,
ma l’omo d’oggi è superimpegnato,
in mille e più pensieri-impelagato,
nun cià più er tempo pe ‘na riflessione! .
Nun sta purtroppo nella condizione
de annà a affrontà ‘sto tema complicato,
pure se intorno er monno è peggiorato,
lui crede de sta bene : è un’illusione!! ”
Cosi je voi parlà de ribellasse?
E’ un argomento che a toccallo scotta
e rischierebbe pure de bruciasse.
Allora, ‘sto discorso qui se insabbia:
come po’ cresce er frutto de ‘na lotta
se nun se pianta er seme de la rabbia!!!.

Traduzione: ‘La rivoluzione’

Adesso sarebbe utile fare una rivoluzione / ma l’essere umano attuale è impegnato in troppe cose, / ha mille vari pensieri / e non ha gli rimane il tempo materiale per poter riflettere. // Non è, a dire il vero, nella condizione / di affrontare un aspetto, una tematica così complicata, / anche se intorno il mondo è peggiorato, / l’uomo crede, s’illude di vivere al meglio la sua vita. // Così vuoi parlargli di ribellarsi? / E’ un argomento scottante / e rischierebbe di bruciarsi. // Allora questo discorso si insabbia ( viene coperto, quasi nascosto): / ma come può crescere il frutto di una lotta / se non si manifesta un malessere, uno scontento che poi sfocia nella rabbia !! !




Romano, romanesco e romanoide, dai nonni ai ragazzi 2.0: il poeta Roberto Ciavarro erede della scuola di Trilussa

Il dialetto romanesco, o “romano”, ha subito un’accelerazione della sua evoluzione all’inizio del xx secolo, quando si accentuarono i flussi migratori dalle altre zone del Lazio e dal resto d’Italia, e in tempi più recenti anche dall’estero, verso la Capitale. Il fenomeno ha dunque comportato un afflusso di molte altre popolazioni, ognuna con propri usi, costumi, tradizioni, e con un proprio dialetto originario che nel tempo, ha finito per fondersi e confondersi con il dialetto romanesco autentico, originando una connotazione linguistica dialettologica ibrida, ossia quel vernacolo che attualmente viene parlato, nella Capitale e zone limitrofe, il quale è una sorta di espressione coagulata tra diverse parlate locali definita dai media “romanoide”.

IL VIDEO SERVIZIO

Gli anni ’70 e ’80

Un significativo cambiamento del dialetto romanesco avviene intorno agli anni settanta e ottanta dove il vernacolo di Trilussa e Belli, progressivamente si impoverisce a causa dei grandi stravolgimenti sociali che hanno interessato i quartieri più popolari della Capitale, dove ancora era possibile incontrare una romanità “pura”.
In quel periodo quartieri come quelli del centro storico, di Trastevere, San Lorenzo, Testaccio, si trasformano da zone tipicamente popolari e basso borghesi a zone di classe e di moda con un massiccio ricambio di popolazione.

Una certa cinematografia e la ghettizzazione del romano

Un’altra importante causa della morte del romanesco puro e soprattutto della ghettizzazione del romano è da ricercarsi in quella cinematografia che, a partire dagli anni 1950, neorealismo a parte, ha fatto dell’idioma romano uno stereotipo di ignoranza, cafonaggine e pigrizia.

Il romanesco nell’area metropolitana di Roma

Il dialetto romano moderno viene parlato quotidianamente da quasi tutti gli abitanti dell’area metropolitana di Roma; la maggioranza di essi possiede anche la padronanza della lingua italiana grazie alla forte scolarizzazione, ma essa viene utilizzata più spesso nelle situazioni formali, e risulta meno utilizzata nella vita quotidiana. Il dialetto romanesco vero e proprio, inoltre, è originario esclusivamente della città di Roma dacché nell’area appena circostante (Velletri, Frascati, Monte Porzio, Monte Compatri, Rocca Priora, Lanuvio…), la parlata autoctona cambia sensibilmente, e il romano lascia il posto alle parlate laziali, anche se recentemente questi dialetti nell’area di Roma stanno andando sempre più a scemare lasciando il posto al romanesco che vista la sua vicinanza all’italiano tradizionale sta prendendo sempre più piede nelle zone limitrofe. Ormai però anche gli idiomi di queste località della provincia romana si vanno modificando; i dialetti per esempio di Frascati, ed in generale di tutti i Castelli Romani o di Anzio, col tempo si sono avvicinati di più a quello romano e similmente è accaduto in grandi città delle province vicine. Solo la gente più anziana del posto parla ancora il dialetto locale, ormai la maggior parte dei giovani ha una parlata più vicina a quella romana moderna.

E a cercare di mantenere viva la cultura dialettale di Roma è il poeta Roberto Ciavarro, romano di nascita, che scrive in un dialetto piu’ vicino ai giorni nostri, prendendo spunto come dice lui “piu’ da Trilussa che dal Belli entrambi grandissimi poeti ed artisti”. Ha scritto, nel tempo, un centinaio di sonetti che presto saranno raccolti e presentati in un libro.

Irene Tagliente