Aspiranti magistrate, minigonne, sei politico e cittadini in mutande: il frutto fallimentare del ‘68

Pende una proposta di destituzione per Francesco Bellomo, Consigliere di Stato e direttore della scuola privata per aspiranti magistrati “Diritto e Scienza” e sul suo collaboratore, il Pm di Rovigo Davide Nalin, una di sospensione con urgenza. Una nuova testimonianza conferma le accuse già rivolte a Bellomo dal padre di una sua giovane ex corsista. Rosa Calvi, avvocatessa di 28 anni, che ha raccontato al Corriere della Sera come le fu offerto di diventare borsista del noto corso, le assurde regole che avrebbe dovuto rispettare e quel bacio che Francesco Bellomo provò a darle durante un colloquio per valutare se fosse degna della borsa per frequentare gratis la scuola.

E mentre la grande stampa, i salotti ciarlieri televisivi e lo spettegolare sul web, vedono nella triste storia delle aspiranti magistrate, frequentatrici della scuola privata di formazione, “Diritto e Scienza” diretta dal giudice, sennonché consigliere di Stato Francesco Bellomo, una forma di sexgate al Consiglio di Stato. Si fanno i soliti moralismi, grandi dibattiti presieduti dai soliti frequentatori dei talk show, ma il nocciolo del problema, la vera insidia che coverebbe nell’apparato dello Stato non viene minimamente sfiorata. Mentre si leggeva la notizia nelle sue variegate versioni, ritornava in mente il famigerato “Sei politico” degli anni settanta, negazione per antonomasia del significato “scuola”, ragione per cui quest’ultima è ridotta nello stato attuale.
A causa di quella che fu allora “vittoria del movimento studentesco di sinistra”, oggi l’istruzione nelle scuole locali è scesa in fondo alla scala delle statistiche europee che analizzano il grado di educazione culturale degli studenti nell’Unione. Quella che allora fu salutata come una conquista nella marcia verso il progresso, oggi la si scopre come una sconfitta della classe dirigente di allora.

 

A questo punto il lettore può giustamente volere conoscere quale sia il nesso di quanto detto con le magistrate in minigonna del giudice Francesco Bellomo. Giusta curiosità! Maria Giorgia Vulcano, responsabile del Dipartimento Politiche Giovanili della Cgil Puglia, molto prudentemente, così si è espressa a riguardo della vicenda Bellomo : “Qualora i fatti emersi fossero accertati, sarebbe inaccettabile il tentativo di derubricare quanto a mero “fatto di costume”. Mentre, condividendo il condizionale alla base del giudizio della Vulcano, si esprime altra opinione sul “fatto di costume”, e con ciò ci si riferisce al “sexgate” bensì al costume di certe promozioni nelle carriere statali.

 

Facciamo un passo indietro e ritorniamo al “Sei politico” che nessuno può negare sia stato all’origine del fenomeno di professionalità di scarso livello. Quanti ponti crollati? Quanti incidenti nelle sale operatorie? Quanti palazzi piegati alle più lievi scosse sismiche? Sarà pur vero che c’entri la corruzione nella scelta dei materiali, però chi può negare che non si tratti anche di scarsa preparazione professionale magari originata dal “Sei politico?” Chi potrebbe dubitare di carriere professionali acquisite con meriti di livello da “Sei politico?”

Ciò detto passiamo alle magistrate in minigonna dell’ormai chiacchierato giudice Francesco Bellomo. Si era detto prima di non condividere in pieno che in questa vicenda non si tratta di “fatto di costume”. All’uomo della strada nulla importa se le aspiranti magistrate si presentino in commissione in minigonna, con tacchi a spillo, con particolare maquillage e quant’altro. Quello che veramente importa al cittadino è che la qualifica sia valutata non in base all’aspetto fisico o alla classe sociale d’appartenenza bensì alle capacità e preparazione professionale.

 

E proprio per questa triste vicenda non ci sentiamo di escludere il “fatto di costume” e riflettiamo. Questa volta il caso “minigonne” è scoppiato, però rimane sempre il tarlo a tormentarci. Siamo certi che questo sia stato l’unico caso? Siamo certi che altri casi, magari non di minigonne bensì di calze elastiche, di parentele care, di capelli biondi oppure di labbra a bocca di rosa non siano stati conteggiati come meriti davanti alla commissione? Non sarebbe forse per riflesso di qualche caso del genere i reati gravi vadano in prescrizione e i criminali ritornano per strada? Sarebbe da escludere che non c’entrino casi del genere che innocenti vengano condannati e reclusi per anni per poi essere riconosciuti innocenti dai veri professionisti del codice? Sono solo domande che meritano pure una risposta e pertanto le magistrate in minigonna della fattispecie interessano al cittadino perché a causa di molti errori giudiziari tanti poveri cristi, fuori dei palazzi di potere, ridotti in mutande, mendicano giustizia, incontrando il disinteresse dei più. La legge è uguali per tutti. E’ uguale un poco più per “qualcuno”.

Emanuel Galea