L’Italia dei sequestri di persona, da Fabrizio De Andrè alla Banda della Magliana: i retroscena raccontati dagli attori dell’epoca

I sequestri di persona in Sardegna attraverso il racconto del dottor Roberto Scotto già a Capo della Squadra Mobile di Nuoro. Il dirigente di Polizia, video intervistato da Chiara Rai, ripercorre i fatti più salienti che avvennero alla fine degli anni ’70 descrivendo anche le tecniche di indagine adottate all’epoca compatibilmente alle risorse allora disponibili. Una video intervista, che dopo le prime due puntate trasmesse nel corso della trasmissione giornalistica “Officina Stampa” in cui sono intervenuti alcuni attori dell’epoca come Stefano Giovannetti rapito a Frascati (Rm) nel 1991, l’allora Brigadiere dei Carabinieri Antonio Amico oggi Ufficiale dell’Arma in congedo, che seguì le indagini, è arrivata alla terza puntata.

Nel corso della trasmissione di giovedì 7 dicembre, a commentare quel periodo storico che ha segnato profondamente la vita di coloro che hanno vissuto questa traumatica esperienza, il gioielliere romano Roberto Giansanti e l’allora Capo della sezione Antisequestri della Polizia di Stato di Roma dottor Elio Cioppa.

IL DR. ELIO CIOPPA E IL GIOIELLIERE ROBERTO GIANSANTI A OFFICINA STAMPA

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Il sequestro di Giansanti rappresenta uno dei primi colpi messi a segno dall’allora nascente Banda della Magliana

La Banda della Magliana grazie agli introiti dei rapimenti potè reinvestire nel commercio della droga e delle armi per la conquista criminale della Capitale, controllata fino a a qualche tempo prima dai Marsigliesi. Il rapimento del gioielliere Roberto Giansanti avvenne a Roma il 16 maggio 1977, insieme a quello del Duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere, del 7 novembre dello stesso anno e poi ucciso perché aveva visto in faccia i rapitori, rappresentano i primi colpi messi a segno dalla Banda della Magliana.

Fu infatti di Franco Giuseppucci detto er negro l’idea di dedicarsi ai sequestri di persona a scopo di estorsione. Tra i ricordi ancora vivi nella mente di Roberto Giansanti ci sono quindi ‘Oto, il Moro, il Riccetto, Mezza Tacca, Due Nei, Janbon detto “il Francesino”. Tutti cattivi tranne uno, l’Uomo del Sud, il più umano tra i carcerieri, quello che a Giansanti portava acqua e bende e che nell’orecchio gli sussurrava: “Non ti faccio morire qua, ti prendo e ti lascio davanti ad un ospedale se stanno per ammazzarti”. Oltre questa “pietà” Giansanti ricorda anche momenti più drammatici della sua prigionia avvenuta in un covo che non è stato mai identificato: “Sono stato pestato, minacciato con la pistola in bocca, deriso e umiliato. Un naso rotto, un’infezione agli occhi che mi faceva impazzire per non so quale spray urticante mi avevano schizzato al momento del sequestro, avvenuto sotto casa, a Talenti, dopo vari appostamenti anche in Via Lanciani”.

A capo della sezione Antisequestri di Roma il dottor Elio Cioppa che portò avanti una lotta senza frontiere e che nel corso della trasmissione di Giovedì ha anche ricordato diversi anedotti dell’epoca, come alcuni fatti avvenuti ad Ostia, tra il 1981 e il 1987, in cui si badava meno alle tante formalità burocratiche alle quali sovente si assiste oggi e si procedeva senza mezzi termini a contrastare la criminalità organizzata. Attività di contrasto che portò a risultati concreti.

Tra i sequestri avvenuti in quello scorcio di tempo e che ancora oggi sono vivi nella memoria collettiva sicuramente il sequestro di Fabrizio De Andrè e della sua compagna Dori Ghezzi.

Il 27 Agosto del 1979 in località Tempio Pausania, nella tenuta De Andrè-L’Agnata intorno alle 21.30 il famoso cantautore e poeta Fabrizio De Andrè e la sua compagna cantante Dori Ghezzi si trovano davanti un uomo imbavagliato che gli punta contro una pistola; per qualche secondo De Andrè crede si tratti di uno scherzo ma ben presto si ricrede quando l’uomo li imbavaglia e li fa indossare dei giacconi. A questo punto sbucano altri banditi che gli intimano di entrare dentro la Dyane di Fabrizio ritrovata ore dopo dagli inquirenti in una località poco distante dal porto di Olbia. Solo l’indomani mattina viene dato l’allarme ai Carabinieri dalla domestica della tenuta del cantautore che non trova nessuno in casa di buon mattino. Per la cronaca è bene precisare che l’estate del 1979 va collocata come la più drammatica nella storia del banditismo sardo. Con Fabrizio De Andrè e Dori Ghezzi il numero delle persone tenute in ostaggio arriva addirittura a 10. Le indagini e le ricerche si intensificano come non mai e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa dopo un primo sopralluogo e dopo aver analizzato il caso esclude da subito qualsiasi pista di carattere politico e si palesa nessun coinvolgimento di movimenti extra parlamentari armati che da anni tormentavano lo Stato italiano.

Come se non bastassero i mitomani che puntualmente iniziarono a confondere e depistare le indagini, durante il lungo periodo di sequestro durato oltre 4 mesi fino al 21 Dicembre, i banditi per ben due volte fecero accrescere la tensione spacciandosi per gruppi di estrema sinistra comunicando all’ANSA che i corpi dei due cantautori erano stati gettati una prima volta nelle acque del porto di Genova e una seconda nel lago di Mogoro. Oltre 150 sommozzatori scandagliarono le profondità senza riscontri oggettivi.
Tenuti incappucciati sin dai primi giorni, Fabrizio e Dori riescono ad ottenere di rimanere legati a volto scoperto ad un albero e con il passare dei lunghissimi giorni si instaura con i rapitori un rapporto quasi confidenziale.

Dori Ghezzi viene trattata con rispetto e chiamata “signora” e Fabrizio ha modo di dialogare con i rapitori di cui ricorderà particolarmente la figura di uno, giovane, di sinistra senza lavoro poverissimo e quasi pentito di essere diventato un bandito sardo e di aver sequestrato Dori Ghezzi che era comunque figlia di operai.

Per la liberazione la banda dei sardi chiesero la cifra di due miliardi di lire pari ad oltre un milione di euro e le fitte trattative furono condotte da Giuseppe De Andrè con il figlio Mauro e con la collaborazione del parroco di Tempio Pausania don Salvatore Vico e Giulio Carta. La trattativa subì una interruzione nel mese di Ottobre che gettò la famiglia e l’Italia intera nello sconforto. Si credette sul serio che per i due cantautori non ci sarebbe stato ritorno ma lo sforzo, l’insistenza e anche l’eccessiva durata della del sequestro costrinse i rapitori ad accordarsi per la cifra di seicento milioni di lire, vale a dire oltre 300mila euro. In una strada del Goceano il 20 Dicembre, don Salvatore Vico raccolse Dori Ghezzi nella sua auto e per un giorno intero la tensione salì alle stelle per la mancata liberazione di Fabrizio De Andrè che invece verrà ritrovato nella notte successiva in una strada isolata della stessa zona.

Fabrizio De Andrè e Dori Ghezzi non si costituirono parte civile contro i sequestratori. Dori Ghezzi commentò: “Praticamente eravamo diventati indispensablili gli uni agli altri, per loro era quasi sopravvivenza, avere noi significava mangiare perchè probabilmente erano dei latitanti”. L’esperienza traumatica del sequestro rafforzò il rapporto di coppia dei due artisti che fino al decesso di Fabrizio De Andrè avenuto l’11 Gennaio del 1999 rimasero sempre inseparabili e l’incredibile talento del cantautore genovese seppe raccontare con poesia ed amarezza quell’esperienza terribile nel brano “Hotel Supramonte” che ad oggi è considerato uno dei brani più belli di Fabrizio De Andrè.

La banda dei sequestratori composta da sei orunesi, un toscano e tre pattadesi nei mesi successivi fu scovata e catturata e mandata a giudizio. Il fenomeno del banditismo sardo non era si era ancora concluso.

 

Ivan Galea – Paolino Canzoneri




CROTONE,TRUFFA A DANNO UE: SEQUESTRI PER 714 MILA EURO

di A.B.
 
Crotone – Otto persone, ritenute responsabili di truffa aggrevata, di falso e reati tributari di emissione ed utilizzo di fatture false, occultamento di scritture contabili sono state denunciate. Vi è stato un sequestro delle disponibilità bancarie e beni immobili dell’importo di 714.000 euro nei confronti degli amministratori di una società nel settore della costruzione. L’operazione è stata eseguita dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Crotone con un ordine di sequestro emesso dal Giudice.
 
La Guardia di Finanza ha controllato e monitorato il processo di erogazione di risorse attraverso la Regione Calabria per l’incremento occupazionale e la formazione in azienda di neo-assunti. Tra i destinatari di finanziamenti della specie, è stata sottoposta a controllo una società operante nel settore delle costruzioni, beneficiaria di un contributo di € 630.000 per le spese relative ai costi salariali ed € 84.000 per quelle inerenti i corsi di formazione.
 
Le indagini hanno portato alla scoperta di molte e numerose irregolarità, per esempio il registro delle presenze; ad eccezione di un solo soggetto, tutti gli altri hanno disconosciuto le firme attribuite a loro e hanno dichiarato di non aver mai partecipato a nessun corso di formazione. La stessa assunzione dei “neo-dipendenti” era irregolari poiché gli stessi erano stati licenziati poco prima di essere assunti dal nuovo soggetto societario, tale manovra aveva il solo fine di ottenere il finanziamento. 



CATANIA, MAFIA: SEQUESTRATI 26 MILIONI DI EURO AD IMPRENDITORE

di A.B.

Catania – I Carabinieri del Ros hanno sequestrato beni per un valore di 26 milioni di euro all’imprenditore Santo Massimino, che è ritenuto vicino alla famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano di Catania. Si tratta di ben sei aziende poste sotto sequestro, le aziende si occupano di edilizia e di energia rinnovabile. Il soggetto era stato arrestato durante un’operazione denominata “Iblis” e nel processo che ne è scaturito è stato condannato a 12 anni di reclusione.
 
E’ stato accusato di aver intrecciato contatti con l’allora capo provinciale di Cosa Nostra etnea, Enzo Aiello. Gli inquirenti ritengono che il soggetto avrebbe “posto e mantenuto le sue imprese nel mercato in violazione delle regole della libera concorrenza e dall'altro apportando un concreto contributo causale ai fini della conservazione, del rafforzamento e, comunque, della realizzazione anche parziale del programma criminoso di Cosa Nostra etnea”.
 
Spesso i beni confiscati a soggetti accusati per mafia vendono trasformati in opere nuove, l’esempio lampante è la villa del boss dei boss Totò Riina che è diventata la nuova caserma dei carabinieri a Palermo – Uditore  all’interno del complesso residenziale di Via Bernini. La villa è famosa per essere stata il covo di Totò Riina durante l’ultimo periodo della sua latitanza che terminò il 15 gennaio del 1993. L’ex villa del boss è una vera e propria oasi immersa nelle ville più lussuose di Palermo. Il boss aveva creato un’oasi con alberi e prato inglese e persino una piscina. E’ una struttura molto grande in una zona molto popolare della città. Ora tutto è riadattato alle esigenze dei militari. 



PUGLIA,GIOCO D'AZZARDO: I NUMERI DI UN DRAMMA LEGALIZZATO

di Matteo La Stella

Bari- Niente più trono, corona e castello. Al re del gioco d'azzardo pugliese, che per il fisco vantava una dichiarazione dei redditi inadeguata anche solo per il sostentamento del suo nucleo familiare, oggi sono stati sequestrati beni mobili e immobili per 50 milioni di Euro. Responsabile occulto di 6 aziende per la produzione, commercializzazione ed installazione delle slot machine, gestiva, tra le altre cose, il monopolio del gioco d'azzardo nella piana delle Murge, dalla provincia di Bari su fino alla Basilicata. Arrestata dunque la sua corsa milionaria, non si arresta l'aumento della dipendenza dal gioco nel tacco dello stivale, decollata negli ultimi anni come sul resto della penisola. In Italia, infatti, secondo la relazione al Parlamento sulle tossicodipendenze del 2013, le persone con una patologia di dipendenza dal gioco d'azzardo già conclamata oscillano tra lo 0,5% e il 2,2%, cioè una quota complessiva che arriva a sfiorare il milione e mezzo di giocatori incalliti. Questa però è solo l'uscita del formicaio, che, a fronte delle poche persone venute fuori e inserite nei programmi regionali di sostegno, nasconde un'infinità di cunicoli colmi di soggetti ormai alla deriva, pronti al tutto per tutto pur di fare la loro puntata.

I BENI SEQUESTRATI
Il blitz dei Carabinieri del Comando provinciale di Bari ha preso piede all'alba di questa mattina. Unico obiettivo: i beni di Giuseppe Cassone, imprenditore 68enne della provincia di Bari, con alle spalle diversi precedenti per truffa, bancarotta fraudolenta e falso. I militari, guidati dal provvedimento di confisca emesso dal Tribunale di Bari, hanno sequestrato all'uomo 6 aziende per la produzione, commercializzazione e installazione delle slot machine, 3 società di servizi, un albergo ed un ristorante, 12 appartamenti, 4 ville, 8 locali commerciali, 14 automezzi e, dulcis in fundo 38 conti correnti a lui riconducibili. Le indagini hanno evidenziato la netta discrepanza tra i beni del'imprenditore e le sue dichiarazioni dei redditi che, secondo i parametri Istat, sarebbero state insufficienti a coprire il fabbisogno del suo nucleo familiare. Per costruire il suo regno, l'imprenditore era solito intestare le numerose società a familiari e prestanome, così da rimanere nell'ombra, lontano dagli occhi indiscreti del fisco. Il “guru” delle slot machine ha voluto giocare pesante, perdendo tutto in un colpo solo. Questa è la storia dei giocatori d'azzardo, vincere una volta per poi perdere per sempre.

IL GIOCO D'AZZARDO IN PUGLIA: I NUMERI DEL DRAMMA LEGALIZZATO

Proprio dove sorgeva il regno legato alle slot machine, il problema è corposo e in netto aumento, anno dopo anno. Gli utenti che si rivolgono alle Asl della regione Puglia per la dipendenza dal gioco d'azzardo patologico, ormai compulsivo e dissociato, sono aumentati in maniera vertiginosa. Secondo l'Osservatorio delle Dipendenze legato alla Asl di Bari, il numero di ludopatici in Puglia è passato dai 293 soggetti del 2012 ai circa 500 soggetti del 2014. Schizzato verso l'alto anche il bilancio della provincia di Bari che, se nel 2012 aveva registrato 83 accessi ai servizi di sostegno per debellare la patologia, nel 2014 viene investito da 155 accessi, quasi il doppio rispetto a due anni prima. Gli studi posti in essere dall'Osservatorio delle dipendenze barese ci aiutano a costruire il profilo “tipo” di un giocatore d'azzardo: coniugato, con regolare impiego, istruzione ferma alle scuole mediee , soprattutto, nessun precedente penale. Apparente normalità che, dentro, lascia il posto ad un latente squilibrio dovuto alla depressione o a problemi di tipo psichiatrico. 

Oltre ai numeri in aumento, che prendono in considerazione solo i soggetti già in cura, c'è da evidenziare come la più grande fetta dei ludopatici vada a schierarsi tra le fila dei giocatori d'azzardo problematici, e non ancora patologici, cioè che presentano già delle disfunzioni a livello della loro vita sociale. Questi fanno parte del fitto sottobosco, dei cunicoli interni al formicaio, della parte di iceberg ancora sommerso di cui, solo la punta, è riuscita a bussare alla porta di un SerT per chiedere aiuto.

Proprio da uno dei tanti SerT sparsi per il barese, ci aiutano a capire come i ludopatici, resi ormai vuoti dal gioco, iniziano il percorso verso una nuova normalità: per prima cosa si fa una diagnosi psichiatrica e psicologica della persona. In un secondo momento si interviene sui problemi psicologici o psichiatrici del paziente, supportati a volte dalla medicina. Allo steso tempo si passa al setaccio il contesto in cui vive il soggetto che, se non vive dasolo, viene trascinato proprio dai familiari nei centri di assistenza. In molti casi l'elemento in questione viene privato dei suoi beni, affidati ad un tutore legale a lui vicino così da evitare di compromettere totalmente l'economia sua o della sua famiglia.

Nonostante gli interventi, per le persone affette da ludopatia è frequente la ricaduta. Al SerT della provincia di Bari, la responsabile intervistata reputa importante i gruppi non istituzionali che possono aiutare i dipendenti a desistere dal gioco. Porta avanti la sua lotta, è ottimista la responsabile, che spera di rendere la serenità a quante più persone possibile, strappate al loro quotidiano da una "carneficina" legalizzata, per la quale non si fa prevenzione ma, al contrario, una grande propaganda.